Shock neurogeno: cause, sintomi, rischi, diagnosi, terapie, prognosi, morte

MEDICINA ONLINE FISIOTERAPIA RIABILITAZIONE DISABILE SEDIA ROTELLE CERVELLO CRANIO EMORRAGIA CEREBRALE ISCHEMIA EMORRAGICA ICTUS PARAPLEGIA EMATOMA EMIPARESI EMIPLEGIA TETRAPARESI TETRAPLEGIA DECUBITO RECUPERO PARALISICon “shock” in medicina si indica una sindrome, cioè un insieme di sintomi e segni, causata da una ridotta perfusione a livello sistemico con sbilanciamento fra la disponibilità di ossigeno e la sua domanda a livello tessutale. Lo shock viene classificato in due grandi gruppi:

  • shock da diminuzione della gittata del cuore: cardiogeno, ostruttivo, ipovolemico emorragico e ipovolemico non emorragico;
  • shock distributivo (da diminuzione delle resistenze periferiche totali): settico, allergico (“shock anafilattico”), neurogeno e spinale.

In questo articolo parleremo in particolare dello shock distributivo neurogeno.

Shock distributivo neurogeno

Lo shock distributivo è un tipo di shock causato da una sproporzione tra il letto vascolare che è abnormemente dilatato, ed il volume di sangue circolante che – seppur non ridotto in assoluto – diventa insufficiente a causa della vasodilatazione creatasi.

Lo shock neurogeno è un raro tipo di shock distributivo in cui la vasodilatazione periferica è determinata da eventi di natura nervosa. Tale forma non deve essere confusa con un’altra simile, lo shock spinale. In diversi testi i due tipi di shock vengono associati, ma nel caso dello shock spinale si osserva in particolare una perdita dei riflessi mediati dal midollo.

In questo tipo di shock si verifica, semplificando, questa sequenza di eventi:

  1. il danno nervoso determina diminuzione dei meccanismi nervosi di controllo del circolo sanguigno;
  2. si verifica vasodilatazione periferica;
  3. la vasodilatazione periferica determina ipotensione arteriosa;
  4. l’ipotensione arteriosa porta ad ipoperfusione dei tessuti;
  5. l’ipoperfusione dei tessuti porta ad anossia tissutale;
  6. la sofferenza ischemica determina necrosi (morte) dei tessuti, che smettono di funzionare.

Sintomi e segni

In questo tipo di shock si possono riscontrare i seguenti sintomi e segni clinici:

  • ipotensione arteriosa;
  • affaticamento;
  • cute calda ed asciutta;
  • alterata frequenza respiratoria;
  • bradicardia (frequenza cardiaca diminuita);
  • sintomi e segni di disfunzione multiorgano;
  • crollo della pressione arteriosa;
  • arresto cardiaco;
  • arresto polmonare;
  • grave riduzione del livello di coscienza;
  • coma;
  • decesso.

La portata cardiaca può essere anche aumentata ma le basse resistenze periferiche determinano ipotensione ed ipoperfusione degli organi. Analogamente a quanto si verifica nella fase iniziale iperdinamica dello shock settico, la cute è spesso calda ed asciutta, cosa che differenzia lo shock neurogeno da altri tipi di shock, in cui la cute tende ad essere fredda e sudata.

A tali sintomi e segni si devono associare anche altri sintomi e segni causati dalla condizione e/o patologia a monte che ha determinato lo shock, come ad esempio quelli della compressione del midollo spinale, che può determinare deficit motori (ad esempio paralisi degli arti inferiori o anche superiori in caso di lesione di vertebra cervicale) e sensitivi.

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Cause e fattori di rischio

Patologie e condizioni che più frequentemente causano e/o favoriscono uno shock neurogeno, sono i traumi del midollo spinale con quadro di quadriplegia o paraplegia. Un trauma frequente è la frattura di una vertebra cervicale o toracica (generalmente sopra la sesta vertebra toracica) e/o la sua dislocazione, con conseguente compressione e/o lesione del midollo spinale. Spesso tali tipi di traumi si verificano negli incidenti stradali o sportivi, oppure in cadute o lesioni determinate da colpi di arma da fuoco.

Cause meno frequenti di shock neurogeno, sono:

  • sindrome di Guillain-Barré;
  • varie neuropatie;
  • anestesia spinale alta;
  • sovradosaggio/abuso di farmaci, tra cui:
    • ganglioplegici (ipotensivi usati in caso di ipertensione arteriosa);
    • vasodilatatori (come i nitroderivati);
    • fenotiazinici;
    • glutetimide;
    • altri farmaci che agiscono sul sistema nervoso autonomo e simpatico;
  • intossicazioni;
  • avvelenamento da barbiturici;
  • tumori spinali.

