Torcicollo e dolore al collo: sintomi, rimedi e prevenzione

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO CHIRURGO MAL DI COLLO CERVICALE MENTO DOLORE TORCICOLLO VERTEBRE ERNIA DEL DISCO SCHIENA TRAPEZIO DORSALE STERNOCLEIDOMASTOIDEO STRETCHING MUSCOLIIl torcicollo comune o acquisito (ben distinto dal torcicollo miogeno congenito ed il torcicollo spastico) può manifestarsi in modo episodico, oppure tornare a disturbare la tua quotidianità con una certa frequenza. In alcuni rari casi, diventa addirittura cronico. L’origine del disturbo è di natura muscolare/osteoarticolare: può insorgere per contratture muscolari, processi infiammatori che interessano il tratto cervicale o traumi.

Cause e fattori di rischio

Nella maggior parte dei casi, il torcicollo è connesso a una cattiva postura, dunque ad atteggiamenti viziati che assumiamo sia mentre lavoriamo, sia mentre dormiamo. Sì, perché anche di notte dovremmo aver cura della nostra postura. Come? Scegliendo un cuscino adatto (tra poco ti darò indicazioni più specifiche) e cercando di evitare la posizione prona. Dormire a pancia in giù, in effetti, affatica il collo. Altri fattori che possono portare al torcicollo sono banalmente il freddo e l’umidità, che causano contrattura. Non dimentichiamo, inoltre:

  • gli strappi muscolari dovuti a infortuni sportivi o a sforzi importanti;
  • lo stress, da cui può originare un’eccessiva tensione muscolare.

Sintomi e segni

Il paziente colpito da torcicollo lamenta una marcata difficoltà a flettere, roteare od allungare il collo; ogni minimo movimento di questa zona produce un dolore locale acuto, penetrante ed insopportabile.
Il quadro clinico del torcicollo comune si contraddistingue per:

  • brachialgia: condizione dolorosa del collo che si può irradiare anche al muscolo trapezio, alla spalla ed a livello del braccio;
  • cervicalgia: generico dolore al collo di natura muscolo-scheletrica;
  • rigidità dei muscoli cervicali;
  • incapacità/impossibilità di muovere, spostare o roteare il collo.

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Quanto dura un torcicollo?

Il torcicollo ha un decorso che può essere più o meno breve: può durare da alcune ore ad alcuni giorni. La maggioranza dei torcicollo, tuttavia, scompare o comunque diminuisce di intensità al secondo giorno dopo l’insorgenza dei sintomi.

Terapia

Spesso non c’è bisogno di terapia, ma se il disturbo diventa limitante, il medico potrebbe prescriverti una cura farmacologica a base di antinfiammatori e miorilassanti o anche l’uso di un collare cervicale morbido o semirigido. Ricorda, però, che le terapie possono sì alleviare i sintomi e portare a una risoluzione del disturbo, ma se continui a mantenere abitudini scorrette, soprattutto dal punto di vista posturale, il torcicollo sarà sempre lì ad attenderti dietro l’angolo. Alcune cose importanti da sapere:

  • se il torcicollo compare dopo un trauma, come una caduta o un tamponamento automobilistico, oppure se è accompagnato da febbre alta, mal di testa, nausea, è consigliabile andare subito al pronto soccorso;
  • se il torcicollo torna a farti visita con frequenza, o se i sintomi si protraggono per più di una settimana, è bene consultare il tuo medico per escludere patologie della colonna cervicale.

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Terapia farmacologica

Il trattamento per il torcicollo dev’essere stabilito in funzione della causa scatenante. Normalmente, il dolore al collo è risolvibile mediante una semplice terapia con farmaci analgesici ed antinfiammatori. I più utilizzati a tale scopo sono:

  • antinfiammatori non steroidei (come l’ibuprofene e l’acido acetilsalicilico);
  • rilassanti muscolari (diazepam, ciclobenzaprina);
  • corticosteroidi (come prednisone e metilprednisolone).

Talvolta, il dolore percepito a livello del rachide cervicale è particolarmente intenso, pertanto, il paziente necessita di un collare ortopedico per velocizzare la guarigione ed attenuarne i sintomi.
Discorso differente dev’essere posto per il torcicollo conseguente a lesioni gravi, dipendente per esempio da un’erniazione cervicale. In simili circostanze, l’unica possibilità per allontanare il torcicollo è curare la l’ernia sottostante mediante un intervento chirurgico mirato (discectomia) od un’ulteriore trattamento specifico stabilito dal medico.

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Rimedi non farmacologici

Non sempre è necessario ricorrere ai farmaci per curare il torcicollo. Talvolta, il dolore al collo di lieve entità può essere presto risolto mettendo in pratica semplici accorgimenti. Com’è possibile attenuare il dolore provocato dal torcicollo?

  • Gli impacchi caldi sul collo dolente conferiscono un immediato sollievo, in particolar modo quando il torcicollo dipende da una contrattura dei muscoli cervicali.
  • Il torcicollo dipendente da un’infiammazione può essere temporaneamente alleggerito mediante la crioterapia, ovvero la terapia del freddo. A tale scopo, si consiglia di appoggiare sul collo indolenzito una borsa del ghiaccio avvolta in un panno morbido. Per ottenere la massima efficacia terapeutica del ghiaccio, si raccomanda di rimuovere le borsa fredda ogni 15-20 minuti, intervallando con pause di ugual durata.
  • Evitare il riposo eccessivo. Contrariamente a quanto si possa pensare, un eccesso di riposo favorisce la rigidità delle articolazioni e dei muscoli, già di per sé indeboliti dal torcicollo. Si consiglia, piuttosto, di assumere una posizione riposante per 30 minuti; dopodiché è bene cimentarsi in una camminata o svolgere un esercizio fisioterapico leggero, specifico per il torcicollo.
  • Riposare su un materasso adeguato, che non deve essere troppo morbido.
    Correggere eventuali abitudini di vita scorrette, come ad esempio le postura errata
  • Rilassarsi. Lo stress e l’ansia possono acutizzare il torcicollo, dato che le tensioni vengono scaricate sul rachide.
  • Preferire sedie solide, in modo che il collo e il dorso siano sostenuti.
  • Eseguire correttamente gli esercizi per il dolore cervicale, allo scopo di mobilizzare le vertebre cervicali e sciogliere le tensioni accumulate durante la giornata.

