La storia di Diane: ancora viva perché il suo cane le ha fiutato un tumore al seno

Il fiuto che salva: la storia di Diane e del suo dobermann Troy. Diane Papazian, 57 anni, residente a New York, ha vissuto un’esperienza che ha dell’incredibile e che, al contempo, sottolinea le potenzialità dell’olfatto canino nel campo della diagnosi precoce oncologica. La donna attribuisce la propria diagnosi tempestiva e la successiva guarigione da un carcinoma mammario al Continua a leggere

Tumore al seno: quando fare i test genetici?

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO DONNA NUDA BELLA CORPO ESTETICA BELLEZZA FISICO MAGRAPrima c’è stata Angelina Jolie che ha annunciato di essersi sottoposta a doppia mastectomia preventiva ed ha scatenato il dibattito sull’opportunità di interventi chirurgici al seno in caso di rischio ereditario di cancro al seno. Ora, a riproporre la questione ci ha pensato il New York Times che, pubblicando in prima pagina una foto shock – quella che vedete qui in alto – che mostra il seno di una donna ebrea (identificabile dal tatuaggio di una stella di David), ha alimentato nuovamente il confronto, con particolare attenzione alla maggiore probabilità che le donne israelitiche avrebbe proprio in quanto portatrici di mutazioni genetiche che favorirebbero uno sviluppo significativo di questa forma tumorale. Ma sono davvero utili questi test genetici? E per quali soggetti in particolare? “Vanno fatte alcune premesse doverose, la prima delle quali è che il 90-95% delle alterazioni dei geni avviene durante la vita adulta delle cellule, dunque la maggior parte delle trasformazioni non è ereditabile né trasmissibile” chiarisce il dottor Marco Pierotti, tra i massimi esperti di tumori al seno, direttore scientifico dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano.

Dopo il caso di Angelina Jolie, si torna a parlare di test genetici per scoprire preventivamente se si è soggetti a rischio ed eventualmente intervenire, magari con una mastectomia.

Intanto, occorre chiarire che solo il 5%-10% dei tumori è causato da mutazioni genetiche trasmesse per via ereditaria. Bisogna anche ricordare che per avere una completa trasformazione, cioè arrivare alle metastasi (che sono il vero pericolo in caso di tumori, Ndr), occorre l’alterazione di 5-6 geni diversi della stessa cellula, che portano ad un’evoluzione maligna del tumore.

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Chi dovrebbe sottoporsi a questi genetici? Vale la pena allarmarsi?

Innanzitutto va detto che il test genetico, in termini di costi-benefici, non si applica a tutti i soggetti: occorre prima di tutto che in famiglia ci sia stato qualche caso di tumore dello stesso tipo, ovvero al seno o alla mammella, che sono equiparabili per le analoghe implicazioni ormonali. Occorre poi valutare l’età dei soggetti con lo stesso tumore perché, generalmente, nelle famiglie con predisposizione ereditaria questi insorgono ad un’età più precoce di quanto accade nella popolaqzione generale e, solo successivamente, si inizia un percorso fatto di tappe ben precise.

Quali sono queste tappe?

Per prima bisogna bisogna avere un’informazione della storia, in senso tumorale, della famiglia del soggetto in questione. Questo è molto importante, tanto che se il contesto culturale non è sufficiente, si fa ricorso al medico di famiglia. E’ necessario raccogliere elementi concreti sulla storia familiare. Se poi c’è un soggetto in famiglia che ha avuto un tumore al seno, sarà proprio il primo a sottoporsi a questa procedura, definita “consulenza genetica” a cura di specialisti medico-genetisti e, se è il caso, al test genetico. La seconda tappa, se il test dà esito positivo, è quella di sottoporre anche i familiari potenzialmente a rischio, ad esempio la figlia di una donna che ha avuto la malattia. Il tutto – ribadisco – passando da un approfondito colloquio con un esperto di genetica.

