Il mio territorio
Siete nella sala lettura della biblioteca comunale, più o meno assorti dal libro di testo di fronte a voi. La biblioteca è quasi vuota: tanti tavoli sono ancora completamente liberi. Libro in mano, entra un ragazzo che non avete mai visto prima. Si dirige, attraversando la sala, verso il vostro tavolo e si siede, senza alzare lo sguardo, accanto a voi. Deve leggere proprio lì, a trenta centimetri di distanza da voi, con tutto lo spazio a disposizione? In ogni caso, sarebbe difficile muovere dei rimproveri. Lo spazio della biblioteca è pubblico: ognuno può scegliere, tra i posti liberi, quello che più gli aggrada. Il giovane si è seduto accanto a voi. Sappiamo che, in una situazione del genere, comincerete a dare dei segni di disagio. Quasi tutti lo fanno: anche su questo argomento si sono svolte delle ricerche e si è visto che, avvicinati da un estraneo silenzioso nel modo descritto, alcuni studenti accavallano le gambe e si voltano dall’altra parte; altri spostano righelli, penne e quaderni in modo da porre una specie di frontiera simbolica tra loro e l’intruso; qualcuno, dopo pochi minuti, addirittura si alza e se ne va. Perché, in breve, la persona sconosciuta ha violato una regola di comportamento non scritta. Qual è la regola? Possiamo riassumerla così: non invadere il territorio degli altri quando non c’è una necessità evidente per tutti i presenti. Nei luoghi pubblici, per esempio alla fermata dell’autobus o sulle panchine del parco, potete facilmente osservare come tendiamo a utilizzare tutto lo spazio disponibile per non avvicinarci troppo a sconosciuti. Tali persone possono essere carine e gentili, ma difficilmente accorceremo la distanza da loro di 50-70 cm, se non in casi particolari. Nella vita quotidiana, innanzitutto nei luoghi pubblici cittadini, accade tante volte che il nostro spazio personale non sia rispettato. Quando prendiamo il tram alle otto del mattino, dobbiamo sopportare la vicinanza di tante persone e ciò costituisce anche una fonte di stress. Che cosa ci succede? Insomma, in fondo siamo contenti che ci siano gli altri: sono pochi gli uomini che vorrebbero vivere in un posto del tutto isolato per tanto tempo e anche l’eremita più radicale, di tanto in tanto, si reca nel paese vicino per fare due chiacchiere. Eppure, cerchiamo di tenere gli altri esseri umani a distanza.
L’importanza del territorio
Proviamo a immaginare la vita dei nostri antenati che si procuravano il cibo cacciando e raccogliendo ciò che la terra (incolta) offriva. Allora era razionale tenere le distanze affinché ogni cacciatore potesse trovare selvaggina a sufficienza per nutrirsi. In condizioni di scarsità di cibo conveniva agli uomini distribuirsi su tutto il territorio disponibile. Dovevano formare dei piccoli gruppi, perché attraversare boschi e steppe da soli era pericoloso, ma dovevano anche garantire che i singoli gruppi non fossero troppo grandi e che ognuno di essi disponesse di un proprio territorio. Sembrerebbe che i popoli dei cacciatori e raccoglitori avessero trovato una forma ottimale di organizzazione sociale e territoriale. In realtà, affermano gli etologi, tale organizzazione era prede terminata da fattori innati. Studiando il comportamento degli animali più evoluti, ovvero dei vertebrati, ci imbattiamo in un’organizzazione territoriale simile a quella dei primi uomini.
La maggior parte dei vertebrati superiori (uccelli, mammiferi, rettili) è territoriale. Essi occupano da soli, in coppia, oppure in piccoli gruppi, determinati spazi che possiamo definire territori, e che in caso di necessità vengono difesi da intrusi.
(I. Eibl- Eibesfeldt, Etologia umana, cit.)