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Consigli e prodotti consigliati per prevenire il torcicollo

Chiudo questo approfondimento con alcuni semplici accorgimenti da osservare per prevenire la comparsa del torcicollo:

  • preferisci un cuscino basso e ortopedico, anziché alto e rigido, come questo che vi consiglio: https://amzn.to/3zYsUI7
  • scegli un materasso di qualità;
  • asciuga bene i capelli, poiché l’umidità nella zona del collo può portare cervicalgia nei soggetti predisposti;
  • fai ginnastica posturale e attività sportiva adeguata, facendo particolare attenzione allo stretching;
  • se lavori in ufficio, procurati una sedia ergonomica come questa: https://amzn.to/3odxL5Q;
  • se hai gli occhi spesso puntati verso un computer, regola la distanza dello schermo ad almeno 50-70 cm dagli occhi;
  • se stai spesso seduto, utilizza una pedana poggiapiedi obliqua, che aiuta a mantenere una buona postura. Vi consiglio questa: https://amzn.to/40bKFi3.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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Torcicollo miogeno congenito: sintomi, diagnosi e trattamenti

Mother interacting with baby girl at home.Con “torcicollo miogeno congenito” o “miotenogeno” si intende una contrattura unilaterale del muscolo sternocleidomastoideo, presente alla nascita, che determina una deformità asimmetrica del capo e del collo con il capo ruotato e inclinato verso il lato della lesione e il mento inclinato verso il lato opposto.

Quanto è diffuso il torcicollo miogeno congenito?
Rappresenta il più comune tra i disturbi muscolo-scheletrici dell’infanzia, con un’incidenza di 0,0084-3,92% dei neonati. Il lato colpito con maggiore frequenza è il destro; la lesione colpisce indifferentemente il sesso maschile ed il femminile, con una lieve prevalenza di quest’ultimo. L’ereditarietà della lesione è dimostrabile solo attraverso un numero esiguo di casi, ma indubbiamente vi è una certa familiarità; a volte il torcicollo miogeno congenito si accompagna ad altre deformità congenite, quali piede torto congenito, displasia congenita dell’anca, labbro leporino, deformità del viso e dell’orecchio.

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Cause e patogenesi del torcicollo miogeno congenito
Il torcicollo miogeno congenito è dovuto alla presenza di tessuto fibroso all’interno del muscolo con conseguente contrattura e accorciamento dello stesso.
La patogenesi non è ancora nota, ma esistono diverse teorie:

  • Teoria traumatica, che è quella che ha avuto un maggior numero di approvazioni tra gli studiosi, fa derivare la lesione da un trauma, che, durante un parto distocico per presentazione podalica o per necessità di applicazione di forcipe, verrebbe ad agire sul muscolo sterno-cleido-mastoideo, determinando spesso la formazione di un ematoma, che si osserva alla nascita sotto forma di una tumefazione a grande asse obliquo e che fa corpo con la parte inferiore del muscolo, di consistenza piuttosto dura (induratio musculi) e che regredisce fino a scomparire nello spazio di qualche settimana. Tutta via i limiti di questa teoria sono rappresentati dal fatto che non tutti gli ematomi ed i traumi dello sterno-cleido-mastoideo sono seguiti da torcicollo. La teoria del trauma, che agirebbe indirettamente a mezzo di uno stiramento del nervo accessorio, invece ha avuto conferma sperimentale.
  • Teoria dell’origine endouterina, secondo la quale il torcicollo miogeno congenito sarebbe dovuto ad una posizione viziosa, assunta dal feto nell’utero, determinatasi per cause meccaniche, come per esempio per briglie amniotiche, per oligoidramnios, per utero bicorne, per utero deformato da tumore. A sostegno di questa teoria vi sono i casi di torcicollo già costituiti alla nascita, ed anche la concomitanza di altre lesioni congenite.
  • Teoria dell’origine embrionale, che farebbe dipendere il torcicollo da un abbozzo anormale del muscolo (vizio di prima formazione), che secondo alcuni dipenderebbe da una lesione di un centro nervoso superiore.
  • Teoria dell’origine ischemica, secondo la quale la patogenesi del torcicollo miogeno congenito viene accostata a quella della paralisi ischemica del Volkmann; si tratterebbe di un disturbo di nutrizione del muscolo sterno-cleido-mastoideo, il quale verrebbe a trovarsi in preda ad una miosite interstiziale. Poiché oggi è certo che la miosite interstiziale è causata da uno stravaso siero ematico che, infiltrandosi tra fibra e fibra muscolare, consente la successiva proliferazione di elementi connettivali con conseguente retrazione dello stesso muscolo. Quindi sia la retrazione ischemica di Volkmann sia il torcicollo congenito sono di origine traumatica. Tale teoria si ricollega a quanto abbiamo ora detto, ed è basata su accurate ricerche anatomiche le quali hanno messo in evidenza che mentre il tratto superiore dello sterno-cleido-mastoideo è abbondantemente irrorato, quelli medio ed inferiore sono irrorato da arterie che presentano scarse anastomosi. Può accadere che, o per una posizione troppo inclinata della testa, nella vita intrauterina, o per il meccanismo del parto, si produca una compressione della suddetta arteria nel punto nel quale passa al di sotto del muscolo; di conseguenza si avrebbe obliterazione del lume vasale, stravaso siero-ematico, miosite interstiziale e degenerazione fibrosa, come succede nella paralisi ischemica del Volkmann.
  • Teoria infiammatoria, in base alla quale il torcicollo sarebbe dovuto ad una miosite interstiziale infiammatoria: l’infezione potrebbe svilupparsi sia nella vita fetale sia per trauma durante il parto. Il trauma genererebbe il locus minoris resistentiae, e pertanto l’infezione per via ematogena proveniente dalla cute, dal rino-faringe o dall’intestino andrebbe a localizzarsi nel muscolo.

Sintomi e semeiotica del torcicollo miogeno congenito
All’esame obiettivo il capo del bambino appare inclinato verso il lato affetto con il mento che ruota verso il lato opposto. Nel 90% dei casi è presente asimmetria del cranio o plagiocefalia, per l’appiattimento delle bozze frontale e parietale omolateralmente, a causa della posizione assunta dal bambino mentre dorme; asimmetria del viso (plagioprosopia) con linea oculare e labiale oblique e linea mediana del viso concava verso il lato della lesione (scoliosi facciale) con vari gradi di dislocazione di occhio, orecchio e bocca dal lato affetto; talvolta si associa ipoplasia della mandibola.
Sia all’ispezione che alla palpazione, si nota una retrazione, più o meno spiccata del muscolo sternocleidomastoideo destro o sinistro.
La spalla del lato affetto è sollevata con frequente associazione di scoliosi cervicale o cervico-dorsale con concavità omolaterale alla retrazione, con o senza curva di compensazione.
In molti casi si può palpare una tumefazione non dolente nel muscolo coinvolto che col tempo tenderà a scomparire. Sulla base di tale riscontro Macdonald distingue i casi torcicollo congenito miogeno in cui è palpabile una massa nell’ambito dello sternocleidomastoideo da quelli che presentano soltanto la rigidità muscolare.
L’articolarità e i movimenti cervicali attivi e passivi sono ridotti a causa della contrattura dello sternocleidomastoideo. Con adeguate manovre passive si riesce ad apprezzare una tensione più accentuata o del capo tendineo sternale o di quello clavicolare.

