Pandoro light: ricetta facile, leggera e gustosa

MEDICINA ONLINE NATALE DOLCI NATALIZI PANDORO PANETTONE TORRONE NOCCIOLE CIOCCOLATO BIANCO SFOGLIATA LIEVITAZIONE OFFELLA INGREDIENTI ZUCCHERO VENEZIANA A VELO CALORIE RICETTE DIFFERENZE DIETA CIBO DOLCE COLOMBA PASQUA.jpgIngredienti

  • 100 ml latte scremato
  • 300 ml albume
  • 400 g farina di grano duro + 50 g crusca di grano duro
  • 1 g sale
  • 1 bacca di vaniglia
  • 170 g burro light
  • 70 g Truvia (stevia con eritritolo)
  • 12 g bicarbonato di sodio

Preparazione

  1. Preparare il primo impasto sciogliendo 10 g di bicarbonato con 70 ml di latte tiepido, 3 g di truvia e 50 ml di albume montato. Aggiungere 50 g di farina e impastare. Coprire e lasciare lievitare per un’ora.
  2. Sciogliere 2 g di bicarbonato in 30 ml di latte. Aggiungere al precedente composto insieme a 33 g truvia, 130 ml albume montato. Impastare con 200 g di farina. Unire 30 g di burro a temperatura ambiente. Impastare e coprire, lasciando lievitare per un’ora.
  3. Unire altri 200 g di farina, 120 ml albume montato, 8 g truvia, sale, semi della bacca di vaniglia. Impastare. Lasciare lievitare fino al raddoppio di volume. Quindi riporre in frigo per 8-12 ore (chiudendo in un sacchetto di plastica per alimenti).
  4. Stendere l’impasto con un mattarello, distriuire al centro 140 g di burro e chiudete l’impasto in modo che il burro non fuoriesca. Spianare e piegare in 3 volte. Lasciare 15-20 minuti in frigo. Ripiegare ancora e lasciare di nuovo 15-20 minuti in frigo. Per la terza volta, ripiegare e fare riposare 15-20 minuti in frigo.
  5. Stendere l’impasto un’ultima volta, arrotolandolo a palla e lavorandolo.
  6. Versare in uno stampo per pandoro (alto 20 cm) e lasciare lievitare finché la cupola uscirà dal bordo.
  7. Infornare insieme ad una ciotola d’acqua sulla griglia inferiore a 170° C per 15 minuti, poi abbassare a 160° C e lasciare cuocere per 50 minuti. controllare la cottura.

Leggi anche:

Lo staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o seguici su Twitter, su Instagram o su Pinterest, grazie!

L’ananas fa ingrassare o dimagrire? Quante calorie ha?

MEDICINA ONLINE ANANAS FRUTTA CALORIE DIABATE GLICEMIA INSULINA ZUCCHERI CARBOIDRATI CIBO DOLCE MANGIARE ACQUA VALORI PROPRIETA NUTRIZIONISTA TAVOLA DIETA DIMAGRIRE TERMOGENICO.jpgChi è a dieta se lo domanda spesso: l’ananas fa dimagrire? Falso o, quantomeno, non del tutto corretto. E’ vero, invece, che questo gustoso frutto esotico, il cui nome deriva da ‘Anana’ che in lingua caraibica significa ‘profumo dei profumi’, è povero di calorie (possiede solo 50 calorie per 100 grammi) ed è molto ricco di acqua, quindi può favorire l’eliminazione dei liquidi, ma non ha azione diretta sul dimagrimento.

Perché l’ananas è consigliato a chi vuole dimagrire?

L’ananas, originario dell’America Centrale contiene grandi quantità di bromelina, una sostanza che facilita la digestione e la disintegrazione delle proteine. Questa sostanza, appunto, è un enzima che agisce sul fegato e sull’intestino favorendo la digestione delle proteine, questo però non vuol dire che fa dimagrire. La sua azione diuretica aiuta a snellire chi soffre di ritenzione idrica eliminando i liquidi con le urine, ma per quel che riguarda i chili di troppo quelli, purtroppo, restano.

E l’eliminazione dei liquidi aiuta a perdere peso?

