Sono incinta: cosa sente il bambino nella pancia?

MEDICINA ONLINE VAGINA DONNA BACIO SESSULITA GRAVIDANZA INCINTA SESSO COPPIA AMORE TRISTE GAY OMOSESSUAANSIA DA PRESTAZIONE IMPOTENZA DISFUNZIONE ERETTILE FRIGIDA PAURA FOBIA TRADIMENTOTutti noi siamo stati bambini ed ancora prima siamo stati dei piccolissimi feti nella pancia delle nostre mamme, ma ovviamente non possiamo avere memoria delle sensazioni provate in quei preziosi momenti di vita. Come si sviluppano i cinque sensi nel feto e che cosa sente il bambino quando è in pancia?

Tatto
Il primo senso che si sviluppa è il tatto. Intorno alla 7°/8° settimana di gravidanza, i feti cominciano a muoversi e dopo altre due settimane, quindi verso la 10°/11° settimana di gravidanza, iniziano a sfiorarsi le guance, cosa che diventerà familiare per loro dopo la 14° settimana, quando tutto il loro corpicino risponderà agli stimoli tattili.
A proposito sempre della 14° settimana c’è da sapere poi che lo spazio all’interno dell’utero diventa più angusto ed il feto entra in contatto molto più spesso con il cordone ombelicale, per questo spesso nelle ecografie in 4D sembra che stia come giocando con il cordone.

Olfatto e gusto
Il naso del feto si forma dopo l’11° settimana e all’incirca dopo la 12° settimana comincia a deglutire il liquido amniotico, il quale porta gli odori ed i sapori del cibo assunto dalla mamma. Dalla 35° settimana, solitamente, le papille gustative del feto sono perfettamente funzionanti e per questo dopo la nascita sarà in grado di riconoscere l’odore del latte ed i sapori dolci e meno dolci che la madre ha mangiato nel periodo di gestazione.

Udito
Verso la 24° settimana, i piccoli ossi dei condotti uditivi si induriscono e, lavorando insieme, permettono al feto di sentire tutti i rumori ed i suoni interni, come la voce della mamma, ma anche il suo battito del cuore ed il rumore del sangue pompato attraverso il cordone ombelicale.
Anche i suoni esterni arrivano al bambino, ma in maniera più ovattata e tra quelli ad alta frequenza e quelli a bassa frequenza, il bambino percepisce meglio i secondi, tra i quali possiamo annoverare la voce del padre.

Vista
La vista è l’ultimo senso in ordine di tempo che il feto sviluppa ed è anche l’unica che si evolve dopo la nascita. E’ verso la 26°/27° settimana che il bambino apre per la prima volta le palpepre e vede tutto scuro. La percezione del colore avviene intorno ai 2 mesi dopo la nascita, prima è tutto in bianco e nero, ma nonostante questo anche durante la gravidanza il feto può captare dei toni luminosi, dei bagliori chiari.

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Cosa si prova a morire annegati, dissanguati, decapitati… seconda parte

MEDICINA ONLINE MORTE COSA SI PROVA A MORIRE TERMINALE DEAD DEATH CURE PALLIATIVE TERAPIA DEL DOLORE AEROPLANE TURBINE CHOCOLATE AIR BREATH ANNEGATO TURBINA AEREO PRECIPITA GRATTACIELO GQuesta è la seconda parte dell’articolo: Cosa si prova a morire annegati, dissanguati, decapitati… Morti diverse, sensazioni diverse

Cosa si prova a morire di fame?

