Animali notturni (2016): trama, spiegazione finale e significato del film

MEDICINA ONLINE Animali notturni (Nocturnal Animals) film thriller psicologico e neo-noir  2016 Tom Ford Austin Wright Tony & Susan Jake Gyllenhaal, Amy Adams, Aaron Taylor-Johnson, Michael Shannon, Jena Malone.jpgRegia di Tom Ford, con Amy Adams, Jake Gyllenhaal, Michael Shannon, Aaron Taylor-Johnson, Isla Fisher, Jena Malone. Titolo originale: Nocturnal Animals. Genere thriller, thriller psicologico, drammatico, neo-noir – USA, 2016, durata 115 minuti. Uscita: giovedì 17 novembre 2016; basato sul romanzo del 1993 di Austin Wright “Tony & Susan”.

Trama senza spoiler

Susan Morrow, proprietaria di una prestigiosa galleria d’arte, vive una vita che scivola abulica sulla superficie delle opere che espone, finché un giorno riceve un manoscritto dall’ex-marito Edward Sheffield da cui la separano diciannove anni di divorzio. Approfittando di un week-end in cui resta sola (Walker, l’attuale marito, infatti si è allontanato apparentemente per lavoro, ma in realtà per tradirla) la donna si dedica alla lettura del manoscritto a lei dedicato, che si intitola Animali notturni, proprio come lei veniva definita dall’ex-marito. La lettura dello scritto – che è alternata alle vicende reali – turba sempre più la donna dal momento che il racconto presenta dei parallelismi metaforici con il loro drammatico passato di coppia: il divorzio è stato infatti traumatico, proprio per colpa di Susan che ha deciso in modo unilaterale di troncare ogni rapporto con Edward. Quelle pagine che la donna consuma con gli occhi, svolge col cuore, riorganizza nella testa, risalendo il tempo e la storia del suo matrimonio, la porteranno al desiderio di riavvicinarsi all’ex marito: ma quest’ultimo sarà davvero ancora disposto a perdonarla?

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Recensione senza spoiler

Animali Notturni è uno dei più bei film d’amore e di vendetta del cinema contemporaneo. Ed è un thriller. Sì, è un film d’amore, perché parla di rapporti tra due persone che si sono amate, ma è anche un thriller rigonfio di vendetta, di un odio patinato ed innocente, quello di un uomo a cui è stato tolto tutto dalla donna che amava, da una persona che credeva diversa e che invece si è dimostrata tutto l’opposto di ciò che sembrava, tutto il contrario di ciò che lei stessa avrebbe mai voluto. Lui è Edward Sheffield (Jake Gyllenhaal), ed è il primo marito di Susan, dalla quale ormai si è separato da molti anni. È uno scrittore. Un giorno, all’improvviso, le manda un libro; è un’opera che dedica proprio a Susan e nel bigliettino che accompagna la missiva dichiara di essere finalmente riuscito a terminarlo grazie a lei, che gli è stata d’ispirazione. Questo libro però racchiude qualcosa di particolare, di tremendo. È una storia dura, cruda e macabra, ma altro non è che l’emblema torbido e la struggente metafora di ciò che ha vissuto per causa di Susan. Non può farne a meno; la verginità del suo animo è stata macchiata da un gesto feroce e brutale al quale nessuno può porre rimedio, ed inevitabilmente si va incontro ad una sofferenza che lo lascia attonito, tormentato, ma irrimediabilmente diverso. Lei è Susan Morrow (Amy Adams), ed è la proprietaria di una galleria d’arte. Molti anni fa era sposata con Edward, ma dal momento in cui l’ha lasciato ha iniziato a vivere con Walker (Armie Hammer) ed i due sono anche convolati a nozze. Il loro matrimonio è in piedi da 19 anni, tuttavia sono finiti i fasti di un tempo, gli scricchiolii si sono tramutati in terremoto, e la donna si trova intrappolata in un prigione dorata dalla quale non riesce ad uscire, perché non ne ha la forza.

Un uomo fragile

È proprio la forza il nodo che lega l’intera storia. Edward è sempre stato una uomo fragile, o quantomeno questo è ciò che ha perennemente visto in lui Susan, al punto che anch’egli sembra convincersene, tratteggiando – nelle pagine del suo libro – una figura di sé succube di ogni situazione fuori dal suo controllo, non in grado di opporsi alla crudeltà di un mondo che non riesce a comprendere.
Susan ha un’immagine diversa di Edward: lo percepisce come una persona romantica, che sa credere in sé stesso e soprattutto sa credere in lei. Forse troppo. Non è un uomo egoista, Edward. Forse per nulla. È questa la colpa che deve espiare; il suo essere accondiscendente e dolce verso la donna che ama, fa di lui un facile martire, un uomo col cappio al collo che cammina come un equilibrista sopra un filo sospeso nel vuoto. Susan invece sconta le sue colpe quasi inconsciamente, rendendosene conto soltanto quando è troppo tardi. Lei è una donna che vive col costante terrore di trasformarsi in ciò che ha sempre detestato, ma non fa che compiere passi inesorabili in quella direzione. Il loro dolore ti entra nelle viscere e non si stacca mai, per tutti i 115 minuti di film ed anche oltre. Animali Notturni è un continuo irradiarsi di pulsazioni e di un incessante nodo in gola. Ti nausea, ti sfinisce, ti si attacca addosso e non ti stacca più.
La perfezione sta tutta nel modo autentico ed elegante che ha Tom Ford di raccontarci una storia che non appartiene solamente ai due protagonisti, ma si estende a macchia in un mondo ormai arido di genuinità e di bontà, parole che risultano infatti desuete e banali. Arido come le radure del Texas, dove un uomo distrutto è obbligato a camminare per ore prima di ricevere un aiuto, dove nessuno ti salva se non ti salvi da solo.