L’ananas è ricchissimo di acqua e questa, associata alla sua proprietà digestiva, favorisce la depurazione e lo ‘sgonfiamento’ del fisico tramite l’eliminazione dei liquidi e delle tossine con le urine. La diuresi, infatti, aiuta a purificare l’organismo disintossicandolo, dando anche una sensazione generale di benessere. Proprio per questa sua proprietà detossinante l’ananas aiuta a eliminare i gonfiori e la ritenzione idrica riducendo la cellulite e mettendo il fisico in una condizione di benessere. Questi effetti si hanno sempre grazie alla bromelina, che ha la capacità di controllare gli edemi sia di tipo post – traumatico sia di origine infiammatoria, e alla presenza di acidi organici.

Quando è meglio mangiare l’ananas: prima o dopo i pasti?

L’ideale è di mangiare l’ananas a fine pasto perché in questo modo aiuta la digestione, ma solo se è fresco perché la bromelina, che ha proprietà digestive, si perde con il calore, quindi è assente nell’ananas in scatola o cotto. In ogni caso, può essere utilizzato anche come ‘spezzafame’ a metà mattina o a metà pomeriggio per il suo elevato contenuto di fibre e il suo ridotto apporto calorico (solo 40 Kcal per 100 g). Inoltre, contiene grandi quantità di vitamine (A e C) e sali minerali (calcio, fosforo, potassio e ferro) che lo rendono un elemento prezioso per il benessere dell’organismo.

E’ indicato a tutti?

In linea di massima sì, anche se i preparati a base di ananas potrebbero essere scarsamente tollerati da persone con ulcera peptica attiva e devono essere evitati da chi è in trattamento con anticoagulanti a causa della loro moderata attività antiaggregante piastrinica. Devono, poi, fare attenzione a non esagerare con le dosi le donne in gravidanza perché potrebbe creare complicazioni nella normale crescita del feto.

Leggi anche:

Lo staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o seguici su Twitter, su Instagram o su Pinterest, grazie!

Le mele fanno ingrassare o dimagrire? Quante calorie hanno?

MEDICINA ONLINE MANGIARE FRUTTA DONNA MELA MELE BUCCIA INGRASSARE DIMAGRIRE TIPO DIFFERENZE FOGLIA ALBERO VITAMINE MINERALI CALORIE CARBOIDRATI DIABETE ZUCCHERI VALORI NUTRIZIONALI.jpgLa mela fa ingrassare a dimagrire? Pur non potendo essere considerato un cibo “dimagrante” di per sé, grazie al suo modico apporto calorico (circa 52 calorie per 100 grammi), può effettivamente aiutarci se stiamo cercando di perdere peso, tuttavia c’è una differenza se scegliete di mangiarla durante o dopo la cena.

Come tutti i frutti, anche la mela contiene zuccheri, ma un conto, però, è mangiarla dopo pranzo, quando stomaco e intestino sono al massimo delle loro potenzialità, un conto è inserirla nel menu della propria cena, poche ore prima di andare a dormire. Mela o non mela, la cena deve essere sempre leggera sia per evitare di ingrassare sia per non svegliarsi ripetutamente nel cuore della notte a causa della cattiva digestione. L’ultimo pasto della giornata è quello a cui si deve prestare maggiore attenzione, così come agli spuntini notturni: molti, per esempio, non riescono a resistere alla tentazione di mangiare dei quadrati di cioccolata al latte o una manciata di salatini prima di andare a dormire. Cosa fare in questi casi? mangiare una mela dopo cena fa ingrassare?

La mela fa ingrassare se la mangiate di sera dopo una cena sostanziosa, altrimenti no; è consigliabile mangiarla solo quando vi assale la fame notturna: prima di andare a dormire, una mela fungerà da snack spezza-fame ed eviterete di rimpinzarvi di alimenti troppo calorici (no alla frutta secca!). Se la mangiate lontana dalla cena, stimola il metabolismo e permette un più efficace smaltimento dei grassi: un effetto simile a quello dell’uva.

Le proprietà della mela non finiscono qui e alcune interesseranno senz’altro chi vuole dimagrire: evita i tipici gonfiori causati da pasti abbandonanti e intensifica la flora batterica. Questo cosa significa? Un intestino più sano: digestioni e transito intestinale più efficiente. C’è, però, anche un effetto indesiderato: se mangiate la mela prima di andare a dormire, sicuramente vi sveglierete, di notte, per correre in bagno. Niente di grave, anzi, utile per chi soffre di stitichezza e problemi similari.

