Prima di iniziare la lettura, per comprendere meglio l’argomento, leggi questo articolo: Vetrinizzazione sociale: social network e corpo-packaging
Con “vetrinizzazione sociale” in psicologia si intende un fenomeno sociale caratterizzato dalla spettacolarizzazione di sé stessi, della propria vita e di tutto ciò che è ad essa relativo. Il fenomeno è stato particolarmente enfatizzato dai primi anni del 2000 in poi dalla progressiva diffusione di piattaforme di streaming/live streaming e social network come Facebook, Instagram, YouTube, Twitch e Tik Tok, tuttavia è nato nel Settecento con la comparsa del concetto di “vetrina di negozio“. Il maggior studioso della vetrinizzazione sociale è considerato il sociologo italiano Vanni Codeluppi.
Città come vetrina
La città e il consumo hanno da sempre avuto un legame stretto. A metà dell’Ottocento le città hanno iniziato a perdere i loro confini a causa dello sviluppo del capitalismo e dei mercati e gli individui hanno quindi iniziato ad adattarsi ai nuovi spazi: la moda nacque proprio in questo periodo di crescita dello spazio urbano a Parigi e iniziò ad incrementare continuamente il commercio con nuovi prodotti; questo portò alla modifica e all’ampliamento dei luoghi di consumo. Il rapporto tra moda e città è quindi un rapporto molto stretto: la città permette alla moda di esprimersi ed esibirsi (città-spettacolo) e negli anni la moda è riuscita a modificare la struttura delle città secondo i suoi bisogni. Le vetrine oggi popolano le città e le città stesse si stanno sempre più trasformando in una vetrina con la sua logica comunicativa, diventando “città vetrinizzate“. Il consumo ha fatto suoi gli spazi e i tempi urbani, riempiendo il centro delle metropoli di negozi mentre le strutture abitative si sono dovute spostare nelle periferie: questo ha portato la città ad essere in continuo movimento e cambiamento per adattarsi alle caratteristiche stesse del consumo ed alla logica dell’apparenza.
Disneyzzazione
Il sociologo Alan Bryman nel volume The Disneyzation of Society del 2004, parla di un processo di “Disneyzzazione” della società ed in particolare delle città. Bryman ritiene che la realizzazione delle città e delle strutture pubbliche nel mondo occidentale siano sempre più ispirate ai parchi a tema disneyani. Le città dotate di grandi risorse architettoniche quindi cercano sempre più di mettersi in mostra liberando la loro zona centrale dai residenti per trasformarla in qualcosa di spettacolare attraverso il restauro e la costruzione di nuovi edifici e negozi per attrarre l’attenzione dei turisti. La tendenza di molte città delle società industrializzate è quella di prediligere il marketing alla storia della città stessa. Questo modello di spettacolarizzazione delle città è stato adottato anche per luoghi abitati e zone residenziali come la città Celebration in Florida in cui i suoi 20.000 abitanti e tutti i suoi visitatori vengono circondati da architetture vistose di sei possibili stili: classico, vittoriano, coloniale, costiero, mediterraneo e francese. Le realtà Disneyzzate non hanno all’apparenza difetti e proprio per questo sono avvertite come poco autentiche e “finte”; c’è bisogno quindi di inserire qualche dettaglio tipico delle classiche città come ad esempio paradossalmente dei rifiuti finti ai bordi delle strade: la città Disneyzzata e vetrinizzata si è talmente rifatta il look per apparire perfetta, che ha bisogno di inserire qualche difetto finto per non apparire “di plastica“. Per rendere questi luoghi più interessanti e dare loro un’identità vengono, inoltre, organizzati eventi per suscitare l’effetto sorpresa come succedeva durante il periodo Barocco nel Seicento-Settecento. In passato però gli eventi avevano dei confini ed erano dei momenti riservati, mentre le città Disneyzzate rompono questi confini: la città diventa città-spettacolo, la distinzione tra scena e platea non esiste più e lo spettatore prende parte allo spettacolo diventando egli stesso un attore, sentendosi coinvolto e valorizzato.
