Duncan MacDougall è stato un medico statunitense che nel 1907 ad Haverhill (Massachusetts), eseguì una serie di esperimenti atti a misurare la massa ipoteticamente persa da un essere umano nel momento della sua morte, cioè quando MacDougall pensava che Continua a leggere
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Un’onda blu: fotografata l’anima che lascia il corpo dopo la morte?
Qualcuno la chiamerebbe anima, gli scienziati la chiamano reazione chimica, rimane il fatto che è stata fotografata la luce che si emette nel momento della morte. Secondo uno studio condotto dall’Institute of Health Ageing dell’University College di Londra nel momento della morte all’interno del corpo si innesca una reazione chimica che rompe i componenti cellulari ed emana un’onda fluorescente blu da cellula a cellula. Lo studio sconvolgente è stato condotto dal professor David Gems sui vermi che hanno meccanismi pressoché identici a quelli dei mammiferi. Gems conferma: “Abbiamo identificato un percorso chimico di autodistruzione che si propaga con la morte cellulare nei vermi, che vediamo come questa incandescente fluorescenza blu in viaggio attraverso il corpo. E ‘come un cupo mietitore blu, si monitorizza come la morte si diffonda in tutto l’organismo fino all’ultimo atto.”
In un primo momento si era attribuita questa fluorescenza ad una sostanza chiamata lipofuscina, che emette una luce bluastra e si accumula negli organismi con l’avanzare dell’età. Durante lo studio però si è scoperto come un’altra molecola chiamata acido antranilico sia implicata nella produzione di questa onda blu. I ricercatori dell’equipe hanno poi bloccato questo percorso, ponendo le basi per uno studio su come ritardare la morte indotta da uno stress come le infezioni. Il professor Gems conclude: “I risultati mettono in dubbio che l’invecchiamento è una semplice conseguenza di un accumulo del danno molecolare. Adesso bisogna concentrarsi sugli eventi biologici che si verificano durante l’invecchiamento e la morte per comprendere correttamente come potremo essere in grado di interromperli”.
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Toradora! (2008) Trama e recensione dell’anime senza spoiler
Di anime sentimentali ce ne sono a bizzeffe, ma nonostante questo Toradora! è riuscito a distinguersi e farsi conoscere. Tratto dall’omonima serie di light novel, l’anime, mandato in onda in Giappone fra il 2008 e il 2009, è completo e composto da venticinque episodi. Distribuito in Italia soltanto nel 2011 dalla Dynit. Allo stato attuale non è prevista una seconda stagione, purtroppo. Il titolo Toradora! deriva dal nome dei due personaggi principali, Taiga Aisaka e Ryūji Takasu. “Taiga” può essere traslitterato in inglese anche come tiger (tigre), che in giapponese si traduce in tora (虎). La prima parte del nome di Ryūji, ryū (竜), significa dragone in giapponese e la traslitterazione della parola inglese dragon è doragon (ドラゴン).
La Tigre e il Drago
Ryūji Takasu ha appena iniziato il secondo anno delle superiori e si ritrova in una nuova classe, con nuovi compagni. A causa del suo aspetto minaccioso, trova difficile integrarsi, dato che tutti lo considerano un teppista, mentre invece lui è un ragazzo sensibile, appassionato di cucina e di faccende domestiche in genere e con un “lieve” disturbo ossessivo compulsivo che riguarda l’ordine e la pulizia. Tutti inizialmente hanno paura di lui, tranne il suo amico Yūsaku Kitamura, che gli promette di aiutarlo a liberarsi da questa nomina, e Kushieda Minori, per cui Ryūji ha da sempre una gran cotta. Nella classe, però, c’è anche una ragazza dall’indole violenta e senza troppi peli sulla lingua, Taiga Aisaka, detta anche Tigre Palmare. Il primo giorno di scuola, la ragazza in questione decide di confessare i propri sentimenti a Kitamura tramite una lettera, ma la inserisce (vuota) per errore nello zaino di Ryūji. In una scena piuttosto irrealistica ma davvero divertente, Taiga si intrufola di notte a casa del ragazzo per riprendersi la lettera, armata con una spada di legno. A questo punto i due si ritrovano a scambiarsi i propri segreti amorosi, decidendo di spalleggiarsi nella reciproca conquista delle persone che amano. Taiga è innamorata infatti di Kitamura, mentre Ryūji vorrebbe come fidanzata l’allegra e brillante migliore amica di Taiga di nome Minori Kushieda.