L’estetica di Tom Ford

Di contro l’oscurità è quella in cui gli animali notturni sanno muoversi perfettamente, attaccano e uccidono vittime innocenti (se qualcuno lo è davvero, in fondo) con la brutalità tipica, appunto, delle bestie.
Ma esiste anche la vita diurna, e quella obbliga persino gli animali notturni a fare i conti con se stessi e con le conseguenze delle proprie azioni. Chi è immune da tutto questo è Tom Ford. Ogni cosa che tocca si trasforma in oro. Il Re Mida del nuovo millennio è un personaggio altamente poliedrico, e non possiamo non provare ammirazione nei suoi confronti. Nonostante le tante parole che si possono spendere per questo film, le sensazioni che ti lascia sono incredulità e confusione. Incredulità e confusione vanno di pari passo in tutta l’opera, e si avvinghiano in un finale che, gelido, trapassa lo spettatore come una lama. Si resta attoniti di fronte al dipanarsi degli eventi, mentre si sciolgono gli intrecci narrativi rimane legato quel nodo alla gola, lo strazio di vite consumate e che incedono singhiozzanti al pari di un plot convulso e che non può non intaccare l’animo dello spettatore, stordendolo. In tutto questo e in molto altro emerge e si consacra il talento di Tom Ford, che non trascura nulla, mettendo sullo stesso piano l’estetica di cui è Maestro, assecondata da una scenografia e una fotografia pungente ed efficace, ed una regia cinica e acuminata.

La sequenza iniziale

La sequenza iniziale è a dir poco spiazzante, perché di fronte a noi, in un crescendo di pose, ammiccamenti e nudità integrali, si esibiscono una dietro l’altra alcune modelle che farebbero la felicità di un regista come Ulrich Seidl, già apprezzato estimatore di nudità extralarge nel famigerato e ai tempi scandaloso “Canicola”. Qui però, a fare la differenza con il lungometraggio del regista austriaco, e quindi a risultare sorprendenti invece che oscene, sono le aspettative create da “Animali notturni”, che si annunciava provvisto di una confezione che faceva del mistero e di un’estetica bella e raffinata i suoi riconosciuti punti di forza.
Detto che preferiamo lasciare il lettore con il dubbio a proposito della maniera in cui si evolve il finale della scena a cui abbiamo appena accennato, ci sembra importante evidenziare come tale inizio sia la firma di un regista che dimostra di saper aggiungere al mezzo cinematografico le invenzioni e la fantasia che ne contraddistinguono il lavoro nel campo della moda. Il cortocircuito tra le facce opposte della stessa medaglia presente in quei primi fotogrammi, e quindi l’accostamento tra il corpo esibito e opulento delle voluminose donzelle, fa il paio con la bellezza levigata e accuratamente vestita di Susan, la gallerista ricca e avvenente interpretata dalla bravissima Amy Adams (vedi foto in alto) stabilendo il leit-motiv visuale ed emotivo che ritroveremo per tutta la durata del racconto.

Super cast

E poi c’è un cast artistico che mette i brividi. Jake Gyllenhaal è abilissimo nel rendere struggente la sua figura di uomo devastato e consumato, riuscendo ad essere presente persino quando la sua assenza diventa fondamentale ai fini dello sviluppo narrativo. Amy Adams è veramente ad alti livelli. Nessuno probabilmente avrebbe saputo rendere meglio il senso di ciò che Tom Ford cercava dal suo personaggio. Ma tutto ciò sembra un mero vezzo di fronte alla potenza distruttiva dello script, di quell’impianto narrativo volutamente preda di un bivio che vive di metafore. Le già citate e spoglie lande texane, e il mondo patinato della Los Angeles a 6 zeri, quello di due esistenze ormai divise dal tempo, corrose dai cambiamenti e dalle scelte. Di tutto questo, dopo una guerra dove ci si spara dritti al cuore, cosa resta? La forza, quella inespressa e nascosta sotto le macerie di un rapporto, sotto il peso delle paure, sotto il terrore del cambiamento. Esce fuori con la violenza di uno tsunami, quando ormai non c’è più nulla da perdere, rovesciando tutto nel gioco delle parti e mostrandoci la vera forza di chi ha seppellito la fragilità sotto lo smacco e il fallimento. Curiosità: nel film la piccola parte di Sage Ross è di Jena Malone, che aveva recitato con Gyllenhall in Donnie Darko. Infine menzione a parte per Michael Shannon nella parte del detective Bobby Andes, che regala al suo personaggio espressioni e profondità psicologica davvero notevoli.

Un film consigliato, da vedere almeno due volte per capire fino in fondo tutte le metafore del racconto di Edward.

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DA QUI IN POI SPOILER

Significato e metafore del film

La prima cosa da chiarire – che non a tutti può apparire lampante – è che il film mostra vari momenti della vita dei personaggi reali, incastrati con il racconto del libro. In animali notturni ci sono tre parti fondamentali:

  • il presente, che narra la vita della protagonista (Susan) che vive una vita dorata ma triste, passando da una mostra all’altra, con una figlia distante ed un marito che la tradisce. Susan riceve il manoscritto dell’ex marito (Edward) e la sera lo inizia a leggere;
  • la storia contenuta nel manoscritto che narra di una normale famiglia che parte in auto per le vacanze, le quali però finiscono in tragedia. All’interno della storia i protagonisti assumono (nella mente di Susan che sta leggendo) l’aspetto dell’ex marito, della sua attuale figlia e di sé stessa, proprio quello a cui puntava l’autore;
  • il passato, cioè la storia d’amore iniziata più di vent’anni prima che ha portato Susan ed Edward ad incontrarsi, innamorarsi, sposarsi e poi divorziare 19 anni prima, con annesso aborto di Susan.

