Morire di dolore dopo la perdita del coniuge: ecco perché accade

Depressed elderly womanDopo molti anni di matrimonio vissuti uno al fianco dell’altra, è estremamente duro andare avanti da soli. La casa così grande e silenziosa, il letto vuoto e freddo e nessuno che ti sorride al mattino. Così, molto spesso quando un’anziano muore, poco tempo si verifica il decesso anche dell’altro coniuge. Una storia tanto triste che ora però, grazie a un nuovo studio dell’Università di Birmingham, acquista anche delle ragioni scientifiche. La ricerca, pubblicata sulla rivista Immunity and Ageing sostiene che con la vecchiaia si altera il modo in cui il nostro sistema immunitario reagisce al dolore e al lutto. Sembra infatti che il dolore possa influenzare il nostro sistema immunitario tramite gli ormoni dello stress.

I ricercatori sono partiti dalla constatazione che i giovani sono più resistenti al dolore, mentre le persone anziane si ammalano più facilmente. Così hanno studiato le reazioni di 41 persone di circa 30 anni e di 52 settantacinquenni. Alcuni di loro avevano provato un grande dolore altri invece no. Gli scienziati hanno misurato l’effetto del lutto sulla funzione dei neutrofili (un tipo di globuli bianchi fondamentali per combattere le infezioni ) sul cortisolo, il cosiddetto ‘ormone dello stress’ e sul deidroepiandrosterone solfato (DHEAS), un ormone maschile chiamato ‘ormone della giovinezza’.

Le analisi hanno mostrato che i partecipanti anziani che avevano vissuto un lutto, avevano una bassissima funzione immunitaria, alti livelli di ormone dello stress e la funzione dei neutrofili più debole rispetto al gruppo dei giovani. Questo si traduce nel fatto che gli anziani che hanno vissuto un grande dolore hanno maggiori probabilità di avere un sistema immunitario compromesso. “La ragione è che gli anziani hanno già un sistema immunitario invecchiato e quindi meno in grado di rispondere a nuovi patogeni” spiega l’autore dello studio Anna Phillips, ricercatore in medicina comportamentale presso l’Università di Birmingham. “Abbiamo bisogno di ormoni bilanciati per mantenere il nostro sistema immunitario sotto controllo, ma dopo i 30 anni la quantità di DHEAS che produciamo inizia a diminuire. Gli anziani che hanno partecipato allo studio avevano infatti il 20% di DHEAS in meno rispetto alla quantità che avevano in gioventù” afferma Phillips.

Lo studio rivela infine che l’interazione tra dolore e ormoni dello stress sul sistema immunitario potrebbe spiegare la morte a breve distanza del partner che rimane da solo. “Tutti conosciamo storie di qualche anziano che muore e l’altro coniuge, perfettamente sano, se ne va poco dopo. Con lo stress da lutto i neutrofili smettono di funzionare bene, e può succedere che se l’anziano vive un trauma (come una caduta o una broncopolmonite) diventi più sensibile a nuove infezioni”.

Leggi anche:

Lo staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o seguici su Twitter, su Instagram o su Pinterest, grazie!

Differenza tra immunità umorale e cellulare

MEDICINA ONLINE SISTEMA IMMUNITARIO IMMUNITA INNATA ASPECIFICA SPECIFICA ADATTATIVA PRIMARIA SECONDARIA  SANGUE ANALISI LABORATORIO ANTICORPO AUTO ANTIGENE EPITOPO CARRIER APTENE LINFOCITI B T HELPER KILLER MACROFAGI MEMORIALa risposta immunitaria è una forma di difesa dell’organismo verso cellule o sostanze non self (estranee all’organismo) o comunque ritenute potenzialmente dannose per l’organismo. La risposta immunitaria può essere specifica (o adattativa) o aspecifica (innata). La risposta immunitaria specifica può essere ulteriormente distinta in due tipi: umorale o cellulo-mediata.

Le risposte umorali avvengono mediante la produzione d’immunoglobuline, chiamate anche anticorpi, prodotte dai linfociti B in risposta alla penetrazione di un antigene nell’organismo.

La reazione cellulo-mediata avviene mediante il contatto diretto dei linfociti T con l’antigene estraneo, anche senza la produzione d’anticorpi da parte dei linfociti B. Prevede l’attivazione dei macrofagi, delle cellule natural killer, dei linfociti T e la produzione di antigeni specifici a qualcosa di tossico per le cellule (citotossicità), nonché il rilascio di varie citochine in risposta ad un antigene.

La risposta immunitaria umorale è importante soprattutto nella difesa contro le infezioni batteriche; invece quella cellulo-mediata è efficace specie contro parassiti, virus, funghi, tumori e cellule trapiantate non self (non compatibili). Tuttavia, non esiste una separazione così netta, in quanto in genere si ha la cooperazione di entrambi i tipi di linfociti.

Leggi anche:

Lo staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o seguici su Twitter, su Instagram o su Pinterest, grazie!

Che significa malattia autoimmune? Spiegazione, esempi, sintomi, cure

MEDICINA ONLINE ANTICORPO

La struttura di un anticorpo

Le patologie autoimmuni sistemiche (o “patologie autoimmunitarie”) sono un gruppo di patologie capaci di interessare individui di qualsiasi età – con predilezione tuttavia per il sesso femminile – caratterizzate da sviluppo di infiammazione persistente a livello di più organi, con diversa associazione e diverso livello di danni ai tessuti di questi organi, causata da alterazione del sistema immunitario che “attacca” in modo anomala i tessuti propri dell’organismo. Nel caso la risposta alterata immunitaria riguardi un singolo organo si parla di “autoimmunità organo-specifica” (tra queste ricordiamo ad esempio il diabete giovanile insulino-privo, le tiroiditi autoimmuni, la miastenia gravis, epatiti autoimmuni, enteriti autoimmuni quali la malattia di Crohn e la colite ulcerativa).

Cause delle patologie autoimmunitarie

Alla base di una patologia autoimmune vi è lo sviluppo di una anomala attività del sistema immunitario che diventa “erroneamente” capace di attivare risposte infiammatorie di diverso grado a livello dei tessuti di uno o più organi del proprio corpo (autoimmunità). I motivi dello sviluppo di alterazione del sistema immunitario, non sono attualmente del tutto ben definiti. Il sistema immunitario di questi soggetti perde la cosiddetta “tolleranza”, ovvero la capacità di discriminare il “proprio” dal “non proprio”; viene a crearsi una anomala reattività che in questi casi non è solo rivolta (come nel soggetto sano) verso agenti estranei (virus, batteri…), ma purtroppo anche rivolta verso componenti dei tessuti di quello stesso organismo. A tale proposito leggi anche: Differenza tra anticorpo ed autoanticorpo