Il nostro corpo può sorprendentemente resistere un tempo anche molto lungo senza assumere cibo – perfino per ben 60 giorni – ammettendo almeno di avere aria ed acqua a disposizione e limitando al massimo il dispendio calorico giornaliero, che deve ridursi praticamente al solo metabolismo basale con attività fisica nulla. Dopo una sola settimana, il nostro fegato inizierà a produrre delle tossine che, in grandi quantità, sono assolutamente dannose. Dopo un mese, avremo perso oltre il 20% del nostro peso iniziale. Il nostro corpo inizialmente brucerà carboidrati e grassi disponibili, preservando le proteine, dopodiché consumerà i nostri muscoli e gli organi nel tentativo disperato di recuperare energia per la sopravvivenza. Il periodo necessario per morire di fame è strettamente legato a molti fattori, tra cui lo stato di salute generale e l’età, individui anziani, bambini e malati, sopravvivono meno a lungo di un adulto sano. La sopravvivenza senza cibo è strettamente correlata alle riserve di grasso del soggetto: un individuo in sovrappeso ha più chance di sopravvivenza rispetto ad un individuo sottopeso. Una persona con obesità di terzo grado, tende a sopravvivere di più rispetto ad una persona in sovrappeso. La morte avverrà probabilmente per insufficienza cardiaca dal momento che perfino il tessuto cardiaco verrà “digerito” dal corpo nell’estremo tentativo di disporre delle calorie necessarie per sopravvivere.

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Cosa si prova a morire decapitati?

In uno studio pubblicato nel gennaio 2011, i ricercatori della Radboud University Nijmegen, guidati da Anton Coenen, hanno rilevato segnali elettrici che si verificano circa un minuto dopo la decapitazione di topi da laboratorio. Per il team questo segnale elettrico rappresenterebbe il “gemito finale” del cervello. Ma la domanda che tutti si sono posti era: in quel minuto, i poveri ratti, erano coscienti di quanto stesse succedendo loro?
Il prototipo della decapitazione è ovviamente la ghigliottina, uno strumento che – grazie ad una possente lama fatta verticalmente cadere all’altezza del collo del condannava, gli tagliava la testa di netto. Adottata ufficialmente dal governo francese nel 1792, è stata vista come una tecnica di esecuzione più umana rispetto alle altre (impiccagione o decapitazione con spada a due mani da esecuzione diffusa durante il Rinascimento). La morte per decapitazione è in effetti tra le morti scientificamente considerate meno dolorose e più rapide, sempre se il boia sia abile e sappia fare bene il suo lavoro. Se il taglio è completo e rapido (come avviene con una ghigliottina o con un colpo di scure ben affilata) il dolore dovrebbe essere minimo: i nervi che si trovano accanto alle vertebre vengono recisi impedendo che il segnale del dolore arrivi al cervello. Se il taglio avviene nello stile di un boia jihadista, con un coltello, la decapitazione avviene in modo più lento e molto più doloroso, stessa cosa avviene anche quando viene usata una scure poco affilata oppure se il boia non la sa ben maneggiare: sono quindi necessari più colpi per completare la decapitazione e – tra un colpo e l’altro – il malcapitato soffre molto.
In ogni caso, anche dopo che il midollo spinale è stato reciso, la persona non perde coscienza istantaneamente: è stato calcolato che ci vogliono alcuni secondi al cervello ed ai tessuti presenti nel capo prima di consumare l’ossigeno del sangue presente nella testa al momento del taglio. In pratica la persona continua a vedere, sentire ed a poter fare alcuni movimenti ed espressioni del capo per alcuni secondi dopo che la sua testa è rotolata nel cesto. Alcuni rapporti storici macabri relativi alla Rivoluzione Francese, hanno citato movimenti degli occhi e della bocca fino a 30 secondi dopo che la lama ha colpito, anche se questi possono essere spiegati come contrazioni e riflessi post-mortem. Purtroppo, nessun decapitato è stato mai riportato in vita per poterci raccontare con esattezza cosa ha avvertito nel momento dell’esecuzione, anche se sono in corso vari esperimenti a riguardo. Giambattista Bugatti, detto Mastro Titta, è il boia più famoso della storia. Eseguì 516 condanne nella prima metà dell’800, tutte poi descritte nelle sue “Annotazioni”. Nel 1864, a 85 anni, fu messo a riposo da Pio IX con una pensione di 30 scudi. Prima di ogni esecuzione si confessava e faceva la comunione. Nessuno sapeva che lui era un boia: aveva un mestiere di copertura come verniciatore di ombrelli in vicolo del Campanile 4, una traversa di via della Conciliazione a Roma (la famosa strada che dal Lungotevere porta a piazza San Pietro).