Mangiare una o due mele al giorno – da alternare con altra frutta di stagione – è una buona abitudine e, d’estate, soprattutto nei mesi di giugno e luglio, la potete sostituire con anguria, melone e ananas. Questa sera, dopo la cena, potete mangiare tranquillamente una mela senza paura di ingrassare.

Leggi anche:

Lo staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o seguici su Twitter, su Instagram o su Pinterest, grazie!

Panettone e pandoro: quale dei due contiene più burro?

MEDICINA ONLINE NATALE DOLCI NATALIZI PANDORO PANETTONE SFOGLIATA LIEVITAZIONE INGREDIENTI ZUCCHERO A VELO CALORIE RICETTE DIFFERENZE DIETA CIBO DOLCE COLOMBA PASQUA BUONE FESTE CAPODANNO.pngTra i due tipici dolci natalizi, quello a maggior contenuto di burro è il pandoro, ciò si riflette anche sul apporto calorico: il panettone generalmente ha fino a 360 calorie per 100 grammi, mentre il pandoro arriva fino a 410 calorie.

Leggi anche:

Lo staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o seguici su Twitter, su Instagram o su Pinterest, grazie!

Differenza tra cioccolato bianco e al latte: quale ingrassa di più?

MEDICINA ONLINE POLLO CIOCCOLATO BIANCO WHITE CHOCOLATE Italian egg pie EGGS PASTO FRITTA OLIO SAUSAGE DIET LIGHT DINNER DIETA DIMAGRIRE CALORIE MANGIARE INGRASSARE DIMAGRIRE COLESTEROLO CUCINA RICETTA LEGGER.jpgIl cioccolato bianco è un alimento dolce ottenuto dalla lavorazione di vari ingredienti come burro di cacao, saccarosio e latte vaccino o suoi derivati (prevalentemente latte in polvere).

Il cioccolato bianco contiene non meno del 20 % di burro di cacao e del 14 % di sostanza secca del latte ottenuta dalla disidratazione parziale o totale del latte intero, del latte parzialmente o totalmente scremato, di panna, di panna parzialmente o totalmente disidratata, di burro o di grassi del latte; questi ultimi devono essere presenti in quantità pari almeno al 3,5 %

Il cioccolato bianco presenta un colore molto pallido ed una consistenza simile a quella del cioccolato al latte, dal quale si distingue per l’ASSENZA di polvere di cacao.

Ingredienti principali del cioccolato bianco:

  • Burro di cacao: è una sostanza grassa ottenuta per lavorazione dei semi di cacao. Questo ingrediente conferisce il gusto e le caratteristiche organolettiche tipici del prodotto, nel quale (per legge) dev’essere presente in quantità minime del 20% (in alcuni cioccolati bianchi si registrano percentuali che raggiungono anche il 45%). Oltre che nel cioccolato bianco, Il burro di cacao è presente anche negli altri tipi di cioccolato, nei rossetti, nei cosmetici e in alcuni farmaci.
  • Latte in polvere: è un prodotto ricavato dalla disidratazione del latte vaccino; nel cioccolato bianco non deve essere inferire al 14% (sia per caratterizzarne il gusto che per assicurarne la giusta consistenza).
  • Saccarosio: o zucchero da tavola, è sempre presente nel cioccolato bianco poiché NON esistono in commercio tipi di cioccolato bianco amaro o non dolcificato.

In merito alla sua composizione, il cioccolato bianco è (come quello al latte) più difficile da fondere rispetto al fondente ma può essere impiegato comunque nelle preparazioni tipo mousse, salse e glasse.

Quale fa ingrassare di più?

Il cioccolato al al latte contiene 353 calorie per 100 grammi e 30 grammi di grassi (di cui
acidi grassi saturi 19 g; acidi grassi polinsaturi 1,4 g; acidi grassi monoinsaturi 7 g).

Il cioccolato bianco contiene 539 calorie per 100 grammi di prodotto e 32 grammi di grassi (di cui acidi grassi saturi 19 g; acidi grassi polinsaturi 1 g; acidi grassi monoinsaturi 9 g).