Sintomi e segni di malattia autoimmune

Ogni malattia autoimmune può avere sintomi e segni più o meno specifici del distretto interessato. Nel corso di una malattia autoimmune si inseriscono, imprevedibilmente, fasi di maggior acuzie che si associano a sintomi “generali” (malessere generalizzato, febbre, stanchezza, inappetenza) responsabili, talora, di condizioni anche gravi, tali da richiedere urgenti ricoveri ospedalieri. L’interessamento articolare e muscolare (tumefazioni e dolori articolari, rigidità, dolori muscolari) rappresenta uno dei sintomi più frequenti e spesso di esordio di tali malattie. Nel caso gli organi interessati siano diversi si va incontro a problematiche aventi i sintomi ed i segni di un danno a livello generale, associato a disturbi in sede di uno o più organi, in maniera diversamente associata e con diversi gradi di severità clinica (ad esempio lesioni articolari artritiche, ulcere o alterazioni circolatorie cutanee, ulcere ed arrossamenti delle mucose, polmoniti, pleuriti, difficoltà respiratorie croniche, trombosi venose od arteriose, alterazioni della funzione renale, disturbi nervosi periferici, cefalee o danni neurologici centrali e persino, aspetti di alterazione psichiatrica con turbe dell’ideazione o dell’umore). In alcune di queste dominano degli aspetti molto particolari, legati ad una maggior selettività di danno d’organo (ad esempio lo stato di particolare ridotta secrezione lacrimale e salivare nella sindrome di Sjögren o lo spiccato danno cutaneo e muscolare nella Dermato-Polimiosite).

Leggi anche: Lupus eritematoso sistemico (LES): cause, sintomi e terapie

Diagnosi

La presenza di un anomalo funzionamento del sistema immunitario viene svelata da indagini di laboratorio specifiche eseguibili a livello del sangue o a livello dei tessuti (da biopsie, ad esempio, di cute o di rene) ed è una corretta valutazione dei sintomi del paziente e del suo stato clinico che deve usualmente portare al corretto impiego di tali analisi; a tal proposito leggi anche:

Le patologie autoimmunitarie più diffuse

Tra le patologie reumatiche infiammatorie autoimmuni, la più frequente condizione è rappresentata dall’Artrite Reumatoide, con una presenza media (prevalenza) nell’ambito della popolazione di circa 1%. Di minore incidenza invece sono altre “connettiviti”, tra le quali sono ricordare il Lupus Eritematoso Sistemico, la Sindrome di Sjogren, la Sclerosi Sistemica Progressiva (Sclerodermia), la (Dermato)Polimiosite, la Connettivite Mista, la Sindrome da Anticorpi anti-Fosfolipidi e diverse altre forme di malattie infiammatorie dei vasi arteriosi e venosi che vanno sotto il nome di “Vasculiti”. In diversi casi, soprattutto all’esordio dei disturbi, i sintomi e i dati di laboratorio non sono così dirimenti da poter far inquadrare la malattia in una delle predette patologie, per cui si parla in questi casi di Connettivite Indifferenziata.

Leggi anche: Artrite reumatoide: sintomi iniziali, cause, cure e mortalità

Team di diversi medici

Gran parte di queste patologie non hanno, fortunatamente, andamento grave, ma è compito del medico valutare il paziente nel tempo, istruirlo nella sorveglianza dei sintomi, guidarlo nel corretto e tempestivo uso dei farmaci che hanno il compito di deprimere, in modo talora anche rischioso, se necessario, il livello di risposta immunitaria. Va ricordato, poi, che la collaborazione di diversi specialisti è comunque d’obbligo nella gestione del paziente con malattia autoimmune sistemica. Talune di tali situazioni possono esordire con alterazioni anche a livello delle cellule ematiche, con aspetti di anemia o riduzione evidente dei valori di globuli bianchi o piastrine circolanti.

Leggi anche: Fenomeno di Raynaud: cause, sintomi e trattamento

Trattamento

Il trattamento di una malattia autoimmunitaria prevede la somministrazione di farmaci che sopprimono il sistema immunitario (inclusi i corticosteroidi) e – in alcuni casi – plasmaferesi e somministrazione di immunoglobuline per via endovenosa

Farmaci

Per molte malattie autoimmuni possono essere usati farmaci immunosoppressori (cioè che sopprimono il sistema immunitario) per via orale come azatioprina, clorambucile, ciclofosfamide, ciclosporina, micofenolato e metotressato. Questi farmaci sopprimono non solo la reazione autoimmune, ma anche la capacità dell’organismo di difendersi dalle sostanze estranee, come virus e batteri, quindi aumentano il rischio di determinate infezioni ed anche di alcuni tipi di tumore. Si somministrano corticosteroidi, come il prednisone, che però induce cronicamente alcuni importanti effetti collaterali, quindi si tende a somministrarli solo per un periodo limitato, all’inizio della malattia o se i sintomi e segni peggiorano. Altri farmaci possono essere usati, come etanercept, infliximab e adalimumab bloccano l’azione del fattore di necrosi tumorale (TNF): questi farmaci sono efficaci nel trattare l’artrite reumatoide e alcune altre malattie autoimmuni, ma possono anche aumentare il rischio di infezione e di alcuni tipi di tumori della pelle. Alcuni farmaci sono specificamente diretti contro i globuli bianchi, tra cui abatacept e rituximab.

Plasmaferesi e immunoglobuline per via endovenosa

Per alcune malattie autoimmuni, si utilizza la plasmaferesi: il sangue viene prelevato e filtrato per eliminare gli autoanticorpi, successivamente il sangue filtrato viene reimmesso nel paziente. In alcuni casi si usano immunoglobuline ottenute da persone sane, per via endovenosa.

Leggi anche: Fibromialgia: sintomi, cause, cura e tender points

Prognosi

La prognosi varia in base alla patologia specifica, tuttavia nella maggioranza dei casi le malattie autoimmuni sono croniche e non si risolvono mai, permanendo per tutta la vita e necessitando di trattamento farmacologico senza interruzioni. Alcune malattie autoimmuni si risolvono in modo incomprensibile, così come iniziano.

Leggi anche:

Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, segui la nostra pagina Facebook o unisciti al nostro gruppo Facebook o ancora seguici su Twitter, su Instagram, su Mastodon, su YouTube, su LinkedIn, su Tumblr e su Pinterest, grazie!

Antigene: cos’è e perché è importante per il sistema immunitario

MEDICINA ONLINE SISTEMA IMMUNITARIO IMMUNITA INNATA ASPECIFICA SPECIFICA ADATTATIVA PRIMARIA SECONDARIA  SANGUE ANALISI LABORATORIO ANTICORPO AUTO ANTIGENE EPITOPO CARRIER APTENE LINFOCITI B T HELPER KILLER MACROFAGI MEMORI.jpgUn antigene è una sostanza in grado di essere riconosciuta dal sistema immunitario. Si definisce invece immunogena una sostanza in grado di stimolare il sistema immunitario a tentare di produrre anticorpi contro di essa. La sostanza può essere di provenienza ambientale o formarsi all’interno del corpo. Il sistema immunitario uccide o neutralizza qualsiasi antigene che riconosca come estraneo e potenzialmente dannoso.