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Diagnosi del torcicollo miogeno congenito
La diagnosi è clinica, sebbene l’utilizzo dell’imaging radiografico ed ecografico può venire in aiuto nei casi più complessi.
Prima di sottoporre il bambino a qualsiasi trattamento bisogna identificarlo in uno dei seguenti profili clinici:

  1. Tumefazione dello sternocleidomastoideo che spesso assume i caratteri di “un’oliva”
  2. Torcicollo muscolare (ispessimento e retrazione del muscolo sternocleidomastoideo)
  3. Torcicollo posturale (senza tumefazione o retrazione del muscolo sternocleidomastoideo.

Di solito i pazienti dei primi due tipi sono i più adatti a ricevere una terapia chirurgica.
All’esame clinico viene valutato l’arco di movimento del collo mediante rapportatore artrodiale, per le misure della rotazione cervicale, della flessione laterale della testa e della flessione cervicale antero-posteriore. ll bambino viene messo in posizione supina con spalla bloccata e testa e collo supportati dall’esaminatore, in modo tale che la testa sia libera di muoversi in tutte le direzioni. Il range di movimento passivo del collo viene misurato e comparato rispetto al controlaterale sano.

Le limitazioni del movimento passivo vengono classificate in 4 sottogruppi:
1) Nessuna limitazione al movimento passivo
2) Limitazione di 15°
3) Limitazione tra 16° e 30°
4) Limitazione di 30°
Per una valutazione finale di tutti i risultati si può utilizzare lo Score di Sheet, che valuta i deficit di movimento passivo, deficit di flessione laterale, asimmetria cranio-facciale inclinazione della testa, criteri soggettivi dei genitori (fattore cosmetico e funzionale) raggruppandoli in eccellenti, buoni, discreti, e scarsi.

Ecografia nel torcicollo miogeno congenito
In presenza di una massa palpabile, l’esame ecografico permette di differenziare un torcicollo muscolare congenito da quello di origine ossea o neurologica. Uno studio recente ha dimostrato che vi è una correlazione tra le caratteristiche ecografiche del muscolo sternocleidomastoideo e la gravità clinica del torcicollo miogeno congenito nei neonati e che anche nei pazienti con grave fibrosi grave del muscolo sternocleidomastoideo, un programma di fisioterapia precoce ed intensivo con regolari controlli sembra essere una buona strategia di trattamento. Si consiglia invece un accurato studio radiografico del rachide cervicale nei casi di fallimento della terapia fisica e nei casi di deformità cliniche atipiche.

RX, TAC ed RM nel torcicollo miogeno congenito
L’esame radiografico consiste in una proiezione frontale e laterale della colonna cervicale posizionando, come possibile, in maniera dritta, la testa ed il collo del bambino. Come dimostrato da Snyder e Coley in un recente studio, il quadro radiografico del rachide cervicale nel piccolo paziente, purtroppo, è spesso di difficile interpretazione e può dare molti casi di falsi positivi. Questa situazione, oltre ad accrescere l’ansia dei genitori porta a sottoporre il piccolo ad ulteriori esami quali la risonanza magnetica e la tomografia computerizzata. Per la risonanza magnetica di solito si deve effettuare una sedazione con le possibili complicanze a cui può andare incontro il bambino. La TAC espone il paziente a radiazioni ionizzanti che potrebbero incrementare il rischio di sviluppare un carcinoma in futuro. Per questo motivo, nella maggioranza dei pazienti in cui il quadro radiografico è normale (esclusione anormalità ossee) non si richiedono ulteriori esami di conferma.

Diagnosi differenziale
La diagnosi differenziale si pone con il torcicollo osseo, cioè quello dovuto ad una malformazione congenita del rachide cervicale (emispondilia, sinostosi atlo-occipitale, sinostosi di più vertebre come nella sindrome di Klippel-Feil); e con le forme sintomatiche di torcicollo (oculare, neurologico, infettivo, “ a frigore”, tumorale e traumatico).

Prognosi
La maggior parte dei bambini affetti da torcicollo muscolare congenito (CMT) va incontro a risoluzione completa mediante trattamento fisioterapico. La diagnosi fatta in giovane età e le lievi deformità in rotazione o in flessione laterale hanno mostrato di influenzare positivamente i risultati e la durata del trattamento nella maggior parte degli studi. I risultati variano in base alla presenza o meno della massa a livello dello sternocleidomastoideo. Anche nel caso in cui il bambino richieda un intervento chirurgico, la maggior parte degli studi hanno dimostrato un buon risultato nel follow-up a lungo termine. Uno studio condotto su pazienti di età compresa tra 2 a 13 anni affetti da torcicollo muscolare congenito, trattati chirurgicamente hanno mostrato ottimi risultati nel 88% dei casi. Il fattore più importante condizionante la prognosi era l’età al momento dell’operazione: ottimi risultati sono stati ottenuti in tutti i bambini di età inferiore ai 3 anni. Nei casi in cui avvenga una cronicizzazione della patologia per mancata diagnosi o adeguato trattamento, si può verificare intorpidimento e formicolio a livello delle radici nervose compresse nella regione del collo.
Il muscolo stesso può diventare ipertrofico a causa della continua stimolazione ed esercizio fisico. Le iniezioni di tossina botulinica, spesso, forniscono un sollievo sostanziale.

Trattamento
Obiettivo del trattamento del torcicollo congenito è l’allungamento del muscolo sternocleidomastoideo accorciato. Nei neonati e nei bambini piccoli, ciò si ottiene con lo stretching passivo, cioè tentando una correzione con delicate manipolazioni in senso contrario alla deformità (inclinando il capo verso la spalla dal lato opposto a quello della lesione e ruotando il mento verso la spalla dal lato leso). Gli esercizi debbono essere eseguiti cautamente e ripetuti più volte nell’arco della giornata. Tali trattamenti hanno spesso successo, soprattutto se iniziati entro 3 mesi dalla nascita. Dopo si deve approntare una terapia posturale, mettendo il bambino nella culla in maniera tale da arrestare la deformità del cranio (posizione prona con testa rivolta verso il lato leso oppure di fianco dal lato leso in modo tale che il cuscino distenda il muscolo), stimolare il bambino a girare attivamente la testa dal lato leso mediante luci e giochi posti da quella parte, e tenerlo in braccio lasciando cadere in reclinazione la testa, per permettere al muscolo colpito di stirarsi per gravità.
L’intervento chirurgico per correggere l’accorciamento del muscolo, può essere fatto dopo il primo anno d’età, se altri metodi di trattamento sono falliti. Si effettua una tenotomia bipolare attraverso una doppia incisione; una parasternale per resecare i capi sternale e claveare e una più piccola paramastoidea per il capo mastoideo. Successivamente all’intervento viene confezionato una minerva gessata(gesso a diadema), atteggiando il capo in ipercorrezione, per evitare che aderenze cicatriziali riproducano la deformità. L’apparecchio gessato sarà quindi sostituito con un tutore ortopedico che, mantenendo la correzione, consentirà esercizi attivi di rieducazione motoria e cicli di fisiochinesiterapia. I risultati migliori si hanno quando il paziente viene operato prima dei 6 anni di età e più in generale si può affermare che , essi sono inversamente proporzionali rispetto al tempo intercorso tra l’esordio della deformità e l’intervento e l’entità della deformità stessa.