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A questo punto, cosa si deve fare, se anche la figlia risulta positiva ai test?

Se si accerta la presenza di un fattore di rischio, le strade sono due: la prima è quella di uno screening ravvicinato, soprattutto per soggetti giovani, che può essere rappresentato da un accertamento eseguito attraverso una risonanza magnetica nucleare. Questo perché si è visto, dai dati ottenuti in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità, che l’ecografia e la mammografia da sole possono non essere informative in soggetti giovani per la particolare struttura del tessuto mammario. Oppure, se il soggetto presenta un rischio davvero molto elevato, si può anche proporre un intervento chirurgico profilattico come la mastectomia. Tutto questo almeno finché non troveremo risposte significative e adeguate attraverso la via della chemioprevenzione, ovvero una pillola da assumere per tutta la vita, come per il diabete.

Ma sono in molti a risultare positivi ai test genetici?

Noi, come Istituto Nazionale dei Tumori grazie a un finanziamento dell’Airc, abbiamo iniziato a lavorare ai test genetici nel 1995, ovvero un anno dopo la scoperta del secondo gene (Brca-1 e Brca-2) e da allora possiamo dire di avere cominciato a “razionalizzare” un problema che era noto già prima. Da allora abbiamo tipizzato quasi 1.400 famiglie italiane; si tratta di circa il 40% delle famiglie italiane che hanno presentato un problema di tumore al seno di natura eredo-famigliare. I test sono utili, ma vanno inquadrati in un percorso definito, come detto. Va anche precisato che, in una famiglia in cui ad una paziente sia stata trovata una mutazione in uno dei due geni a rischio, in realtà la metà delle donne risulta esclusa dal rischio, dopo aver effettuato l’esame. E’ importante dare informazioni chiare e dettagliate, perché le donne possano fare scelte consapevoli. A confortarci è un dato, frutto di un lavoro pubblicato una decina di giorni fa: un nostro team, composto anche da psicologi e clinici, ha analizzato l’impatto sulle donne sottoposte a mastectomia profilattica bilaterale rispetto ad altre donne che invece che invece avevano optato per programmi di screening ravvicinati. A distanza di 15 mesi dalle scelte delle pazienti, in entrambi i casi le scelte erano state confermate, non c’era stato alcun impatto negativo, segno che le informazioni fornite erano state corrette e avevano portato a decisioni su cui non ci sono stati pentimenti.

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Ma le donne sono più propense alla mastectomia o ad esami più numerosi e ravvicinati?

I numeri ci dicono che il 62% delle donne che aveva già avuto un problema di tumore opta per l’intervento chirurgico, mentre nei soggetti sani ma con un elevato rischio di ereditarietà, come nel caso di Angelina Jolie, la percentuale crolla al 30%.

Cosa ne pensa della scelta proprio di Angelina Jolie?

Penso che, per come è stata presentata la situazione, abbia inciso molto una sorta di “sudditanza psicologica” da personaggi vip. Dopo l’annuncio dell’attrice noi abbiamo ricevuto circa il doppio di richieste telefoniche per test genetici, alle quali abbiamo risposto che prima del test andava analizzata la storia della famiglia e che nella stragrande maggioranza questo già avrebbe escluso la necessità di fare il test. Infatti, oltre il 99% delle richieste, però, è risultato improprio, non c’era proprio ragione per fare questo tipo di accertamento.

Cosa ci può dire, invece, Dottore della maggior incidenza di rischio di tumore al seno nelle donne ebree, come scritto dal New York Times?

Non si tratta di tutte le donne ebree, ma solo di quelle Ashkenazi , un ceppo originario dell’Europa centrale, protagonista di un forte flusso migratorio. A causa di una deriva genetica per consanguineità è vero che esiste nelle donne Ashkenazi una specifica mutazione. Ma non è un caso isolato: basti pensare che è stata da noi scoperta una nuovissima mutazione, mai descritta prima, nelle valli bergamasche. Risale a 3.000 anni fa, nasce lì e lì è vero che interessa una buona parte della popolazione a rischio genetico che – ripeto – interessa solo il 5-10% dei tumori.

