Che significa il termine “farmaco”: definizione ed etimologia

MEDICINA ONLINE FARMACO MEDICINALE PRINCIPIO ATTIVO FARMACIA PILLOLA PASTIGLIA DINITROFENOLO DNP DIMAGRIRE DIETA FARMACI ANORESSIZANTI MORTE EFFETTI COLLATERALI FOGLIO FOGLIETTO ILLUSTRACon il termine “farmaco” si indica ogni sostanza, organica o inorganica, di origine naturale o sintetica, che – una volta introdotta in un organismo vivente come un animale o una pianta – abbia la capacità di Continua a leggere

Serotonina e triptofano: cosa sono ed in quali cibi trovarli

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma SEROTONINA TRIPTOFANO COSA SONO CIBI Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgLa serotonina (5-HT; in inglese “serotonin” o “5-hydroxytryptamine“) è un neurotrasmettitore, ossia una sostanza in grado di trasmettere informazioni fra le cellule del cervello e, più in generale, del sistema nervoso. La sua funzione principale è principalmente la regolazione del tono dell’umore, per questo motivo negli anni la ricerca sulle basi biochimiche della depressione si è concentrata su questa molecola.

Il triptofano (in inglese “tryptophan“) è un amminoacido che, poiché l’organismo umano non è in grado di sintetizzare, deve essere ricavato dagli alimenti e pertanto è classificato tra gli amminoacidi essenziali. Oltre a partecipare alla costituzione delle proteine dell’organismo, interviene in numerose reazioni chimiche, in particolare nella sintesi di serotonina e di acido nicotinico.

In questo articolo ci occuperemo maggiormente della serotonina.

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Un eccesso di rilascio di serotonina può condurre in specifiche condizioni alla sindrome serotoninergica, una sindrome causata in genere da un errato uso di farmaci (abuso o interazioni) caratterizzata da tre tipologie diverse di sintomi:

  • Effetti cognitivi: mal di testa, agitazione, disturbi dell’umore, confusione, allucinazioni, coma.
  • Effetti autonomici: brividi, sudorazione, ipertermia, ipertensione, tachicardia, nausea, diarrea.
  • Effetti somatici: contrazioni muscolari involontarie, tremore.

Gli effetti sono proporzionali alla gravità della condizione e possono essere da appena percettibili a fatali.

Effetti e ruolo nell’organismo
La sintesi di questa preziosa sostanza avviene a partire dall’amminoacido triptofano e questo aspetto vedremo in seguito che viene sfruttato per favorirne la produzione dall’esterno.

Gli effetti della sostanza nell’organismo sono molteplici:

  • determina l’aumento della motilità intestinale e può causare nausea o vomito quando necessario,
  • causa vasocostrizione (cioè una riduzione della dimensione dei vasi sanguigni con conseguente riduzione del flusso di sangue e aumento della pressione),
  • promuove l’aggregazione delle piastrine nel processo di coagulazione.

Più interessante per noi sono le azioni a livello del sistema nervoso centrale, dove la serotonina è in grado di:

  • regolare il tono dell’umore,
  • modulare il sonno,
  • intervenire sulla termoregolazione (temperatura corporea),
  • influenzare il desiderio sessuale,
  • alterare il senso dell’appetito.

Proprio alla luce di queste proprietà è intuitivo individuare numerosi disturbi neuropsichiatrici dove questa sostanza gioca un ruolo di primo piano:

  • emicrania,
  • disturbo bipolare,
  • disturbo ossessivo compulsivo,
  • ansia,
  • fame nervosa,
  • bulimia,
  • depressione,
  • eiaculazione precoce nell’uomo,
  • fibromialgia.

Questi effetti sono sfruttati, oltre che da numerosi farmaci (per esempio gli antidepressivi) anche da alcune sostanze d’abuso, per esempio l’ecstasy (MDMA) è in grado di favorirne l’accumulo nel cervello per scatenare sensazioni di benessere ed entusiasmo.

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Serotonina e depressione
Diversa letteratura scientifica porta a pensare che ci sia un forte collegamento tra la quantità di serotonina e l’umore, in particolare una forte alterazione del bilancio di questa molecola a livello del sistema nervoso centrale potrebbe essere causa di depressione.