Il termine antigene è un sostantivo maschile e aggettivo, composizione di anti (contro) e gene (da genetica, ovvero geni del DNA); esso viene in genere falsamente definito, in medicina, come generatore di anticorpi (antibody generator) riferendosi ad una molecola che si lega specificamente ad un anticorpo. Al giorno d’oggi il termine si riferisce anche a qualsiasi molecola (o frammento di molecola) che può essere trasportata da un complesso maggiore di istocompatibilità (MHC) e presentato ad un recettore delle cellule T. Gli antigeni “self” sono generalmente tollerati dal sistema immunitario. Al contrario gli antigeni “non-self” possono essere identificati come invasori e possono essere attaccati dal sistema immunitario.

Un immunogeno è un tipo specifico di antigene. Un immunogeno è una sostanza che è in grado di provocare una risposta immunitaria adattativa se iniettato da sola. Un immunogeno è capace di indurre una risposta immunitaria, mentre un antigene è in grado di combinarsi con i prodotti di una risposta immunitaria una volta che sono stati prodotti. I concetti, in parte sovrapposti, di immunogenicità e antigenicità, sono quindi leggermente diversi. Ricapitolando l’immunogenicità è la capacità di indurre una risposta umorale e/o cellulo-mediata di tipo immune. L’antigenicità è invece la capacità di combinarsi specificamente con i prodotti finali della risposta immunitaria (cioè gli anticorpi secreti e/o i recettori di superficie presenti sulle cellule T). Anche se tutte le molecole che hanno proprietà di immunogenicità hanno anche la proprietà di antigenicità, il contrario non è vero.

A livello molecolare, un antigene è caratterizzato dalla sua capacità di essere “legato” al sito di legame dell’antigene di un anticorpo. Si noti inoltre che gli anticorpi tendono a discriminare tra le strutture molecolari specifiche presentate sulla superficie dell’antigene (come illustrato nella figura). Gli antigeni sono generalmente proteine o polisaccaridi. Questo include parti (rivestimenti, capsule, pareti cellulari, flagelli, fimbrie e tossine) di batteri, virus e altri microrganismi.

I lipidi e gli acidi nucleici sono antigeni solo quando si combinano con proteine e polisaccaridi. Antigeni non-microbici esogeni (non-self) possono includere pollini, albume d’uovo e proteine di tessuti e organi trapiantati o presenti sulla superficie di globuli rossi trasfusi. I vaccini sono esempi di antigeni immunogenici somministrati intenzionalmente per indurre immunità acquisita nel ricevente.

Epitopo

L’epitopo è la caratteristica distintiva della superficie molecolare di un antigene che è in grado di essere legata da un anticorpo (determinante antigenico). La singola molecola di antigene può contenere diversi epitopi riconosciuti da anticorpi differenti. Le molecole antigeniche, di solito “grandi” polimeri biologici, di norma presentano diverse caratteristiche di superficie che possono agire come punti di interazione per anticorpi specifici. Qualsiasi caratteristica distintiva molecolare costituisce un epitopo. Pertanto, la maggior parte antigeni può essere legata da anticorpi distinti, ciascuno dei quali è specifico per un particolare epitopo. Utilizzando la metafora della “chiave” e della serratura, l’antigene stesso può essere visto come un mazzo di chiavi – ogni epitopo è una sorta di “chiave” – ognuna delle quali può corrispondere ad una serratura anticorpale diversa.

Allergene

L’allergene è una sostanza in grado di provocare una reazione allergica. La reazione dannosa può prendere il via dopo l’esposizione, l’ingestione, l’inalazione, l’iniezione od il contatto con la pelle.

Superantigene

Una classe di antigeni che causano un’attivazione non specifica delle cellule T, con conseguente attivazione delle cellule T policlonali e rilascio massiccio di citochine.

Tollerogeno

Un antigene che è in grado di indurre tolleranza immunologica, in pratica una sostanza che induce inattivazione funzionale specifica dei linfociti (una sorta di non risposta immunitaria specifica) a causa della sua forma molecolare. Se la sua forma molecolare viene cambiata, un tollerogeno può diventare un immunogeno.

Immunoglobulina legante le proteine

Queste proteine sono in grado di legarsi ad anticorpi in posizioni diverse rispetto al sito di legame antigenico. Cioè, mentre gli antigeni sono il “bersaglio” degli anticorpi, le immunoglobuline leganti le proteine attaccano gli anticorpi.
La proteina A, la proteina G e la proteina L sono esempi di proteine che si legano fortemente ai vari isotipi di anticorpi.

Leggi anche:

Lo staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o seguici su Twitter, su Instagram o su Pinterest, grazie!

Immunità specifica (acquisita): memoria passiva, attiva ed immunizzazione

MEDICINA ONLINE SISTEMA IMMUNITARIO IMMUNITA INNATA ASPECIFICA SPECIFICA ADATTATIVA PRIMARIA SECONDARIA  DIFFERENZA LABORATORIO ANTICORPO AUTO ANTIGENE EPITOPO CARRIER APTENE LINFOCITI B T HELPER KILLER MACROFAGI MEMORIA

Prima di iniziare la lettura, per meglio comprendere l’argomento trattato, vi consigliamo di leggere questo articolo: Sistema immunitario, immunità innata e specifica: riassunto, schema e spiegazione

Memoria immunologica

Quando i linfociti B e T vengono attivati e cominciano a replicarsi, alcuni dei loro discendenti diventano cellule di memoria a lunga durata. Durante tutto il corso della vita di un animale, esse sono in grado ricordare ogni agente patogeno specifico incontrato e, se l’agente viene rilevato nuovamente, può stimolare una forte, risposta. Questo è un sistema “adattativo” in quanto consiste in un adattamento alle infezioni causate da quel dato patogeno e prepara il sistema immunitario ad incontrarlo in futuro. La memoria immunologica può essere sotto forma di una memoria passiva a breve termine o di una memoria attiva a lungo termine.

Memoria passiva

I neonati non hanno alcuna precedente esposizione ai microbi e sono pertanto particolarmente vulnerabili alle infezioni. Diversi livelli di protezione passiva sono fornite dalla madre. Durante la gravidanza, un particolare tipo di anticorpi, chiamati IgG, si trasferisce dalla madre al bambino direttamente attraverso la placenta, in modo che i neonati umani abbiano alti livelli di anticorpi, anche alla nascita, con la stessa gamma di specificità dell’antigene della propria madre. Anche il latte maternocontiene anticorpi che vengono trasferiti all’intestino del neonato e fonendogli protezione contro le infezioni batteriche fino a quando il neonato non sia in grado di sintetizzare i propri anticorpi.  Questo è l’immunità passiva poiché il feto in realtà non produce alcuna cellula di memoria o anticorpi, prendendoli solamente in prestito. Questa immunità passiva è di solito a breve termine, della durata che va da pochi giorni fino a diversi mesi. In medicina, la protezione da immunità passiva può anche essere trasferita artificialmente da un individuo ad un altro, tramite siero ricco di anticorpi.