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I pomodori proteggono dal rischio di cancro al seno

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO PASTA DIETA MEDITERRANEA CUCINARE CIBO DIETA DIMAGRIRE CUCINA POMODORI (3)Dopo la menopausa le donne vedono aumentare il proprio rischio di cancro al seno quando il loro indice di massa corporea tende ad aumentare (clicca qui per calcolare il tuo indice di massa corporea). Uno studio della Rutgers University ha verificato che seguire una dieta ricca di pomodori può proteggerle da questo rischio, grazie all’effetto positivo sui livelli di ormoni che hanno un ruolo decisivo nel regolare il metabolismo dei grassi e degli zuccheri.

Frutta e verdura sono ricche di nutrienti essenziali, vitamine, minerali e antiossidanti come il licopene, in grado di apportare benefici significativi all’organismo. “Crediamo che un consumo regolare almeno delle porzioni giornaliere consigliate di frutta e verdura possa promuovere la prevenzione del cancro al seno nella popolazione a rischio”, ha dichiarato Adana Llanos, assistente di Epidemiologia alla Rutgers University, del New Jersey e autrice principale dello studio pubblicato sul Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism. Llanos e colleghi hanno messo a confronto gli effetti del pomodoro con quelli della soia su un gruppo di 70 donne in post-menopausa.

Lo studio ha dimostrato che con la dieta a base di pomodori i livelli di adiponectina (un ormone che regola i livelli di grasso e zucchero nel sangue) aumentavano del 9 per cento, con un effetto lievemente più marcato sulle donne con un indice di massa corporea più basso. Al contrario quando le partecipanti hanno seguito una dieta ricca di soia i loro livelli di adiponectina risultavano diminuiti. Non è quindi forse da ricercare nella soia il motivo per il quale le donne asiatiche, che ne consumano più delle americane, presentano tassi più bassi di cancro al seno.

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I consigli per avere un seno tonico e sodo

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO DONNA NUDA BELLA CORPO ESTETICA BELLEZZA FISICO MAGRALa zona décolleté è tra le più delicate e preziose per una donna. Ed è anche quella su cui finiscono immancabilmente gli occhi di tutti gli uomini. Il seno, infatti, è e rimane uno degli elementi del corpo femminile che più piace agli uomini. Alla base di questa attrazione ci sono ragioni di natura estetica, ma ci sono anche motivi legati alla salute e al benessere fisico.

Ma cosa fare per mantenere un seno perfetto? Ecco qualche suggerimento rapido!

  • evitare brusche perdite di peso;
  • mangiare cibi che contengano fitoestrogeni (ormoni vegetali) contenuti in alimenti come soia, legumi, ortaggi a foglia verde;
  • eseguire quotidianamente esercizi necessari a tonificare e a rinforzare la zona toracica ricordando però che il seno femminile non è formato da un muscolo ma da tessuto adiposo per cui non si sviluppa con l’attività fisica;
  • mantenere sempre una postura eretta;
  • indossare reggiseni comodi ed adatti alle proprie misure;
  • non esporre il seno al sole senza l’uso di creme specifiche;
  • non massaggiare in maniera troppo aggressiva.

