Deterioramento cognitivo-comportamentale e valutazione dell’anziano

MEDICINA ONLINE ANZIANI VECCHI DEPRESSIONE NONNI MORTE SENILE SENILITA SENESCENZA ETA OLDIE OLD GRANDMA GRANDPA NONNO MALATTIA TRISTE SAD DISPERAZIONE SOLITUDINE PARKINSON ALZHEIMER ABUSO VIOLENZA FAMIGLIALe demenze e i quadri di deterioramento cognitivo-comporta mentale dell’invecchiamento

La diagnosi di demenza prevede come necessaria la presenza di disturbi della memoria. A essi possono accompagnarsi altri disturbi, per esempio disturbi del linguaggio, dell’attenzione, delle funzioni prassico-esecutive, dell’affettività, del comportamento, i quali possono dare dei quadri abbastanza diversi tra pazienti tanto da permettere di identificare sul piano clinico e neuro anatomico forme diverse di demenza. Di queste la più frequente dal punto di vista epidemiologico è la demenza di Alzheimer caratterizzata da un quadro primitivo di degenerazione dei neuroni corticali; è poi presente in modo consistente un’altra forma di demenza, quella che si accompagna ad alterazioni cerebrovascolari. In questo ambito esistono varie categorie diagnostiche comunque tutte basate sulla prevalenza del processo fisiopatologico di natura vascolare nel determinismo delle anomalie anatomiche e funzionali cerebrali.
Altre forme meno frequenti sono quella presente nei pazienti con sintomatologia parkinsoniana, quella da patologia epato-cerebrale negli alcolisti, quella da cerebropatia in pazienti HIV. Il grosso problema nella diagnosi delle demenze è quello di identificare in modo precoce e sicuro la loro esistenza. La diagnosi in genere procede a vari livelli: si inizia da un livello di esclusione di tutti le possibili condizioni che vanno da carenze vitaminiche a interferenze non controllate di terapie in atto, a stati tossici o di ipossia temporanei o irreversibili e quindi si passa a identificare in modo positivo gli elementi funzionali e di neuro immagine che permettono di indicare una diagnosi il più specifica e precisa possibile.
Le strategie terapeutiche dipendono dal tipo di diagnosi e all’interno di ciascuna di esse anche dal grado di avanzamento in cui si trova il paziente rispetto all’andamento della malattia. In genere le terapie di primo intervento sono mirate a una stabilizzazione del quadro cognitivo mentre con il procedere della patologia diventano sempre più prevalenti i disturbi comportamentali o francamente psichiatrici che quindi diventano obiettivi primari della strategia terapeutica. Quando il peso di questi sintomi diventa prevalente il target terapeutico si sposta dal paziente al caregiver, cioè a coloro che si occupano dell’assistenza del paziente. Infatti esiste una sindrome del burnout del caregiver che si manifesta con la perdita di interesse per il paziente da parte di colui che se ne prende cura, arrivando fino all’abbandono e al rifiuto del paziente stesso. Il caregiver può sviluppare un quadro depressivo e sintomi da stress e questa è la ragione per cui chi è responsabile della terapia del paziente demente debba poi allargare il suo obiettivo terapeutico anche alla cura dei disturbi del caregiver, al fine di mantenere una condizione assistenziale efficiente e sostenibile per il paziente con demenza.
Oltre alle terapie farmacologiche possono essere applicate delle terapie che mirano a stimolare il livello di attività cognitiva e comportamentale del paziente con demenza così come possono essere impiegate nelle prime fasi dopo la diagnosi modalità più strutturate e approfondite di stimolazione e di riabilitazione cognitiva miranti a mantenere un adeguato livello di attività del paziente e possibilmente a fargli sviluppare strategie alternative o comunque di compenso per i deficit cognitivi di cui soffre.

La valutazione clinica dell’anziano

In campo psicologico la valutazione dell’anziano presenta una serie di particolari difficoltà tecniche dal momento che la gran parte degli strumenti tradizionalmente sviluppati nel campo sia della personalità sia dell’intelligenza non sono stati costruiti e spesso nemmeno adattati per l’uso con la popolazione anziana.
Per quanto riguarda i test di personalità il problema è quello della compatibilità degli stimoli con una popolazione anziana, qui facciamo riferimento a problematiche di mancata familiarità con certe situazioni stimolo oppure con una inadeguatezza dei contenuti delle domande dei questionari rispetto a quelle che sono le esperienze e condizioni di vita del paziente anziano da valutare.
Nel caso invece dei test relativi alle funzioni cognitive il problema è legato ai criteri quantitativi di normalità. Abbiamo detto infatti che il risultato alle prove cognitive non è appartiene quel particolare paziente. Ciò non è generalmente vero per tutti i test in uso e quindi spesso ci troviamo di fronte a dati poco utili per una valutazione clinica o arbitrariamente impiegati per arrivare a delle conclusioni diagnostiche che risulteranno in questo caso distorte e non attendibili.
In questo campo sono in uso delle scale di valutazione clinica standardizzata (Rating Scales) le quali non sono dei test, cioè veri e propri strumenti di misura, ma che permettono di seguire una procedura convenzionalmente predeterminata per arrivare a ottenere una valutazione simil-quantitativa dello stato funzionale del paziente anziano (per esempio, del suo livello di autonomia funzionale nelle attività quotidiane) che può essere di ausilio nelle indagini diagnostiche, ma soprattutto nel monitoraggio delle sue condizioni cliniche qualora queste vengano ripetute periodicamente nel tempo.