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Cosa si prova a morire colpiti da un fulmine o da scarica elettrica?

Gli uomini sono colpiti dai fulmini quattro volte più che le donne (80% contro il 20%), sembra che ciò sia dovuto sia alle proprietà elettriche del testosterone (ormone maschile), sia al fatto che gli uomini svolgono maggiori attività all’aperto, spesso maneggiando oggetti metallici. La maggior parte delle volte la corrente del fulmine non passa attraverso il corpo, ma sulla sua superficie, causando un dolore acutissimo, lasciando spesso bruciature sulla pelle e strappando i vestiti. È per questo che spesso gli esseri umani sopravvivono alla fulminazione (solo circa il 25% delle persone colpite da un fulmine muore). Il pericolo mortale si ha quando l’elettricità scorre all’interno del corpo. In questo caso è importante il punto in cui la persona viene colpita (testa, braccio, gamba) e la modalità (direttamente o indirettamente). Quando il corpo è colpito da fulmine o forte scarica elettrica si verifica perdita di coscienza e la morte avviene generalmente per arresto cardiaco o per paralisi respiratoria, in tempi rapidi. Il soggetto prova un dolore acuto ma molto rapido.
Se la persona sopravvive, con molte probabilità soffrirà di vari problemi temporanei e permanenti. Difficoltà nel movimento degli arti (generalmente temporanee), danni al cervello ed al sistema nervoso centrale, disturbi della vista e dell’udito, ustioni dal primo al terzo grado (soprattutto sul punto di entrata e di uscita del fulmine, tipicamente nella testa, nel collo e nelle spalle). La pressione arteriosa potrebbe essere aumentata e potrebbero verificarsi delle alterazioni all’elettrocardiogramma. Dopo essere colpiti da fulmine o forte scosse, si possono verificare cadute e quindi fratture in particolare craniche, della colonna vertebrale (con rischio di paraplegia o quadriplegia) e degli arti (con rischio di emorragie mortali in caso di frattura scomporta che lede un grosso vaso, come l’arteria femorale). Dopo essere sopravvissuti ad un fulmine, o ad un altro tipo di trauma elencato in questo articolo, con molta probabilità si verifica il disturbo post traumatico da stress.

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Cosa si prova a morire bruciati vivi?

Se morire annegati è considerata una morte dolorosa, probabilmente morire avvolti dalle fiamme lo è anche più: la morte bruciati vivi è da molti valutata come la morte più dolorosa in assoluto. Le ustioni, localizzate in una parte del corpo o estese a tutto il corpo, provocano un dolore terribile, lancinante. La persona inizialmente tende a dimenarsi, nell’infruttuoso tentativo di liberarsi dalle fiamme; “fortunatamente” lo shock tende a far perdere coscienza abbastanza presto allo sfortunato. Successivamente a fermare il cuore nella maggior parte dei casi, non è il fuoco in sé, sono invece i gas tossici liberati dalle fiamme, come l’ossido di carbonio. Chi sopravvive ad un incendio ed ha una alta percentuale del proprio corpo con ustioni di secondo e terzo grado, ha davanti a se un lungo periodo di riabilitazione purtroppo molto dolorosa.

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Cosa si prova a buttarsi nel vuoto?