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Una alimentazione sana migliora la salute delle pazienti con tumore al seno

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO VERDURA CIBO VEGETALI DIETA DIMAGRIRE CUCINA (2)Tutti gli studi scientifici degli ultimi anni confermano che un’alimentazione sana e naturale è necessaria per garantire al nostro organismo il benessere psico-fisico che merita. Mangiar bene significa soprattutto prevenire le più diffuse malattie, come quelle cardiovascolari (infarto del miocardio, ictus cerebrale), quelle tumorali (si pensi a come influisce una dieta ricca di carni grasse e povera di fibre, nella patogenesi del cancro al colon retto) ed endocrine (diabete, obesità). Ma alimentazione sana non significa solo prevenzione: un paziente che mangia bene ha sempre una prognosi migliore rispetto ad un paziente con pari condizione fisica e patologia, ma che mangia “male”. Anche coloro che si sono ammalati di cancro possono andare incontro a essenziali benefici (prognosi migliore, minor rischio di recidive) seguendo un’equilibrata nutrizione. Ciò è stato dimostrato dal “progetto Diana“, introdotto dall’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano e dall‘Istituto Europeo di Oncologia e dal professor Berrino, ossia direttore del Dipartimento di Medicina Preventiva e Produttiva dell’Istituto Nazionale di Tumori di Milano.

Lo studio ha come obiettivo quello di verificare la prevenzione delle recidive del tumore al seno in base all’alimentazione e allo stile di vita facendo sport e attività fisica. Tale progetto è stato mirato soprattutto a donne che hanno subito operazione al seno negli ultimi 5 anni e che si sono messe subito all’opera con le indicazioni alimentari specifiche. Malgrado i dati finali si sapranno l’anno prossimo, in questo momento si sa con certezza che il cibo sano, ricco di fibre e proteine di origine vegetale, poco abbondante e privo di carne, si rivela essere un ottimo alleato per mantenere e migliorare lo stato di salute oramai compromesso da una grave malattia come il tumore mammario.

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Il colesterolo alimenta il cancro al seno

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO DIMAGRIRE GRASSO DIETA DIETOLOGIA CALORIE IPOCALORICA OBESO OBESITA SOVRAPPESO KG BILANCIA (2)Un derivato del colesterolo può alimentare la crescita e la diffusione del cancro al seno, secondo un gruppo di ricercatori della Duke University (Usa), che aprono con i loro studi alla prospettiva di assumere farmaci come le statine per prevenire il tumore. Il lavoro, pubblicato sulla rivista ‘Science’, aiuta anche a spiegare perché l’obesità è un importante fattore di rischio di neoplasie. Studi precedenti avevano già ipotizzato che il grasso nelle persone in sovrappeso contribuisse a mandare in circolo ormoni come gli estrogeni, che guidano la crescita dei tumori. Il team americano dimostra ora che il colesterolo ha un effetto simile.

Il colesterolo, all’interno del nostro organismo, viene diviso in 27Hc, sostanza che può imitare gli estrogeni e produrre gli stessi loro effetti in alcuni tessuti. Esperimenti su topi hanno evidenziato che una dieta ricca di grassi, che aumenta i livelli di 27Hc nel sangue, danno luogo a tumori che risultano il 30% più grandi rispetto a quelli che possono insorgere in topi che seguono una dieta normale. E le neoplasie hanno anche maggiori probabilità di diffondersi, soprattutto quello al seno.

Uno dei ricercatori, Donald McDonnell, sottolinea: “Molti studi hanno finora dimostrato un legame tra obesità e cancro al seno. In particolare, il colesterolo elevato è associato al rischio di malattia. Ma il meccanismo che spiega il fenomeno non era ancora stato identificato. Quello che abbiamo rilevato è una molecola (non il colesterolo in sé, ma un metabolita) chiamata 27Hc che ‘imita’ l’estrogeno e può dar vita autonomamente alla crescita del cancro al seno”.

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Quando una mammella non si sviluppa: la Sindrome di Poland

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO CHIRURGO SENO MAMMELLA REGGISENO PETTO TORACE SESSO (2)La sindrome di Poland, dal nome del chirurgo inglese Alfred Poland che la descrisse nel 1841, è una delle anomalie del seno più gravi e più rare. In media ne soffre circa una donna su 7-10mila, ma sono colpiti anche gli uomini. Esiste anche una patologia chiamata Sindrome di Poland-Möbius, la quale è invece una combinazione della sindrome di Poland e della sindrome di Möbius di tipo II, considerata come una forma a sé stante, a trasmissione autosomica dominante.