Questo può succedere per quattro ragioni fondamentali:

  1. ridotta produzione della sostanza,
  2. ridotta espressione dei recettori in grado di legarsi alla sostanza,
  3. impossibilità da parte della sostanza di raggiungere il recettore,
  4. carenza di triptofano, il precursore attraverso cui viene sintetizzata la 5-HT.

Se si verifica una o più di queste possibilità il paziente può andare incontro a disturbi neuropsichiatrici, come depressione, distrurbo ossessivo compulsivo ansia, panico, rabbia.
Una delle classi più usate ed efficaci di antidepressivi, gli SSRI (inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina, dall’inglese selective serotonin reuptake inhibitors), agisce aumentando la quantità di neurotrasmettitore libero e favorendo quindi la stimolazione dei recettori. In realtà va detto che, se il meccanismo di azione è stato studiato e accertato, l’idea che la depressione sia provocata da una carenza di serotonina o altri neurotrasmettitori come la nor-adrenalina rimane ad oggi poco più che un’ipotesi, peraltro non accettata dall’intera comunità scientifica; alla luce di questo possiamo quindi dire che questi antidepressivi sicuramente agiscono migliorando i sintomi della depressione, ma non sappiamo con certezza il perché.

Serotonina e sessualità
La serotonina funge da ritardante naturale nell’organismo maschile, procrastinando l’orgasmo.
L’influenza del neurotrasmettitore sulla sessualità sembra tuttavia più profonda, uno studio pubblicato su Nature del 2011 ha dimostrato che in caso di carenza della sostanza in esemplari di topolini maschi, questi andavano incontro alla perdita di preferenza sessuale verso le femmine, tentando di accoppiarsi anche con altri soggetti maschi. La discussione di questi risultati ha ovviamente generato polemiche e tesi controverse, ma quello che interessa in questa sede è semplicemente sottolineare l’impatto che può avere anche una piccola variazione delle quantità disponibili di serotonina; nell’uomo è possibile verificare questo effetto da una prospettiva opposta, i soggetti che assumono antidepressivi in grado di aumentare la quantità in circolo vanno spesso incontro a un calo del desiderio.

Come aumentare la serotonina?
È circa 50 anni che la comunità scientifica si interroga su come manipolare il sistema serotoninergico cerebrale, perchè sono ormai certi i legami fra questo è il tono dell’umore; per questo motivo c’è una fervente ricerca sui possibili modi per aumentare la quantità di serotonina disponibile al di là dell’uso dei farmaci che, pur avendo rivoluzionato la terapia della depressione, si portano dietro diversi limiti:

  • possibilità di effetti collaterali,
  • ma soprattutto il pessimo rapporto rischio/beneficio in un ipotetico utilizzo preventivo.

In altre parole, come possiamo aumentare la 5-HT disponibile nel cervello per aumentare il senso di benessere e prevenire disturbi mentali come la depressione?
Sono stati individuati principalmente quattro approcci, non necessariamente sempre efficaci o sufficienti, ma meritevoli di essere approfonditi.
Psicoterapia
È stato dimostrato che un soggetto esposto a situazioni piacevoli (nel caso dello studio in esame veniva richiesto di descrivere ricordi particolarmente piacevoli) aumenta immediatamente la sintesi di serotonina cerebrale, mentre al contrario una situazione spiacevole (evocare ricordi tristi, nel caso in esame) porta immediatamente al risultato opposto.
Da questo interessante lavoro emergono due considerazioni importanti:

  • viene confermato il legame tra la 5-HT e l’umore,
  • viene dimostrato che una situazione esterna è in grado di alterare immediatamente la produzione del neurotrasmettitore.

Il secondo punto può essere generalizzato, in quanto lo stimolo può essere autoindotto (un ricordo, un’attività piacevole, una situazione gratificante) o esterna (per esempio un percorso di psicoterapia).
Ovviamente siamo ancora nel campo delle ipotesi, ma è affascinante e privo di controindicazioni pensare che quello che facciamo e che pensiamo possa riflettersi in modo così pratico sul sistema serotoninergico, tanto che il legame tra questo è l’umore sembra essere non a senso unico, ma a due vie.