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Dove finisce il collo ed inizia il torace?

MEDICINA ONLINE MEDICO ESAME OBIETTIVO ANAMNESI PATOLOGICA FISIOLOGICA FAMIGLIARE VISITA MEDICA GENERALE AUSCULTAZIONE ISPEZIONE PERCUSSIONE PALPAZIONE DIFFERENZA FONENDOSCOPIO STETOSCOPIO TORACE COLLO.jpgIl limite superiore del torace, che divide quest’ultimo dal collo, è descritto da una linea immaginaria, denominata “linea cervico-toracica”, che, nell’uomo, origina dall’incisura giugulare dello sterno, prosegue lungo il margine superiore delle clavicole fino all’acromion della scapola e prosegue fino al processo spinoso della settima vertebra cervicale.

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Carcinoma della tiroide: sintomi, prognosi e linee guida

MEDICINA ONLINE TIROIDE NODULO IPOTIROIDISMO IBSA EUTIROX ORMONI TIROIDEI METABOLISMO BASALE COLLO GOZZO SINTOMI PARATIROIDI TIROIDECTOMIA TOTALE PARZIALE CHIRURGIA OBESITA INGRASSARE PEIl carcinoma della tiroide viene considerato una neoplasia rara in quanto costituisce il 2% di tutti i tumori. Si può manifestare a tutte le età, con massima incidenza tra i 25 e i 60 anni e con una maggiore prevalenza nel sesso femminile. Tali neoplasie sono invece molto rare nei bambini. La sopravvivenza è molto elevata, superando il 90% a 5 anni nelle forme differenziate.

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I tumori della tiroide originano nella maggior parte dei casi dalle cellule follicolari (che compongono il tessuto tiroideo insieme alle cellule parafollicolari o C) e si distinguono in:

  • carcinoma papillare (PTC): è la forma più frequente di carcinoma differenziato della tiroide (circa il 75%). Presenta una crescita lenta e può dare luogo a metastasi che interessano i linfonodi del collo. In alcuni pazienti il tumore è multifocale e può interessare entrambi i lobi della tiroide. Secondo il Centro medico dell’Università del Maryland, il carcinoma papillare della tiroide ha una prognosi molto favorevole, con un tasso di sopravvivenza di oltre il 95% dei pazienti ad almeno 10 anni dalla diagnosi (UMM).;
  • carcinoma follicolare (FTC): rappresenta circa il 15% dei carcinomi differenziati della tiroide e può dare luogo a metastasi a distanza. Colpisce per lo più persone di età superiore ai 50 anni. – carcinoma anaplastico: è un tipo di tumore raro (<1% dei tumori della tiroide) ma particolarmente aggressivo e di difficile gestione, in quanto dà metastasi a distanza molto precocemente;
  • carcinoma midollare (MTC): origina dalle cellule parafollicolari (o cellule C) e si caratterizza per la presenza di elevati livelli circolanti di calcitonina. Tale tumore può avere un andamento familiare e può essere la manifestazione di sindromi genetiche quali la sindrome neoplastica multiple tipo 2 (MEN2).

Quali sono i fattori di rischio per il carcinoma della tiroide?

Un fattore di rischio accertato per il carcinoma differenziato della tiroide è l’esposizione a radiazioni. Il tumore della tiroide è infatti più comune in persone sottoposte a radioterapia sul collo per altre neoplasie o esposte a ricadute di materiale radioattivo come accaduto dopo l’esplosione della centrale nucleare di Cernobyl.

Come si effettua la diagnosi di carcinoma della tiroide?

Il sintomo più comune del tumore della tiroide è il riscontro alla palpazione o all’osservazione di un nodulo tiroideo. Solo il 3-5% di tutti i noduli della tiroide sono però forme tumorali maligne.
In alcuni casi, in presenza di un carcinoma tiroideo possono essere riscontrati in sede laterocervicale masse linfonodali anche di dimensioni e consistenza importanti. Una volta accertata la presenza di noduli tiroidei, generalmente si effettuano ulteriori approfondimenti diagnostici, in particolare:

  • valutazione della funzione della ghiandola: si effettua misurando i livelli circolanti di TSH, FT4 ed FT3 come pure gli anticorpi anti Tireoglobulina e anti Tireoperossidasi. Di nessuna utilità è invece il dosaggio della tireoglobulina.
  • ecografia tiroidea: è l’esame radiologico di prima scelta. Di semplice esecuzione, consente di valutare sia le dimensioni sia le caratteristiche ecostrutturali dei noduli. Costituiscono segni di sospetto ecografico la presenza di microcalcificazioni, di vascolarizzazione intra-nodulare e l’irregolarità dei margini del nodulo.
  • agoaspirato con ago sottile: è indicato in presenza di un nodulo singolo o di un nodulo sospetto nell’ambito di un gozzo multinodulare. Il campione di cellule così raccolto viene sottoposto ad esame citologico consentendo di distinguere, in un buon numero di casi, un nodulo benigno da un nodulo maligno.
  • scintigrafia tiroidea: fornisce importanti informazioni sul comportamento funzionale della tiroide e dei noduli tiroidei, in particolare nei casi in cui il nodulo all’esame citologico venga considerato dubbio. E’ un esame molto semplice, basato sulla somministrazione per via endovenosa di un tracciante radioattivo (99mTc-pertecnetato) che viene elettivamente captato dalle cellule tiroidee
  • misurazione dei livelli di calcitonina, sostanza che rappresenta il marker specifico del carcinoma midollare della tiroide. In caso di livelli dubbi di calcitonina, può essere indicato un test di stimolo con calcio o con penta gastrina, in regime di Day Hospital.
  • test genetici: l’esecuzione può essere indicata nel caso di un carcinoma midollare della tiroide, dal momento che questo tipo di tumore può avere un andamento familiare ed essere parte di sindromi genetiche quali la sindrome neoplastica endocrina tipo 2 (MEN2).
  • TAC, RMN e PET/CT: consentono la stadiazione del tumore identificando le possibili sedi di diffusione della malattia.

Quali sono i trattamenti per il carcinoma della tiroide?

Esistono vari tipi di trattamenti, che si possono dividere in chirurgici e non chirurgici.