Memoria attiva ed immunizzazione

La memoria attiva a lungo termine viene acquisita a seguito di un’infezione e da una attivazione dei linofciti B e T. L’immunità attiva può anche essere generata artificialmente, attraverso la vaccinazione. Il principio alla base della vaccinazione (chiamato anche immunizzazione) è quello di introdurre un antigene di un agente patogeno al fine di stimolare il sistema immunitario e sviluppare l’immunità specifica contro quel particolare patogeno, senza però causare la malattia correlata a tale organismo. Questa induzione deliberata di una risposta immunitaria ha successo poiché sfrutta la specificità naturale del sistema immunitario, così come la sua inducibilità. Essendo che la malattia infettiva rimane una delle principali cause di morte nella popolazione umana, la vaccinazione rappresenta la manipolazione più efficace del sistema immunitario che l’uomo ha sviluppato. La maggior parte dei vaccini virali sono basate su virus vivi attenuati, mentre molti vaccini batterici sono basati su componenti acellulari di microrganismi, comprese tossine rese innocue. Poiché molti antigeni derivati da vaccini acellulari non inducono una forte risposta adattativa, i vaccini batterici sono forniti con coadiuvanti aggiuntivi che attivano le cellule che presentano l’antigene del sistema immunitario innato e massimizzano l’immunogenicità.

Leggi anche:

Lo Staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o unisciti al nostro gruppo Facebook o ancora seguici su Twitter, su Instagram o su Pinterest, grazie!

Differenza tra antigeni esogeni, endogeni, tumorali, nativi ed autoantigeni

MEDICINA ONLINE SISTEMA IMMUNITARIO IMMUNITA INNATA ASPECIFICA SPECIFICA ADATTATIVA PRIMARIA SECONDARIA  SANGUE ANALISI LABORATORIO ANTICORPO AUTO ANTIGENE EPITOPO CARRIER APTENE LINFOCITI B T HELPER KILLER MACROFAGI MEMORIGli antigeni sono sostanze in grado di essere riconosciute dal nostro sistema immunitario e possono essere classificati a seconda della loro classe:

Antigeni esogeni

Gli antigeni esogeni sono antigeni che sono entrati nel corpo dall’esterno, per esempio tramite inalazione, ingestione, o iniezione.
La risposta del sistema immunitario agli antigeni esogeni è spesso subclinica. Attraverso processi di endocitosi o fagocitosi, gli antigeni esogeni sono catturati dalle cellule presentanti l’antigene (APC) e trasformati in frammenti. Le cellule APC quindi presentano i frammenti alle cellule T helper (CD4 +) grazie a molecole di istocompatibilità di classe II presenti sulla loro superficie. Alcune cellule T sono specifici per il peptide: il complesso MHC. Esse si attivano e cominciano a secernere citochine. Le citochine sono sostanze che possono attivare i linfociti T citotossici (CTL), le cellule B secernenti anticorpi, ed i macrofagi. Alcuni antigeni iniziano come antigeni esogeni, e poi diventano endogeni. Ciò avviene per esempio per i virus intracellulari. Antigeni intracellulari possono essere reimessi in circolo a seguito della distruzione della cellula infettata.

Antigeni endogeni

Gli antigeni endogeni sono antigeni che sono stati generati all’interno delle cellule come conseguenza del metabolismo cellulare normale, oppure a causa di una infezione intracellulare virale o batterica. I frammenti vengono presentati sulla superficie cellulare nel complesso MHC con molecole di classe I. Se attivate le cellule citotossiche CD8 T le riconoscono. Le cellule T secernono varie tossine che causano la lisi o l’apoptosi della cellula infettata. Gli antigeni endogeni comprendono antigeni xenogenici (eterologhi), autologhi, idiotipici ed omologhi.

Autoantigeni

Un autoantigene è generalmente una normale proteina od un complesso di proteine (e talvolta DNA o RNA) che viene riconosciuto dal sistema immunitario di pazienti affetti da una specifica malattia autoimmune. Tali antigeni dovrebbero, in condizioni normali, non essere il bersaglio del sistema immunitario, ma, a causa di fattori genetici e principalmente ambientali, la normale tolleranza immunologica per tali antigeni viene persa in questi pazienti.

Antigeni tumorali

Gli antigeni tumorali o neoantigeni sono antigeni che vengono presentati dalle molecole del complesso di istocompatibilità maggiore MHC I e MHC II sulla superficie delle cellule tumorali. Tali antigeni possono talvolta essere presentati dalle cellule tumorali e non da quelle normali. In questo caso, essi sono chiamati antigeni tumore-specifici (TSA) e, in generale, sono il prodotto di una mutazione tumore-specifica. Più comune sono antigeni che sono presentati da cellule tumorali e cellule normali, e sono chiamati antigeni associati al tumore (TAA). I linfociti T citotossici che riconoscono gli antigeni possono essere in grado di distruggere le cellule tumorali prima che proliferino o metastatizzino. Antigeni tumorali possono anche essere sulla superficie del tumore in forma di, ad esempio, un recettore mutato, nel qual caso saranno riconosciuti da cellule B.

Antigeni nativi

Un antigene nativo è un antigene, che non è stato ancora processato da una cellula APC (cellula presentante l’antigene) in parti più piccole. Le cellule T non sono in grado di legarsi ad antigeni nativi, ma richiedono che gli stessi siano prima elaborati dalle cellule APC. Al contrario le cellule B possono essere attivate dagli antigeni nativi.

Leggi anche:

Lo staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o seguici su Twitter, su Instagram o su Pinterest, grazie!

Differenza tra antigene, aptene allergene ed epitopo

MEDICINA ONLINE SISTEMA IMMUNITARIO IMMUNITA INNATA ASPECIFICA SPECIFICA ADATTATIVA PRIMARIA SECONDARIA  SANGUE ANALISI LABORATORIO ANTICORPO AUTO ANTIGENE EPITOPO CARRIER APTENE LINFOCITI B T HELPER KILLER MACROFAGI MEMORI

La struttura di un anticorpo

Un allergene è una sostanza solitamente innocua per la maggior parte delle persone, ma che in taluni individui (i soggetti atopici) è in grado di produrre manifestazioni allergiche di varia natura (asma, orticaria, etc.).

Un aptene è una molecola a basso peso molecolare che di per sé non induce una risposta anticorpale, cioè non ha proprietà immunogeniche, ma se legata ad un carrier è in grado di stimolare la formazione di anticorpi specifici e di reagire con essi.

Un epitopo è quella piccola parte di antigene che lega l’anticorpo specifico. La singola molecola di antigene può contenere diversi epitopi riconosciuti da anticorpi differenti.

Un antigene è qualsiasi molecola in grado di legarsi a specifici componenti del sistema immunitario, quali anticorpi o cellule immunocompetenti, comprendendo sia sostanze esogene che endogene (come nel caso di patologia autoimmuni). Più precisamente qualunque sostanza in grado di suscitare una risposta immune viene definita immunogenica e viene chiamata IMMUNOGENO. Un antigene viene chiamato APTENE (molecola a basso peso molecolare, di norma inferiore a 4 kD) quando riesce a stimolare la produzione di anticorpi solo  se si lega ad una  molecola (detta CARRIER) che lo rende in tal modo immunogeno.