Il cioccolato bianco fa quindi ingrassare di più rispetto al cioccolato al latte ed entrambi fanno ingrassare di più rispetto al fondente.

Leggi anche:

Lo staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o seguici su Twitter, su Instagram o su Pinterest, grazie!

Differenza tra zucchero di canna e zucchero bianco: qual è il migliore in una dieta?

MEDICINA ONLINE MANGIARE TIPI DI ZUCCHERO INTEGRALE CANNA FRUTTA MAGRA DIABETE CALORIE GLICEMIA RICETTA INGRASSARE DIMAGRIRE INSULINA GLICATA COCA COLA ARANCIATA THE BERE ALCOL DIETA CIBDal punto di vista chimico sia lo zucchero di canna che quello bianco contengono esattamente la stessa molecola, quella del saccarosio. La differenza principale è che mentre lo zucchero bianco contiene solo saccarosio, quello bruno contiene anche qualche residuo di melassa (tra l’1% e il 5% a seconda dei tipi di zucchero grezzo in commercio), che gli regala un aroma un po’ diverso.  Nella melassa sono presenti, in quantità molto bassa, alcuni minerali (soprattutto potassio) e vitamine. Ma poiché di zucchero se ne assumono giornalmente piccole quantità, queste sostanze “in più” presenti nello zucchero bruno, non apportano particolari benefici all’organismo.

Come si ottiene lo zucchero?

Il processo industriale al quale viene sottoposto lo zucchero ricavato dalla barbabietola o dalla canna, spesso accusato di “danneggiare” in qualche modo il prodotto, in realtà non fa che estrarre il saccarosio dalle impurità presenti nella melassa. Il saccarosio puro, infatti, è bianco. Rispetto allo zucchero bruno presente in commercio, quello bianco proveniente dalla canna viene ulteriormente purificato impiegando idrossido di calcio e carbone attivo (che si usa anche per potabilizzare l’acqua), sostanze delle quali nel prodotto finito non resta traccia. Il saccarosio ricavato invece dalla barbabietola viene purificato aggiungendo anche diossido di zolfo. Questa lavorazione fa sì che nello zucchero bianco rimangano tracce di anidride solforosa, che però è presente in quantità davvero basse (basta pensare che nel vino la quantità è oltre dieci volte maggiore).

Quale fa più male?

Lo zucchero, bianco o di canna, è costituito per il la quasi totalità da saccarosio, un disaccaride (ovvero un composto costituito da due molecole zuccherine) che la digestione scinde nei suoi elementi costitutivi, il glucosio e il fruttosio. Il consumo di saccarosio determina nell’organismo un innalzamento della glicemia al quale corrisponde la produzione di insulina. Entrambi i tipi di zucchero fanno “male” se consumati in eccesso, senza distinzione, anche perché lo zucchero bianco contiene 392 calorie per 100 grammi; lo zucchero di canna contiene invece 360 calorie per 100 grammi .

La diatriba fra i sostenitori dello zucchero di canna e dello zucchero bianco è sempre più viva ed accesa. Ma quanto c’è di vero in tutte le affermazioni che provengono dai mezzi di comunicazione e quanto, invece, è legato a credenze, falsi miti ed errata interpretazione delle informazioni? Purtroppo, sono più le false voci che i dati scientifici a prevalere: per questo, è importante fare chiarezza una volta per tutte sul dibattito che riguarda lo zucchero bianco e quello di canna.

Dal punto di vista chimico consumare zucchero bianco o bruno è esattamente la stessa cosa, con una leggera propensione per lo zucchero di canna che è lievemente meno calorico.

Leggi anche:

Lo staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o seguici su Twitter, su Instagram o su Pinterest, grazie!