Leggi anche:

Decorso di uno shock

In uno shock si possono generalmente identificare tre diverse fasi:

  • fase iniziale compensatoria: la depressione cardiocircolatoria si aggrava e l’organismo fa partire meccanismi di compenso mediati da sistema nervoso simpatico, catecolamine e produzioni di fattori locali, come le citochine. La fase iniziale è più facilmente trattabile. La diagnosi precoce porta a prognosi migliore, tuttavia è spesso ardua visto che in questa fase i sintomi e segni possono essere sfumati o aspecifici;
  • fase di progressione: i meccanismi di compenso divengono inefficaci e il deficit di perfusione agli organi vitali si aggrava rapidamente, provocando gravi squilibri fisiopatologici con ischemia, danno cellulare ed accumulo di sostanze vasoattive. La vasodilatazione con l’aumento della permeabilità tissutale può portare sino alla coagulazione intravascolare disseminata. A tal proposito, leggi: Coagulazione intravascolare disseminata (CID): cause e terapie
  • fase di irreversibilità: è la fase più grave, dove sintomi e segni marcati facilitano la diagnosi che però, eseguita in questa fase, porta spesso ad eseguire terapie inefficaci e prognosi sfavorevole. Si può verificare coma irreversibile e riduzione della funzione cardiaca sino all’arresto cardiaco ed al decesso del paziente.

Diagnosi

La diagnosi dello shock si basa su vari strumenti, tra cui:

  • TAC;
  • coronarografia;
  • angiografia polmonare;
  • elettrocardiogramma;
  • radiografia del torace;
  • ecocardiogramma con colordoppler.

Gli esami più comuni utilizzati per la diagnosi differenziale sono la TAC, l’ecocardiografia, il cateterismo cardiaco, l’ecografia addominale, nonché gli esami di laboratorio per escludere emorragie e alterazioni della coagulazione.

  • Anamnesi ed esame obiettivo sono importanti e devono essere eseguiti molto rapidamente. In caso di paziente senza conoscenza, l’anamnesi si può servire dell’aiuto dei familiari o di amici, se presenti.
  • All’esame obiettivo il soggetto con shock si presenta spesso pallido, con la cute fredda e umida, tachicardico, con polso carotideo ridotto, con funzionalità renale alterata (oliguria) e con lo stato di coscienza compromesso. Durante la diagnosi, servirà assicurare la pervietà delle vie aeree nei pazienti con turbe alla coscienza, mettere il soggetto in posizione antishock (supina), coprire l’infortunato, senza farlo sudare, per prevenire lipotimia e quindi un ulteriore aggravamento delle stato di shock.
  • Per quanto attiene agli esami di laboratorio fondamentale nella diagnostica dello shock è l’emogasanalisi arteriosa o venosa, per la valutazione dell’equilibrio acido-base dell’organismo. Caratteristicamente lo shock si accompagna ad un quadro di acidemia metabolica con incremento dei lattati e deficit di basi.
  • TAC e risonanza magnetica della colonna vertebrale sono essenziali per individuare il danno al midollo spinale.

La diagnosi e la gestione del trauma spinale può essere difficile e lesioni non diagnosticate precocemente possono causare gravi complicazioni. In caso si sospetti una lesione spinale, la colonna vertebrale deve essere protetta e immobilizzata in ogni momento durante la valutazione e la diagnosi. La valutazione iniziale comprende anamnesi, esame clinico e soprattutto diagnostica per immagini (radiografia, TAC, risonanza magnetica) che deve includere tutta la colonna vertebrale, non solo la regione in cui si sospetta la lesione. La scelta delle tecniche diagnostiche varia a seconda dello stato di coscienza del paziente e della presenza di altre lesioni.

Nello shock distributivo si verifica questa situazione:

  • precarico: diminuisce/normale;
  • postcarico: diminuisce;
  • contrattilità: normale;
  • satO2 venosa centrale: varia, in caso di shunt artero-venosi si ha un aumento;
  • concentrazione Hb: normale;
  • diuresi: normale/diminuita;
  • resistenze periferiche: diminuite;
  • sensorio: normale nello shock neurogeno e in quello spinale; agitazione/confusione nello shock settico e in quello allergico.

Ricordiamo al lettore che la gittata sistolica dipende per la legge di Starling dal precarico, dal postcarico e dalla contrattilità del cuore che possono essere monitorati a livello clinico in maniera indiretta con varie metodiche:

  • precarico: misurando la pressione venosa centrale tramite l’uso del catetere di Swan-Ganz, tenendo ben presente che questa variabile non è in funzione lineare col precarico, ma questo dipende anche dalla rigidità delle pareti del ventricolo destro;
  • postcarico: misurando la pressione arteriosa sistemica (in particolare la diastolica, cioè la “minima”);
  • contrattilità: tramite ecocardiogramma o scintigrafia miocardica.