E’ interessante notare come tutti gli studi in merito dimostrino che – malgrado migliaia di anni di sforzi da parte dei boia e degli scienziati di tutto il mondo – sia quasi impossibile ottenere una morte istantanea e indolore e con una percentuale di successo del 100%: né la vecchia corda, né le più moderne sedie elettriche o iniezioni letali sembrano poter garantire questo risultato, perché sono comunque dolorose e non sempre portano a termine il proprio compito al primo colpo. Uno dei modi più “sicuri” in questo senso, è gettarsi nel vuoto: la morte da caduta da grandi altezze ha – purtroppo, visto che spesso è auspicata dai suicidi – un’alta percentuale di riuscita e, secondo alcuni, sarebbe non così dolorosa, dal momento che – quando il corpo è in caduta e la morte appare imminente, lo shock interviente in pochissimi istanti e si perde coscienza, arrivando ad impattare a terra privi di essa. L’accelerazione gravitazionale è di circa 9,8 metri al secondo, quindi, quando un corpo cade nel vuoto, percorre circa una decina di metri ogni secondo di caduta. Ad esempio, se ci si lancia di una altezza di 60 metri, si arriva a terra poco più di 6 secondi dopo il lancio. Per determinare la morte da caduta nel 100% dei casi, secondo alcuni macabri calcoli, bisognerebbe accertarsi di buttarsi da un’altezza di almeno 100 metri e cadere in un punto del suolo compatto e con la testa in avanti, contrariamente all’istinto che cerca di farci atterrare di piedi, cosa che – anziché ucciderci rapidamente – ci lascerebbe forse vivi e con dolorosi traumi multipli.

Importante precisazione che sembrerebbe banale ma non è così scontata in questo pazzo mondo: questo articolo NON VUOLE ovviamente istigare in nessun modo i lettori al suicidio o all’omicidio, ma solo indagare quello che avviene nel corpo in un momento così particolare della nostra esistenza. A tal proposito, leggi: Voglio morire: ecco i consigli per convincerti a non suicidarti

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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Cosa si prova a morire annegati, dissanguati, decapitati…

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William Kemmler fu la prima persona al mondo ad essere giustiziata sulla sedia elettrica

Tutti noi ce lo siamo chiesti almeno una volta nella vita: cosa proveremo nell’attimo della nostra morte. Nell’attesa di scoprirlo, il più tardi possibile, oggi ci focalizziamo sul fatto che non tutte le morti sono uguali: alcune sono più dolorose, altre più “dolci”. Vediamo cosa si prova a morire nei vari modi.

Cosa si prova a morire di freddo?

L’assideramento porta alla morte perché, a temperature molto basse (in particolare inferiori a 30°C), le nostre cellule sono incapaci di funzionare in modo normale, specie quelle del nostro cervello e del nostro cuore, il che porta ad alterazioni dell’attività cardiaca ed a perdita di coscienza, oltre ad alterazioni respiratorie causate da danni al centro cerebrale del respiro. Quando la temperatura del corpo passa dai 36 ai 35/32 gradi, la persona sente solo brividi e sensazione di freddo, ha difficoltà motoria, la sua pelle è fredda e secca. Tra i 32 ed i 28 gradi cessano i brividi e si entra in uno stato soporoso, la frequenza cardiaca si riduce come anche la frequenza respiratoria e la capacità di capire quello che succede attorno a sé. Qualora la temperatura continui a scendere, al di sotto dei 28 gradi si perde coscienza e, sotto i 24°C, i segni vitali sono assenti.

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Cosa si prova a morire dissanguati?

La velocità con si muore per dissanguamento dipendente molto dal tipo di taglio: una grave ferita all’aorta (l’arteria con diametro più grande del corpo) porta a decesso in pochi minuti, mentre invece danni ad arterie più periferiche o piccole vene possono richiedere anche alcune ore prima di condurre a morte per shock emorragico. Mediamente la quantità di sangue in circolo in un adulto sano si aggira tra i 4,5 ed i 5,5 litri: perdite fino a 700 ml  di sangue comportano sintomi di lieve entità (una donazione di sangue corrisponde a 450 ml di sangue), mentre perdite pari ad 1.5 litri causano senso di malessere, astenia, sete, vertigini tachicardia e tachipnea. Quando la quantità persa arriva a circa 2 litri si verifica perdita di coscienza. Con perdite superiori ai 2 litri si può verificare il decesso per dissanguamento. Chi ha rischiato di morire per dissanguamento ha ricordi diversi rispetto all’evento e ciò dipende molto dalla situazione in cui è avvenuto l’incidente e dal tipo di ferita: un taglio netto e profondo all’arteria femorale avvenuta per un infortunio domestico è certamente meno dolorosa e traumatica rispetto alle ferite e fratture multiple riportate in un grave incidente stradale.