Reality show
I reality show sono un perfetto esempio di vetrinizzazione sociale, in cui il confine tra privato e sociale e quello tra realtà e finzione si dissolvono a tal punto da non permettere più di distinguere una cosa dall’altra. La realtà quotidiana e quasi banale di un individuo, anche senza che quest’ultimo possegga qualità specifiche, diventa la base su cui costruire un intero programma televisivo, anzi diventa proprio il programma televisivo in sé. Gli spettatori che apparentemente non avrebbero nulla di guadagnare guardando persone in genere normali interagire tra di loro, al contrario si appassionano allo show perché si trovano ad immedesimarsi nei personaggi grazie al vero che vedono in essi, nonostante la vita rappresentata nei reality sia una costruzione televisiva pensata per incuriosire e per far sì che gli spettatori si appassionino alle vicende dei concorrenti. In altre parole, i reality show hanno ben poco di “reality”, ma appassionano comunque perché create apposta per interessare all’uomo medio e senza qualità che rivede sé stesso in quelle persone prive di talento che popolano lo show. La presenza della realtà nei programmi televisivi è una delle colonne portanti della televisione. Negli anni i reality show hanno dovuto evolversi e cercare continue novità per non perdere audience e sono stati sempre più incentrati sul racconto della vita quotidiana. Lo spettatore rimane sorpreso dal fatto che uno sconosciuto come lui possa diventare famoso (mondanizzazione dei divi) senza che gli siano richiesti particolari requisiti e si illude quindi di poter raggiungere lo stesso livello di notorietà e quindi di poter guadagnare molti soldi e fama unicamente per il fatto di essere famoso. L’individuo nella società odierna, attraverso la vetrinizzazione di sé stesso, prende quindi le parti del divo mettendo in mostra non solo le sue capacità ma anche le sue emozioni e tutto ciò che è legato alla sua sfera privata attraverso i social network, con la speranza di raggiungere fama e denaro con poco sforzo e senza possedere qualità particolari.
Morte vetrinizzata
Nelle civiltà del passato la morte era un fenomeno condiviso socialmente ed era visto come l’inevitabile fine della vita di ogni individuo, mentre oggi è diventato un fenomeno individuale visto come una violenza ingiusta che ogni essere umano deve subire. Nonostante questa differenza il fenomeno della decomposizione del corpo è da sempre qualcosa con cui le società di tutti i tempi hanno evitato il più possibile di confrontarsi, perché – al netto della religione – ci spaventa il pensiero che la nostra vita sia non infinita e che ognuno di noi tornerà ad essere concime per le piante. In passato si cercava di trattare il corpo per evitare la decomposizione ma comunque senza cercare di nascondere la sua condizione di morte mentre oggigiorno sempre di più ci si avvicina al modello statunitense “funeral home”, in cui si cerca di far sembrare il morto più vicino possibile al suo aspetto di quando era ancora in vita. Anche ai cimiteri viene cambiato l’aspetto architettonico per renderli più piacevoli alla vista. Esistono negli ultimi anni persino tombe dotate di monitor che permettono di rivedere il deceduto in vita in un videomessaggio registrato prima della morte. La morte viene quindi vetrinizzata, al pari dell’individuo, delle città e della società. La vetrinizzazione della morte è anelata soprattutto perché priva il più possibile i decessi da tutto ciò che spaventa gli individui ancora in vita. La morte vetrinizzata è meno “morte reale”: viene trasformata in qualcosa che si allontana dalla realtà pur essendo realtà. La morte e la sofferenza legata ad essa vengono inoltre spettacolarizzate attraverso i media e le pagine di cronaca nera. Gli atti di violenza che vengono mostrati dalla televisione ma anche attraverso immagini e video sui social network, sono entrati a far parte della vita dell’individuo. Nella logica del consumismo, anche la morte è diventata un prodotto da consumare.
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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine
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