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Amore ed odio
Abitando l’uno di fronte all’altra è inevitabile l’avvicinamento affettuoso della coppia di protagonisti. Il rapporto, da una fredda amicizia, passa ad un attaccamento quasi morboso: Taiga trascorre a casa di Ryūji praticamente ogni sera, vuoi perché lui è un bravo cuoco, vuoi perché la deve continuamente togliere dai guai. Memorabile la gara di nuoto nella piscina della scuola durante la quale Taiga perde una coppa del costume cucitale espressamente da Ryūji: lui è costretto ad infilarle una mano nel costume per sistemare il maltolto con estrema umiliazione da parte della ragazza e innumerevoli risate da parte degli spettatori! In questo modo hanno inizio le avventure di Taiga e Ryuji, la tigre e il drago. Avventure fatte non solo di momenti romantici o comici, ma anche di situazioni più serie, soprattutto nella seconda metà dell’anime. La storia procede in modo davvero lento, che tuttavia favorisce lo sviluppo delle relazioni fra i personaggi.
L’approfondimento dei personaggi
Se la prima decina di episodi di presentazione dei personaggi scorre via senza stupire e seguendo le tipiche regole del genere (umorismo, demenzialità, compagni di classe simpatici, situazioni da classica commedia romantica – i giovani che si perdono da soli in una grotta buia, triangoli amorosi primari e secondari… – e personaggi “alla Lui e Lei” dalla doppia maschera), lo sviluppo della seconda parte dell’anime (circa dalla metà in poi) si fa decisamente profondo e serioso. I personaggi principali, prima leggeri e frivoli, acquistano spessore, e sopratutto sono affrontati con la dovuta serietà un buon numero di temi forti. È in questi aspetti che Toradora! tira fuori le sue carte migliori, soprattutto a serie inoltrata quando diverse delle sottotrame (non solo amorose) giungono al loro apice in emotivi climax. Il momento in cui J.C. Staff sfrutta un alto budget per realizzare sequenze di stampo cinematografico raramente eguagliate: non esistono parole per rendere, in quei momenti, la bellezza che raggiungono la regia dinamica di Tatsuyuki Nagai, l’espressività dei deliziosi e coloratissimi disegni, la toccante colonna sonora di Yukari Hashimoto e le animazioni che nei momenti clou da (già) ottime diventano il non plus ultra televisivo in termine di qualità e fluidità. E non si può davvero non parlare della monolitica prova interpretativa delle voci originali, tra le migliori che si siano mai sentite: l’intensità recitativa è superlativa e, sopratutto nelle sequenze più drammatiche, di urla e pianti (lo “scontro” tra Taiga e la capoclasse Sumire), sembra che vivano davvero le stesse emozioni dei personaggi a cui prestano voce. Da brividi, e fonte massima dei diversi momenti di commozione che più volte colpiscono il toccato spettatore. Per lo stesso motivo il doppiaggio italiano, incolore ed estremamente mediocre, rappresenta un difetto non da poco nel gradimento complessivo della serie, al punto che si potrebbe quasi togliere un mezzo punto solo per quello, pur essendo in finale abbastanza decente.
