La creatinchinasi (CK), chiamata anche fosfochinasi o creatinfosfochinasi (CPK), è un enzima appartenente alla classe delle transferasi. La sua funzione consiste nel catalizzare la trasformazione reversibile della creatina in fosfocreatina, consumando ATP e liberando Continua a leggere
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Intolleranza al lattosio in adulti e bambini: sintomi e test
Con “intolleranza al lattosio” o “maldigestione di lattosio” in medicina ci si riferisce ad una condizione caratterizzata da disturbi gastrointestinali che insorgono dopo l’ingestione di alimenti contenenti lo zucchero disaccaride lattosio, generata dalla mancata produzione di Continua a leggere
Lisosomi: cosa sono? Significato e dimensioni
I lisosomi, vescicole che si formano nell’apparato del Golgi, sono essenzialmente sacchetti membranosi (delimitati da una membrana a doppio strato lipidico) che racchiudono enzimi idrolitici, in grado, nella digestione intracellulare, di tagliare in maniera specifica e controllata grosse molecole.
Gli enzimi idrolitici dei lisosomi sono detti idrolasi acide e comprendono proteasi (che tagliano le proteine), nucleasi (che tagliano gli acidi nucleici), glicosidasi, lipasi ecc. Se i lisosomi si rompono, la cellula stessa viene distrutta, poiché gli enzimi che essi contengono sono capaci di scindere tutti i composti principali presenti nella cellula.
I lisosomi contengono ognuno idrolasi diverse, che svolgono l’ampia serie di differenti funzioni digestive. Le idrolasi dei lisosomi sono sintetizzate nel reticolo endoplasmatico, come le altre proteine, e trasferite in seguito nel lume dell’apparato del Golgi. I lisosomi si formano per gemmazione (si staccano come goccioline di membrana) dalle cisterne più esterne dell’apparato del Golgi. Bisogna distinguere fra due classi generali di lisosomi: i lisosomi primari, appena formati e non ancora fusi con altre vescicole contenenti i materiali da digerire; e i lisosomi secondari, che derivano da ripetute fusioni di lisosomi con altre vescicole. In questo secondo tipo sono contenuti enzimi, materiale da digerire e materiale digerito.
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Differenza tra enzimi ed ormoni
Con il termine “enzima” (in inglese “enzyme“) in campo medico si identifica un catalizzatore dei processi biologici (biocatalizzatore). Quasi tutti gli enzimi sono proteine, solo una minoranza sono “ribozimi”, cioè enzimi a RNA. Essendo un catalizzatore, un enzima ha funzione di aumentare la velocità di una reazione chimica diretta e inversa (dal composto A al composto B e viceversa), senza intervenire sui processi che ne regolano la spontaneità. In altre parole, gli enzimi agiscono dal punto di vista cinetico senza modificare la termodinamica del processo. Un enzima facilita una reazione attraverso l’interazione tra il substrato (la molecola o le molecole che partecipano alla reazione) ed il proprio sito attivo (la parte di enzima in cui avvengono le reazioni), formando un complesso. Dopo che la reazione è avvenuta, il prodotto viene allontanato dall’enzima, che rimane disponibile per iniziarne una nuova (l’enzima non viene infatti consumato durante la reazione).
Gli ormoni sono invece sostanze sintetizzate e secrete da cellule, le quali esercitano un’azione oligodinamica (cioè in concentrazioni infinitesime e senza effetti energetici o plastici diretti) su cellule bersaglio situate a distanza variabile. La loro funzione è quindi quella di fungere da messaggeri che “informano” le cellule bersaglio, raggiungendole per diffusione diretta, se sono vicine, oppure attraverso la corrente sanguigna se sono distanti. Le cellule bersaglio, a loro volta, sono sensibili a un certo messaggio ormonale in quanto, e soltanto se, posseggono specifici recettori di membrana per quell’ormone. In generale, dal punto di vista chimico gli ormoni sono proteine o brevi catene di amminoacidi o molecole derivate da un amminoacido oppure hanno la struttura cosiddetta steroidea (come la molecola del colesterolo, da cui derivano).