Esposizione alla luce
Il legame tra una maggior esposizione alla luce solare e la serotonina non è certo una novità, infatti di fondamentale importanza “sembra essere il nostro orologio biologico, la cui posizione è stata individuata nel cervello, appena sopra il chiasma ottico che è l’incrocio dei due nervi ottici. È una piccolissima zona estremamente sensibile alla luce. Quando al mattino la luce passa per la retina dà l’avvio alla produzione della serotonina di giorno e della melatonina di notte. Su questo principio è stata messa a punto la cosiddetta terapia della luce, un approccio poco conosciuto, ma che in realtà permette gradi risultati anche nei pazienti depressi. Sono numerosi gli studi che confermano, spesso in modo indiretto ma ragionevolmente attendibile, che la quantità di 5-HT prodotta aumenti con l’esposizione a intense fonti di luce, strategia non farmacologica che permette quindi buoni risultati; a questo scopo risulta perfetta la luce solare, al limite anche in giornate parzialmente nuvolose, o l’uso di apposite lampade ad alta luminosità.

Esercizio fisico
Non ci sono dubbi sul fatto che un regolare esercizio fisico migliori l’umore e diminuisca i livelli di stress e ansia, è intuitivo e confermato da numerosi lavori scientifici, ed è confermato anche l’effetto diretto sulla produzione di serotonina, soprattutto in caso di esercizio aerobico.
Molti autori spiegano l’aumento drammatico della diffusione della depressione nella società attuale con una riduzione drastica dell’attività fisica e dell’esposizione al sole tipica dei nostri antenati cacciatori/raccoglitori nella preistoria, tra l’altro diversi studi sembrano indicare che l’aumento della produzione di 5-HT derivi proprio dall’attività fisica in sé e non dall’eventuale ricompensa (che una volta poteva essere la cattura dell’animale cacciato).

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Dieta
Non deve stupire che possa esserci una connessione diretta tra alimentazione e umore e, in particolare, anche con la produzione di serotonina. L’assunzione di triptofano, il precursore chimico della serotonina, è in grado di stimolare la produzione del neurotrasmettitore, che invece non può essere assunto come integratore in quanto tale (perché non è in grado di superare la barriera ematoencefalica, quindi non può raggiungere il cervello); l’effetto è confermato da numerosi studi, tanto che in alcuni Paesi il triptofano è considerato un farmaco a tutti gli effetti, pur essendo un aminoacido presenti in numerosi alimenti.
A questo proposito vale la pena tuttavia ricordare che l’assunzione di triptofano puro aumenta la produzione di serotonina, ma questo non è di norma vero per i cibi che lo contengono.
Spiegare il motivo che sta alla base di questo limite va al di là dello scopo di questo articolo, ma semplificando al massimo possiamo dire che la presenza di altri amminoacidi (nelle proteine assunte con la dieta) ne impedisce l’assorbimento a livello cerebrale.
Per aggirare questo limite alcuni autori propongono il consumo di alimenti particolarmente ricchi di triptofano, in modo da far pendere la bilancia verso questo amminoacido rispetto ai restanti e permetterne così almeno un modesto assorbimento a livello del sistema nervoso. L’obiettivo quindi non è tanto aumentare la quantità di triptofano di per sé, ma aumentarla in rapporto alla quantità degli altri amminoacidi.
Tra gli alimenti con il miglior rapporto triptofano/proteine troviamo:

  • latte,
  • semi di sesamo,
  • semi di girasole,
  • spirulina essiccata,
  • soia cruda,
  • parmigiano Reggiano,
  • avena,
  • uova.

È stato infine dimostrato che assumere questi alimenti in un pasto ricco di carboidrati (pane, pasta, …) può aumentare l’assorbimento del triptofano a livello cerebrale, perchè una parte degli altri amminoacidi vengono sequestrati dalle cellule muscolari dietro l’impulso fornito dal rilascio di insulina (a titolo di curiosità concludo il ragionamento segnalando che la serotonina così prodotta viene in parte convertita in melatonina, che potrebbe rendere conto della sonnolenza post-prandiale tipica dei pasti ricchi di carboidrati).
Alcuni autori suggeriscono peraltro che il cattivo umore che spesso si nota nei soggetti che seguono diete iperproteiche potrebbe essere anche dovuto a questo aspetto, ossia all’insufficiente consumo di carboidrati che non permette un adeguato assorbimento cerebrale di triptofano.