Differenze tra Parmigiano e Grana: colesterolo, valori nutrizionali, dieta, lattosio, proteine

Parmigiano e GranaLa maggioranza dei consumatori italiani conosce i due celebri formaggi Grana Padano e Parmigiano Reggiano. Molti sanno anche che si tratta di due formaggi a Denominazione di Origine Protetta e sanno identificare cosa ciò significhi in termini di caratteristiche del prodotto rispetto a prodotti similari generici. Grana Padano e Parmigiano Reggiano presentano una serie di caratteristiche che li accomunano e una serie di elementi che invece li differenziano e li distinguono nettamente, tanto che entrambi i formaggi si sono affermati come denominazione di origine e tipica, dapprima a livello italiano e successivamente a livello europeo. E’ dunque legittimo e, per così dire, naturale che si abbia la curiosità di capire esattamente in cosa si differenzino esattamente i due formaggi, all’apparenza così simili ed in realtà tanto diversi da essersi meritati ciascuno una propria DOP.
Sono quindi molti i contesti che mettono a confronto le caratteristiche fondamentali dei due formaggi in questione.
Poiché tuttavia non di rado e sempre più spesso abbiamo dovuto constatare che circolano comparazioni che attribuiscono al formaggio Grana Padano DOP caratteristiche del tutto errate ed estranee a quanto previsto dal disciplinare di produzione, si ritiene utile e doveroso far presenti e chiarire definitivamente quali sono le reali differenze fra il formaggio Grana Padano DOP e il formaggio Parmigiano Reggiano DOP.

E’ importante ricordare che, in generale, 100 gr di formaggio contengono una discreta dose di colesterolo (circa 100 mg colesterolo a fronte di una dose giornaliera raccomandata di 300 mg circa); di conseguenza, un piccolo pezzetto da 20 gr di formaggio al giorno può essere considerata la quantità giornaliera ideale per il nostro organismo.

Calorie, colesterolo, proteine, lattosio, gusto e prezzo di Grana e Parmigiano

Dal punto di vista calorico e del contenuto di colesterolo, i due formaggi presetantano differenze significative:

  • il Grana Padano possiede circa 384 calorie e 109 mg di colesterolo per 100 grammi;
  • il Parmigiano Reggiano possiede circa 431 calorie e 91 mg di colesterolo per 100 grammi.

Inoltre:

  • Entrambi contengono 33 grammi circa di proteine ad alto valore biologico per 100 grammi.
  • Entrambi NON contengono lattosio.
  • Il Parmigiano Reggiano tende ad avere un sapore più intenso e saporito, mentre il Grana Padano ha un sapore più morbido e delicato.
  • Il Parmigiano Reggiano, in genere, tende ad essere più costoso rispetto al Grana.

Elementi comuni

Gli elementi che accomunano i due formaggi in questione, sono:

  • L’origine storico-geografica: le origini di entrambi i formaggi si perdono nei secoli e risalgono a quasi mille anni fa; l’area di origine è la Pianura Padana.
    Per quanto riguarda il Grana Padano, l’origine si fa risalire al 1135 ad opera dei monaci benedettini dell’abbazia di Chiaravalle, che misero appunto la ricetta come geniale espediente per conservare nel tempo le eccedenze di latte.
  • Le caratteristiche esteriori: i due formaggi sono del tutto simili per quanto riguarda, geometria della forma, dimensioni e peso.
  • Il numero di mungiture delle vacche: i disciplinari di entrambi i formaggi prevedono che le vacche siano munte due volte al giorno.
  • L’impiego di medesime o analoghe attrezzature: considerata l’origine comune, e la tradizionalità del procedimento di produzione, gli strumenti impiegati, dalla caldaia ai vari strumenti utilizzati, sono analoghi se non addirittura i medesimi.
  • L’utilizzo di caglio solo ed esclusivamente di origine animale, ed in particolare caglio di vitello: al riguardo va sottolineato che è assolutamente falso che il caglio impiegato per produrre il Grana Padano sia o possa essere vegetale o batterico, come invece capita di leggere in taluni contesti. Si tratta di affermazioni prive di qualsiasi fondamento, come si può agevolmente constatare dalla lettura del disciplinare di produzione
  • La struttura della pasta: i disciplinari di entrambi i formaggi prevedono che la stessa sia finemente granulosa con frattura a scaglie.
  • Una stagionatura prolungata e che può protrarsi per un periodo più o meno lungo, anche se il Parmigiano Reggiano normalmente stagiona per periodi superiori rispetto al Grana Padano.