Chiarito questo, il libro che Edward dedica alla moglie è una chiara metafora della loro storia d’amore, che li ha portati al divorzio. Le donne rapite sono rispettivamente Susan stessa e la figlia:

  • la morte della moglie rapita è la metafora di una morte non reale ma “ideale”: è la morte della Susan iniziale, quella che vent’anni prima aveva amato disinteressatamente Edward e lo supportava sempre, tale “morte” ha lasciato il posto ad una Susan fredda e calcolatrice – quella attuale – totalmente insensibile nei confronti dei sentimenti e dei bisogni altrui;
  • la morte della figlia rapita rappresenta la vera morte eseguita nei confronti della piccola da parte della moglie nel momento stesso in cui lei ha scelto di abortire.

La stessa posizione in cui le donne vengono trovate morte nel racconto (vedi foto più in basso), potrebbe simboleggiare Susan che muore idealmente nel momento in cui abortisce sua figlia mentre è stesa sul lettino del medico, e la figlia che muore realmente uccisa dall’aborto mentre è “accanto” a lei (nel suo grembo).

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La morte “ideale” della moglie e reale della figlia

Le altre metafore sono:

Il viaggio della famiglia rappresenta la storia di Susan ed Edward, partita bene ma finita male.

Le lande desolate in cui la famiglia si inoltra, rappresentano l’aridità della storia passata che – partita con le migliori intenzioni – si trasforma in tragedia.

I tre giovani che stuprano ed uccidono moglie e figlia sono i vari aspetti che hanno ucciso il loro amore ed il loro matrimonio, che hanno portato Susan ad essere fredda e calcolatrice ed hanno portato all’aborto della figlia (la morte di entrambe).

Il detective è la voglia di Edward di salvare il loro rapporto. Ma è una voglia pronta a morire, malata e priva di sicurezze, a cui Edward si aggrappa disperatamente per tanto tempo, fino a morirci.

Il padre codardo, che si nasconde quando i due “cattivi” tornano indietro a cercarlo, anziché intervenire, rappresenta l’Edward stesso nel passato, che col senno di poi ora forse si sente in colpa per non essersi mostrato “coraggioso” di fronte alla ex moglie, fatto che ha contribuito alla tragedia della storia.

Il padre coraggioso, che alla fine uccide il “cattivo”, rappresenta l’Edward nel presente: un Edward senza più timori che ha reagito alle sue paure ed ha ripreso in mano la sua vita, scrivendo un libro di successo.

In poche parole l’intero romanzo è una rappresentazione metaforica della storia di Susan e Jake. Lui regala a lei il romanzo proprio per farle capire cosa ha provato nell’essere stato trattato così da lei e per farle rimpiangere le scelte di cambiare carattere (uccidendo la sé stessa “buona”) ed uccidere la figlia (l’aborto).

Spiegazione del finale

Il finale di questo film rappresenta una delle più sottili vendette della storia del cinema. Leggendo il libro Susan capisce subito quello che nella sua mente era già chiaro: diciannove anni prima ha fatto un grosso errore a lasciare Edward. Susan ha capito di aver fatto un terribile sbaglio anche a non aver creduto nel suo talento e nelle storie che poteva raccontare (ricordate il flashback dove Susan diceva al marito «Scrivendo di te non arriverai mai da nessuna parte»). Lei prova a ricontattarlo (la mail era stata appositamente recapitata insieme al libro, un piano diabolico!) e lui accetta l’invito a cena. Lei vede in quell’incontro una seconda occasione per ricominciare a vivere, uscire dal grigiore della sua vita apatica e – forse – ritornare con l’ex marito. Lei va all’invito, ma lui non si presenterà, lasciandola ad aspettare invano. Questa è la vendetta di Edward, una vendetta già anticipata dal regista nel quadro con su scritto “revenge” che appare non a caso all’inizio del film.

Qualcuno potrebbe dire: è impossibile che la ex moglie leggendo il libro una sera, si reinnamori del marito. Ciò è vero, ma a mio avviso lei in realtà non si reinnamora di nessuno, dal momento che forse ha perso la sua capacità di amare già vent’anni prima, sempre se l’ha davvero mai avuta. Lei vuole soltanto fuggire da una vita arida che all’inizio le sembrava appetibile e che invece l’ha distrutta ed ora le appare come una gabbia. Lei è già in crisi da tempo con il suo nuovo marito e con la sua vita dorata fatta di finzione e “psicofarmacologi”. Il libro è solo una goccia che ha fatto traboccare il vaso.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
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Arrival (2016): trama, recensione e spiegazione del film

MEDICINA ONLINE 2016 TRAMA SPIEGAZIONE FINALE FILM RECENSIONE.pngRegia di Denis Villeneuve; con Amy Adams, Jeremy Renner, Forest Whitaker, Michael Stuhlbarg, Tzi Ma, Mark O’Brien. Titolo originale: Arrival. Genere Fantascienza – USA, 2016, durata 116 minuti. Uscito al cinema giovedì 19 gennaio 2017.

Trama senza spoiler

La pellicola, diretta da Denis Villeneuve, racconta di dodici misteriose navi aliene chiamate “gusci” apparse improvvisamente sul nostro pianeta. Sin dall’inizio non è chiaro né lo scopo di questa apparizione né il perché della scelta dei punti di atterraggio sulla Terra. Per questo motivo la linguista Louise Banks (una Amy Adams in gran forma) ed il fisico teorico Ian Donnely (Jeremy Renner) vengono contattati dal colonnello dell’esercito americano Weber (Forest Whitaker) e posti a capo di un team che ha come obiettivo quello di entrare in contatto con le forme di vita aliena.

Trama senza grossi spoiler ma che racconta qualcosa in più

Sin da subito la comunicazione con gli alieni si rivela possibile ma complessa: le misteriose forme di vita si esprimono infatti tramite dei simboli circolari con componenti tra loro collegati che si rivelano difficilmente interpretabili. Con l’aiuto di Ian, Louise riesce pian piano a decifrare e riprodurre il linguaggio alieno ma la difficoltà di comunicazione dà subito vita a forti incomprensioni. Gli omologhi team dislocati su tutto il pianeta interpretano con grandi differenze le risposte date dagli alieni alla domanda “perché siete qui”, traducendo la risposta con “offrire armi”, elemento che verrà colto dalla Cina come un segnale di pericolo che renderà inevitabile un attacco preventivo. Louise invece sosterrà che proprio la difficoltà di traduzione potrebbe aver creato un difetto di interpretazione laddove “arma” potrebbe in realtà essere tradotto anche come “strumento”. Solo qualcosa di apparentemente inspiegabile potrà impedire una guerra contro gli alieni.