Quindi IMMUNOGENICITA’ significa che quella sostanza è in grado di indurre una risposta immunitaria; ANTIGENICITA’ significa che quella sostanza è in grado di reagire con componenti del sistema immunitario.

EPITOPO o DETERMINANTE ANTIGENICO: come già prima accennato rappresenta una porzione di un antigene che entra in contatto con il sito di legame di un Anticorpo o con il recettore per l’Antigene delle cellule T (lo vedremo più avanti), pertanto è la parte più importante dell’antigene, ijn quano capace di indurre la risposta immunitaria.

Un antigene in genere possiede più di un epitopo, pertanto la risposta indotta viene detta POLICLONALE in quanto attiverà più cloni cellulari (linfociti).

Vi sono tuttavia alcune molecole antigeniche che possiedono uno o pochi epitopi immunodominanti e quindi in grado di indurre una risposta monoclonale (se attivato un solo clone) od oligoclonale(quando sono attivasti pochi cloni).

Pertanto in una molecola antigenica possiamo avere una maggiore o minore attivazione preferenziale di alcuni cloni rispetto ad altri e questa viene detta IMMUNODOMINANZA DEGLI EPITOPI.

Leggi anche:

FATTORI CHE INFLUENZANO L’IMMUNOGENICITA’

Normalmente il sistema immunitario discrimina tra ciò che è suo (self) e ciò che non è suo (non-self): pertanto sono immunogeniche le molecole ESTRANEE al self.

In generale più grande è la molecola, più evidenzia di essere immunogena, anche se nella realtà non esiste una grandezza oltre la quale una sostanza diviene immunogena.

La natura chimica dell’immunogeno è importante.

Le PROTEINE rappresentano di gran lunga la maggioranza degli immunogeni. Possono essere proteine pure, oppure glicoproteine o lipoproteine. Nelle proteine si deve tener conto della loro struttura, assai importante come vedremo successivamente parlando degli epitopi.

Le proteine sono polimeri i cui monomeri sono costituiti dai 20 diversi tipi di amminoacidi presenti in natura. Gli amminoacidi sono composti che contengono nella loro molecola sia il gruppo carbossilico –COOH sia il gruppo amminico –NH2 , basico. Entrambi questi gruppi funzionali sono legati a un carbonio, chiamato carbonio-α. A questo carbonio, sono legati, inoltre, un atomo di idrogeno e un gruppo denominato genericamente R che, essendo diverso nei 20 amminoacidi, ci consente di differenziarli. Durante la sintesi delle proteine, un amminoacido lega il suo gruppo carbossilico con quello amminico di un altro amminoacido, formando il legame peptidico con eliminazione di acqua come si può vedere in figura.

Nonostante gli amminoacidi siano solo 20, la varietà di proteine è elevatissima, in quanto gli amminoacidi si combinano tra loro in sequenze e quantità diverse.  Le proteine rappresentano una classe di composti assai versatile e di grande interesse biologico: concorrono a formare l’impalcatura del corpo:  ad es. il collagene è il principale componente fibroso delle ossa, dei tendini, della pelle, delle cartilagini, dei denti; i capelli e le unghie sono costituiti da α-cheratina; svolgono funzione catalitica: gli enzimi, infatti, indispensabili catalizzatori biologici sono costituiti da proteine; agiscono come mezzo di trasporto di altre molecole: nel sangue, ad esempio, l’ossigeno viene trasportato dall’emoglobina; provocano il movimento: ad esempio la contrazione muscolare è resa possibile da due proteine ovvero dall’actina e dalla miosina; hanno funzioni protettive: gli anticorpi, come le immunoglobuline che sono i più importanti mezzi di difesa dell’organismo sono costituiti da proteine; fanno parte del sistema endocrino: vari ormoni, tra cui l’insulina sono costituiti da proteine; rappresentano un sistema di controllo del pH del sangue perché limitano le eccessive variazioni di ioni H+ dovute al metabolismo cellulare, ecc.

Le proteine esplicano le loro specifiche funzioni grazie alla loro forma che dipende dalla successione di amminoacidi, dai ripiegamenti della catena proteica e dalla sua organizzazione nello spazio.

Possiamo pertanto individuare successivi livelli di organizzazione denominati: struttura primaria, secondaria, terziaria e quaternaria.

La pura e semplice successione degli amminoacidi costituisce la struttura primaria della proteina. La struttura primaria, cioè tipo e sequenza degli aminoacidi, condiziona la configurazione spaziale e la forma globale della molecola, dalle quali dipendono le proprietà biologiche.

L’avvolgimento a spirale, o la disposizione regolare di tratti più o meno lunghi della catena proteica costituiscono la struttura secondaria della proteina. Questo livello di organizzazione è una conseguenza dei legami a idrogeno tra gli amminoacidi appartenenti a una stessa catena, o tra gli amminoacidi di catene diverse. Due tipi di struttura secondaria delle proteine sono l’α-elica e il β-foglietto.

Nella struttura ad α-elica la proteina è avvolta a spirale: tra l’atomo di idrogeno legato all’azoto di ogni legame peptidico e l’ossigeno del gruppo –C=O del legame peptidico sovrastante ( che si trova a distanza di quattro amminoacidi lungo la catena) si instaura un legame a idrogeno. L’effetto stabilizzante dei molti legami a idrogeno che sono presenti nella proteina è la causa principale dell’esistenza di tale tipo di struttura. Tuttavia se gli amminoacidi che si succedono lungo un tratto di catena proteica hanno gruppi R voluminosi, come avviene nella prolina, o gruppi R dotati della stessa carica elettrica, come avviene negli amminoacidi lisina e arginina, l’α-elica non può formarsi, a causa delle forze di repulsione che si generano tra i gruppi R.

Nella struttura  β-foglietto si ha una disposizione di catene proteiche l’una accanto all’altra. Ciascuna delle catene è totalmente estesa e presenta una conformazione a zig-zag, dovuta alla geometria dei legami attorno a ciascun atomo di carbonio e di azoto nella catena. In questo caso, i legami a idrogeno si formano tra gli amminoacidi di due catene adiacenti. Le proteine dotate di questa struttura non possono essere allungate ulteriormente, senza che si rompano i legami covalenti della loro catena. Esistono proteine la cui molecola ha una forma globulare che è il risultato di ulteriori ripiegamenti della catena proteica, compresi tratti di catena che già possiedono una loro struttura secondaria. Questo terzo livello di organizzazione è la struttura terziaria della proteina.