Quando i migliori non sono i protagonisti
Toradora! parla principalmente della storia di Ryūji e Taiga, ma approfondisce tutti e cinque i personaggi principali. La prima parte dell’anime si concentra sui due protagonisti indiscussi, ed è abbastanza facile entrarci in sintonia. Sebbene entrambi presentino dei tratti tipici degli stereotipi dell’animazione giapponese, hanno anche delle peculiarità che li rendono unici. Basti pensare alla strana fissazione da parte di Ryūji per le vendite promozionali al supermercato, la cucina e – soprattutto – la pulizia, che addirittura lo porta a passare il primo giorno delle vacanze estive rinchiuso in casa a lucidare tutto per bene. Finito l’approfondimento dei due, però, ci vengono mostrati nel dettaglio anche gli altri tre, ovvero Minori, Kitamura e Ami Kawashima. Quest’ultima – bellissima – entra in scena più in là nella serie, mentre i primi due sono presenti già dal primissimo episodio. Nonostante all’inizio mi sembrasse un personaggio poco interessante e fin troppo stereotipato, la classica ragazza bellissima che si mette in mezzo a una storia d’amore già abbastanza incasinata, mi sono ricreduto dopo poco, grazie a quelle poche battute ed a quei cambi di espressione che denotano mille pensieri e desideri mal celati. Ami più di tutti ha dimostrato una profondità abbastanza rara, da scoprire, ma solo se volete davvero andare oltre le apparenze. Ami è forse il personaggio meglio riuscito dell’intera serie, sicuramente il mio preferito (io “tifavo” per lei, anche se difficilmente le donne all’ascolto saranno d’accordo). Sa di essere bella ed ha un’aria infantile, egocentrica e falsa, all’inizio, per poi cambiare radicalmente e mostrarsi la più matura e sensibile del gruppo, forse grazie al fatto di lavorare come modella nonostante l’essere alle superiori e quindi grazie al frequentare molti individui adulti. Capisce sempre gli altri più di quanto loro stessi siano in grado di fare, eppure mantiene quel lato infantile che la porta a litigare di continuo con Taiga. Il meno riuscito è forse il povero Kitamura, che tuttavia riesce sempre a strappare qualche sorriso con i suoi comportamenti strampalati, tra capelli tinti di biondo per passare da teppista e sfuggire al comitato di classe, apparizioni mezzo nudo in sala da pranzo e dichiarazioni d’amore fuori dell’ordinario. Ha un particolare rapporto fatto di rispetto con Taiga, ma secondo me l’ideatore o i produttori, pur pensando giustamente a un “soggetto cuscino” in grado di smorzare i formidabili caratteri di alcuni personaggi, non sono riusciti ad inserirlo bene nella storia, tanto che in certi frangenti non viene caratterizzato particolarmente rispetto agli altri studenti. Minori, a tratti piuttosto scialba all’inizio e fin troppo demenziale per far innamorare di se il complesso animo del protagonista, acquista nell’ultima parte della serie uno spessore molto interessante. Sua questa bellissima battuta:
Quando si cade in corridoio esce il sangue dal naso, quando si cade nella vita escono le lacrime
Non solo commedia
Toradora! è, principalmente, un anime sentimentale. I vari triangoli amorosi sono il fulcro della serie. In diversi momenti si mostra come una commedia romantica, con scene che superano il limite dell’esagerazione pur di suscitare qualche sorriso. Eppure tratta con assoluta serietà (o quasi) quelli che sono argomenti molto delicati. Non solo ci si ritrova a vedere delle situazioni familiari tutt’altro che rosee, ma in diverse occasioni Toradora! cerca di far riflettere anche su quanto sia difficile comprendere se stessi, a volte. La situazione familiare di Taiga ed il suo rapporto con i genitori è altamente conflittuale e la condizione di Ryūji pure non è tra le più semplici, è infatti il figlio di una hostess di un locale notturno: scappata di casa incinta da giovane e che ha deciso dunque di crescere da sola il figlio. Un padre che non c’è mai stato ed una madre che a tratti sembra più la sorella minore Ryūji che sua madre, ma che tuttavia ha talmente a cuore il futuro del figlio di essere disposta a sacrificarsi per lui. I temi coprono quindi anche problemi più o meno seri tra bullismo, stalker, dramma di seni troppo piccoli, divorzi, padri falsi, professoresse in crisi esistenziale, difficoltà di poter studiare in assenza di soldi… Se siete sognatori, ma anche… realisti: da vedere!