Elementi diversi

Le specificità che hanno consentito ad entrambi i formaggi in questione di ottenere la DOP sono sostanzialmente:

  • La zona di produzione: che per quanto riguarda il Grana Padano DOP comprende 32 province in cinque Regioni: Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Trentino Alto Adige (per l’elenco completo, consulta il disciplinare di produzione). Ricordiamo che fa parte della DOP Grana Padano anche la tipologia Trentingrana, che è sostanzialmente un Grana Padano prodotto nella provincia autonoma di Trento e che si caratterizza per alcune specifiche, sia per quanto riguarda l’alimentazione delle bovine, che per alcuni aspetti della lavorazione. Per il Parmigiano Reggiano DOP, la zona di produzione è invece circoscritta alla sola Emilia Romagna e alla parte a destra del fiume Po della provincia di Mantova.
  • Alimentazione delle bovine da latte: per il Grana Padano DOP, oltre a foraggi freschi o affienati, è possibile l’impiego di foraggi insilati (principalmente insilato di mais). L’utilizzo di insilati rende necessario l’impiego in lavorazione del lisozima, una proteina naturale estratta dall’albume dell’uovo di gallina indicato in etichetta come conservante. Il lisozima – ammesso per un massimo di 2,5 grammi per 100 chili di latte – ha la funzione di prevenire fermentazioni anomale nella maturazione del formaggio che potrebbero verificarsi a causa dell’utilizzo di insilati. Il lisozima è presente in tracce nel latte di vacca, nonché in grande quantità nelle lacrime, nella saliva, nel latte materno, nelle uova.
    Per la tipologia Trentingrana, l’utilizzo di insilati è espressamente vietato ed è dunque escluso anche l’utilizzo del lisozima nella lavorazione. Ciò vale anche per il Parmigiano Reggiano DOP.
    In ogni caso, sia per quanto riguarda il Grana Padano (compresa la tipologia Trentingrana) che il Parmigiano Reggiano, il rapporto con il territorio è assicurato dalla prevalente utilizzazione di alimenti ottenuti dalle coltivazioni effettuate nell’ambito del rispettivo territorio di produzione con particolare rilevanza per gli alimenti di origine aziendale.
    E’ pertanto scorretta e del tutto priva di fondamento l’affermazione che talvolta si riscontra secondo la quale nel Grana Padano, a differenza del Parmigiano Reggiano, sarebbero genericamente ammessi «conservanti», con ciò lasciando ragionevolmente – ma del tutto scorrettamente – presumere che nel Grana Padano ci possano essere anche altri conservanti, mentre come detto è ammesso solo l’utilizzo del lisozima.
  • Munte: per quanto riguarda il Grana Padano DOP entrambe le munte utilizzate – siano esse impiegate separate o miscelate – sono sottoposte a scrematura mediante affioramento naturale della crema. Per il Parmigiano Reggiano DOP solo una munta (generalmente quella della sera) viene sottoposta a affioramento, mentre quella del mattino viene usata intera, miscelata a quella della sera.
    Ciò comporta che il latte destinato alla produzione del Grana Padano DOP abbia un tenore di grasso inferiore (indicativamente, circa 2,6% per il Grana Padano DOP, mentre per il Parmigiano Reggiano DOP è circa 2,8%). Inoltre, il Grana Padano DOP, a differenza di quanto previsto per il Parmigiano Reggiano DOP e per la tipologia Trentingrana, ha nel disciplinare il parametro secondo il quale il rapporto grasso/caseina in caldaia deve essere compreso tra 0,80 e 1,05.
    Per effetto di quanto sopra, il Grana Padano DOP ha un tenore medio di grasso inferiore rispetto al Parmigiano Reggiano e quindi matura in tempi più brevi.
  • Espertizzazione e stagionatura: il Grana Padano DOP viene sottoposto ad espertizzazione, per essere poi marchiato a fuoco col contrassegno della DOP, al compimento del nono mese di stagionatura. Per il Parmigiano Reggiano DOP l’espertizzazione ha luogo al compimento del dodicesimo mese di stagionatura.
    Per il Grana Padano DOP la stagionatura più lunga prevista espressamente dal Disciplinare è quella per la tipologia “Grana Padano RISERVA – Oltre 20 mesi”. Per il Parmigiano Reggiano DOP la stagionatura più lunga prevista espressamente dal Disciplinare è quella per il formaggio oltre 30 mesi. Per entrambi i formaggi è tuttavia possibile trovare anche stagionature superiori.