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Differenza tra enzimi e catalizzatori
Con il termine “enzima” (in inglese “enzyme“) in campo medico si identifica un catalizzatore dei processi biologici (biocatalizzatore). Quasi tutti gli enzimi sono proteine, solo una minoranza sono “ribozimi”, cioè enzimi a RNA. Essendo un catalizzatore, un enzima ha funzione di aumentare la velocità di una reazione chimica diretta e inversa (dal composto A al composto B e viceversa), senza intervenire sui processi che ne regolano la spontaneità. In altre parole, gli enzimi agiscono dal punto di vista cinetico senza modificare la termodinamica del processo. Un enzima facilita una reazione attraverso l’interazione tra il substrato (la molecola o le molecole che partecipano alla reazione) ed il proprio sito attivo (la parte di enzima in cui avvengono le reazioni), formando un complesso. Dopo che la reazione è avvenuta, il prodotto viene allontanato dall’enzima, che rimane disponibile per iniziarne una nuova (l’enzima non viene infatti consumato durante la reazione).
Un catalizzatore (in inglese “catalyser“) è una sostanza chimica che interviene durante lo svolgimento di una reazione chimica che, modificando il complesso attivato della reazione, permette un abbassamento dell’energia di attivazione, aumentando quindi la velocità, rimanendo comunque inalterato al termine della stessa (a differenza dei reagenti, che si consumano al procedere della reazione). L’uso di catalizzatori fa sì che processi che avverrebbero molto lentamente (ad esempio anni) si compiano e si concludano in tempi relativamente brevi (ad esempio secondi, minuti, o ore); è necessario tuttavia ricordare l’esistenza anche di catalizzatori “negativi”, che invece rallentano la reazione chimica. Esistono moltissimi tipi di catalizzatori, ad esempio quelli usati a livello industriale (ferro, platino, argento, rutenio, rodio, ossido di alluminio, silice, ossido di magnesio…). I catalizzatori presenti nel nostro corpo sono chiamati biocatalizzatori e sono appunto gli enzimi.
Quindi tutti gli enzimi sono catalizzatori (più precisamente un tipo particolare di catalizzatori chiamati biocatalizzatori), mentre non tutti i catalizzatori sono proteine.
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Differenza tra enzima e coenzima
Con il termine “enzima” (in inglese “enzyme“) in campo medico si identifica un catalizzatore dei processi biologici (biocatalizzatore). Quasi tutti gli enzimi sono proteine, solo una minoranza sono “ribozimi”, cioè enzimi a RNA. Essendo un catalizzatore, un enzima ha funzione di aumentare la velocità di una reazione chimica diretta e inversa (dal composto A al composto B e viceversa), senza intervenire sui processi che ne regolano la spontaneità. In altre parole, gli enzimi agiscono dal punto di vista cinetico senza modificare la termodinamica del processo. Un enzima facilita una reazione attraverso l’interazione tra il substrato (la molecola o le molecole che partecipano alla reazione) ed il proprio sito attivo (la parte di enzima in cui avvengono le reazioni), formando un complesso. Dopo che la reazione è avvenuta, il prodotto viene allontanato dall’enzima, che rimane disponibile per iniziarne una nuova (l’enzima non viene infatti consumato durante la reazione).
In campo medico, con il termine di coenzima o cofattore (in inglese “cofactor“) si intende invece una piccola molecola di natura non proteica o anche uno ione metallico che ha il compito di associarsi all’enzima e di renderne possibile l’attività catalitica. I cofattori, non essendo proteici, spesso devono essere assunti con la dieta, perché non possono essere prodotti dalla cellula. Per questo motivo, storicamente, spesso ci siamo riferiti ai cofattori come a vitamine, cioè elementi necessari per il metabolismo da assumere attraverso l’alimentazione. Esistono, in ogni caso, numerosi cofattori non-vitaminici, come ad esempio i gruppi eme (contenuti in proteine come l’emoglobina) e diversi ioni metallici.
Sulla base della loro natura chimica, i cofattori vengono quindi suddivisi in metalli e coenzimi (intesi come piccole molecole organiche). Un enzima privo del cofattore che ne rende possibile l’attività enzimatica è detto apoenzima. Il legame tra cofattore ed apoenzima permette la formazione del cosiddetto oloenzima (detto anche oloproteina).