Vedi anche: FOTO DI PAZIENTE CON SINDROME DI POLAND

Come si presenta?

In base alla descrizione dello stesso Poland, l’anomalia consiste in una serie di sintomi unilaterali (il problema è limitato ad una sola mammella):

  • Ipoplasia o aplasia (ridotte dimensioni per sviluppo deficitario o assenza completa) dei muscoli pettorali.
  • Assenza dei muscoli serrato anteriore, gran dorsale e deltoide, assenza di parti del muscolo obliquo esterno.
  • Scarso sviluppo (o assenza completa) delle ghiandole mammarie e del capezzolo
  • Depressione delle coste: aplasia o malformazione delle cartilagini costali 2a-4a o 3a-5a.
  • Ipoplasia della cute e del grasso sottocutaneo.
  • Malformazioni delle scapole e dell’avambraccio.
  • Malformazioni delle dita delle mani: brevità delle dita, specialmente dell’indice, medio ed anulare, per l’accorciamento o l’assenza della falange intermedia; sindattilia semplice completa delle dita ipoplasiche.
  • Rotazione dello sterno verso il lato coinvolto e assenza di peli ascellari.

Problematiche legate alla sindrome

Sono diverse le problematiche che si legano alla sindrome di Poland:

  • Problemi estetici.
  • Problemi di natura psicologica.
  • Problemi funzionali: movimenti parossistici della parete toracica e progressiva erniazione del polmone attraverso il difetto
  • Riduzione della funzionalità polmonare.
  • Debolezza muscolare.
  • Problemi funzionali alla mano.
  • Problemi psicologici dei genitori della paziente.
  • Scoliosi toracica.

Leggi anche: Storia di un seno: dall’embrione alla menopausa

Cause

Si tratta di una malformazione presente dalla nascita, che si manifesta durante l’età puberale attraverso il mancato sviluppo della mammella. Ancora oggi non si conosce con certezza la causa della sindrome, anche se si suppone possa essere un anomala formazione della vascolarizzazione embrionale con interruzione dell’arteria succlavia, intorno al 46° giorno di sviluppo embrionale, che causerebbe precoce insufficienza di afflusso all’arto distale e alla regione pettorale e conseguenti eventi malformativi caratteristici della condizione. I motivi dell’interruzione non sono noti, potrebbero derivare da esposizione a fumo, farmaci, traumi oppure da fattori genetici. La domanda che spesso mi sento dire è questa:

Chi ha la Poland può trasmetterla ai propri figli?

Purtroppo, come prima dicevo, non si conosce ancora con precisione l’eziologia della Sindrome di Poland, tuttavia i dati sono confortanti: la grande maggioranza dei casi di Sindrome di Poland sono sporadici, cioè un solo caso in famiglia, con un rischio di ricorrenza trascurabile. Molto raramente la Sindrome è presente in più di un membro della famiglia.

Leggi anche: Malattia di Paget del capezzolo: sintomi precoci, cause e cure

Diagnosi

La diagnosi della Sindrome di Poland è clinica e ad oggi non sono stati ancora individuati fattori genetici causativi o predisponenti. La diagnosi prenatale è possibile ecograficamente solo in presenza di sospetto diagnostico (ad esempio genitore e/o altro figlio affetto) attraverso il possibile riscontro di anomalie agli arti. Senza anomalie degli arti non è possibile oggi alcuna diagnosi prenatale ecografia. Vista l’assenza ad oggi di geni responsabili di Poland e la non di associazione con anomalie cromosomiche note, in gravidanza non vi è alcuna indicazione all’esecuzione di diagnosi prenatale invasiva (amniocentesi e/o villocentesi).