Integratori di triptofano
A seconda del Paese preso in esame, il triptofano è venduto come:

  • integratore,
  • farmaco da banco,
  • farmaco che richiede ricetta.

In Italia è venduto in genere come integratore, a parte casi particolari in cui formulazioni che contengono dosi elevate richiedono ricetta (e contengono per la verità un derivato, l’idrossitriptofano).
Questo dovrebbe essere sufficiente a far capire che la sostanza è ancora alla ricerca di un inquadramento preciso, ma sono già ragionevolmente buone le conferme di efficacia per il trattamento di casi minori di depressione, probabilmente grazie al suo effetto di stimolazione sulla produzione di serotonina.
È utile ricordare che naturale non significa sicuro, infatti sono noti diversi possibili effetti collaterali associati alla sua assunzione:

  • nausea,
  • diarrea,
  • sonnolenza,
  • vertigini,
  • mal di testa,
  • secchezza delle fauci,
  • visione offuscata,
  • sedazione,
  • euforia,
  • nistagmo (movimenti involontari degli occhi).

Va rigorosamente evitata l’associazione con antidepressivi (in particolare MAO inibitori, SSRI e SNRI) per evitare il rischio di incorrere nella sindrome serotoninergica.

Triptofano: in quali cibi trovarlo?
In natura, il triptofano si ritrova nelle proteine alimentari, essenzialmente quelle di origine animale. Ne è ricca la Griffonia, pianta tropicale africana della famiglia delle leguminose. Il fabbisogno di un adulto è circa 250 mg/die. La concentrazione di triptofano nel sangue è generalmente compresa fra 10 e 40 mmol/l (2 e 8 mg circa/litro). Tracce di questo amminoacido si ritrovano anche nelle urine.

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Differenza tra farmaco originale, generico ed equivalente

MEDICINA ONLINE FARMACO FARMACIA PHARMACIST PHOTO PIC IMAGE PHOTO PICTURE HI RES COMPRESSE INIEZIONE SUPPOSTA PER OS SANGUE INTRAMUSCOLO CUORE PRESSIONE DIABETE CURA TERAPIA FARMACOLOGICPrincipio attivo e nome commerciale

Un farmaco ha un nome commerciale e contiene un dato principio attivo (o più principi attivi). La cosa più importante di un farmaco non è chiaramente il suo nome commerciale, bensì il suo principio attivo, perché è il principio attivo a determinare gli effetti che ricerchiamo quando assumiamo il farmaco che lo contiene. Prendiamo ad esempio Tachipirina ed Efferalgan: essi sono due farmaci che hanno nome commerciale diverso, ma contengono lo stesso principio attivo, cioè il paracetamolo. Quindi tra una compressa di Tachipirina 500 mg ed una di Efferalgan 500 mg non c’è nessuna differenza. Se un paziente avverte un maggior effetto con uno, piuttosto che con l’altro farmaco, è solo per un condizionamento psicologico. Ciò avviene spesso ad esempio con gli anziani, abituati per anni ad assumere un farmaco chiamato con un certo nome: difficilmente passeranno ad un farmaco con stesso principio attivo ma con nome commerciale diverso!

Farmaco “originale” e farmaco generico

La faccenda si è “complicata” per il consumatore, quando sono stati messi sul mercato i farmaci “generici” cioè la versione “non di marca famosa” di farmaci di cui è venuta meno la copertura brevettuale. Molti pensano, ancora oggi ed in particolare i consumatori più anziani, che il generico sia “meno buono” dell’originale. Ma è davvero così? Mettiamo ad esempio a paragone la Tachipirina e un farmaco gemello generico c ontenente paracetamolo:

TACHIPIRINA – Ogni compressa contiene PRINCIPIO ATTIVO: paracetamolo 500 mg. Eccipienti: cellulosa microcristallina, povidone, croscarmellosa sodica, magnesio stearato, silice precipitata.

PARACETAMOLO – Una compressa contiene PRINCIPIO ATTIVO: paracetamolo 500 mg. Eccipienti: Magnesio stearato; Amido di mais, Povidone.