In base all’interazione con l’enzima , i coenzimi, come anche alcuni cofattori metallici, possono legarsi all’enzima tramite legami covalenti oppure attraverso legami deboli.
Se legati in modo stabile, essi vengono chiamati gruppi prostetici se invece legati in maniera debole, si parla di cosubstrati, dal momento che in questo caso essi si legano all’enzima solo in occasione della catalisi della reazione, proprio come avviene per un substrato.
Ricapitolando: l’enzima è un catalizzatore, cioè velocizza una reazione chimica, mentre il coenzima ha il compito di associarsi all’enzima e di renderne possibile l’attività catalitica.
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Di cosa è fatta la saliva, quanta ne produciamo, a che serve?
Cos’è la saliva?
La saliva è acqua al 99 %, circa un litro e mezzo al giorno e da sostanze inorganiche: sali minerali (bicarbonato di sodio, potassio e calcio) ed organiche:enzimi (amilasi, mucina, lisozima) ed immunoglobuline
Chi produce la saliva?
E’ prodotta da tre ghiandole:
- la parotide: la più grande situata sotto l’orecchio (60%),
- la sottomascellare (30%)
- la sottolinguale (5%).
Viene continuamente formata (anche dormendo), pur variando in quantità. Aumenta quando è stimolata dal cibo o al pensiero o alla vista o all’odore del cibo che sia ovviamente gustoso. Diminuisce o si arresta se si ha paura o si è particolarmente emozionati.
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A cosa serve la saliva?
La saliva ha molte funzioni, tra cui quello di essere un tampone: il suo pH (normale 6,5 -7,4) per la presenza di calcio, fosfato e fluoro è in grado si neutralizzare gli attacchi degli acidi che porterebbero inevitabilmente al formarsi delle carie ai denti. Inoltre la saliva serve per:
- Digerire: per mezzo di enzimi come la lipasi, l’amilasi salivare e ptialina. Il cibo masticando, viene impregnato di saliva, e impastato con i movimenti della mascella e della lingua, forma il bolo. L’amilasi è un enzima a pH 7 che, a livello molecolare, frammenta gli amidi (l’amido è presente in pane, pasta, patate, castagne ed altri alimenti vegetali) in maltosio.
- Proteggere: la saliva protegge l’organismo dai microrganismi introdotti con il cibo, grazie ad un agente antibatterico chiamato lisozima potenziato dalla contemporanea presenza di immunoglobuline (anticorpi).
- Lubrificare: una proteina (la mucina) che, mescolandosi con l’acqua presente nella saliva, diventa vischiosa e si stratifica dentro la bocca fino alla laringe proteggendole dalle abrasioni che il cibo può procurare e lubrifica il bolo, facilitando la deglutizione(ingoiare) e la fonazione (parlare). Infatti se abbiamo la gola e la bocca secca, facciamo fatica a parlare proprio perché viene a mancare l’azione lubrificante della saliva.
- Pulire: la saliva e i sali minerali, che passano tra i denti asportano i residui di cibo, sali minerali, bicarbonati di sodio, potassio e calcio.
La saliva è importante perché:
- mantiene la bocca umettata;
- favorisce la masticazione, la percezione del gusto e la deglutizione;
- contrasta i germi presenti nel cavo orale e previene la comparsa di alitosi (alito cattivo);
- contiene proteine e minerali che proteggono lo smalto dentale e prevengono la formazione di carie e malattie gengivali;
- contribuisce a mantenere saldo il posizionamento di eventuali protesi dentarie.
Secerniamo saliva specie quando mastichiamo e più mastichiamo, maggiore è la quantità di saliva secreta. Anche succhiare una caramella dura o una caramella per la tosse favorisce la secrezione di saliva.
Quali sono le malattie relative alla saliva?
- Carie: quando l’ambiente della bocca è troppo acido (pH acido) Per alimenti, per rigurgiti dello stomaco, per presenza di flora batterica alterata.
- Troppo tartaro: in condizioni di pH troppo basico (alcalino), i sali minerali presenti nella saliva e nel cibo si depositano molto più facilmente per cui la patina batterica (placca batterica) si mineralizza più rapidamente formando il tartaro.
