Lo studio delle modificazioni dell’individuo rispetto alla sua età ha tradizionalmente orientato il suo interesse quasi esclusivamente sulla prima parte della vita, quella definita dello sviluppo. È questo infatti il periodo in cui si hanno le più intense e veloci modificazioni sia dell’aspetto somatico sia delle caratteristiche funzionali dell’individuo e questi intensi processi hanno attratto tutto l’interesse degli scienziati. Più recentemente con il modificarsi delle condizioni di vita della popolazione e con l’aumentare continuo della fascia anziana di essa, si sono cominciati a studiare con la stessa intensità ma con un approccio opposto i fenomeni di modificazione biologica e funzionale dell’individuo anziano. Approccio opposto a quello dello sviluppo in quanto è ancora prevalente l’atteggiamento che fa percepire le modificazioni dell’invecchiamento come qualcosa di necessariamente peggiorativo e soprattutto fatale che si ha il bisogno di affrontare per nasconderne gli effetti.
Secondo le stime epidemiologiche è già in corso ma diventerà progressivamente sempre più intenso nei prossimi anni l’incremento nella popolazione delle persone con età avanzata, soprattutto in Italia, nazione che possiede una delle popolazioni più longeve al mondo. Questo fenomeno non è limitato, come sembrava alcuni anni fa, solo alle società economicamente più avanzate, ma sta avendo luogo anche in paesi economicamente e organizzativamente più deboli nei quali sia per la grandezza dei numeri, sia per la mancanza di adeguate strutture assistenziali, sanitarie e sociali, questo fenomeno dell’invecchiamento della popolazione costituirà un grave problema, dal punto di vista sia economico sia organizzativo. Si può evincere un’idea della quantità enorme del fenomeno dall’esempio degli Stati Uniti nei quali si prevede che nel 2030 il numero di anziani della popolazione raddoppi rispetto a quello presente nel 2000 e supererà la quota di 70 milioni di persone che dovrebbe corrispondere circa a della popolazione (U.S. Department of Human Services, 1999).
Anziani: persone diverse dagli altri?
Nel concetto comune gli anziani sono considerati come persone diverse dagli altri e come appartenenti a una categoria a sé stante. Questo comporta tra l’altro che le richieste di risorse che provengono da questa fascia della popolazione siano viste come in discontinuità e spesso in contrapposizione alle richieste provenienti dal resto della popolazione. In realtà ogni individuo invecchia sin dalla nascita quindi il processo di invecchiamento non è una particolare condizione di alterazione delle condizioni biologiche dell’essere umano, ma è una serie di eventi e di modificazioni, ma anche di adattamenti e miglioramenti funzionali, che accompagnano l’individuo in tutto il suo arco vitale. Abbiamo visto che l’età psicologica è l’età che soggettivamente l’individuo si attribuisce sulla base soprattutto di come si ritiene in grado di corrispondere alle richieste ambientali. Chi determini e perché determini le richieste ambientali non è spesso sotto il controllo della popolazione anziana. Questo è un bias culturale presente nella nostra organizzazione sociale contemporanea dal momento che nel nostro passato non sono mai esistite epoche storiche nelle quali fosse così quantitativamente rilevante la quota di cittadini anziani all’interno della popolazione. Abitualmente, quindi, l’essere anziano è considerato quasi una condizione anomala e marginale dal punto di vista della collocazione all’interno della società, non essendo l’organizzazione della società stessa adeguatamente governata e controllata in base alle richieste e ai bisogni degli anziani. Questa evoluzione culturale, perché abbia un impatto visibile e consolidato, richiederà qualche generazione; nel frattempo assistiamo a situazioni contrastanti e contraddittorie molto eterogenee sia per fini sia per modalità di attuazione allorché si considerano le caratteristiche, i ruoli e i valori attribuiti alla fascia di età più estrema della popolazione. Anche nell’ambito delle decisioni prese dalle organizzazioni sanitarie si possono evidenziare questo tipo di problematiche dove a volte, paradossalmente, il crescere del numero degli anziani non costituisce una crescita nella considerazione delle loro richieste, ma diventa il motivo per minimizzare le risposte a queste in quanto il largo numero fa aumentare il peso economico di ciò che viene richiesto. Quindi il fatto di essere sempre di più come numero, spesso, non è un vantaggio per gli anziani, in quanto fa percepire ancora più onerose le loro richieste legittime.