  • Trattamenti chirurgici. In tutti i casi di carcinoma della tiroide, la chirurgia rappresenta la prima opzione terapeutica. Generalmente, in presenza di un tumore della tiroide viene eseguita di routine la tiroidectomia totale. La linfadenectomia del compartimento centrale è sempre eseguita in presenza di una carcinoma midollare, mentre in presenza di un carcinoma differenziato (follicolare o papillare) è eseguita solo se intraoperatoriamente si evidenziano linfonodi sospetti per metastasi o di dimensioni aumentate. Particolare attenzione viene dedicata anche al risultato estetico, grazie all’utilizzo di suture intradermiche con materiale riassorbibile e alla raccomandazione di massaggi postoperatori della ferita con creme dedicate per ridurre l’incidenza di cicatrici ipertrofiche.
  • Trattamenti non chirurgici. Dopo l’intervento di tiroidectomia è generalmente indicata l’ablazione del residuo tiroideo mediante iodio-131. Lo scopo della Terapia Radiometabolica con iodio 131 è distruggere il tessuto tiroideo normale che quasi sempre residua anche dopo una tiroidectomia totale ed eliminare eventuali microfocolai neoplastici presenti all’interno dei residui tiroidei o in altre sedi. Un secondo obiettivo di questa terapia è rendere più efficace il follow-up mediante il dosaggio della tireoglobulina sierica e l’eventuale esecuzione della scintigrafia total-body con iodio 131. La terapia radiometabolica può essere eseguita solamente in strutture autorizzate all’impiego terapeutico dello iodio 131 e deve essere eseguita in regime di “ricovero protetto”, in particolari stanze dedicate alla Medicina Nucleare.
  • La terapia radiante e la chemioterapia sono infine indicate nel caso di tumori altamente aggressivi e inoperabili o in quelli caratterizzati da de-differenziazione.

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Cosa succede dopo la fine delle terapie?

Il follow up è differenziato a seconda del tipo di carcinoma della tirodie che è stato trattato.

Carcinoma differenziato della tiroide: i pazienti, trattati con ormone tiroideo (L-Tiroxina) ad un dosaggio tale da mantenere ridotti livelli di TSH, vengono periodicamente sottoposti ad ecografia del collo e alla determinazione dei livelli circolanti di TSH, FT4, FT3, anticorpi anti tireoglobulina e tireoglobulina (che costituisce un buon marker di malattia nel paziente tiroidectomizzato). In casi selezionati anche può essere indicato valutare la risposta della tireoglobulina dopo stimolo con TSH ricombinante umano o procedere ad una Scintigrafia totale corporea con I131.

Carcinoma midollare della tiroide: dopo l’intervento i pazienti effettuano una terapia con ormone tiroideo (L-Tiroxina) al fine di ovviare all’ipotiroidismo conseguente alla rimozione della tiroide, e vengono periodicamente rivalutati previo dosaggio di TSH, FT4, FT3 e calcitonina.

Prognosi dei carcinomi della tiroide

Circa l’80% dei pazienti con carcinoma della tiroide ben differenziato (DTC) può essere curato definitivamente con un trattamento iniziale ed il 95-97% di questi sono ancora vivi dopo 30 anni di follow-up (De Groot 1990). Nonostante questa buona prognosi, alcuni pazienti presentano un alto rischio di recidiva e di morte; questi pazienti potrebbero essere identificati al momento della diagnosi usando fattori prognostici ben stabiliti che possono essere suddivisi in personali, istopatologici, biologici, molecolari e fattori relativi al trattamento.