Il principio attivo, riportato su entrambe le confezioni, come potete notare è uguale tra farmaco generico ed originale, sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo. La domanda che spesso ci facciamo è “Siamo sicuri che sia presente proprio la stessa identità quantità di principio attivo?”. Le risposte ci arrivano da varie fonti; nel dettaglio: dal sito Assogenerici e da un’intervista rilasciata dal Presidente Massimo Scarabozzi di Farmaindustria. I pareri combaciano perfettamente ed affermano la validità del farmaco generico, in quanto esso per legge – per essere immesso sul mercato – deve risultare bioequivalente al brand di marca; esso, infatti, deve possedere – rispetto all’originale – tali caratteristiche precise:

  1. lo stesso principio attivo in uguale dose;
  2. la stessa forma farmaceutica;
  3. la stessa via di somministrazione;
  4. le stesse indicazioni terapeutiche.

Proprietà che possiamo per legge riscontrare perfettamente in entrambi i farmaci (originale e generico). Possono comunque essere presenti delle differenze riguardanti il metodo di preparazione o la composizione degli eccipienti, come i coloranti e i leganti, fatti che non influenzano neanche minimamante gli effetti terapeutici del prodotto. L’unica vera differenza è chiaramente il prezzo: il costo del generico è molto più basso del farmaco originale.

Eccipienti diversi: una questione secondaria?

In realtà va comunque fatta una precisazione relativa agli eccipienti. Abbiamo visto che gli effetti terapeutici tra originale e generico, sono identici in virtù delle quattro caratteristiche precedentemente elencate, tuttavia la presenza di diversi eccipienti può in alcuni casi rappresentare una questione molto importante. Prendiamo il caso di un paziente che sia allergico agli eccipienti contenuti solo in un dato farmaco generico e non nell’originale: in questo caso il paziente dovrà assumere l’originale o comunque un generico di altra marca che non contenga l’eccipiente a cui è allergico.

Farmaco generico e farmaco equivalente

Ma quale differenza c’è tra farmaco “generico” e farmaco “equivalente”? Assolutamente nessuna. Il nome in origine era “generico” ma, dal momento che tale denominazione “spaventava” i consumatori – e ritorniamo ai famosi anziani abituati a prendere il farmaco “originale” e non certo un “meno efficiente generico” – il nome dei farmaci generici è stato cambiato in “farmaci equivalenti”, che psicologicamente è molto più rassicurante per i consumatori. Un farmaco equivalente con un dato principio attivo in una data quantità e uguale via di somministrazione, è assolutamente identico al farmaco generico con medesimo principio attivo nella stessa quantità e con medesima via di somministrazione ed entrambi sono identici al farmaco originale (sempre ricordando il discorso sugli eccipienti, che possono essere diversi in base alla marca).

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
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Differenza tra atomo e molecola con esempi

MEDICINA ONLINE ATOMO ELETTRONE ORBITA ORBITALE LIVELLO ENERGETICO ELETTRONE NUCLEO PROTONE NEUTRONE FOTONE RAGGIO RADIAZIONE LUCE VELOCITA CHIMICA DIFFERENZA STRUTTURA BOHR RELATIVITA GENERALE RISTRETTA WALLPAPER SFONDOL’atomo

L’atomo è una struttura nella quale è normalmente organizzata la materia nel mondo fisico o in natura. Gli atomi sono formati da costituenti subatomici quali protoni, elettricamente positivi, neutroni, elettricamente neutri, ed elettroni, elettricamente negativi. In un atomo, inoltre, il numero di protoni è uguale al numero di elettroni; protoni ed elettroni hanno carica uguale in valore assoluto, ma di segno opposto. Il termine atomo deriva dal greco e significa “indivisibile”, ciò sta ad indicare che non può essere né creato né distrutto, cosa che poi si scoprì non essere vera. Il primo che ipotizzò l’esistenza di queste piccole particelle fu John Dalton che ne parlò nella sua teoria atomica. Verso la fine dell’Ottocento (con la scoperta dell’elettrone) venne dimostrato che l’atomo era in realtà divisibile, essendo a sua volta composto da particelle più piccole, definite particelle subatomiche, ma questa teoria non venne considerata attendibile anche se dimostrava la “vera” composizione della particella. Esempi di atomo sono l’atomo di idrogeno e di ossigeno.