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Recensione

Scritto da Eric Heisserer, Arrival è basato sul racconto “Storia della tua vita“, incluso nell’antologia di racconti “Storia della tua vita”, scritto da Ted Chiang. Lontano dal classico genere action-movie tipico di colossal come “Indipendence Day“, Arrival propone una componente di introspezione psicologica ed una presenza aliena che viene addirittura ribaltata rispetto all’immaginario collettivo dominato dall’unica, possibile dicotomia “amici/nemici”. Gli eptapodi compaiono sul pianeta ma “aspettano” di essere contattati. Le loro navi aprono letteralmente i portelli ogni 18 ore per dare l’opportunità agli umani di comunicare con loro, anche se questo all’inizio si rivelerà estremamente complicato. Il film si concentra dunque sulla necessità di capirsi e di capire. Capire gli alieni, comunicando con loro nella loro difficile lingua ma anche capire e comunicare a livello di specie uomo-alieno, ma soprattutto capirsi tra nazioni, in un mondo di 7 miliardi di persone che parlano (e quindi ragionano, come spiego più avanti) in modo diverso, azioni che – come vedremo poi – sono strettamente correlate. E non è un caso che l’errata traduzione di “arma” porti come immediata conseguenza la rottura del canale di coordinamento tra tutte le nazioni operanti e rischi di scatenare una guerra.

Arrival è un film di fantascienza pieno di scienza, concetti interessanti e cose tutt’altro che scontate. E’ un fatto scientifico appurato che qualsiasi cosa ripetuta a lungo, come una lingua scritta o parlata, plasmi il nostro cervello, cambiando alcuni circuiti neuronali ed influenzando quindi il nostro modo di ragionare (anche se nel film questo processo, che necessita di anni, avviene un po’ troppo rapidamente!). Sta piacendo molto sia ai critici che al pubblico perché è un film diverso da quelli tipici arrivano-gli-alieni, combatti-gli-alieni, sconfiggi-gli-alieni, e perché Amy Adams è molto brava nell’interpretare la linguista protagonista, un personaggio che supera i soliti stereotipi della donna usata solitamente nella fantascienza.

Ho apprezzato la scelta di astronavi con un design “minimal” che non passa mai di moda: ciò evita il solito fastidioso effetto delle astronavi che appaiono “vecchie” quando il film viene visto a distanza di anni. Altra nota di merito è all’uso della splendida On the Nature of Daylight,  composta da Max Richter, usata anche in numerosi altri film, ad esempio nella colonna sonora di Shutter Island di Martin Scorsese: violino, viola e violoncello che sarebbero capaci di emozionare anche un sasso. In definitiva un film fortemente consigliato, specie se amate una fantascienza più intimista e filosofica, con paradossi temporali tali che dovrete vedere il film due volte, per apprezzarlo davvero.

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SPIEGAZIONE DEL FINALE CON SPOILER 

Avete finito di vedere il film e la vostra faccia ha un grosso punto interrogativo al posto degli occhi? Niente paura, non siete i soli. Cerchiamo di capirci qualcosa, partendo da un piccolo accenno di neuro-psicologia.

La chiave di lettura di “Arrival” risiede nell’Ipotesi di Sapir-Whorf, non a caso citata anche nel film stesso, che sostiene – semplificando – che il modo in cui un popolo si esprime determini il suo modo di pensare. In altre parole, studiare un linguaggio porterebbe ad imparare a interpretare il mondo così come fa un determinato popolo. Addirittura imparare una certa lingua, può letteralmente cambiare la struttura del nostro cervello, ed è esattamente quello che accade alla protagonista. I segni circolari degli eptapodi, che non sono lettere né parole ma interi insiemi di significati connessi (un segno equivale ad un intero discorso “umano”) sono anche l’indicazione di come il loro cervello pensa/vede oltre l’orizzonte degli eventi. Scrivono in “due sensi” (i cerchi si compongono istantaneamente in entrambe le due metà) perché gli alieni “pensano e vedono tutto insieme”: passato, presente e futuro, quello che avviene ad esempio nel caso del Dottor Manhattan, celebre supereroe della serie a fumetti Watchmen.

Per approfondire: Ipotesi di Sapir-Whorf e determinismo linguistico: esempi e spiegazione

Quando Louise comprende come scrivere nella lingua degli alieni, comprende anche il loro modo di percepire il tempo e riesce ad osservare la propria vita (presente, passato e futuro) contemporaneamente. In pratica la protagonista impara a prevedere il futuro. Ecco il perché di tutti i flash forward (salti in avanti) che mostrano lei e Ian come una coppia, la nascita della loro figlia e la sua morte. Le scene iniziali, in cui lei si vede con una figlia e che noi pensiamo sia il suo doloroso passato, in realtà è il suo doloroso futuro. Tutti gli apparenti flash back del film, sono in realtà dei flash forward. Sin dall’inizio del film Villeneuve ci racconta la storia spostandosi tra presente e ciò che accadrà, in maniera istantanea, esattamente come Louise riuscirà a percepire la sua vita grazie allo studio della lingua aliena, che ha plasmato il suo cervello.