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Cosa si prova a morire annegati?

La morte per annegamento è considerata una morte dolorosa e l’evento che conduce a decesso può avere una durata estremamente variabile: la capacità di saper nuotare e ancor di più la temperatura dell’acqua possono influire pesantemente sui tempi in cui l’azione trova compimento. Il panico che pervade chi sta annegando determina tachicardia e tachipnea; i movimenti per rimanere in superficie inizialmente sono rapidi e confusi ma dopo poco diventano sempre più deboli vista la carenza di ossigeno.
Quando il soggetto non ha più la forza per tenere la testa fuori dall’acqua, inizia ad ingoiare acqua e tossire, cosa che lo porta ad ingoiare ancora più acqua che raggiunge i polmoni ed impedisce il normale scambio di gas ossigeno-anidride carbonica.
La sensazione di bruciore e peso al petto lascia presto spazio ad una paradossale sensazione di tranquillità, segno che la mancanza di ossigeno sta determinando gradatamente perdita di coscienza, a cui segue l’arresto delle funzioni cardiocircolatorie e – successivamente – cerebrali ed infine la morte. Per approfondire: In quanto tempo si muore per annegamento? E’ doloroso?

Leggi anche: Dopo quanto tempo un cadavere si decompone?

Cosa si prova a morire di sete?

L’acqua rappresenta circa dal 55 al 70% del peso del corpo a seconda dell’età e del rapporto tra massa magra, e massa grassa e contribuisce in maniera importante al volume di sangue circolante (chiamato “volemia”) e quindi alla pressione arteriosa. Più è alto il volume sanguigno (la volemia), più la pressione tende ad aumentare, mentre se la volemia si abbassa, la pressione diminuisce. Quando si è disidratati, la volemia diminuisce e quando il volume sanguigno circolante diminuisce da un livello normale di circa 5 litri, a un livello inferiore ai 3,5 litri, si assiste a shock ipovolemico ed alla progressiva perdita di coscienza e successivamente alla morte, in modo simile a quanto descritto per la morte da dissanguamento. Quanto può resistere una persona senza bere acqua prima di morire di sete? Un individuo di corporatura media, ben idratato, privato di acqua, può resistere dai tre ai sette giorni prima di morire, tuttavia questo dato è molto variabile in base alle condizioni climatiche esistenti ed all’età e stato di salute del soggetto. Gli anziani hanno idratazione minore dei giovani ed è per questo che spesso in estate si verificano dei decessi per disidratazione in questa fascia di popolazione a rischio; inoltre i bambini molto piccoli ed in particolare i neonati, senza idratazione, sopravvivono pochissimo tempo.
Durante la privazione dall’acqua, la pelle e le mucose appaiono sempre più asciutte, la sensazione di sete aumenta, giorno dopo giorno.
L’ipotensione (pressione arteriosa bassa causata dal diminuito volume di sangue) determina affaticamento, sonnolenza, torpore. Il battito cardiaco aumenta (tachicardia) nel tentativo – infruttuoso – di compensare il calo di pressione arteriosa. Si ha un aumento della concentrazione degli elettroliti con urine a colorazione più scura ed a maggior densità. La fiacchezza rende giorno dopo giorno più difficile eseguire anche i movimenti ed i ragionamenti più semplici. Si avvertono vertigini e sopraggiunge ansia. Appaiono deficit cognitivi di apprendimento e memoria; il soggetto è incapace di capire quello che succede attorno a lui. Seguono perdita di coscienza e morte.

Qui finisce la prima parte dell’articolo; volete sapere cosa si prova a morire di fame, colpiti da un fulmine o da una scarica elettrica, bruciati vivi o decapitati? Leggete la seconda parte dell’articolo, seguendo questo link: Cosa si prova a morire annegati, dissanguati, decapitati… seconda parte

Importante precisazione che sembrerebbe banale ma non è così scontata in questo pazzo mondo: questo articolo NON VUOLE ovviamente istigare in nessun modo i lettori al suicidio o all’omicidio.

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