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La molecola

Il termine molecola, invece, deriva da moles che significa mole, piccola quantità. Per molecola si intende un insieme di atomi (dello stesso elemento o di elementi diversi) uniti da un legame chimico. Una molecola può essere caratterizzata da più atomi di un solo elemento chimico o da atomi di elementi diversi. Esistono le molecole semplici e le molecole complesse. Una porzione di materia costituita da molecole tutte facente parte dello stesso elemento, viene denominata sostanza o composto chimico. I composti più semplici sono quelli alla cui formula molecolare partecipano gli atomi di un solo elemento; questi sono i composti elementari e sono in numero di poco superiore a quello degli elementi stessi, perché ogni elemento ha almeno uno stato elementare ma alcuni ne possono avere due o più. Di poco più complicati sono i composti binari, alla cui molecola partecipano atomi di due tipi di elementi diversi come ad esempio H20 (l’acqua), e alquanto più complicati sono i composti ternari o di ordine superiore che vedono la loro composizione fatta da tre o più elementi.  Esempi di composti ternari sono l’acido fosforico (H3PO4) e l’ipoclorito di sodio (NaClO). La rappresentazione delle molecole viene denominata formula di struttura. Essa indica solo come gli atomi sono legati tra di loro, ma non contiene informazioni sulla geometria delle molecole.

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Differenza tra enzima e coenzima

MEDICINA ONLINE CICLO DI KREBS ACIDI TRICARBOSSILICICon il termine “enzima” (in inglese “enzyme“) in campo medico si identifica un catalizzatore dei processi biologici (biocatalizzatore). Quasi tutti gli enzimi sono proteine, solo una minoranza sono “ribozimi”, cioè enzimi a RNA. Essendo un catalizzatore, un enzima ha funzione di aumentare la velocità di una reazione chimica diretta e inversa (dal composto A al composto B e viceversa), senza intervenire sui processi che ne regolano la spontaneità. In altre parole, gli enzimi agiscono dal punto di vista cinetico senza modificare la termodinamica del processo. Un enzima facilita una reazione attraverso l’interazione tra il substrato (la molecola o le molecole che partecipano alla reazione) ed il proprio sito attivo (la parte di enzima in cui avvengono le reazioni), formando un complesso. Dopo che la reazione è avvenuta, il prodotto viene allontanato dall’enzima, che rimane disponibile per iniziarne una nuova (l’enzima non viene infatti consumato durante la reazione).

In campo medico, con il termine di coenzima o cofattore (in inglese “cofactor“) si intende invece una piccola molecola di natura non proteica o anche uno ione metallico che ha il compito di associarsi all’enzima e di renderne possibile l’attività catalitica. I cofattori, non essendo proteici, spesso devono essere assunti con la dieta, perché non possono essere prodotti dalla cellula.  Per questo motivo, storicamente, spesso ci siamo riferiti ai cofattori come a vitamine, cioè elementi necessari per il metabolismo da assumere attraverso l’alimentazione. Esistono, in ogni caso, numerosi cofattori non-vitaminici, come ad esempio i gruppi eme (contenuti in proteine come l’emoglobina) e diversi ioni metallici.
Sulla base della loro natura chimica, i cofattori vengono quindi suddivisi in metalli e coenzimi (intesi come piccole molecole organiche).   Un enzima privo del cofattore che ne rende possibile l’attività enzimatica è detto apoenzima.  Il legame tra cofattore ed apoenzima permette la formazione del cosiddetto oloenzima (detto anche oloproteina).
In base all’interazione con l’enzima , i coenzimi, come anche alcuni cofattori metallici, possono legarsi all’enzima tramite legami covalenti oppure attraverso legami deboli.
Se legati in modo stabile, essi vengono chiamati gruppi prostetici se invece legati in maniera debole, si parla di cosubstrati, dal momento che in questo caso essi si legano all’enzima solo in occasione della catalisi della reazione, proprio come avviene per un substrato.

Ricapitolando: l’enzima è un catalizzatore, cioè velocizza una reazione chimica, mentre il coenzima ha il compito di associarsi all’enzima e di renderne possibile l’attività catalitica.

 

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Adrenalina ed epinefrina sono la stessa cosa?