Ecco perché, proprio nel futuro, il generale dell’esercito cinese – sapendo ormai le doti di Louise, note al mondo in quel dato futuro – le parlerà dandole le istruzioni affinché in passato lui avesse potuto crederle scongiurando la guerra.
Questo è un paradosso temporale noto come “bootstrap paradox” ed è lo stesso di tanti altri film basati su paradossi, come l’affascinante Interstellar di Christopher Nolan. Semplificando: se Louise si ricorda quelle frasi solo perché le ha sentite in un futuro in cui la guerra è stata scongiurata grazie proprio a quelle frasi, come fa ad arrivare in quel dato futuro se prima non le conosceva? Semplicemente Louise trascende il presente per avere accesso alla futura conoscenza di un evento passato, percependo la sua vita come un unico blocco che vede dall’esterno. E’ difficile da capire per un motivo: la nostra mente è abituata ad elaborare un rapporto causa-effetto che nei paradossi viene scavalcato: non siamo abituati a pensare quadrimensionalmente, come direbbe Doc Emmett Brown di Ritorno al futuro. Per approfondire: Bootstrap paradox e paradosso della predestinazione: spiegazione ed esempi nei film

…o forse tutto il paradosso è solo un espediente narrativo che permette di correggere una trama lievemente diversa rispetto a “Storia della tua vita” di Ted Chiang, da cui è tratto Arrival.

Differenze con il libro

Parlavo prima di un espediente narrativo. Il racconto da cui è stato tratto Arrival era concettualmente lievemente diverso: nella storia di Chiang infatti gli alieni e la protagonista non prevedono il futuro, ma lo vedono così come sarà senza possibilità di cambiarlo, nel film invece si dà l’idea che il dono alieno permetta di prevedere il futuro e quindi cambiarlo, variazione apparentemente banale che è perfetta per un film di fantascienza accattivante per tutti (qualcuno direbbe “americanata“), ma che stravolge in parte il racconto originale ed ha fatto infuriare in tutto il mondo i suoi estimatori. Per alcuni nel film è stato banalizzato il tema del libero arbitrio: nel film Lousie lo usa cambiando liberamente il proprio modo di agire in base alla conoscenza del futuro e ciò cambia il proprio futuro, mentre nel racconto lei agisce in base al libero arbitrio, ma allo stesso modo però agisce adeguandosi a ciò che sa di aver compiuto nel proprio futuro, il quale è ineluttabile. È una situazione paradossale, quasi da dibattito ateo-religioso: come fa l’essere umano ad avere il libero arbitrio se il futuro è già scritto e Dio (o chi per lui) già conosce cosa succederà con certezza nel suo domani? Siamo liberi o schiavi piegati ad un destino ineluttabile? In questo, ogni volta che rivedo Arrival, mi viene in mente uno stupendo dialogo del meraviglioso film “Donnie Darko“, tra Donnie (Jake Gyllenhaal) e il suo insegnante Monnitoff (Noah Wyle):

Donnie: Ogni essere vivente si muove su un sentiero già tracciato, ma se uno vedesse il proprio sentiero fino in fondo potrebbe vedere il futuro. E questa non è una specie di viaggio nel tempo? 
Prof. Monnitoff: Beh, c’è una contraddizione nel tuo discorso: se potessimo vedere il nostro destino, avere davanti l’immagine di ciò che sarà, avremmo allora la facoltà di scegliere se tradirlo o no, questo destino. E per il solo fatto che esiste questa possibilità nessun destino si potrebbe considerare “prestabilito”. 
Donnie: Non se si viaggia lungo il sentiero di Dio. 

Il futuro di “Arrival libro” è quello immaginato da Donnie: lo possiamo vedere, ma rimane prestabilito ed immutabile in quanto, nonostante il libero arbitrio, è già incanalato lungo un sentiero già scritto e immutabile, contraddittorio verso ogni tipo di libera scelta, come se tutti i bivi del nostro diagramma di flusso di vita fossero stati già attraversati nel momento stesso in cui veniamo al mondo. Ad ogni bivio possiamo quindi scegliere o non scegliere da che parte andare? Abbiamo già scelto? Qualcuno ha già scelto per noi? Esistono davvero dei bivi, o il percorso è unico? Siamo davvero responsabili delle nostre scelte se non siamo noi a scegliere? Purtroppo questo trip mentale molto interessante, in “Arrival film” si perde completamente perché in quel caso il libero arbitrio non ha limiti nel poter cambiare il futuro e la visione “aliena” di passato-presente-futuro già incanalati, così originale del racconto, viene banalizzata in una mera previsione di un futuro mutabile, molto meno originale e già vista in tante altre opere di fantascienza.

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Nel film previsione di un futuro modificabile, nel libro visione di un futuro assoluto

Altra differenza apparentemente banale ma importantissima è la morte della figlia. Nel racconto di Chiang la figlia della protagonista muore in un incidente di montagna e Louise non può evitarlo. Non potrà pur sapendo cosa sta per accadere, perché ciò che lei conosce è ciò che dovrà accadere e che accadrà/è accaduto. Inevitabile ed inesorabile: anche se già lo sa non può cambiarlo perché se riesce a vederlo, quello è il futuro e le sue azioni la porteranno comunque lì. Non può neanche decidere di non mettere la figlia al mondo: quello è il suo futuro, è un domani già scritto e immutabile e dovrà affrontarlo soffrendo ogni giorno sapendo che sarà quello il loro destino e che sua figlia morirà comunque. Nel film il futuro diventa una previsione, e non una visione. Per questo motivo hanno scelto di far morire la figlia della protagonista di un male incurabile, non di un incidente evitabile, perché altrimenti ci si poteva chiedere: se Louise può prevedere il futuro e cambiarlo, perché lascia morire la figlia in un incidente evitabile? Ecco quindi nel film la scelta di una malattia incurabile ed inevitabile. Purtroppo però così facendo, la simpatia che si prova per la Louise del racconto (una donna costretta a vivere con la tragica consapevolezza costante di mettere al mondo una figlia che morirà in modo immodificabile), si trasforma in potenziale antipatia per una persona egoista che decide di avere una figlia pur sapendo che soffrirà di una malattia incurabile e morirà giovane, solo per poter godere di momenti di gioia che la riscatteranno dalla sua depressione. Tanto che suo marito la lascia per questo, qualcosa sul tipo: “sapevi di mettere al mondo una figlia che morirà, potevi impedirlo e l’hai messa al mondo lo stesso? Sei una egoista”.
Nel film gli alieni, quando scrivono di fatti futuri, prevedono quello che avverrà nel futuro in base alle condizioni di quel dato momento: scrivere dello stesso fatto futuro dopo ad esempio mezz’ora potrebbe prevedere un futuro diverso, dal momento che la stessa osservazione del fenomeno tende a cambiarlo come se la scatola del gatto di Schrödinger fosse improvvisamente aperta. E’ un mondo perfetto per un film di fantascienza che vuole fornire tanti punti esclamativi al grande pubblico.
Nel libro gli alieni, quando scrivono di fatti futuri, invece descrivono quello che avverrà nel futuro: pur osservandolo e ri-descrivendolo dopo mezz’ora, il futuro rimane quello perché immutabile e l’osservazione del fenomeno non cambia la predestinazione. Quello del libro è un mondo originale fatto dalla consapevolezza amara che i nostri destini, apparentemente di persone libere di scegliere, sia legato a catene indissolubili che ci rendono schiavi, concetto che vuole fornire tanti punti interrogativi a chi ha voglia di riflettere sul libero arbitrio.