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Invecchiamento e quadro cognitivo-comportamentale dell’anziano

MEDICINA ONLINE AMORE ANZIANI VECCHI NONNI COPPIA MATRIMONIO DIVORZIO SEPARAZIONE SENESCENZAL’invecchiamento come cambiamento fisiologico dell’individuo

Il processo di modificazione con l’età, l’invecchiamento, interessa tutti gli organi e apparati dell’organismo umano. Non è invece uguale per tutti la velocità con cui le modificazioni correlate con l’età si evidenziano nelle varie funzioni. Questa eterogeneità di velocità di modiflcazione è presente anche per quanto riguarda le funzioni espresse dal SNC per cui, per esempio, non tutte le varie abilità che danno luogo a quel quadro di insieme che chiamiamo intelligenza si modificano con la stessa velocità in base all’età del soggetto. Addirittura venne fatta una distinzione fra quella che venne chiamata intelligenza fluida e quella definita intelligenza cristallizzata, distinzione con la quale si intendevano da un lato le caratteristiche più sensibili al processo di invecchiamento e dall’altro quelle più resistenti e meno variabili in relazione al trascorrere dell’età cronologica (Cattell, 1971): le prime costituite dalla capacità di ragionare in modo flessibile e astratto, le seconde invece costituite da quelle abilità che si vengono a organizzare nel corso dell’esperienza che l’individuo fa giorno per giorno.

Altri aspetti cognitivi sensibili all’influenza dell’invecchiamento sono comunemente ritenuti quelli del funzionamento della memoria o per lo meno di alcuni aspetti del processo di memorizzazione. Tuttavia l’ampia attività di ricerca svolta in questo campo non ha ancora definitivamente chiarito quanto queste modificazioni obiettivabili attraverso la misura delle funzioni cognitive dipendano da modificazioni biologiche e strutturali, correlate con l’età e quanto invece possano essere ricollegate a fattori causali non biologici, ma legati a diversi adattamenti funzionali o a diverse configurazioni di condizioni esterne. Per esempio uno dei parametri di valutazione del funzionamento della memoria è la produttività, cioè la quantità di elementi ricordati rispetti a quelli presentati come stimoli. Le possibili strategie cognitive a disposizione per la memorizzazione degli elementi presenti nello stimolo possono essere varie, ma non necessariamente dare, dal punto di vista della produttività, risultati differenti fra loro; quindi noi potremmo avere che in compiti valutati secondo la produttività possono non essere presenti differenze tra individui di età diverse, mentre se potessimo valutare il tipo di strategie applicate per ottenere quel risultato apparentemente uguale per tutti, potremmo identificare tra individui di età diverse delle differenze, in quanto individui più giovani impiegano strategie di memorizzazione diverse da quelle impiegate da individui più avanti con l’età. Da questi risultati è evidente che il sistema biologico memoria evolve modificando le sue caratteristiche funzionali interne senza necessariamente modificare in maniera evidente l’output osservabile dall’esterno.

Le condizioni cliniche rilevanti nel quadro cognitivo-comportamentale dell’ anziano

Nell’età più avanzata la salute mentale dell’anziano tende a essere caratterizzata da quadri clinici in qualche modo diversi e distinguibili da quelli presenti nelle precedenti fasce di età dell’adulto. Per esempio si tende a differenziare un quadro ricorrente di depressione che continui anche nell’età anziana di un individuo dalla depressione dell’anziano che invece è un quadro clinico depressivo a insorgenza nell’età avanzata in una persona senza nessun precedente anamnestico in questo senso. Un altro esempio di disturbi specifici dell’anziano sono le demenze intese come disturbi che iniziano con sintomi selettivamente di tipo cognitivo e che poi evolvono generalizzandosi al comportamento e ad altri aspetti della vita mentale del paziente. In generale il rischio di malattia, non solo di tipo neurologico o psichiatrico, aumenta nell’anziano rispetto alle altre fasce della popolazione: questo perché nel contesto attuale della medicina la gran parte dei disturbi cronico-degenerativi non è risolvibile con appropriate strategie terapeutiche e quindi si assiste all’intensificarsi della loro sintomatologia con l’incremento dell’età cronologica del paziente o conseguentemente slatentizzano la loro presenza come malattie vere e proprie in individui più avanti con l’età data l’impossibilità di interrompere o di risolvere i loro processi fisiopatologici nelle fasce di età precedenti.

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