Fenomeni cadaverici: cosa succede al tuo corpo subito dopo la morte

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Differenza tra inumazione, tumulazione, cremazione, imbalsamazione e mummificazione

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Calcificazione di un neonato ad opera di Giuseppe Albini, su incarico del Ministero dell’Interno, che lo invitava nel 1880 a trovare un metodo alternativo al seppellimento ed alla cremazione dei cadaveri. Esposto al MUSA – Museo Universitario delle Scienze e delle Arti

Dopo il decesso di una persona, esistono diverse tecniche di sepoltura, tra cui le più famose sono: inumazione, tumulazione, cremazione, imbalsamazione e mummificazione. Quali sono le differenze tra esse?

Cos’è l’inumazione?

Con il termine “inumazione” si intende il seppellimento di un cadavere in una fossa scavata dentro terra, finalizzata a rendere più rapida possibile la trasformazione delle materie organiche in sali minerali. Il cadavere viene collocato dentro la terra oppure in una bara di legno leggero posto nella terra, bara che è facilmente decomponibile. Il periodo di mineralizzazione completa del cadavere avviene normalmente nell’arco di una decina d’anni.

Cos’è la tumulazione?

La tumulazione del cadavere in loculo, tomba o cappella è – al contrario dell’inumazione – finalizzata a conservare intatte più a lungo possibile le spoglie mortali del sepolto. A tale scopo la salma deve essere racchiusa in una duplice cassa: il corpo viene posto in una contro cassa in zinco dello spessore minimo 0,66 mm alloggiata in una bara di legno ermeticamente chiusa. Ciò consente un lungo periodo di conservazione della salma, per decenni.

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Cos’è la cremazione?

La cremazione di un cadavere prevede l’incenerimento dello stesso per mezzo di combustione e la raccolta delle ceneri in un’apposita urna. La combustione, al contrario di quanto si possa pensare, non riduce il cadavere in cenere, bensì lo trasforma in gas e frammenti ossei. Tali frammenti ossei sono friabili e, dopo la combustione, vengono sminuzzati fino a formare una cenere che poi, a seconda degli usi, delle consuetudini o delle ultime volontà della persona defunta, vengono custodite in un’urna, sepolte, sparse in luoghi appositi, o altro. La legge N. 130 del 30/03/2001 (Disposizioni in materia di Cremazione e Disposizione sulle Ceneri), prevede anche la dispersione delle ceneri in luoghi privati, lontani dai centri abitati, nei tratti di mare, di laghi o di fiumi liberi da natanti e manufatti o comunque la tumulazione, l’interramento o l’affidamento ai familiari

Cos’è l’imbalsamazione?

L’imbalsamazione è un insieme di tecniche volte a preservare un cadavere dalla decomposizione per lunghi periodi. Se effettuata su animali, questa tecnica prende il nome di tassidermia. Usata fin dagli antichi egizi, oggi l’imbalsamazione è destinata soprattutto alla preservazione di animali morti, non mancano comunque ancor oggi applicazioni per la conservazione di cadaveri umani. Un esempio famoso è quello che riguarda Lenin: nella Unione Sovietica la salma del politico è stata infatti imbalsamata.
Dopo l’immersione in liquidi battericidi, alcune sostanze derivate dalla originaria formaldeide vengono immesse nel cadavere con appositi macchinari, che ne riempiono l’intero sistema vascolare e parte di quello linfatico. Per prevenire il rigor mortis, i tendini degli arti vengono recisi, inoltre le palpebre vengono cucite in modo che l’occhio resti chiuso (in talune tecniche l’occhio viene asportato e sostituito da globi metallici). Anche la bocca viene cucita per le labbra, ma solo al termine dell’otturazione di tutte le aperture del corpo con ovatta medicata. Tutte le chiusure sono poi sigillate, oggi con derivati siliconici, per prevenire la fuoriuscita di liquidi. L’imbalsamazione, umana o animale, è vietata da talune legislazioni anche occidentali, come nel caso dei Paesi Bassi.

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Cos’è la mummificazione?