La struttura terziaria di una proteina è la conseguenza di interazioni attrattive tra i gruppi R di amminoacidi anche molto distanti tra loro nella sequenza della struttura primaria della proteina. A stabilizzare la struttura terziaria della proteina possono concorrere quattro tipi di forze:

  1. Interazioni idrofobe o idrofile: nell’ambiente acquoso della cellula, i gruppi R non polari, idrofobi, della molecola proteica tendono a raggrupparsi all’interno della proteina, in modo da ridurre al minimo i contatti con le molecole d’acqua che la circondano. Invece, i gruppi polari, idrofili, tendono a disporsi verso l’esterno della proteina a contatto con l’acqua.
  2. Attrazioni ioniche: si instaurano in genere tra due gruppi, come –NH3+ e –COO-, l’uno carico positivamente e l’altro negativamente, dei gruppi R di due diversi amminoacidi.
  3. Legami idrogeno: derivano dall’attrazione tra gruppi R o si instaurano tra gruppi peptidici come nel caso delle strutture α e β.
  4. Ponti disolfuro: si formano tra gruppi –SH di due molecole dell’amminoacido cisteina; in seguito a una reazione di ossidazione, i due gruppi –SH perdono i rispettivi atomi di idrogeno e si legano tra loro mediante un legame covalente –S-S-  come si può vedere in figura:

Alcune proteine sono formate da più di una catena di amminoacidi. Le catene possono essere uguali fra loro, o anche diverse. La disposizione reciproca delle varie catene che compongono una proteina di questo tipo costituisce la struttura quaternaria della proteina.  Le interazioni possono essere legami deboli  come legami idrogeno  e forze di Van der Waals, oppure forti ossia ionico  o covalente. Ad esempio una proteina con struttura quaternaria è l’emoglobina: essa è costituita da quattro catene proteiche, a due a due uguali, denotate rispettivamente dalle lettere α e β come si può vedere in figura :

Ognuna di queste catene contiene un gruppo eme, cioè una struttura ciclica, chiamata anello porfirinico, con al centro uno ione Fe2+; a questo ione si lega una molecola di ossigeno, che viene trasportata dai polmoni alle cellule del corpo.

  • Anche i polisaccaridi puri e i lipopolisaccaridi sono buoni immunogeni.
  • Gli acidi nucleici di solito sono poco immunogeni. Lo possono diventare quando si complessano con proteine.
  • I lipidi in generale non sono immunogeni, ma possono essere apteni.
  • Gli antigeni particolati in genere sono più immunogenici di quelli solubili e gli antigeni denaturatisono più immunogenici di quelli  in forma nativa.
  • Gli antigeni che sono più facilmente fagocitati sono in generale più immunogeni, in quanto per la maggior parte degli antigeni (antigeni T-dipendenti, vedi oltre)  lo sviluppo di una risposta immune richiede che gli antigeni siano fagocitati, processati e presentati alle cellule T helper attraverso l’azione delle “cellule che presentano l’antigene”, in sigla APC .
  • Anche la genetica ha importanza: alcune sostanze sono immunogene in un individuo ma non in altri (vengono gli uni e gli altri chiamati rispettivamente responders e non responders). Alcuni individui possono non avere o avere alterati dei geni che codificano per i recettori dell’antigene sulle cellule B o sulle cellule T oppure possono non avere quegli appropriati geni necessari per le “cellule che presentano l’antigene” di presentare l’antigene alle cellule T helper.
  • Anche l’ETA’ può influire sulla immunogenicità. Infatti di solito  individui molto giovani o molto vecchi hanno una diminuita capacità di indurre risposte immuni a stimoli immunogeni.
  • La DOSE stessa dell’immunogeno somministrato può influenzare l’immunogenicità; vi è una dose di antigene al di  sopra o al di sotto della quale la risposta immune non risulta ottimale,
  • La VIA DI SOMMINISTRAZIONE è importante : di solito la via sottocutanea è migliore rispetto a quella endovenosa o intragastrica. La via di somministrazione antigenica può talora alterare la natura della riposta.
  • Vi sono poi delle sostanze chiamate ADIUVANTI che hanno la proprietà di aumentare la risposta immune verso un immunogeno. L’uso degli adiuvanti tuttavia è spesso ostacolato da effetti collaterali indesiderati quali febbre e infiammazione.

CARATTERISTICHE DEGLI EPITOPI

I determinanti antigenici devono essere accessibili agli anticorpi. Già nel 1960 Sela e Arnon studiarono la immunogenicità di varie catene laterali legate ad uno scheletro polilisinico, ricordando come il sistema immunitario non reagisce contro polimeri di molecole identiche ripetute. Dimostrarono come se il determinate antigenico delle catene (rappresentato da residui di acido glutammico o di tirosina legati a polialanina) risulta inaccessibile agli anticorpi non si aveva risposta immunitaria, risposta invece che compariva a seguito dello smascheramento degli epitopi, aumentando ad es, la distanza tra le catene.

I determinanti antigenici possono essere continui o discontinui. Sempre negli anni ’60 A.Tassi fece degli studi sulla mioglobina di balena e trovò che in questa molecola di 153 aminoacidi erano presenti 5 regioni in grado di provocare una risposta  anche dopo la frammentazione della molecola e che queste regioni risultavano trovarsi su zone esposte e flessibili.  Questi tipi di determinanti antigenici sono detti continui o lineari, in quanto rappresentati da aminoacidi disposti in modo lineare, cioè uno dopo l’altro nella sequenza primaria della proteina. Esistono altri tipi di determinanti che sono stati dimostrati successivamente, utilizzando molecole di lisozima, e che sono detti discontinui o conformazionali, formati da aminoacidi che erano discontinui nella struttura primaria (quindi non erano uno accanto all’altro nella disposizione lineare) ma che diventano contigui nella struttura terziaria perché indotti ad unirsi grazie al ripiegamento tridimensionale della proteina come ad es. 2 regioni legate da ponti disolfuro.

Gli epitopi lineari, in particolare, sono riconosciuti sia dai linfociti T che dai linfociti B; mentre  quelli conformazionali solo dai linfociti B.

I determinanti antigenici che possiedono alcuni residui più importanti di altri vengono chiamati epitopi dominanti verso i quali gli anticorpi dimostrano una maggiore affinità e  che si trovano prevalentemente su porzioni idrofiliche degli antigeni e quindi più facilmente raggiungibili dagli anticorpi. La mobilità del sito antigenico: l’antigene è dotato di una certa mobilità strutturale in modo da consentire all’anticorpo di “incastrarsi” correttamente.

TIPI DI ANTIGENI

ANTIGENI T-INDIPENDENTI

Gli antigeni T-indipendenti sono quelli che possono direttamente stimolare le B cellule a produrre anticorpi senza aver bisogno dell’aiuto delle T cellule. In generale i polisaccaridi sono antigeni T-indipendenti. Le risposte verso questi antigeni sono diverse dalle risposte  verso altri antigeni. Hanno una struttura polimerica, cioè caratterizzati dallo stesso determinante antigenico ripetuto più volte. Molti di questi antigeni sono in grado di attivare cloni di  B linfociti specifici per altri antigeni (= attivazione policlonale). Questi antigeni T-indipendenti possono quindi essere suddivisi i tipo 1 e tipo 2  sulla base della loro capacità di attivare cellule B policlonali. Gli antigeni T-indipendenti di tipo 1 sono attivatori policlonali; quelli di tipo 2 no. Gli antigeni T-indipendenti sono in generale più resistenti alla degradazione e pertanto possono persistere per un tempo più lungo continuando a stimolare il sistema immunitario. Esempi  di questi sono il polisaccaride e il liposaccaride del  pneumococco,  i flagelli dei microorganismi.