  • L’età alla diagnosi è uno dei fattori prognostici indipendenti sia per PTC, sia per FTC. L’età avanzata alla diagnosi rappresenta un fattore prognostico negativo sia per recidiva, che per mortalità. Il significato prognostico dell’età persiste quando la percentuale delle morti totali è corretta per la mortalità su una popolazione controllo di uguale sesso, età ed anno di nascita quando sono considerate solo le morti tumore-correlate. Il rischio di recidiva e morte aumenta proporzionalmente con l’età, particolarmente dopo i 40 anni, i 45, i 50 anni o 60 anni; a secondo delle diverse caratteristiche. Sebbene non sia ancora chiaro perché hanno una prognosi peggiore, i più anziani hanno più spesso tumori localmente invasivi alla presentazione, una più alta incidenza di metastasi a distanza alla diagnosi e più frequentemente varianti istologiche aggressive. I tumori della tiroide tendono ad essere presenti meno nei pazienti anziani e allo stesso tempo sono meno differenziati, con una captazione di I-131 sensibilmente inferiore nei pazienti più giovani e, quindi, una minore efficacia della terapia con I-131. Di contro, bambini e adolescenti nonostante frequentemente presentino una patologia estesa localmente alla diagnosi, hanno un’eccellente prognosi a lungo termine.
  • Il sesso maschile è un fattore di rischio secondo alcuni autori, ma non per altri. Mentre è di solito un fattore prognostico negativo nelle analisi univariate, perde il suo valore prognostico nelle analisi multivariate. Se il sesso maschile sia veramente un fattore prognostico negativo non è stato ancora risolto.
  • Tipi e varianti istologiche. La prognosi del PTC è migliore rispetto al FTC. La prognosi meno favorevole del FTC è strettamente correlata all’età avanzata dei pazienti e all’estensione del tumore al momento della diagnosi, piuttosto che all’istologia. La percentuale di sopravvivenza dei pazienti con PTC ed FTC è simile tra pazienti coetanei e stesso stadio di malattia. Inoltre, nell’ambito di queste due entità istologiche, la prognosi può differire per le loro differenti varianti (Rosai 1992). Nel PTC la variante a cellule alte, la variante a cellule colonnari e la variante ossifila hanno una prognosi peggiore. Viceversa, una buona prognosi si è osservata quando il tumore è ben capsulato e in caso di variante follicolare, sebbene alcune di queste siano più aggressive. Una prognosi intermedia è stata dimostrata con la variante sclerotica diffusa. Mentre il FTC minimamente invasivo mostra una buona prognosi, il FTC largamente invasivo ha una prognosi meno favorevole (Rosai 1992). Un’invasione vascolare avanzata rappresenta un fattore prognostico negativo (Lang 1986), mentre il grado di invasione della capsula ha un limitato valore prognostico (Brennan 1991). Alcune varianti FTC, come il carcinoma a cellule di Huerthle, gli istotipi scarsamenti differenziati e insulare, sono stati frequentemente associati con una prognosi sfavorevole (Akslen 1991; DeGroot 1995; Sakamoto 1983; Tubiana 1985). È interessante notare che il grado di invasione e il grado di differenziazione non sono correlati tra loro, cossichè entrambi i parametri devono essere presi in considerazione da un punto di vista prognostico. Quando accumuli microscopici di cellule indifferenziate sono ritrovate all’interno di un carcinoma tiroideo differenziato, il tumore deve essere considerato e trattato come carcinoma anaplastico.
  • Il grado di differenziazione cellulare è di considerevole significato prognostico sia nel carcinoma papillifero, sia nel carcinoma follicolare. Comunque, non esiste un consenso generale nella definizione di ben moderato e scarsamente differenziato, all’interno del gruppo dei carcinomi tiroidei differenziati. Il grado del tumore, in accordo con la classificazione di Broder, che si basa sulle caratteristiche del nucleo del citoplasma e sul numero di figure mitotiche, era un fattore prognostico significativo sia nell’analisi uni variata, sia in quella multivariata per il carcinoma tiroideo papillifero. Il contenuto nucleare di DNA è considerato uno dei migliori indicatori prognostici di malignità in una grande varietà di tumori umani. Nel DTC uno studio riportava che l’aneuploidia del DNA era un fattore avverso nell’analisi uni variata, ma non era un fattore prognostico indipendente nell’analisi multivariata (Joensuu 1986). Nei casi della Mayo Clinic un contenuto anomalo di DNA era associato con una più alta mortalità per tumore, almeno nei tumori papilliferi ad alto rischio (Hay 1990). L’importanza di questo parametro non è ben stabilita per il carcinoma follicolare.
  • La dimensione del tumore primitivo può variare da meno di 1 cm di diametro (molto frequente oggi giorno) a notevoli dimensioni. Quando sono unifocali e con linfonodi negativi, i tumori inferiori a 1 cm, i cosiddetti “microcarcinomi” hanno una prognosi eccellente sia in termine di sopravvivenza, sia di sopravvivenza libera da recidiva (Baudin,1998; Hay,1992). C’è un graduale aumento nel rischio di recidiva e mortalità tumore specifica con l’aumento delle dimensioni del tumore primitivo (Akslen,1991; Cady1988 ; DeGroot 1995; Hay 1990; Hay 1987; Mazzaferri 1994; Mazzaferri,1998). La dimensione del tumore è un significativo fattore di rischio nelle analisi multivariate. Sembra essere più predittivo nei tumori papilliferi che nei tumori follicolari, nei quali il grado di differenziazione e la diffusione dell’invasione prevalgono sulla dimensione del tumore (Brennan 1991; Emerick 1993; Lang 1986; Rosai 1992; Sakamoto 1983; Shaha 1995; Tubiana 1985).
  • Il carcinoma tiroideo papillifero è multifocale in circa il 50% dei casi (dal 20 all’80%) relativamente al numero di sezioni patologiche analizzate (DeGroot 1990; Hay 1990; Mazzaferri 1994; Mortensen 1955). Anche se esistono divergenze di opinioni in merito, il FTC è di solito unifocale. I PTC multifocali sono più frequentemente accompagnati da metastasi linfonodali (Baudin 1998; Katoh 1992) e presentano più frequentemente un’evidenza di malattia locale persistente, recidive regionali e metastasi a distanza. Dati controversi sono stati riportati relativamente alla relazione tra multifocalità e mortalità. A questo riguardo è utile notare che la mutifocalità in un lobo è associata con una più alta probabilità di interessamento dell’altro lobo. Ciò almeno in parte spiega perchè le recidive e le morti tumore-correlate sono meno frequenti con la tiroidectomia totale che con le procedure chirurgiche meno radicali (Baudin 1998) .
  • L’estensione del tumore oltre la capsula tiroidea è un fattore predittore indipendente di una prognosi peggiore sia in PTC che in FTC. È stato osservato nel 5-10% di PTC e nel 3-5% di FTC, ed è associato con una più alta percentuale di recidive locali, metastasi a distanza e morte tumore correlata (deGroot 1990; Hay 1990; Hay 1993; Mazzaferri 1994; Simpson 1987; Yamashita 1997). Comunque, dovrebbe essere fatta una distinzione tra invasione microscopica della capsula tiroidea e invasione macroscopica con coinvolgimento di altri organi del collo. In quest’ultimo caso la prognosi è peggiore, specialmente a causa della difficoltà di arginare la malattia locale (Hu A et al,2007).
  • Le metastasi linfonodali sono frequenti nei PTC (30%-60%), ma non così frequenti negli FTC (15%-20%) (Grebe 1996). Sono molto più comuni nei bambini, verificandosi in oltre l’80% con PTC. I linfonodi locali possono essere coinvolti anche nel caso di microcarcinoma papillifero (Baudin 1998). Molti autori hanno dimostrato che le metastasi ai linfonodi regionali sono associate ad una più alta percentuale di recidiva di tumore e mortalità tumore specifica (Akslen 1991; DeGroot 1990; Mazzaferri 1994; Tubiana 1985), mentre altri non hanno trovato significative differenze nella sopravvivenza (Hay 1990; Hay 1993). Il coinvolgimento linfonodale è associato ad un outcome significativamente peggiore anche in assenza di invasione extra tiroidea. Nella casistica dell’Ohio State University, le metastasi ai linfonodi cervicali bilaterali e mediastinici erano un fattore prognostico indipendente predittivo di recidiva tumorale e mortalità cancro correlata (Mazzaferri 1994). All’istituto Gustave-Roussy le metastasi linfonodali palpabili rappresentavano un fattore di rischio indipendente per morte tumore correlata (Tubiana 1985). E’ stata dimostrata una mortalità del 3.6% nei pazienti con metastasi linfonodali, tale indice è estremamente alto per una patologia che è ritenuta avere una prognosi eccellente (Pacini 1994). Oltre che la presenza o assenza di metastasi linfonodali, il sito, la dimensione, il numero e l’estensione del tumore oltre la capsula tiroidea (Yamashita 1997) hanno probabilmente un impatto sulla prognosi, sebbene non siano stati presi in considerazione ampie casistiche.
  • Le metastasi a distanza al momento della diagnosi rappresentano il fattore prognostico peggiore nei pazienti sia con carcinoma tiroideo papillifero sia follicolare. La mortalità tumore specifica nei pazienti con metastasi a distanza varia dal 36% al 47% a cinque anni; dipende dalla durata del follow-up e aumenta fino al 70% a 15 anni (Hoie 1988; Pacini 1994; Schlumberger 1996). L’analisi univariata ha dimostrato che nel caso di metastasi a distanza, l’età più giovane, il tipo istologico ben  differenziato, la localizzazione nel polmone piuttosto che nell’osso, la presenza di piccole lesioni e la captazione di I-131 sono fattori associati ad una prognosi migliore. L’ analisi multivariata ha, comunque, dimostrato che la malattia metastatica estesa ha un impatto prognostico peggiore della localizzazione anatomica (polmone o osso). Il migliore outcome è presente nei pazienti più giovani con metastasi micronodulari responsive alla radio-iodioterapia non visibili alla radiografia standard.
  • Un peggiore outcome è associato alla perdita di differenziazione dei geni di espressione tiroide specifici, quali il recettore per il TSH, il trasportatore Na+/I-, la tireoglobulina (Tg)  e i geni tireoperossidasi, come dimostrato dalla ridotta espressione di questi geni nei tumori scarsamente differenziati e dalla loro assenza nei tumori indifferenziati (Arturi 1998; Elisei 1994). Tra gli oncogeni coinvolti con la patogenesi del PTC, solamente BRAFV600E è stato dimostrato avere un impatto negativo sull’outcome (Xing 2007; Elisei 2008), mentre ciò non si è dimostrato per i riarrangiamenti RET/PTC (Basolo 2001; Adeniran 2006). Mutazioni somatiche dell’oncosoppressore p53 o la sovraespressione della sua proteina codificata portano a una prognosi peggiore nell’ambito del ATC che è di per sè un tumore ad elevata mortalità (Pollina 1996). Similmente, la sovraespressione della proteina  p21, che è codificata dall’oncogene RAS è stata associata a forme di carcinoma tiroideo più aggressive (Romano 1993). I risultati sopra riportati sono solamente l’inizio di un nuovo approccio alla biologia del tumore ed indicano che i prodotti degli oncogeni e degli oncosoppressori possono rivelare la prognosi dei tumori della tiroide.