Pur rimanendo quindi Arrival un gran bel film, soffre di alcuni espedienti narrativi che sono perfetti per attrarre le persone al cinema, ma elimina alcuni particolari che nel libro sono davvero molto originali e lasciano il cervello a lavorare per mesi sul significato delle nostre esistenze.

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Perché gli alieni sono venuti sulla terra?

Gli alieni sono venuti per aiutare l’umanità portando in dono la loro lingua, che è un “arma” o “strumento”, poiché in grado di cambiare la percezione del tempo (se ci pensate vedere in anticipo il futuro è davvero una gran bella arma, da ricevere in regalo!). Fanno questo perché, in cambio del loro dono, tra 3000 anni noi umani dovremo ricambiare il favore, aiutando gli alieni che – per una non specificata ragione – avranno bisogno del nostro sostegno. Ricordate: gli alieni sanno già oggi cosa accadrà nel loro futuro, quindi prevedono che grazie al loro dono gli umani li aiuteranno sicuramente.

Perché Ian lascia Louise?

Lei lo spiega, solo che quando lo spiega ancora noi spettatori non sappiamo che Ian è (sarà, era stato: fate voi) il marito di Louise. Lui la lascia perché scopre che, pur sapendo il futuro (e quindi che loro figlia sarebbe morta) lei ha scelto comunque di farla nascere (senza dire a lui che sarebbe morta).

Adesso che avete capito il finale (spero!), il mio consiglio è di rivedere il film dall’inizio e cogliere tutti quei particolari incomprensibili alla prima visione: resterete sorpresi!

La frase più bella del film, che secondo me ne racchiude il senso:

Se potessi vedere la tua vita dall’inizio alla fine, cambieresti qualcosa?

Curiosità sull’etimologia del nome “canguro”, citata nel film

Il nome dato all’animale canguro, deriverebbe da una incomprensione. La leggenda narra che durante una delle spedizioni di James Cook durante la seconda metà del ‘700, venne avvistato uno strano animale, mai visto prima, che si muoveva salterellando. Quando gli esploratori videro la creatura, incuriositi andarono subito a chiedere agli aborigeni del luogo: “Come si chiama quella strana creatura?” Al che gli aborigeni risposero: “Non capisco“, frase che nella lingua aborigena agli inglesi suonava come “Kan-ga-roo“…e da allora, Kangaroo divenne il nome di questo curioso animale. In realtà questa storia è un falso: la parola “canguro” deriva infatti dalla parola Guugu Yimithirr “gangurru”, che si riferisce ai canguri grigi. La leggenda prima citata è stata sfatata nel 1970 dal linguista John B.Haviland nella sua ricerca riguardo la lingua Guugu Yimithirr.

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Auguri di buone feste da Medicina OnLine!

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma AUGURI DI BUONE FESTE NATALE 2016 Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgA tutti voi lettori ed ai vostri cari, un augurio di liete festività, che possiate passarle in serenità in compagnia di chi amate!

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L’influenza 2016/17 sarà più aggressiva, ecco perché e come difendersi

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO RAFFREDDORE RINITE INFLUENZA FEBBRE TOSSE MAL DI GOLA SINUSITE FREDDO NASO CHE COLA BAMBINI BIMBI (3)Perché si dice che quest’anno l’influenza sarà più prepotente che mai? Principalmente per due fattori: il largo anticipo con cui è stato isolato il virus (e questo vuol dire che c’è un rischio di maggiore diffusione anche tra le persone che solitamente si vaccinano) e poi perché sono stati isolati due virus che contengono delle mutazioni che potrebbero favorire una maggiore circolazione dell’influenza. Proprio per questi motivi i medici faranno maggiore pressione sui propri pazienti per non sottovalutare i rischi e vaccinarsi, soprattutto i soggetti che sono più a rischio di complicazioni (chi ha superato i sessantacinque anni ed i malati cronici), ma anche i bambini e gli adulti sopra i 50 anni.

Quando vaccinarsi?

Il picco stagionale è previsto per gennaio 2017: considerando che il vaccino impiega come minimo due settimane per attivare il suo potere immunizzante, si consiglia di vaccinarsi entro novembre. In Italia il numero delle persone che sceglie di immunizzarsi contro l’influenza è in continuo calo (in generale siamo sotto al 20%, e tra gli anziani la percentuale è scesa dal 70 a sotto il 50%); è previsto che l’influenza 2016/2017 possa costringere a letto circa sei milioni di italiani.