ANTIGENI T-DIPENDENTI

Gli antigeni T-dipendenti sono quelli che non  sono in grado di stimolare direttamente la produzione di anticorpi, ma hanno bisogno dell’aiuto dei T linfociti.

Le proteine sono antigeni T-dipendenti.

Dal punto di vista strutturale questi antigeni sono caratterizzati dall’avere poche copie di molti differenti determinati antigenici. Esempi di questi antigeni sono le proteine microbiche, le proteine non self o le self-proteine alterate.

Leggi anche:

Lo staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o seguici su Twitter, su Instagram o su Pinterest, grazie!

Immunità specifica (acquisita): linfociti, T killer, T helper, T γδ, B ed anticorpi

MEDICINA ONLINE SISTEMA IMMUNITARIO IMMUNITA INNATA ASPECIFICA SPECIFICA ADATTATIVA PRIMARIA SECONDARIA  DIFFERENZA LABORATORIO ANTICORPO AUTO ANTIGENE EPITOPO CARRIER APTENE LINFOCITI B T HELPER KILLER MACROFAGI MEMORIAIl sistema immunitario adattativo (noto anche come “immunità specifica” o “immunità acquisita”) si è evoluto nei primi vertebrati e consente una risposta immunitaria più forte, così come la memoria immunologica, in cui ogni agente patogeno viene “ricordato”. La risposta immunitaria adattativa è antigene-specifica e richiede il riconoscimento di specifici antigeni “non-self” nel corso di un processo chiamato di presentazione dell’antigene. La specificità antigenica consente la generazione di risposte che sono su misura per specifici agenti patogeni o per le cellule dell’organismo infettate dal patogeno. La possibilità di intraprendere queste risposte adeguate, viene mantenuto nel corpo grazie a “cellule di memoria”. Se un agente patogeno infetta l’organismo più di una volta, queste cellule di memoria specifiche vengono utilizzate per eliminarlo rapidamente.
Il sistema immunitario adattativo è costituito prevalentemente da cellule della linea linfoide (della serie T e B) e da cellule accessorie. I linfociti T si suddividono in linfociti T helper CD4+ e linfociti T citotossici (CTL) CD8+. La funzione effettrice dei primi è quella di coordinare il complesso della risposta immunitaria attivando linfociti CD8+ e macrofagi (T-helper 1) o linfociti B (T-helper 2) e di sostenere il processo infiammatorio. Tale attività è svolta attraverso interazioni cellula-cellula o mediante rilascio di particolari fattori solubili detti citochine.

La funzione effettrice dei linfociti CD8+ è quella di lisare le cellule infette grazie alla produzione delle linfochine. I linfociti B attivati si specializzano invece in cellule secernenti anticorpi (plasmacellulle). Le cellule accessorie sono le cellule reclutate dal compartimento innato del sistema immunitario. A differenza dell’immunità aspecifica o innata l’immunità specifica o acquisita è stata selezionata dall’evoluzione per la sua capacità di adattarsi dinamicamente alla variabilità di agenti ambientali riconosciuti come un pericolo per l’organismo. Tale variabilità è ovviamente una caratteristica peculiare di molti microrganismi infettivi in continua co-evoluzione con il sistema immunitario che cerca di distruggerli.

L’immunità specifica deve dunque essere in grado di rispondere a tutte le possibili combinazioni molecolari presenti in natura e in grado di interagire con l’organismo. Poiché si stima che il numero di queste combinazioni si aggiri intorno a 1010, l’immunità adattativa deve dotarsi di un numero altrettanto vasto di strutture cellulari capaci di legare specificatamente ad ogni singolo antigene. Dato che però il genoma umano comprende complessivamente solo 30.000 geni è impossibile che ciascuna struttura di presentazione e riconoscimento antigenico sia codificata da un singolo gene. Questo paradosso può essere sciolto analizzando la composizione molecolare degli anticorpi, dei recettori dei linfociti T (TCR) e dei complessi MHC: si tratta infatti in tutti i casi di complessi proteici costituiti dalla combinazione di più strutture modulari codificate da molteplici (ma comunque numericamente limitate) varianti di geni dello stesso tipo. Ogni cellula del sistema immunitario adattativo nel corso della sua maturazione opera un riarrangiamento casuale del repertorio genetico ereditato dal soggetto in linea germinale generando una combinazione unica di MHC, TCR o anticorpi.

Un ulteriore raffinato meccanismo di generazione della diversità del patrimonio anticorpale (inteso in senso lato come il complesso delle strutture deputate al riconoscimento dell’antigene) è dato dall’inserimento di piccole mutazioni puntiformi all’interno dei geni che codificano per i moduli delle strutture di riconoscimento antigenico. Quest’ultimo fenomeno è particolarmente accentuato nei linfociti B in fase di maturazione tardiva (ipermutazione somatica).

Il riarrangiamento somatico delle strutture anticorpali è ovviamente un processo estremamente dispendioso, poiché determina la produzione di numerose varianti non funzionali. In altri termini ciascun individuo sviluppa autonomamente dal momento della nascita un sistema immunitario basato sui determinanti genetici ereditati in linea germinale, ma dotato di caratteristiche uniche e irripetibili dovute alla casualità degli eventi di ricombinazione e alla pressione selettiva dell’ambiente esterno. L’adozione di una forma di riconoscimento antigenico non precostituita e in grado di evolversi con la storia biologica dell’individuo pone il sistema immunitario nella necessità di dotarsi di alcune funzioni particolarmente evolute normalmente proprie di sistemi superiori come il sistema nervoso centrale.

Linfociti

Le cellule del sistema immunitario adattativo sono speciali tipi di leucociti, chiamati linfociti. I linfocita B e i linfociti T sono i principali tipi e derivano dalle cellule staminali ematopoietiche del midollo osseo. I linfociti B sono coinvolte nella risposta immunitaria umorale, mentre i linfociti T sono coinvolti nella risposta immunitaria cellulo-mediata.

Si i linfociti B che T possiedono molecole recettoriali che riconoscono obiettivi specifici. I linfociti T riconoscono un bersaglio “non-self”, come un agente patogeno, solo dopo che gli antigeni (piccoli frammenti del patogeno) sono stati elaborati e presentati in combinazione con un recettore “self” chiamato complesso maggiore di istocompatibilità (MHC). Esistono due principali sottotipi di linfociti T: i T killer e i T helper. In aggiunta vi sono le cellule T regolatorie che hanno un ruolo nella modulazione della risposta immunitaria. I linfociti T killer riconoscono solo gli antigeni accoppiati alle molecole MHC di classe I, mentre le cellule T helper e i linfociti T regolatori riconoscono solo gli antigeni accoppiati a molecole MHC di classe II. Questi due meccanismi di presentazione dell’antigene riflettono i diversi ruoli dei due tipi di linfociti T. Un terzo, sottotipo minore sono le linfociti T γδ che riconoscono gli antigeni intatti che non siano vincolati ai recettori MHC.