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Come fare il nodo alla cravatta in modo semplice e veloce

Il nodo semplice è il grande classico dei nodi per cravatta. È ampiamente il più utilizzato, poiché si tratta del più semplice da realizzare e si accorda con la maggior parte delle cravatte e praticamente con tutti i colli di camicia. È perfetto per gli uomini di altezza media o elevata.
Conico ed allungato, il nodo semplice è stretto con delle cravatte fini e più largo con delle cravatte spesse.

MEDICINA ONLINE COME FARE NODO ALLA CRAVATTA MODO SEMPLICE E VELOCE.jpg

Preparazione: sollevate il collo della camicia, abbottonate l’ultimo bottone e posizionate la cravatta. Gli uomini di altezza media posizioneranno la gambetta all’altezza della cintura. Gli uomini più alti la posizioneranno al di sopra della cintura. Gli uomini con un busto brevilineo sceglieranno invece preferire il nodo doppio, dalla forma simile.

Le varie tappe:
Tappa n°1: al di sotto del collo, incrociate la gamba sulla gambetta.
Tappa n°2: fate scivolare la gamba sotto la gambetta.
Tappa n°3: riportate in seguito la gamba sulla gambetta.
Tappa n°4: fate passare la gamba verso l’alto sotto la cravatta, posizionando il vostro indice nel nodo in formazione. Togliete il vostro indice e fate scivolare la gamba nell’anello.
Tappa n°5: tenete ferma la gambetta. Tirate delicatamente sulla gamba per stringere l’anello. Aggiustate il nodo e poi fatelo risalire fino all’ultimo bottone del collo.

Dopo aver annodato la cravatta, la gambetta non deve più essere visibile e l’estremità della gamba deve situarsi all’altezza della cintura.

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Colpo di frusta: sintomi, rimedi e risarcimento in Italia

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma COLPO DI FRUSTA RISARCIMENTO ESITI DANNO Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgCon l’espressione “colpo di frusta” (in inglese “whiplash”) si intende un semplice movimento articolare del rachide cervicale nei tre piani dello spazio a seguito di un’accelerazione o decelerazione, tipici di un incidente stradale con tamponamento antero-posteriore tra due autovetture, ma anche di alcuni traumi sportivi.
Anche se nell’uso comune “colpo di frusta” è diventato sinonimo di danno o patologia, in realtà questa espressione non sottende assolutamente una patologia traumatica del rachide cervicale, né, tanto meno, una sua lesione: è un movimento fisiologico articolare che l’organismo attua in risposta ad una sollecitazione e che non comporta, di per sé, alcuna conseguenza patologica. Questo ovviamente non significa che il colpo di frusta – in alcuni casi – non possa in effetti determinare un danno.

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Cause di colpo di frusta da incidente stradale
Quando l’autovettura viene tamponata il sedile ed il conducente subiscono una forte accelerazione che li proietta in avanti. Il peso del capo tende per inerzia a conservare la posizione iniziale e, mentre il resto del corpo viene spinto in avanti, la testa viene pressata contro il poggiatesta (danno da iperestensione).
Successivamente il capo viene proiettato in avanti con una velocità superiore rispetto al resto del corpo (danno da iperflessione).
Se la vettura è priva di poggiatesta, o questi sono regolati in modo scorretto, il danno da iperestensione sarà maggiore. In assenza di airbag saranno invece più gravi i traumi da iperflessione poiché la testa non verrà frenata nella sua corsa ed andrà a sbattere violentemente contro il volante.

Esiti da colpo di frusta
Solo in alcuni casi, quando il colpo di frusta sia particolarmente brusco ed istantaneo (come può succedere a seguito di sollecitazioni particolarmente intense), esso può dare origine a conseguenze patologiche: si parlerà, in questo caso, di esiti da colpo di frusta, che possono consistere in vari danni e patologie, tra cui:

  • contratture dei muscoli paravertebrali;
  • riduzione della lordosi fisiologica del tratto cervicale;
  • schiacciamento o frattura delle vertebre cervicali.

L’entità della lesione è direttamente proporzionale all’intensità e alla violenza dell’impatto. Quando il capo subisce una forte accelerazione il suo limite di resistenza viene superato e le singole fibre si sfilacciano sempre più fino alla completa lacerazione (strappo muscolare). Fortunatamente nella maggior parte dei casi il trauma non è così violento da causare la rottura delle fibre muscolari. Nel caratteristico colpo di frusta si verifica di solito soltanto un semplice stiramento dei muscoli e dei legamenti cervico-nucali. Inoltre il nostro corpo possiede la capacità di rigenerare i tessuti lesi anche se questi non raggiungeranno mai il livello di efficienza degli originali. Gli esiti patologici del colpo di frusta, quando pure raramente si verifichino, sono quindi quasi sempre completamente reversibili in tempi brevi: solo in una minoranza di casi il colpo subito può procurare danni gravi e permanenti.
Questi traumi non vanno comunque sottovalutati poiché le loro conseguenze negative si possono manifestare anche nei giorni seguenti con la comparsa della classica “contrattura muscolare da riflesso protettivo”. Si tratta essenzialmente di un meccanismo di difesa che il nostro corpo adotta contraendo la muscolatura cervico nucale. In questo modo se da un lato vengono impediti tutti quei movimenti in grado di peggiorare la situazione dall’altro i processi di riparazione cellulare possono procedere in modo ottimale.

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Colpo di frusta: gli esiti più gravi
Nei casi più gravi si possono manifestare anche alterazioni della colonna, dell’equilibrio fisiologico del bacino e addirittura dell’articolazione temporo-mandibolare. La situazione peggiore compare tuttavia quando il colpo di frusta si associa a vere e proprie rotture ligamentose, erniazioni discali e fratture vertebrali. In queste situazioni la gravità della lesione esula dalla definizione di colpo di frusta che abbiamo visto essere caratterizzato da lesioni molto più superficiali. Basti pensare che una rottura del midollo spinale contenuto nelle vertebre cervicali causa la paralisi degli arti e, se avviene a livello di C1-C2, è addirittura letale. Quindi se l’impatto è stato piuttosto violento, è bene riferire sintomi e dinamica dell’incidente ai sanitari che provvederanno ad effettuare esami diagnostici come radiografie e TAC per evidenziare l’effettiva entità delle lesioni.