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma ADRENALINA EPINEFRINA STESSA COSA DIFFERENZE Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari.jpgAdrenalina ed epinefrina (adrenalin, adrenaline ed epinephrine in inglese) sono due parole che vengono usate in praticamente qualsiasi film o telefilm a tema ospedaliero. Un mio paziente mi ha chiesto quale sia la differenza tra le due sostanze, la mia risposta è che non esiste alcuna differenza. Semplicemente epinefrina (nome DCI, cioè Denominazione Comune Internazionale) è più usato dagli anglosassoni, ma i due termini sono sinonimi: adrenalina ed epinefrina sono lo stesso identico ormone sintetizzato nella porzione midollare del vostro surrene . Per approfondire leggi: Cos’è l’adrenalina ed a cosa serve? Differenze con noradrenalina

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Come viene sintetizzato il colesterolo nel nostro corpo? Le tappe della biosintesi

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma COLESTEROLO TAPPE BIOSINTESI APPUNTI SCHEMA BIOCHIMICA  Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie.jpgCome abbiamo visto in questo precedente articolo che vi consiglio di leggere: Colesterolo: cos’è, a cosa serve, perché è pericoloso?, l’essere umano è capace di produrre autonomamente quasi tutto il colesterolo che gli serve cioè una quantità che oscilla tra 1 e 2 grammi al giorno negli adulti. Solo una piccola parte (in media 0,1 fino 0,3, massimo 0,5 grammi) viene assunta con l’alimentazione, il resto viene sintetizzato dal corpo stesso. In che modo? Tutte le cellule dell’organismo umano sono capaci di sintetizzare colesterolo a partire dall’acetilcoenzima A (una molecola importantissima in molte vie metaboliche dell’organismo), ma la maggior parte viene prodotto nel citosol delle cellule epatiche (cioè nel liquido delle cellule che compongono il fegato) che lo trasferiscono al sangue per il trasporto in tutto l’organismo. Le tappe biosintetiche seguono la via metabolica dell’acido mevalonico. Poiché non riesce a superare la barriera ematoencefalica, il cervello deve produrre da solo il colesterolo di cui necessita.

Le tappe principali della biosintesi del colesterolo in sintesi sono 4:

1) inizialmente si ha la conversione dell’acetil-CoA in mevalonato. Questa prima tappa è suddivisa in tre sotto-tappe:

  • nella prima si ha la condensazione di due molecole di acetil-CoA per formare acetoacetil-CoA (reazione catalizzata dalla β-chetotiolasi);
  • nella seconda sotto-tappa l’acetoacetil-CoA prodotto reagisce con un’altra molecola di acetil-CoA e si forma 3-idrossi-3-metilglutaril-CoA, abbreviato HMG-CoA (reazione catalizzata dalla HMG-CoA sintasi) per formare HMG-CoA;
  • nella terza sotto-tappa l’HMG-CoA viene ridotto, in presenza di NADPH, a mevalonato (enzima: HMG-CoA reduttasi). Le prime due tappe sono reversibili mentre la terza è una tappa obbligata che determina la velocità della reazione.

2) Nella seconda tappa si ha la formazione di unità isopreniche attivate. Per prima cosa tre gruppi fosfato vengono aggiunti al mevalonato per trasferimento dall’ATP (che viene quindi idrolizzato ad ADP). Successivamente il gruppo ossidrilico sul carbonio-3 viene rimosso, insieme al gruppo carbossilico vicino, e si forma in questo modo la prima unità isoprenica attivata, il Δ3-isopentenil pirofosfato. Per isomerizzazione di quest’ultima sostanza, si forma un ulteriore unità isoprenica attivata il dimetilallil pirofosfato.

3) Nella terza tappa (in tre sotto-tappe) si forma lo squalene per condensazioni “testa-coda” (prime due sotto-tappe) o “testa-testa” (terza sotto-tappa) tra le unità isopreniche attivate formatesi nelle reazioni precedenti.

4) nella quarta tappa lo squalene viene convertito in colesterolo in una serie di reazioni. Durante queste reazioni la molecola dello squalene, lineare, viene ciclizzata, convertendolo (negli animali) in lanosterolo. Il lanosterolo viene poi convertito (in 19 tappe) in colesterolo, tramite spostamento o rimozione di gruppi metili.

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