Al contrario, il recettore antigene-specifico dei linfociti B è una molecola anticorpale presente sulla loro superficie in grado di riconoscere patogeni interi, senza che vi sia la necessità della processazione dell’antigene. Ogni stirpe di linfociti B esprime un anticorpo diverso, in modo che il set completo dei recettori per l’antigene dei linfociti B rappresentino tutti gli anticorpi che il corpo può produrre.

Leggi anche:

Linfociti T killer

I linfociti T Killer sono un sottogruppo di linfociti T in grado di uccidere le cellule infettate da virus (e altri agenti patogeni) o altrimenti che risultino danneggiate o disfunzionali. Come con i linfociti B, ciascun tipo di T riconosce un antigene diverso. I linfociti T killer vengono attivati quando il loro recettore (TCR) si lega a questo antigene specifico in un complesso con il recettore per l’MHC di classe I di un’altra cellula. Il riconoscimento del complesso MHC-antigene viene aiutato da un co-recettore posto sul linfocita T e chiamato CD8. Il linfocita T viaggia attraverso il corpo alla ricerca di cellule dove i recettori MHC I portano questo antigene. Quando il linfocita viene attivato dal contatto con tali cellule, rilascia citochine, come la perforina che ha come bersalgi i pori della membrana plasmatica della cellula bersaglio, permettendo così agli ioni, all’acqua e alle tossine di entrare. L’ingresso di un’altra tossina, chiamata granulisina (una proteasi). induce la cellula bersaglio a ricorrere all’apoptosi (una sorta di “suicidio cellulare”). L’uccisione delle cellule infettate da parte dei linfociti T risulta particolarmente importante per prevenire la replicazione del virus. L’attivazione dei linfociti T è strettamente controllata e in genere richiede un molto forte segnale di attivazione MHC/antigene, o segnali di attivazione aggiuntivi forniti dai linfociti T “helper” (vedi in seguito).

Linfociti T helper

I linfociti T helper regolano sia la risposta immunitaria innata che qualla adattativa, oltre a promuovere la risposta stessa ad un particolare agente patogeno.[55] Queste cellule non hanno alcuna attività citotossica e non uccidono le cellule infette o gli agenti patogeni direttamente; agiscono invece controllando l’azione immunitaria dirigendo gli altri linfociti ad eseguire queste attività.

I T helper esprimono i recettori delle cellule T (T cell receptors – TCR) che riconoscono l’antigene legato alle molecole MHC di classe II. L’antigene viene riconosciuto anche dal corecettore CD4 presente sui linfociti helper, che recluta le molecole all’interno del linfocita responsabili per l’attivazione dei linfociti T. In generale si può dire che lo scopo dei linfociti T helper è quello di secernere citochine in seguito a stimolazione antigenica fungendo da “aiutanti” sia nella risposta immunitaria adattativa che innata, in aperta contrapposizione ai CD8 citotossici che svolgono un’azione diretta nell’uccisione delle cellule. A partire dai linfociti T helper si sviluppano diverse sottopopolazioni in risposta alle citochine prodotte durante le fasi precoci della risposta. I linfociti T differenziati poi producono citochine che li caratterizzano, favorendo la propria popolazione e inibendo le altre. Questo differenziamento fa parte della specializzazione dell’immunità adattativa dal momento che, sottotipi diversi possiedono funzioni effetrici ben diverse. I segnali delle citochine migliorano la funzione microbicida dei macrofagi e l’attività delle cellule T killer. Inoltre, l’attivazione dei linfociti T helper provoca una sovraregolazione di molecole espresse sulla superficie del linfocita T, come il CD40 ligando, che forniscono segnali supplementare stimolatori necessari per attivare i linfociti B produttrici di anticorpi.

Linfociti T γδ

I linfociti T γδ costituiscono un’esigua minoranza dei linfociti T ed esprimono un recettore alternativo TCR di tipo γδ riseptto ai linfociti T (αβ) CD4+ e CD8+, ma condividono le caratteristiche dei T helper, dei T citotossici e dei linfociti NK. A differenza degli altri linfociti possono attivarsi e rispondere direttamente, senza ulteriori segnali costimolatori. Questi linfociti non riconoscono complessi peptide-MHC, ma fosfantigeni, delle molecole a 5 atomi di carbonio contenenti residui di fosfato, fondamentali in quanto consentono il riconoscimento, da parte del recettore, del fosfantigene. La produzione dei fosfantigeni avviene nella via del mevalonato; essi sono degli intermedi, come il colesterolo e l’IPP (isopentenil pirofosfato). I linfociti T γδ sono relativamente più frequenti a livello del tratto gastroenterico, dove si suppone che svolgano un’attività di regolazione della risposta immunitaria (tale funzione sembra essere persa in corso di malattie come la celiachia). I T γδ si trovano a cavallo del confine tra immunità innata e adattativa. Da un lato, le cellule T γδ sono una componente dell’immunità adattativa essendo in grado di modificarsi per produrre una diversità del recettore e possono anche sviluppare una memoria fenoripica; d’altra parte, i vari sottogruppi fanno anche parte del sistema immunitario innato. Un anticorpo è costituito da due catene pesanti e due catene leggere. La regione variabile unica permette ad un anticorpo di riconoscere il suo antigene corrispondente.

Linfociti B e anticorpi

Un linfocita B è in grado di identificare gli agenti patogeni, quando gli anticorpi si legano sulla sua superficie di un antigene specifico estraneo al corpo. Questo complesso antigene/anticorpo viene attaccato dal linfocita B e viene degadato in peptidi da parte della proteolisi. I linfociti B, quindi, mostrano questi peptidi antigenici sulla sua superficie delle molecole MHC di classe II. Questa combinazione tra MHC e antigene attira il linfocita T helper corrispondente, che rilascia linfochine e attiva il linfocita B. Quando il linfocita B viene attivato, esso inizia a dividersi e la sua prole (plasmacellule) secerne milioni di copie dell’anticorpo che riconosce questo antigene. Questi anticorpi circolano nel plasma sanguigno e nel sistema linfatico, si legano agli agenti patogeni che esprimono l’antigene e li segnano per la distruzione grazie all’attivazione del complemento o per l’assorbimento e la distruzione da parte dei fagociti. Gli anticorpi possono neutralizzare gli agonisti direttamente, legandosi alle tossine batteriche o interferendo con i recettori che i virus e i batteri utilizzano per infettare le cellule.

Leggi anche:

Lo staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o seguici su Twitter, su Instagram o su Pinterest, grazie!