Terapie

Se manca solo la ghiandola, si procede a una mastoplastica additiva, che consente di dare al seno il volume mancante. Se invece la malformazione riguarda anche la muscolatura, si rimedia utilizzando un lembo del muscolo gran dorsale, la cui sede naturale è la metà superiore laterale della schiena: nei casi in cui il seno da ricostruire sia di piccole dimensioni, l’intervento consiste nel fare ruotare il gran dorsale sul davanti; nei casi in cui si debba ottenere un volume maggiore, si ricorre invece al contestuale inserimento di protesi al silicone. Per quanto riguarda la convalescenza, durante i primi 3-4 giorni c’è bisogno di assistenza; poi avviene un recupero graduale, che si completa in 10-15 giorni. I punti, se non riassorbibili, si rimuovono dopo 10-12 giorni. Sulla schiena resta solo una cicatrice trasversale, senza danni funzionali. I risultati estetici sono stabili nel tempo, in quanto il seno ricostruito invecchia in tempi molto simili rispetto all’altro. In seguito all’intervento non è possibile allattare.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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Capezzolo introflesso: cause, sintomi e cure

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO SENO MAMMELLA CAPEZZOLO AREOLAIl capezzolo introflesso è una malformazione caratterizzata dall’assenza di prominenza del capezzolo, che risulta quindi come «risucchiato» all’interno del seno. Vari i gradi dell’anomalia, che può interessare sia una sola mammella che entrambe. Nella forma lieve, detta reversibile, il capezzolo, introflesso a riposo, può estroflettersi manualmente o con il freddo, mentre nelle forme più gravi rimane introflesso anche se stimolato.

CAUSE

Questa anomalia è determinata da dotti galattofori (i tubicini che durante l’allattamento portano il latte al capezzolo) troppo corti, che trattengono all’interno della mammella il capezzolo. L’origine del problema, che colpisce in media 20 donne su mille, è di solito ereditario; in rari casi può essere causato da infiammazioni o da interventi chirurgici. Infine, si può presentare dopo l’allattamento e, purtroppo in alcuni tumori della mammella.

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TRATTAMENTI

Quando il capezzolo introflesso non è espressione di patologia e non crea disagio nella paziente, una delle soluzioni può anche essere quella di non fare assolutamente nulla. In caso di patologia si dovrà affrontare la causa a monte che ha determinato l’introflessione del capezzolo. In caso di disagio la medicina estetica può intervenire in vari modi.

Ventosa
Nei casi più lievi, per correggere l’anomalia si può ricorrere a dispositivi, simili a piccole ventose, che, creando dall’esterno un vuoto con pressione negativa, spingono il capezzolo in fuori. Devono essere applicati per circa 6-8 ore al giorno per almeno tre mesi. Gli svantaggi? Sono scomodi e visibili attraverso i vestiti. Inoltre, se la pelle è molto delicata, possono provocare l’ulcerazione del capezzolo.

Trattamento chirurgico
L’alternativa chirurgica consiste nell’effettuare una piccola incisione a livello del capezzolo, attraverso la quale rimuovere i tralci fibrosi e i dotti galattofori troppo corti. Al termine dell’operazione, il capezzolo verrà suturato sia all’interno (pull out), per proiettarlo in fuori, che sulla cute esterna (per affrancare meglio i margini). Poi verrà posizionata una medicazione ad anello (detta a ring). L’intervento, che ha una durata di 30-60 minuti, avviene in anestesia locale e in regime di day surgery. La medicazione applicata sulla mammella verrà rimossa dopo circa 5-7 giorni, eventuali punti di sutura, se non riassorbibili, dopo circa 10 giorni. Inizialmente la zona potrà risultare tumefatta, ma il gonfiore si ridurrà progressivamente fino a scomparire nell’arco di due settimane circa. All’inizio la sensibilità di areola e capezzolo potrebbe essere alterata: ma si tratta di una condizione provvisoria, destinata a tornare alla normalità nell’arco di alcune settimane o di pochi mesi. In seguito a questa operazione, non è più possibile allattare.

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