Esiste in questo mondo qualcosa che nessuno ha mai visto. Si tratta di qualcosa di gentile ed estremamente dolce. Presumo che se fosse possibile vederlo tutti finirebbero per desiderarlo ed è per tale motivo che il mondo l’ha nascosto: per assicurarsi che non potesse essere ottenuto con facilità. Ma prima o poi qualcuno lo troverà. L’unica persona destinata ad ottenere quel qualcosa lo otterrà senza meno: è così che ha stabilito il destino.
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Le disgustose immagini dell’addestramento degli elefanti per il circo: BASTA con questi spettacoli indegni
Queste immagini mostrano la tortura a cui sono sottoposti gli elefanti, anche cuccioli, quando vengono “addestrati” a diventare veri e propri fenomeni da baraccone nei circhi. Gli elefanti e gli altri animali usati nei circhi (e negli zoo) sono sfruttati dai loro padroni in maniera indegna, abusati ed imprigionati senza alcuna colpa, quando invece dovrebbero essere liberi nella natura. Basta con questo scempio.
Gli animali non sono oggetti da sfruttare, sono anime da amare.
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Cosa si prova a morire annegati, dissanguati, decapitati…
Tutti noi ce lo siamo chiesti almeno una volta nella vita: cosa proveremo nell’attimo della nostra morte. Nell’attesa di scoprirlo, il più tardi possibile, oggi ci focalizziamo sul fatto che non tutte le morti sono uguali: alcune sono più dolorose, altre più “dolci”. Vediamo cosa si prova a morire nei vari modi.
Cosa si prova a morire di freddo?
L’assideramento porta alla morte perché, a temperature molto basse (in particolare inferiori a 30°C), le nostre cellule sono incapaci di funzionare in modo normale, specie quelle del nostro cervello e del nostro cuore, il che porta ad alterazioni dell’attività cardiaca ed a perdita di coscienza, oltre ad alterazioni respiratorie causate da danni al centro cerebrale del respiro. Quando la temperatura del corpo passa dai 36 ai 35/32 gradi, la persona sente solo brividi e sensazione di freddo, ha difficoltà motoria, la sua pelle è fredda e secca. Tra i 32 ed i 28 gradi cessano i brividi e si entra in uno stato soporoso, la frequenza cardiaca si riduce come anche la frequenza respiratoria e la capacità di capire quello che succede attorno a sé. Qualora la temperatura continui a scendere, al di sotto dei 28 gradi si perde coscienza e, sotto i 24°C, i segni vitali sono assenti.
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Cosa si prova a morire dissanguati?
La velocità con si muore per dissanguamento dipendente molto dal tipo di taglio: una grave ferita all’aorta (l’arteria con diametro più grande del corpo) porta a decesso in pochi minuti, mentre invece danni ad arterie più periferiche o piccole vene possono richiedere anche alcune ore prima di condurre a morte per shock emorragico. Mediamente la quantità di sangue in circolo in un adulto sano si aggira tra i 4,5 ed i 5,5 litri: perdite fino a 700 ml di sangue comportano sintomi di lieve entità (una donazione di sangue corrisponde a 450 ml di sangue), mentre perdite pari ad 1.5 litri causano senso di malessere, astenia, sete, vertigini tachicardia e tachipnea. Quando la quantità persa arriva a circa 2 litri si verifica perdita di coscienza. Con perdite superiori ai 2 litri si può verificare il decesso per dissanguamento. Chi ha rischiato di morire per dissanguamento ha ricordi diversi rispetto all’evento e ciò dipende molto dalla situazione in cui è avvenuto l’incidente e dal tipo di ferita: un taglio netto e profondo all’arteria femorale avvenuta per un infortunio domestico è certamente meno dolorosa e traumatica rispetto alle ferite e fratture multiple riportate in un grave incidente stradale.
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Cosa si prova a morire annegati?