Il senso del territorio
Sappiamo che tutti gli animali, posti in situazioni di estremo affollamento, soffrono un grave stress e possono anche ammalarsi – come noi umani, insomma. Perché tutti gli uomini, questa è la tesi dell’etologo austriaco Irenäus Eibl-Eibesfeldt (Vienna, 15 giugno 1928 – Starnberg, 2 giugno 2018), in tutti i popoli della terra manifestano un senso del territorio. I confini del territorio a volte sono marcati simbolicamente, a volte rimangono invisibili agli estranei; l’intruso può essere ucciso o punito fisicamente oppure diventare l’oggetto di scherno. Il territorio può anche essere non fisso, come nel caso dei popoli di cacciatori che si spostano continuamente. In ogni caso, secondo l’etologo austriaco, il senso territoriale è innato e continuerà a manifestarsi nel nostro comportamento quotidiano, sebbene in realtà abbia perso la sua funzione. Nell’attuale vita quotidiana di un qualsiasi paese occidentale, diversamente dai nostri antenati, non dobbiamo allentanarci dagli altri per cercare cibo, al contrario. Al supermercato, per strada, sui mezzi pubblici, in fabbrica ed a scuola, siamo costretti a tollerare la vicinanza di tante persone estranee. Senza il bisogno di un proprio territorio, la vita moderna sarebbe molto meno stancante.
Non siamo formiche: l’esperienza urbana
Nei suoi saggi più famosi, il celebre etologo austrico Konrad Lorenz (Vienna, 7 novembre 1903 – Altenberg, 27 febbraio 1989) afferma senza mezzi termini: la civilizzazione moderna è disumana. Come arriva a questa conclusione? Nel corso della storia, l’uomo ha preso delle strada sbagliate. Oggi vive in una società ostile alla natura e incurante delle esigenze vitali dell’uomo stesso. L’avvenire dell’umanità è minacciato dalla sovrappopolazio ne, dalle armi di distruzione di massa, dallo sfruttamento della risorse naturali.
Lorenz critica anche le modalità della vita quotidiana, sostenendo che, all’interno dei grandi agglomerati urbani, può crescere soltanto l’aggressività.
L’accalcarsi di molti individui in uno spazio ristretto non solo provoca indirettamente, attraverso il progressivo dissolversi e insabbiarsi dei rapporti fra gli uomini, vere e proprie manifestazioni di disumanità, ma scatena anche direttamente il comportamento aggressivo. Molti esperimenti hanno dimostrato che l’aggressività intraspecifìca viene incrementata se gli animali sono alloggiati in gran numero nella stessa gabbia. La generale scortesia che si osserva in tutti i grandi centri urbani è chiaramente proporzionale alla densità delle masse umane ammucchiate in un dato luogo.
Anche le abitazioni dell’uomo, costruite sotto il dettame dell’utilità e dell’economicità, senza riguardo per la dignità umana e per l’estetica, non favoriscono certo la convivenza armoniosa. Le centinaia di migliaia di abitazioni di massa infatti non meritano il nome di ‘case’ dal momento che, tutt’al più, si tratta di batterie di stalle per ‘uomini da lavoro’. L’allevamento di galline livornesi in batterie viene giustamente considerato una tortura per gli animali e una vergogna della nostra civiltà. L’applicazione di metodi analoghi all’uomo è invece considerata del tutto lecita.
L’uomo non è stato costruito nel corso della filogenesi per essere trattato come una formica o una termite, elementi intercambiabili di una collettività di milioni di individui assolutamente uguale tra loro.(Konrad Lorenz, Gli otto peccati capitali della nostra civiltà, Adelphi, Milano 1974)
Gerarchia sociale
Il senso del territorio, secondo gli etologi come Eibl- Eibesfeldt, è soltanto una delle tante espressioni dell’aggressività. Un’altra espressione è l’innata propensione – in un gruppo – del formarsi di una gerarchia composta di vari ranghi sociali e di un capo, come spiegato in QUESTO ARTICOLO.
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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine
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