Gli altri parametri importanti in caso di shock si controllano tramite:

Durante la diagnosi di osserva il paziente in maniera continua, per controllare come evolve la situazione tenendo sempre a mente la “regola ABC“, cioè controllando:

  1. pervietà delle vie aeree;
  2. presenza di respiro;
  3. presenza di circolo.

Tali tre fattori sono vitali per la sopravvivenza del paziente, e devono essere controllate -ed eventualmente ristabilite – in quest’ordine.

Terapia

La terapia dipende dalla causa a monte che ha determinato lo shock. Si effettua in genere somministrazione di ossigeno seguita dalla regolazione dei fluidi dell’individuo per ripristinare la corretta volemia: vengono utilizzati per questo scopo dei cristalloidi isotonici, nei casi più gravi dove la normale terapia sembra non avere successo si usano dopamina o noradrenalina. In particolare la terapia include:

  • immobilizzazione della testa, collo e schiena;
  • attuazione di misure specifiche relative alla causa a monte dello shock, ad esempio:
    • lavanda gastrica in caso di intossicazioni ed avvelenamenti per via orale,
    • immediata sospensione di infusione di vasodilatatori;
    • terapia chirurgica neurologica e/o ortopedica in caso di tumori e/o lesioni traumatiche di vertebre e midollo spinale;
  • espansione della volemia: infusione di soluzione di cristalloidi e.v. (1 litro in 20-30 minuti, proseguendo sino a normalizzazione dei valori della pressione venosa centrale). In questo tipo di shock possono essere usati anche colloidi;
  • farmaci vasocostrittori: permettono di contrastare la vasodilatazione periferica e l’ipotensione arteriosa. Utile la somministrazione di dopamina in dosi di 15-20 mg/kg/minuto oppure noradrenalina in dosi di 0,02-0,1 mcg/kg/minuto (l’infusione va regolata in maniera da non superare i 100 mmHg di pressione arteriosa sistolica).

Riabilitazione

Alle terapie prima elencate, nel tempo si associano trattamenti riabilitativi fisioterapici per ripristinare il più possibile la funzione sensitiva e/o motoria persa a causa del trauma midollare. Terapia fisica, occupazionale, logopedia e riabilitazione sono parti importanti del processo di recupero a lungo termine. La riabilitazione si concentra sulla prevenzione della atrofia muscolare e della contrattura, aiuta i pazienti ad imparare a riqualificare alcuni dei loro muscoli per compensare la perdita di altri, e può migliorare la comunicazione in un paziente che ha perso alcune capacità di parlare e di muoversi. Purtroppo non sempre i trattamenti danno i risultati sperati dal paziente.
A seconda della gravità della lesione, interventi a lungo termine possono essere necessari per mantenere le funzioni di tutti i giorni, ad esempio possono includere:

  • ventilazione meccanica per facilitare la respirazione;
  • catetere vescicale per drenare la vescica;
  • tubo di alimentazione per fornire alimentazione supplementare e calorie.

Evoluzione e prognosi

Uno shock neurogeno grave e non trattato rapidamente ha prognosi spesso sfavorevole. Anche quando l’intervento medico sia tempestivo, la prognosi è a volte infausta. Avviatosi il processo scatenante la sindrome, l’ipoperfusione dei tessuti porta ad una disfunzione multiorgano, che aumenta e peggiora lo stato di shock: diverse sostanze vengono riversate nel torrente circolatorio dai vasocostrittori come le catecolamine, a varie chinine, istamina, serotonina,  prostaglandine, radicali liberi, attivazione del sistema del complemento e fattore di necrosi tumorale. Tutte queste sostanze non fanno altro che danneggiare gli organi vitali come rene, cuore, fegato, polmone, intestino, pancreas e cervello. Un grave shock neurogeno non trattato tempestivamente ha prognosi sfavorevole, potendo determinare danni nervosi motori e/o sensitivi irreversibili, coma e decesso del paziente.

Cosa fare?

Se sospettate che qualcuno stia avendo uno shock, contattate il Numero Unico per le Emergenze 112. Si procede all’immobilizzazione del soggetto a partire dal collo che viene bloccato con l’apposito collare, dopodiché s’immobilizza la schiena, gli arti superiori, il bacino e gli arti inferiori. A questo scopo si possono utilizzare delle cinghie o delle cinture che blocchino i movimenti del soggetto. Se possibile ponete il soggetto in posizione antishock, o posizione di Trendelenburg, che si realizza ponendo l’infortunato disteso al suolo, in posizione supina, inclinato di 20-30° con il capo a terra senza cuscino, con il bacino leggermente rialzato (per esempio con un cuscino) e gli arti inferiori sollevati. Per approfondire:

Se il soggetto è incosciente va posto in posizione laterale di sicurezza: Posizione laterale di sicurezza: come, quando e perché può salvare una vita

In caso di arresto cardiaco e/o respiratorio, possono esserti utili i seguenti articoli:

Per approfondire gli altri tipi di shock, leggi anche:

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