La morte per annegamento è considerata una morte dolorosa e l’evento che conduce a decesso può avere una durata estremamente variabile: la capacità di saper nuotare e ancor di più la temperatura dell’acqua possono influire pesantemente sui tempi in cui l’azione trova compimento. Il panico che pervade chi sta annegando determina tachicardia e tachipnea; i movimenti per rimanere in superficie inizialmente sono rapidi e confusi ma dopo poco diventano sempre più deboli vista la carenza di ossigeno.
Quando il soggetto non ha più la forza per tenere la testa fuori dall’acqua, inizia ad ingoiare acqua e tossire, cosa che lo porta ad ingoiare ancora più acqua che raggiunge i polmoni ed impedisce il normale scambio di gas ossigeno-anidride carbonica.
La sensazione di bruciore e peso al petto lascia presto spazio ad una paradossale sensazione di tranquillità, segno che la mancanza di ossigeno sta determinando gradatamente perdita di coscienza, a cui segue l’arresto delle funzioni cardiocircolatorie e – successivamente – cerebrali ed infine la morte. Per approfondire: In quanto tempo si muore per annegamento? E’ doloroso?
Leggi anche: Dopo quanto tempo un cadavere si decompone?
Cosa si prova a morire di sete?
L’acqua rappresenta circa dal 55 al 70% del peso del corpo a seconda dell’età e del rapporto tra massa magra, e massa grassa e contribuisce in maniera importante al volume di sangue circolante (chiamato “volemia”) e quindi alla pressione arteriosa. Più è alto il volume sanguigno (la volemia), più la pressione tende ad aumentare, mentre se la volemia si abbassa, la pressione diminuisce. Quando si è disidratati, la volemia diminuisce e quando il volume sanguigno circolante diminuisce da un livello normale di circa 5 litri, a un livello inferiore ai 3,5 litri, si assiste a shock ipovolemico ed alla progressiva perdita di coscienza e successivamente alla morte, in modo simile a quanto descritto per la morte da dissanguamento. Quanto può resistere una persona senza bere acqua prima di morire di sete? Un individuo di corporatura media, ben idratato, privato di acqua, può resistere dai tre ai sette giorni prima di morire, tuttavia questo dato è molto variabile in base alle condizioni climatiche esistenti ed all’età e stato di salute del soggetto. Gli anziani hanno idratazione minore dei giovani ed è per questo che spesso in estate si verificano dei decessi per disidratazione in questa fascia di popolazione a rischio; inoltre i bambini molto piccoli ed in particolare i neonati, senza idratazione, sopravvivono pochissimo tempo.
Durante la privazione dall’acqua, la pelle e le mucose appaiono sempre più asciutte, la sensazione di sete aumenta, giorno dopo giorno.
L’ipotensione (pressione arteriosa bassa causata dal diminuito volume di sangue) determina affaticamento, sonnolenza, torpore. Il battito cardiaco aumenta (tachicardia) nel tentativo – infruttuoso – di compensare il calo di pressione arteriosa. Si ha un aumento della concentrazione degli elettroliti con urine a colorazione più scura ed a maggior densità. La fiacchezza rende giorno dopo giorno più difficile eseguire anche i movimenti ed i ragionamenti più semplici. Si avvertono vertigini e sopraggiunge ansia. Appaiono deficit cognitivi di apprendimento e memoria; il soggetto è incapace di capire quello che succede attorno a lui. Seguono perdita di coscienza e morte.
Qui finisce la prima parte dell’articolo; volete sapere cosa si prova a morire di fame, colpiti da un fulmine o da una scarica elettrica, bruciati vivi o decapitati? Leggete la seconda parte dell’articolo, seguendo questo link: Cosa si prova a morire annegati, dissanguati, decapitati… seconda parte
Importante precisazione che sembrerebbe banale ma non è così scontata in questo pazzo mondo: questo articolo NON VUOLE ovviamente istigare in nessun modo i lettori al suicidio o all’omicidio.
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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine
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