La mummificazione è un processo, naturale o artificiale, in cui un cadavere subisce una disidratazione massiccia così veloce che i tessuti rimangono “fissati” ed i tratti somatici si conservano relativamente bene anche a distanza di centinaia d’anni. Nella mummificazione naturale, servono particolari condizioni esterne e interne per ottenere questo processo.

  • clima freddo, secco e ventilato, che ostacola la putrefazione;
  • inumazione in terreni asciutti capaci di assorbire i liquidi in grande quantità;
  • presenza di certi tipi di muffe che disidratano il corpo.

Mummificazioni parziali si hanno in persone decedute in ambienti chiusi, riscaldati e ben ventilati, quando il corpo giace su materiali che assorbono acqua: in questi casi – che di tanto in tanto diventano tragici fatti di cronaca – spesso il cadavere mummificato è quello di una persona sola, spesso anziana e senza parenti, che muore nel proprio appartamento senza che nessuno si accorga del fatto per decenni.
I fattori che favoriscono i processi di mummificazione sono la denutrizione, l’età avanzata, grosse emorragie. In media, un processo di mummificazione dura 6/12 mesi, ma ci sono prove e casi di mummificazioni avvenute in 2/3 mesi, eccezionalmente in meno di un mese.
La mummificazione veniva usata dagli antichi egizi con queste modalità:

  1. rimozione dal corpo degli organi interni, la cui presenza avrebbe potuto accelerare il processo di putrefazione;
  2. conservazione degli organi interni ti all’interno di speciali vasi, detti vasi canopi
  3. disidratazione del corpo tramite immersione per un periodo di circa 40 giorni in natron, un sale di sodio esistente in natura che si depositava nelle pozze di esondazione del Nilo dopo il loro prosciugamento;
  4. lavaggio con vino di palma che grazie al suo elevato tasso di alcool impediva lo sviluppo dei batteri decompositori;
  5. introduzione nell’addome di bende impregnate di natron, pezzi di lino e segatura.
  6. unzione con appositi oli balsamici (resine di conifere ed altre piante, cere d’api, oli aromatizzati ecc.).

Al termine di queste operazioni il corpo veniva strettamente avvolto con strisce di lino impregnate di resina.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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Le 5 cose di cui ti pentirai un attimo prima della tua morte

MEDICINA ONLINE DEPRESSIONE TESTIMONIANZA RACCONTO FRASI AFORISMI TRISTEZZA SOLITUDINE TRISTE VITA SPERANZA MORTE MALATTIA SENTIRSI SOLI lonely girl crowdVi siete mai chiesti quale sarebbe il vostro più grande rimpianto se oggi fosse il vostro ultimo giorno di vita? Cosa vorreste aver fatto, cosa vi pentireste di non aver mai provato? Bronnie Ware, un’infermiera australiana nella rete delle Cure Palliative per i malati terminali, che assisteva i moribondi nelle loro ultime 12 settimane, ha riportato per anni le loro ultime parole e desideri in un blog intitolato “Inspiration and Chai” che ha avuto un seguito talmente grande da convincerla a scrivere un libro intitolato “I 5 più grandi rimpianti dei morenti”. Quando la Ware ha chiesto ai suoi pazienti di eventuali rammarichi, o su qualcosa che avrebbero fatto diversamente, sono venuti fuori molti temi comuni. Nessun accenno al non aver fatto più sesso o a non avere provato a fare sport estremi, ma il rimorso di non aver speso più tempo con la propria famiglia, coltivato le amicizie o cercato con più accortezza la via della felicità. Questi i cinque più comuni rimpianti, secondo la testimonianza dell’infermiera:

5. Vorrei essere stato capace di rendermi più felice

“Questo è un sorprendentemente comune a tutti. Molti non si rendono conto, finché non è tardi, che la felicità è una scelta. Sono rimasti bloccati nelle loro abitudini e nella routine. Il cosiddetto ‘comfort’ di familiarità si è espanso anche alle loro emozioni, perfino ad un livello fisico. La paura del cambiamento li fa fingere con gli  altri e mentire a se stessi, convincendosi di essere contenti, quando nel profondo,  non desideravano che ridere a crepapelle e un po’ di infantilità nella loro vita. ”

4. Vorrei esser rimasto in contatto con i miei amici

“Spesso non sono riusciti ad apprezzare quale privilegio magnifico fosse avere dei vecchi amici se non nelle loro ultime settimane e non sempre era stato possibile rintracciarli. Molti erano così concentrati sulle proprie vite che hanno perso per strada delle amicizie d’oro nel corso degli anni. Molti rimpiangevano profondamente di non aver dato alle amicizie il tempo e lo sforzo che si meritavano. Ognuno sente la mancanza dei propri amici quando sta morendo.”