Così sinteticamente riassunte le principali caratteristiche dei formaggi a Denominazione di Origine Protetta Grana Padano e Parmigiano Reggiano, è opportuno ricordare in sintesi i principali elementi che contraddistinguono i due prodotti DOP dagli altri formaggi duri similari generici.
Al riguardo, occorre tenere ben presente che, a differenza dei prodotti generici, per i prodotti DOP:

  • Il latte utilizzato proviene esclusivamente dalla zona di origine codificata nel disciplinare di produzione; per i generici può invece ovviamente provenire anche dall’estero.
  • I prodotti DOP devono rispettare un disciplinare di produzione che chiunque può liberamente consultare; i prodotti generici non sono tenuti a rendere pubblica la loro “ricetta” e le modalità con le quali sono ottenuti.
  • I prodotti DOP sono certificati da un Organismo di controllo terzo, autorizzato allo scopo dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, che attesta e sancisce la conformità dei prodotti DOP al rispettivo disciplinare di produzione. Le eventuali certificazioni che i prodotti generici dovessero vantare non offrono le stesse garanzie di terzietà ed imparzialità e spesso la garanzia che questi prodotti possono offrire deriva solo dal prestigio e dall’affidabilità che il marchio commerciale di chi li produce si è saputo conquistare.

Inoltre:

  • Il caglio impiegato per produrre il Grana Padano DOP può essere solo ed esclusivamente di origine animale, ed in particolare caglio di vitello, come testualmente riportato nel disciplinare di produzione.
  • Non è corretto affermare che nel Grana Padano, a differenza del Parmigiano Reggiano, sarebbero genericamente ammessi conservanti. È ammesso unicamente l’impiego di lisozima, che è una proteina naturale estratta tal quale dall’uovo.

I migliori prodotti per abbassare il colesterolo e dimagrire

Qui di seguito trovate una lista di prodotti di varie marche, che sono estremamente utili per abbassare il colesterolo e dimagrire, fattori che diminuiscono il rischio di ipertensione, ictus cerebrale ed infarto del miocardio:

Leggi anche:

Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o unisciti al nostro gruppo Facebook o ancora seguici su Twitter, su Instagram, su YouTube, su LinkedIn, su Tumblr e su Pinterest, grazie!

Differenza tra pizza e piadina: calorie ed idee in cucina

MEDICINA ONLINE PIZZA PIADINA NAPOLETANA ROMANA ROSSA EMILIANA POMODORO FORMAGGIO MOZZARELLA RISTORANTE CIBO CALORIE MANGIARE OLIO PASTA PANE INGREDIENTI TAVOLA LIGHT DIETA DIMAGRIRE INGRASSARE.jpgLa gloria di Napoli o il vanto della Romagna? Pro e contro di due prodotti alimentari molto gustosi ma di difficile inserimento in un sano  regime alimentare. Ma sarà poi vero? La pizza è una preparazione gastronomica che si presenta in molte decine di varianti, ma ha alla base un impasto cotto al forno di farina di frumento, acqua e lievito. Poco si sa con certezza delle sue origini, anche se molti le fanno risalire all’epoca romana e all’ambiente culturale mediterraneo.

Secondo alcuni, il nome deriverebbe dal participio passato (pinsa) del verbo latino “pinsere”, che significa “schiacciare”, con preciso riferimento alla forma allargata della preparazione. Secondo altri, la pizza si chiamerebbe così dalla parola mediorientale “pita”, nome generico attribuito con numerose varianti al pane.
La piadina, composta da farina di frumento, strutto (o olio d’oliva), sale e acqua, ha alle spalle anch’essa una storia millenaria ma un’origine più determinata: la Romagna, più precisamente le colline fra Forlì e Rimini; la sua cottura avviene su un piatto di terracotta, su lastre di pietra o piastre di metallo. Il termine “piada”, di cui piadina è un diminutivo, potrebbe derivare dal greco “plakous” (focaccia) a indicare un surrogato del pane; ma altri studiosi, considerando il fatto che la Romagna apparteneva all’Impero Romano d’Oriente, fanno risalire l’attuale denominazione al mediorientale “pita”.

Una possibile identica origine, quindi, per due prodotti affini ma molto diversi.