L’invecchiamento e i fattori ambientali
L’invecchiamento, se lo consideriamo dal punto di vista sia dell’età biologica sia dell’età psicologica, comporta una modificata capacità di risposta alle richieste ambientali. Per esempio l’individuo diventa più lento nelle sue reazioni motori e agli stimoli, più facilmente distraibile, oppure si sente meno motivato o meno intenzionato a intraprendere nuove esperienze. Se noi consideriamo queste modificazioni e le confrontiamo con una situazione ambientale che non tenga conto di questa realtà avremo che l’età sociale di questi individui diventi apparentemente sempre maggiore agli occhi degli altri, quanto più le risposte dell’individuo anziano si allontanino da quelle attese rispetto alle condizioni ambientali immodificate. In questo caso vediamo che l’invecchiamento di un individuo è in una certa parte proporzionale non all’intensità delle sue modificazioni soggettive o biologiche, ma piuttosto alla mancanza di adeguamento delle condizioni e delle richieste ambientali nelle quali è costretto a vivere. In questo senso quindi possiamo renderci conto che una certa quota dell’invecchiamento apparente di una persona può essere un fattore arbitrario dovuto unicamente a fattori ambientali esterni non modificati sulla base delle sue esigenze e possiamo in base a questo immaginare un numero illimitato di esempi di situazioni quotidiane nelle quali viene a trovarsi il cittadino anziano che ne aumentano il fattore di incompatibilità con le caratteristiche della condizione nella quale si trova.
Invecchiamento: un peggioramento inevitabile?
Un’altra prospettiva prevalente nel contesto culturale contemporaneo è quella di ritenere il processo di invecchiamento come un fenomeno fatalmente peggiorativo e di deterioramento delle caratteristiche individuali tanto da essere considerato al limite di un fenomeno patologico. Questa ottica è particolarmente deleteria in quanto porta a rinforzare l’altro tipo di atteggiamento nei confronti dell’anziano che fa ritenere del tutto inutili gli investimenti di risorse per essi, in quanto destinati comunque a non modificare la natura peggiorativa nel tempo del processo di invecchiamento, visto come rigido ed immodificabile. Una conseguenza estrema di questo atteggiamento è quella di ritenere la popolazione anziana un peso per il resto della popolazione e qualunque intervento assistenziale a essa dedicato un fattore di prolungamento e di incremento di tale peso. Il primo elemento di cambiamento che va adottato rispetto a questi atteggiamenti prevalenti nella cultura attuale è quello di intendere l’invecchiamento come un processo che non è , come abbiamo detto, specifico solo di una particolare fascia della popolazione, ma riguarda tutti a tutte le età. Inoltre tale processo non ha caratteristiche patologiche, che quindi devono essere combattute e debellate con irrealistiche aspettative da parte di coloro che vorrebbero fermare quello che la loro immagine allo specchio evidenzia, ma va governato e seguito con l’ottica di adottare quelle modificazioni che rendono adattativo e funzionale il modo di vivere quotidiano dell’individuo che comunque continuerà a invecchiare giorno per giorno per tutti gli anni della sua vita.
In quest’ottica completamente opposta dell’invecchiamento come peggioramento irreversibile e fatale dell’individuo, l’adozione di un atteggiamento basato sui punti di forza tende a dare elementi operativi con cui finalmente superare nella cultura prevalente il modo negativo di considerare l’invecchiamento e le persone che vengono collocate nella fascia anziana della popolazione (Ronch, Golfield, 2003).
Questi punti di forza possono essere di vario genere e cambiano secondo il contesto nel quale viene applicato questo tipo di approccio, per esempio laddove si tratti di pazienti ci si orienterà a identificare non solo gli elementi indeboliti o deficitari delle risorse del paziente, ma anche quelli sui quali si possa contare per impostare e mantenere un valido adattamento rispetto alla situazione clinica del paziente.
L’autonomia per esempio viene considerata come uno degli aspetti centrali di questo approccio in base al quale tuttavia essa non è solamente la capacità di mantenere gli altri al di fuori dei propri processi decisionali (definita da Collopy nel 1988 come autonomia negativa), ma anche come il potere dell’individuo di interagire e di comunicare liberamente con gli altri anche dal punto di vista emotivo e affettivo (autonomia positiva secondo Collopy, 1988).
Un orientamento teorico che si è basato sul concetto dei punti di forza è stato quello della teoria dell’attività defìnìta come quella che prevede l’attività svolta attraverso un coinvolgimento con gli altri e in compiti di natura mentale (Havighurst et al., 1963), come contrapposta alla precedente teoria dello sganciamento secondo cui il mantenimento di un elevato livello di soddisfazione nell’anziano dipende dall’accettazione dell’inevitabile riduzione delle interazioni sociali e personali (Cummìng, Henry, 1961).
Un ulteriore sviluppo della teoria dell’attività è la teoria della continuità la quale prevede che gran parte delle persone mantengono una continua utilizzazione delle loro esperienze di vita e intenzionalmente dirigono i loro sforzi verso le direzioni di loro scelta (Atchley, 1971). Questa teoria non prevede quindi limitazioni dovute all’età cronologica che siano di impedimento per una continua modificazione adattativa sulla base delle esperienze precedenti, mentre sottolinea come nell’ambito dell’arco vitale di un individuo sia presente una continuità di idee e di stili di vita che sottende i processi di adattamento flessibile alla realtà. I risultati tratti dagli studi longitudinali sullo sviluppo individuale attraverso l’età tendono a dare sostegno a quanto previsto dalla teoria dell’attività, tuttavia questo approccio teorico trova ancora difficoltà e resistenze a essere applicato sistematicamente nelle politiche di intervento sociale e assistenziale per la popolazione anziana.
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Lo Staff di Medicina OnLine
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