- Xerostomia: poca saliva. Può dipendere da lesioni o malattie delle ghiandole salivari, da presenza di ostacoli nei condotti che portano la saliva dentro la bocca per es:calcoli, dall’uso di farmaci, da disturbi psicologici, da alcune malattie come gli orecchioni (parotite) e da uno stato di disidratazione generale dell’organismo.
- Scialorrea o ptialismo: quando la saliva è troppa. Dovuto spesso all’uso di certi farmaci, a malattie neurologiche/psichiatriche, alla gravidanza, quando si mettono per la prima volta dentiere o ponti, a infiammazione della bocca, all’eccesso di tartaro interdentale, a tumori.
Come si curano le malattie relative alla saliva?
Per intervenire efficacemente è necessario capire qual è la causa del problema. Stabilita una corretta diagnosi, si potrà attuare una terapia appropriata con l’aiuto del medico o del dentista.
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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine
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La sindrome che fa crescere il pene alle bambine di 12 anni
In un villaggio della Repubblica Dominicana chiamato Salinas, accade da anni qualcosa di veramente strano. Tante bambine all’età 12 anni si trasformano letteralmente in ragazzi.
Durante la pubertà, infatti, sviluppano organi sessuali maschili, diventando a tutti gli effetti maschi. Questi bambini sono chiamati semplicemente “guevedoces” – che si traduce letteralmente “pene a 12 anni”.
Un cambio di sesso che ha catturato l’interesse della comunità scientifica: è stato così scoperto che a causare la trasformazione sarebbe una rara sindrome genetica che si verifica a causa di un enzima mancante che impedisce la produzione di una specifica forma di ormone sessuale maschile – diidro-testosterone – nel grembo materno.
Sebbene nel mondo sia rara, la sindrome (chiamata Sindrome Guevedoces) è molto comune nel villaggio di Salinas (probabilmente a causa dell’isolamento degli abitanti del villaggio). Per questo motivo ora la Repubblica Dominicana classifica le persone come maschio, femmina o pseudohermaphrodite.
La storia di Johnny
Così è stata seguita da vicino la storia di Johnny, abitante del piccolo villaggio di Salinas, nel sud-ovest della Repubblica Dominicana dove la malattia colpisce un bambino su 90 e non è più considerata “strana”. Oggi 24enne, il ragazzo era conosciuto fino all’età di 12 anni come Felicita. “Quando sono nato i miei genitori e i medici pensavano che fossi una bimba, mi vestivano con le gonnelline e mi regalavano giocattoli da femminuccia, ma in realtà io non mi sentivo a mio agio”, ha raccontato il guevedoce alla BBC. Crescendo, però, qualcosa è cambiato nel corpo di Johnny: si è sviluppato il pene. Per Johnny, che non si è mai sentito una bambina, è accaduto all’età di sette anni.
“Quando ho cambiato ero felice della mia vita”, ha detto. Egli ha sostenuto che non aveva mai sentito come una bambina ed era molto più felice dopo che fu completamente un ragazzo. “Quando sono cambiato ero felice della mia vita”, ha detto. Una bambina di nome Carla, di 9 anni, sta attraversando la stessa trasformazione. Nonostante sia cresciuta come una ragazza, sua madre ha notato che a partire dall’età di cinque era più incline verso i giochi mascolini.
La patologia
Tutti i bambini nel grembo materno, sia maschio o femmina, hanno ghiandole interne, denominate gonadi e una piccola sporgenza tra le gambe chiamata tubercolo.
A circa otto settimane, i bambini di sesso maschile che portano il cromosoma Y iniziano a produrre diidro-testosterone in grandi quantità, che trasforma il tubercolo in un pene. Per le femmine, il tubercolo diventa un clitoride. Ma in alcuni neonati maschi manca l’enzima 5-α-reduttasi che innesca l’aumento dell’ormone. Questa mancanza li fa apparire come femmine alla nascita, senza testicoli e con quella che sembra essere una vagina.
Questo fino alla pubertà, quando si produce un enorme aumento di testosterone, e si sviluppano gli organi riproduttivi maschili. In pratica, quello che sarebbe dovuto accadere nel grembo materno avviene intorno ai 12 anni: la voce diventa più grave e cresce un pene.
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Dott. Emilio Alessio Loiacono
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