Il consumo odierno

La notorietà internazionale e il crescente successo commerciale della pizza rendono quantitativamente improponibile un confronto fra i due prodotti. Anche se, piuttosto recentemente, la piadina romagnola ha valicato i confini regionali e ha iniziato a divenire un sostitutivo di pasto gradito in tutta Italia (togliendo peraltro soltanto pochi adepti alle schiere degli amanti di panini e pizzette), la presenza capillare – e non solo nel nostro Paese – di pizzerie classiche o al trancio fa della pizza uno degli ambasciatori più graditi del “gusto italiano” nel mondo. Come si sa, esistono decine di modi più o meno tradizionali di condire una pizza: dalle classiche Margherita e Napoli alle più fantasiose e condizionate dalle mode quali pizza con ketchup e patatine chips, pizza con panna e salmone o pizza con Nutella.

Senza addentrarci nell’elencazione di tutte le qualità di pizza cucinate al mondo (ne esistono di tipiche anche in Nordamerica, con mais e salsiccia, o in Brasile, con pollo, ananas e cocco), riconosciamo alla città di Napoli il vanto di potersi fregiare dell’”invenzione” della pizza rotonda (con la pasta tipicamente elastica al centro e croccante ai bordi) e a Roma quello di aver dato i natali alla pizza al trancio (più umida e soffice). Diverso il caso della piadina, che contempla soltanto poche diversità di preparazione e servizio: con salumi affettati, con formaggio molle (classicamente squacquerone,  il formaggio Dop romagnolo) o con le verdure, anche se in questo caso viene indicata con un nome diverso: “cassone” o “crescione”.

Calorie

La notorietà della dieta mediterranea e la sua affermazione come salutare “italian way of life” ha spesso fatto commettere qualche errore di valutazione a più di un dietologo, inducendolo a considerare la pizza un alimento ipocalorico. Meglio sgombrare il campo da ogni dubbio: sommando i carboidrati della pasta ai grassi di animali di mozzarella o altri formaggi e a quelli vegetali dell’olio d’oliva (per tacere di eventuali ulteriori salumi, sottoli e quant’altro), si ottiene una vera e propria bomba calorica; basti pensare che una piccola e semplice “margherita” da 250-300 grammi rasenta le 800 calorie, peraltro piuttosto sbilanciate a favore dei carboidrati (oltre il 70%), più o meno equivalenti a una generosa porzione di spaghetti al pomodoro ben condita o a quasi tre hamburger. Preferire le pizze senza salumi e mozzarella (o altri formaggi) può essere una buona soluzione di compromesso.
Molto calorica anche la piadina romagnola, che sconta la presenza di strutto o olio d’oliva nell’impasto, grassi ai quali vanno aggiunti quelli della farcitura a base di salumi e formaggi. In qualche modo più gestibile, nel quadro di un giusto regime alimentare,  la versione vegetariana cui avevamo accennato più sopra: il “cassone” o “crescione”. Ne proponiamo una fra le tante ricette disponibili.

Idee in cucina

CASSONI ALLA ROMAGNOLA (per 4 persone)

Per la pasta: un chilo di farina; 4 grammi di bicarbonato di sodio, mezzo bicchiere di olio extravergine di oliva.

Per il ripieno: far saltare le verdure (spinaci, bietole o scarola) in poco olio profumato di aglio e un pizzico di sale e poi sminuzzarle grossolanamente. Formare con la pasta delle piccole piadine rotonde e chiuderle a mezzaluna con il ripieno, spolverizzando con formaggio di fossa grattugiato. Cuocere a forno molto alto fino a quando i cassoni accenneranno a colorarsi.

Una curiosità: l’altro nome del cassone è “crescione”, derivante dall’antica usanza di farcirli unicamente con l’omonima erba di campo che cresceva vicino ai fossi, dal gusto amarognolo e leggermente piccante.

In conclusione

Questa volta abbiamo voluto mettere a confronto due piatti tipici della tradizione, uno di grande successo internazionale e dalle mille varianti, l’altro più radicato sul territorio di una sola regione, peraltro la più turisticizzata d’Italia. Trattandosi di piatti dall’origine molto antica e sicuramente non ideati da un dietologo, non possiamo certo consigliarvi di considerarli alla base quotidiana della vostra dieta. Gustosi e ricchi di calorie, possono al massimo costituire una piacevole eccezione a un regime controllato.

Leggi anche:

Lo staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o seguici su Twitter, su Instagram o su Pinterest, grazie!