L’inerzia sociale
La tendenza dell’uomo ad appoggiarsi al gruppo non si limita a questioni di opinioni e di giudizio, ma si manifesta anche quando si tratta semplicemente di lavorare.
Consideriamo il compito seguente, trasformato in una sperimentazione dal tecnico agricolo francese Max Ringelmann, verso la fine del XIX secolo: se un uomo, tirando una corda collegata a un dinamometro, riesce a esercitare una trazione di ottantachilogrammi, quale forza raggiungeranno dieci uomini altrettanto forti, tirando contemporaneamente la stessa fune? Sembra un problemino di matematica da scuola elementare, invece è un classico rompicapo della psicologia sociale, che ancora oggi non è risolto in modo definitivo, D’accordo: dieci volte ottanta fa ottocento; tale numero indica la forza che dieci persone insieme, ipoteticamente, potrebbero esprimere se tutto andasse per il meglio. Ma, a quanto pare, tale condizione non si verifica mai: quando gli psicologi sociali hanno testato l’ipotesi, hanno dovuto constatare che dieci uomini di cui ognuno era capace di tirare ottanta chili, insieme ne tiravano seicento. Per quale motivo, in un gruppo di dieci persone, si perdono per strada ben 200 kg?
Numerosi ricercatori sostengono che esista una forza di inerzia sociale, altrimenti
chiamata social lorifing: più grande è il numero di collaboratori, minore sarà il con-
tributo del singolo, come a dire che tanto più grande è il gruppo di persone che lavora e minore sarà il carico di lavoro che ogni singolo tenderà a svolgere rispetto allo stesso livello di lavoro che raggiungerebbe lavorando da solo. Senza dubbio, si tratta di un effetto indesiderato che, in qualche modo, bisogna affrontare. Non possiamo semplicemente fare a meno del lavoro di gruppo. In tanti casi, non riusciremmo a operare se non unendo le nostre forze a quella degli altri: da soli non potremmo spostare un camion rimasto bloccato per strada e anche la soluzione di problemi logici o la ricerca di metodi innovativi possono presentare delle difficoltà insormontabili per il singolo.
Più coesione uguale meno social loafing
Partendo dalla nostra esperienza quotidiana, possiamo muovere alcune obiezioni alla validità della tendenza al social loafing, così evidente nelle prove di laboratorio. Perlomeno crediamo di lavorare meglio e di più quando siamo motivati, per esempio quando siamo convinti dell’importanza del compito oppure quando il gruppo ci pare composto da persone “in gamba” ed affiatate. I gruppi formati per eseguire le prove nel laboratorio, invece, di regola sono composti da persone che non si conoscono tra loro, quindi non affiatate e che, una volta finito l’impegno, non si vedranno mai più. Infatti, alcuni studi confermano che i gruppi più uniti riescono meglio a collaborare e – se si verificano alcune condizioni – inducono i singoli addirittura a superare sé stessi. Di conseguenza, si è cercato di analizzare che cosa fosse tale effetto del sentirsi uniti ovvero di ciò che tecnicamente si chiama coesione del gruppo.
Purtroppo, anche le prestazioni di squadre molto unite non sempre sono convincenti. Ciò dipende, come fu rilevato in alcuni studi esperimentali, dalle norme prevalenti all’interno del gruppo. Quando tra i singoli, che lavorano allo stesso progetto, circolano dei messaggi (in realtà, prodotti dal ricercatore) del tipo: “Il tempo stringe. Diamoci dentro!‘” nei gruppi coesi si osserva un certo miglioramento della prestazione. Al contrario, comunicati come “Sono stanco. Prendiamocela comoda” nei gruppi coesi portano a una riduzione dell’impegno, mentre i gruppi non coesi continuano a lavorare (poco) come prima.
La coesione del gruppo
Il lavoro di gruppo procede bene in genere quando tutti si sentono a loro agio, se lavorano o giocano volentieri insieme e sono contenti di appartenere alloro gruppo. Troppo facile a dirsi, ben più difficile a farsi nel mondo reale: non tutti i gruppi sono composti da amici o da persone che si piacciono a vicenda, anzi spesso regnano delazioni, invidie, pigrizia, fantozziani dispetti e scaltra competizione per i posti più ambiti del gruppo e ciò rende spesso la formazione di una equipe di lavoro affiatata, un’impresa disperata.
Il gruppo è qualcosa al di là dei rapporti tra i singoli e la coesione, ossia il modo in cui i membri stanno insieme, non può essere ricondotta a simpatie e antipatie tra i singoli.
Oggi si tende a una definizione di coesione che verte su questioni dell’immagine dell’insieme. Si dice, che un gruppo è coeso quando i membri si sentono legati all’idea della loro squadra (anche nell’amministrazione statale oramai si parla di mission) e quando approvano le sue caratteristiche e le sue azioni. Spesso l’idea appare personalizzata come immagine di un membro prototipo, per esempio di un uomo di successo, brillante oppure sportivo, in cui i partecipanti riconoscono l’idea che hanno di sé stessi.
Il ruolo positivo della concorrenza
Nel momento in cui decidessimo di affidare un problema a un gruppo, la difficoltà
nel condurre l’equipe sarebbe quindi duplice: dovremmo fare in modo di aumentare la coesione tra i membri e di rendere positiva l’atmosfera morale, per quanto riguarda il compito da svolgere.
La ricerca suggerisce diversi mezzi per agevolare un tale andamento. A patto che l’obiettivo del lavoro in squadra sia comunque realistico, il mezzo più sicuro per aumentare la coesione e il rendimento del gruppo sembra la concorrenza con altri gruppi. Spesso si osserva addirittura un ulteriore aumento della prestazione quando i membri dei due gruppi in concorrenza indossano due tipi di divise diverse, distinte per colore. Tuttavia, i risultati migliori della singola squadra sembrano avere un prezzo: la collaborazione interna va a discapito della collaborazione con altri gruppi.
Quando due gruppi entrano in concorrenza, aumenta anche l’ostilità reciproca. Dopo un breve periodo, i singoli distinguono in modo rigoroso tra ingroup e outgroup,
ovvero tra le persone che appartengono al proprio gruppo e quelle che non ne fanno parte. Anche la stima delle prestazioni, per esempio sportive o intellettuali, dei singoli è influenzata da questa distinzione. Si tende a sopravalutare il rendimento di tutti i membri del proprio ingroup e a svalutare i membri dell’ outgroup. I risultati fin qui riassunti non valgono per tutta l’umanità. Esistono delle culture in cui il rendimento del lavoro in gruppo è superiore ai risultati ottenuti quando i team sono composti da europei o nordamericani.
Per approfondire:
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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine
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