3. Vorrei aver avuto il coraggio di esprimere i miei sentimenti

“Molte persone sopprimono i loro sentimenti in modo da mantenere il quieto vivere con gli altri. Di conseguenza, si accontentano di un’esistenza mediocre e non diventano mai chi erano realmente in grado di divenire. Come risultato, amarezza e risentimento diventano delle malattie che si sviluppano dentro. ”

2. Vorrei non aver lavorato così duramente

“Questo è venuto fuori da ogni paziente di sesso maschile che ho assistito. Si sono persi l’infanzia dei loro figli e la compagnia dei propri partner. Anche alcune donne hanno menzionato questo rimpianto, ma come se fossero di una vecchia generazione, molti dei pazienti di sesso femminile non erano stati capifamiglia. Tutti gli uomini che ho curato hanno rimpianto profondamente l’aver trascorso così tanto della loro esistenza a dedicarsi sfrenatamente al lavoro. ”

1. Vorrei aver avuto il coraggio di vivere una vita come volevo io

“Questo il rammarico più comune per tutti. Quando le persone si rendono conto che la loro vita è quasi finita e ripensano ad essa tirando le somme, è facile rendersi conto di quanti sogni sono rimasti insoddisfatti. La maggior parte delle persone non aveva realizzato nemmeno la metà dei loro sogni e doveva morire con la consapevolezza che era a causa di scelte che aveva compiuto. La salute offre una libertà di cui in pochi si rendono conto, fino a quando non la perdono.”

La Ware testimonia di come le persone alla fine della propria vita acquisiscano un’incredibile lucidità di visione e che noi tutti potremmo imparare dalla loro saggezza. Come diceva il poeta Henry David Thoreau: “Vivere con saggezza, vivere in profondità e succhiare tutto il midollo della vita, per sbaragliare tutto ciò che non era vita e non scoprire, in punto di morte, di non aver vissuto”.

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Gatta tenta il “massaggio cardiaco” sull’amico morto e commuove il web

Chi mi conosce sa che ho sempre preferito i cani ai gatti, ma questo video mi ha veramente colpito. Proposto da un sito turco tempo fa, e rilanciato da molti media internazionali, questo video mostra una gatta che, di fronte a un suo amico felino ferito da una macchina, cerca a lungo di rianimarlo praticandogli con le sue zampine una sorta di “massaggio cardiaco”.

I più esperti sapranno che il gesto che il gatto sta facendo è in realtà la pratica detta “dell’impastamento” anche conosciuta con “la danza del latte“, cioè una specie di massaggio che i mici fanno da piccoli intorno al capezzolo della madre al fine di stimolare la secrezione del latte. Molti gatti, una volta adulti, in particolari situazioni di trasporto emotivo, riproducono lo stesso gesto, solitamente verso una persona, un peluche o un altro gatto a cui si sentono particolarmente legati o con cui provano una forte intesa o intimità. Il video, pubblicato dal quotidiano turco Hurriyet, colpisce, al di là di ogni possibile interpretazione più o meno scientifica che gli si voglia dare, per l’evidente cura ed empatia con le quali la micia sia rimasta vicino al suo amico steso moribondo al suolo.

Un tentativo inconscio e rudimentale di massaggio cardiaco o carezze affettuose? Istinto o sentimenti più profondi? Impastamento o inconsapevole tentativo di rianimazione? Che fosse un gesto volontario quello di cercare di rianimare l’amico in fin di vita con una stimolazione di qualche tipo (o qualsiasi altro significato abbia quel gesto), poco importa: siamo di fronte a una incredibile e toccante prova di quanta empatia i gatti – e gli animali in genere – riescano a provare e a dimostrare ai loro padroni ed agli altri rappresentanti della stessa specie, anche nel cercare di vincere la morte.

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