Sintomi, segni e durata per adulti e bambini

I sintomi e segni dell’influenza generici più o meno abbiamo imparato a riconoscerli tutti nel corso della nostra vita: possono essere diversi e solitamente si manifestano dopo 1/4 giorni dal momento del contagio. Febbre più o meno alta, malessere generale, raffreddore, tosse, mal di testa, nausea, dolori muscolari, inappetenza, astenia (mancanza di forze), diarrea e vomito sono i sintomi principali. Molti non lo sanno, ma chi è malato di influenza può contagiare gli altri anche a distanza di un paio di metri; principalmente i virus si diffondono tramite le goccioline di saliva che vengono emesse starnutendo tossendo, ma anche semplicemente parlando. Ma è possibile essere contagiati anche toccando un oggetto o una superficie contaminata e poi avvicinando la mano alla bocca o al naso.
In media gli adulti possono essere contagiosi per circa 5/7 giorni a partire dal giorno prima che si manifestino i sintomi (questo vuol dire che si può essere contagiosi anche prima di sapere di essere malati), mentre i bambini possono trasmettere l’affezione anche per più di sette giorni. Può capitare che alcune persone infette non sviluppino nessun sintomo particolare, ma anche in questi casi corrono il rischio di trasmettere il virus ad altre persone.

Come evitare il contagio

Per evitare di essere contagiati bisognerebbe prendere alcuni accorgimenti. Sembra ovvio e scontato dirlo, ma bisognerebbe stare alla larga dalle persone che hanno già preso l’influenza (e loro dovrebbero starsene a casa per curarsi meglio ed evitare rischi per gli altri); questo vuol dire anche non utilizzare i loro stessi piatti o posate se non dopo averli lavati con attenzione e pulire e disinfettare le superfici di casa (o scuola o posto di lavoro); è molto importante anche lavarsi le mani spesso. Nel periodo di massima diffusione del virus si dovrebbero evitare i luoghi chiusi e affollati e limitare i contatti fisici. Chi ha contratto il virus dovrebbe coprirsi naso e bocca quando starnutisce o tossisce (e poi lavarsi le mani) e buttare immediatamente il fazzoletto di carta usato, che è una vera e propria scoria infetta. Non sarebbe una cattiva idea neanche cambiare lo spazzolino da denti, visto che i virus possono rimanervi fino a sette giorni.

I rimedi per superare l’influenza

Il vaccino antinfluenzale è l’unica arma specifica per combattere questa affezione; gli antivirali non rappresentano un’alternativa e possono essere presi solo su indicazione del medico; i soggetti che non corrono il rischio di complicazioni possono anche ricorrere ai medicinali sintomatici(ad esempio la Tachipirina per la febbre), ma sempre meglio chiedere al dottore. Ma non vanno messi in secondo piano i classici rimedi della nonna, ovvero delle semplici soluzioni che possono fornire qualche tipo di protezione nei confronti dell’antipatico virus. Il grande classico in questi casi è il brodo di pollo: contiene delle proteine che rinforzano il nostro sistema immunitario e, se viene consumato caldo, può avere effetti fluidificanti su catarro e muco. Cipolla e aglio magari non faranno profumare l’alito, ma hanno delle importanti proprietà antisettiche. Il miele aiuta a calmare le crisi di tosse e favorisce la fluidificazione del catarro; fare dei suffumigi con acqua calda e magari qualche essenza balsamica può essere molto utile per contrastare tosse e congestione nasale. Infine bisogna fare attenzione alla dieta: no ai cibi grassi o particolarmente conditi e spazio a frutta e verdura e a piatti leggeri; è molto importante l’idratazione (specialmente per chi soffre di virus intestinale, visto che con diarrea e vomito si perdono tanti liquidi).

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L’uomo perfetto esiste davvero: ecco Rohit Khandelwal, Mister Mondo [FOTO]

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma Rohit Khandelwal UOMO MISTER MONDO 2016 Riabilitazione Pene Nutrizionista Medicina Estetica Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Macchie Capillari Pressoterapia Linfodrenaggio 1.jpgIl vincitore del concorso Mister Mondo 2016 è il venticinquenne Rohit Khandelwal: il ragazzo è stato premiato a Southport, Londra. L’uomo eletto il più bello del mondo 2016, almeno secondo la giuria, è originario di Hyderabad, nel sud dell’India, e compirà ventisei anni il prossimo 27 agosto. Riceve lo scettro dal precedente mister mondo, il danese Nickłas Pedersen eletto nel 2014. Rohit non è nuovo nel mondo dello spettacolo: ha lavorato in televisione recitando in alcuni show della tv indiana, successivamente è stato premiato come Mister India e adesso Mister Mondo. La sua straordinaria bellezza, il suo sguardo magnetico, il suo fisico scolpito e le sue qualità recitative sono state apprezzate dalla giuria, che l’ha eletto come l’uomo più bello del mondo fra i quarantasei partecipanti. Nella selezione era presente anche un italiano, Federico Carta.
Rohit Khandelwal dice di voler continuare la sua carriera nel mondo della televisione, ma anche del cinema: infatti il suo sogno è quello di diventare un regista famoso. Il ragazzo è molto seguito anche sui social: solo su Instagram conta circa 180 mila seguaci e le sue foto, nelle quali mostra un primo piano da urlo o addominali scolpiti, sono molto apprezzate dalle sue fan, eccovene alcune.