Danni da colpo di frusta: i fattori di rischio
Come abbiamo visto, gli esiti da colpo di frusta sono generalmente rari, tuttavia ci sono cattive abitudini alla guida che aumentano il rischio di danni legati ad eventuale colpo di frusta:

  • eccessiva velocità alla guida;
  • erronea postura del passeggero;
  • assenza del poggiatesta;
  • mancato uso di cinture di sicurezza in tutti i passeggeri.

Alcuni soggetti possono inoltre avere una particolare predisposizione anatomica dovuta a caratteristiche della loro struttura ossea, che li espone a danni maggiori in caso di colpo di frusta.

Colpo di frusta: cura e rimedi
Nei casi meno gravi, il riposo è il mezzo di guarigione più efficace nel primo periodo subito dopo il trauma. In questa fase andranno limitati al massimo i movimenti del collo e della testa. Spesso il primo provvedimento preso dal medico è proprio quello di applicare il collarino, che con la sua azione di sostegno protegge il tratto cervicale sia da movimenti incongrui sia da sollecitazioni di altro tipo. Grazie all’immobilità l’infiammazione tissutale può lentamente regredire, specialmente se viene abbinata a farmaci opportuni.
I medicinali più utili per curare il colpo di frusta sono quelli con azione antiflogistica, antidolorifica e miorilassante (antinfiammatori non steroidei, FANS). Nel caso in cui il dolore interferisca con il riposo notturno o crei ansietà vengono prescritti anche farmaci tranquillanti e sedativi.
Terminata la fase acuta del trauma, più o meno dopo dieci-venti giorni, l’utilizzo di farmaci e collare viene abbandonato definitivamente. A questo punto del processo riabilitativo vengono invece introdotte terapie fisiche e manipolazioni.
Nei casi più gravi, la terapia dovrà essere invece decisa in base al trauma riportato, non escludendo eventuali interventi chirurgici e lunghi periodi riabilitativi.

La situazione italiana: risarcimenti eccessivi
I danni provocati dal colpo di frusta, nel mondo, sono estremamente rari e minimi; in Italia invece il colpo di frusta porta ad esiti anche gravi, piuttosto frequentemente. Perché ciò avviene? La facilità di simulazione dei sintomi porta i sinistrati a comportamenti frodatori: le truffe assicurative connesse alla simulazione del colpo di frusta raggiungono in Italia effetti economici definiti “devastanti” sui costi del sistema assicurativo e sull’ingombro dei relativi contenziosi sul sistema giudiziario civile. Si tratta di un fenomeno, quello italiano, il cui impatto – dal punto di vista epidemiologico – non è giustificato dai dati scientifici e non trova alcun riscontro in Europa, in situazioni di mobilità paragonabili a quelle italiane.
Il caso dell’abnorme incidenza italiana dei danni da colpo di frusta è quindi chiaramente l’effetto di un diffuso “malcostume” che trova la sua origine della simulazione di malattie (patomimia), o nella esagerazione dei micro-danni permanenti, espedienti comportamentali che trovano un fertile terreno di coltura nell’universo delle microlesioni (come quelle del rachide), le uniche facilmente simulabili, grazie alla pochezza dei postumi ed alla loro natura talvolta asintomatica.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo

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Giugulare interna ed esterna: dove si trova ed a che serve

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma GIUGULARE INTERNA ESTERNA ANATOMIA SERVE Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgLe vene giugulari (jugular vein in inglese) sono importanti vene che riportano il sangue carico di anidride carbonica dalla testa al cuore attraverso la vena cava superiore. La pressione della vena giugulare viene misurata indirettamente e può essere utile per individuare disfunzioni del cuore o dei polmoni. Nel nostro corpo vi sono vene giugulari interne, esterne ed anteriori:

  • La vena giugulare interna (internal jugular vein in inglese) è un tronco venoso che origina alla base del cranio in corrispondenza del foro giugulare. Dall’origine discende nel collo lateralmente alla arteria carotide comune e con essa e il nervo vago forma il fascio vascolo-nervoso del collo. Termina dietro l’articolazione sterno-clavicolare ove si unisce alla vena succlavia per formare la vena anonima (destra e sinistra).
  • La vena giugulare esterna (external jugular vein in inglese) corre invece più superficialmente sul muscolo sternocleidomastoideo.
  • La vena giugulare anteriore (anterior jugular vein in inglese) inizia in prossimità dell’osso ioide e drena il sangue proveniente da varie vene provenienti dalla zona sottostante la mascella.

Esistono tre vene giugulari sia a destra che a sinistra del collo.

A che serve la giugulare?
Le vene giugulari hanno il compito di riportare il sangue ricco di anidride carbonica da encefalo e strutture della testa verso la vena cava superiore e quindi nell’atrio destro del cuore.

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Differenze tra carotide e giugulare

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma DIFFERENZE CAROTIDE GIUGULARE ARTERIA VENA Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pe.jpgNella cultura popolare e nelle scene violente dei film d’azione la vena giugulare viene spesso confusa con la carotide o con le arterie che irrorano la parte centrale del collo e viene identificata come la causa dei forti spruzzi di sangue fuoriuscenti dalle vittime di sgozzamenti o gravi ferite sulla parte centrale del collo, nei pressi del pomo d’Adamo. In realtà carotide e giugulare, pur essendo entrambi vasi sanguigni, e pur essendo anatomicamente vicine, sono due cose profondamente diverse che hanno differenti compiti nel nostro corpo.

Le arterie carotidi (comune, interna ed esterna) sono grossi vasi sanguigni situati ai lati del collo; insieme alle arterie vertebrali, le carotidi con le loro numerose ramificazioni irrorano la testa ed il collo, trasportando sangue ricco di ossigeno dal cuore all’encefalo e alle strutture facciali. Per approfondire leggi anche:

Le vene giugulari (giugulare interna ed esterna) sono vene che riportano il sangue carico di anidride carbonica dalla testa all’atrio destro del cuore attraverso la vena cava superiore. La vena giugulare interna – dopo la sua origine alla base del cranio in corrispondenza del foro giugulare –  discende nel collo lateralmente alla arteria carotide comune e con essa e il nervo vago forma il fascio vascolo-nervoso del collo. Per approfondire leggi: Giugulare interna ed esterna: dove si trova ed a che serve

Semplificando, la più grande differenza tra carotide e giugulare è che mentre l’arteria carotide porta sangue ossigenato dal cuore all’encefalo ed altre strutture della testa, invece la vena giugulare porta il sangue ricco di anidride carbonica da encefalo e strutture della testa verso il cuore. Per approfondire: Qual è la differenza tra arteria e vena?

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