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The Neon Demon (2016) : trama, recensione e spiegazione

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma THE NEON DEMON 2016 TRAMA RECENSIONE  Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgThe Neon Demon: un film di Nicolas Winding Refn. Con Elle Fanning, Karl Glusman, Jena Malone, Bella Heathcote, Abbey Lee. Titolo originale The Neon Demon. Drammatico, horror, Ratings: Kids+13, durata 110 min. – USA, Francia, Danimarca 2016

Torna al cinema Nicolas Winding Refn l’acclamato regista di Drive che, dopo essere passato a Cannes 2016, porta un suo horror molto particolare incentrato sul “demone della Bellezza”. Jesse (Elle Fanning) è un’adolescente di una piccola cittadina che, come tante, insegue il sogno delle passerelle di Moda. Arriva a Los Angeles per coronarlo e nel frattempo soggiorna in un motel di quart’ordine con losco gestore (Keanu Reeves). Nel fare la trafila di rito, tra agenzie di moda e colleghe, a Jesse capita qualcosa di strano. Nonostante sia un’emerita sconosciuta, non ha nessuna difficoltà ad avere successo. Tutte rimangono ipnotizzate dalla sua bellezza angelica, dalla luce diafana che emana, dal magnetismo della sua giovinezza candida. È un’attrazione che strega agenti esperte (Christina Hendricks), colleghe invidiose che si sentono vecchie (Abbey Lee e Bella Heatcote), grandi firme (Alessandro Nivola) e una truccatrice ( Jena Malone) apparentemente dolce ma con qualcosa da nascondere. Che cosa accade a Jesse, chi è veramente? In cosa la sta tramutando questa sorta di demone della Bellezza e come potrà sfruttare il suo potere che brucia in lei?

Nicolas Winding Refn torna al cinema dopo Solo Dio Perdona non troppo amato dalla Critica, al contrario del suo predecessore, il capolavoro Drive,  con Ryan Gosling, che valse al regista il Prix de la mise en scène a Cannes, anno 2011. Refn, che si firma come un marchio nei titoli di coda, NWR, è uno non proprio a digiuno di Moda. Difatti in passato ha girato spot per maison di pregio, tra queste Gucci e Yves Sain Laurent. In Neon Demon la Moda è il contesto, vivente, che fagocita Elle e la risputa poi fuori come un Neon demon, un “demone del neon”, delle luci delle passerelle, delle luci, artificiali, simbolo cromatico di un mondo del quale Refn vuole esplorare più le ombre che le parti chiare. Il film è un horror assolutamente “s-codificato” dal genere a cui fa riferimento che solitamente, al contrario, è molto rigoroso nelle sue diverse espressioni: la regia, il suono, i temi, le storie. Refn possiede quella qualità che sembra quasi geolocalizzata sui registi danesi: da Vinterberg a von Trier, cioè l’arte della provocazione. In questo però non assomiglia ai suoi colleghi citati portando il viaggio estetico in porti poco noti al cinema di oggi. Sì, perché questo horror ironico, rarefatto, un po’ moralista, ultrasaturo di colore, non è tanto per chi si aspetta un’esperienza di intrattenimento, ma per chi vuole un’esperienza. E basta. Dove poi ognuno può trovare qualcosa, compresa la disaprovvazione per film del genere. È il classico caso della altrettanto classica dicotomia: o si odia, o si ama. Ma l’indifferenza non è contemplata.

La pellicola scritta da NWR, insieme a Steven Canfield Crowley e Mary Laws, parte come un film e poi ne diventa un’esperienza un po’ come accade, ad esempio, nei territori di Lynch al quale, in questo caso, sono aggiunti i colori di Mario Bava e le fattezze femminili delle donne demoni di Dario Argento. È certamente un’ esperienza estetica The Neon Demon che comincia da un film ma non è necessariamente solo un film. Anche negativamente: nel senso che se guardiamo al racconto con i canoni tecnici, razionali, allora noteremmo, purtroppo, dei dialoghi banalissimi e una vicenda poco coesa, mal collegata nei suoi sviluppi. Serve però dire che in questo tipo di film è necessario anche farsi “trasportare” per entrare più in contatto con quello che questo regista, ironico e che si compiace molto del suo girare, ci vuole dire. A questo punto The Neon Demon ci appare come una fiaba nera, nerissima, sul Potere della Bellezza e su quanto questa possa essere pericolosa. Come dei simboli della vita quali, appunto, la bellezza, la giovinezza e il candore dell’adolescenza possano essere trasformati, fagocitati (diverse le parti splatter/gore ), in Morte, distruzione del corpo e del pensiero, quello ad esempio delle coprotagoniste che soffrono sentendosi “vecchie” a 21 anni. Come dicevamo: da un punto di vista di valori in gioco, ci si scontra più volte con il “già sentito”, la banalità e la superficialità frutto di poco approfondimento tematico. Non ci si scontra mai invece con il “già visto”. The Neon Demon è un viaggio astratto, uno sguardo rarefatto ma incisivo al contempo, una sinfonia elettronica stupefacente grazie, ancora una volta, al binomio tra Refn e il newyorkese Cliff Martinez al quale il regista, come lui stesso ha raccontato a Roma pochi giorni fa, affida completamente il girato e lascia che sia il musicista ad accoppiare immagini e suoni.

Quello di The Neon Demon è un mondo, al contrario di Dostoevskij, dove la Bellezza non salverà niente, al massimo distruggerà. Nel viaggio in questa ossessione famelica non si può che rimanere atterriti dalla forza estetica seppur non corroborata da altrettanto vigore narrativo. Un film per chi dal cinema cerca un percorso più che una meta.

Articolo di Virgo su www.cinemaedintorni.com

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Buon anno nuovo a tutti noi!

Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma ANNO 2016 Ecografia Spalla Ginocchio Traumatologia Gambe Esperto Referto Incidente Auto Sport Trauma Articolare Sesso Sessualità Uomo Articolazione Medicina Estetica Radiofrequenza Cavitazione Grasso

Tanti auguri per uno splendido anno nuovo: che il 2016 porti salute, gioia e pace a tutti noi!

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Buone feste e buon anno nuovo!

Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma BUONE FESTE NATALE ANNO Ecografia Spalla Ginocchio Traumatologia Gambe Sangue Articolare Medicina Estetica Luce Pulsata Depilazione Macchie Capillari Rughe Dietologo Radiofrequenza Cavitazione Grasso

Buone feste e buon 2016 a tutti e mi raccomando: durante questi giorni non esagerate con i cibi ipercalorici! Anche alla cena di Natale ed a capodanno, la salute è sempre la cosa più importante! Ancora auguri a tutti!

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