Padre anaffettivo e assente: effetti sui figli, cosa fare?

MEDICINA ONLINE FATHER PADRE SON SONS FIGLIO MAN UOMO GENITORE FAMILY FAMIGLIA MADRE MENTE CERVELLO CRESCITA BAMBINO BIMBO AMORE FAMIGLIARE COMPONENTI MADRE PATRIGNO PROBLEMI ANAFFETTIVO SOLO SOLITUDINE PSICOLOGIA.jpgCon il termine “assenza paterna” ci riferiamo non all’assenza fisica di un padre, legata a un decesso o abbandono. Parliamo di padri presenti fisicamente ma assenti dal punto di vista emotivo. La presenza di un padre, non solo fisica ma anche e soprattutto emotiva, sociale, risulta fondamentale nello sviluppo di un bambino. Ma non sempre un padre è realmente presente. Spesso capita che la figura paterna sia anaffettiva o comunque emotivamente più restia, meno aperta e disposta ad instaurare una relazione sana con il figlio, a fargli da guida nel suo percorso di vita. Quali sono le conseguenze sui figli?

Problemi comportamentali

Un padre assente può generare nel bambino problemi comportamentali. Il bambino ha bisogno di un confronto continuo con il mondo esterno. La sola presenza fisica del genitore non basta a forgiare il carattere, ad aiutare il bambino ad affrontare il mondo.Anzi. Talvolta può essere addirittura peggiore la presenza fisica di un genitore se questa non è accompagnata dalle opportune attenzioni nei confronti del bambino.

Insicurezza e ansia

Un padre assente, o che mette in discussione ogni attività del bambino genera in lui ansiainsicurezza. È importante metterli in discussione certo, ma in maniera costruttiva, facendo comprendere che si è “dalla loro parte” sempre e comunque. Lo stimolo non va confuso con il disfattismo, con la negatività fine a se stessa.

Autostima

Il fatto di non riconoscere pienamente l’affetto del padre, o quantomeno il fatto di non avvertire senso di approvazione, porta il subconscio del bambino a ridurre la stima in se stesso. La personalità del bambino non è ancora pienamente sviluppata , si sta creando adesso, e sentirsi poco accettato da una figura cosi vicina ed importante come quella del padre condizionerà l’evoluzione del suo carattere.

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Assenza paterna: il ruolo della madre

La madre spesso, pur di salvaguardare “l’unione familiare” tenta invano di giustificare l’assenza paterna con frasi tipo:

dai sai benissimo com’è fatto tuo padre”;

“tuo padre non si rende conto”;

“cerca di capire tuo padre” “tuo padre lo fa per te”.

La madre fondamentalmente ha imparato ad accettare il carattere distaccato del compagno, e cerca di farlo comprendere anche al figlio, che a sua volta vive tutto ciò come una mancata considerazione. Ma non è assolutamente così. Proprio perché vi ama, la figura materna ingenuamente, cerca di riportare a proprio modo la serenità in famiglia.

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Padre assente: cosa succede da adulti?

Cosi come per qualsiasi figura che cresce accanto al bambino, ma che risulta emotivamente assente, anche la poca presenza di un padre genera conseguenze che si prolungano fino all’età adulta. L’adulto che ha avuto un padre poco presente infatti rimane, sotto alcuni aspetti, lo stesso bambino insicuro e ansioso che era un tempo.
Questo può provocare problemi, anche in età avanzata,  nell’approcciarsi con gli altri.
Il soggetto quindi sarà affetto molto probabilmente da forme di distacco sociale, di superficialità nei rapporti, di problemi di fiducia nei confronti degli altri.
Il seme della negatività interrato anni prima è diventato un germoglio, durante l’adolescenza un delicato arbusto e da adulto da i suoi frutti che si concretizzano con emozioni quali: paura e sfiducia verso il prossimo.

Perché un padre è assente?

Diverse sono le motivazioni che spingono un padre a non svolgere quello che è il suo ruolo.
Non dimentichiamo che ogni padre è stato figlio a sua volta. È possibile che lui stesso sia stato vittima di ferite legate all’assenza di un genitore, ma non è questo il punto.
Può anche essere che, per un motivo o per un altro, vostro padre non abbia acquisito le capacità necessarie per creare un legame con i propri figli. È colpa sua? È colpa vostra? Non è nemmeno qui che vogliamo arrivare. È importante ciò che volte voi, nel presente, adesso, non nel passato. “Se vuoi qualcosa nella vita allunga la mano e prendila” la frase del celebre film (“into the wild”) risulta emblematica.

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Padre assente: come guarire dalle ferite?

Partiamo dal presupposto che un padre assente lo ricorderete e vi segnerà comunque per tutta la vita e che nulla potrà riconcedervi quegli anni perduti. Ma non perdetevi d’animo. Ricordate sempre che anche se avete patito le sofferenze a causa di mancanza d’affetto da parte di un padre sicuramente vi saranno state (e vi sono) figure che in un modo o nell’altro hanno saputo aiutarvi nel vostro percorso di vita (nonni, zii, amici, partner).
Ormai siete adulti. Che avete il raziocinio per affrontare la vita e perché no di migliorare, un minimo, il rapporto con il vostro genitore. Con l’età si diventa più sensibili, si cambia, si da maggiore importanza a determinati aspetti trascurati in gioventù.

Migliorare il legame emotivo con il padre

Probabilmente anche vostro padre avrebbe voluto un rapporto diverso con voi ma non è riuscito ad impostarlo. Ora siete grandi, anche se mantenete il ruolo di figlio, probabilmente siete genitori a vostra volta e avete compreso quanto è difficile essere padri/madri. Non dove accusare o rinfacciare, semplicemente, se lo riterrete opportuno, cercare di salvare il salvabile rendendo più “umano” il vostro rapporto. Come? Un abbraccio, un sorriso, un “ti voglio bene” sembrano sciocchezze ma non lo sono per niente, sono i piccoli gesti, fatti col cuore, a migliorarci la vita.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
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Fino a che età una donna può avere figli?

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma FINO A CHE ETA DONNA PUO AVERE FIGLI Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgIn condizioni fisiologiche (normali), una donna sana può teoricamente avere figli nel periodo che intercorre dalla comparsa del menarca (la prima mestruazione) fino alla menopausa, cioè l’evento fisiologico che nella donna corrisponde al termine del ciclo mestruale e dell’età fertile. Nella menopausa termina l’attività ovarica: le ovaie non producono più follicoli ed estrogeni (ormoni femminili principali). Gli uomini, al contrario delle donne, rimangono fertili virtualmente fino alla morte. A tale proposito leggi anche: Perché l’uomo può avere figli per tutta la vita e la donna no?
Nella realtà, la fertilità femminile nella donna resta stabile solo fino ai 30 anni per poi diminuire, con un primo netto calo sopra i 35 e un calo ancora più drastico dopo i 40. L’età media della menopausa è 50 anni, ma già sopra i 44-45 anni le probabilità di avere un figlio sono quasi nulle. A tale proposito leggi anche: Che possibilità ho di rimanere incinta?, dove sono elencate le possibilità statistiche di avere un figlio per fasce di età della donna.

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Perché l’uomo può avere figli per tutta la vita e la donna no?

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma PERCHE UOMO FIGLI TUTTA LA VITA DONNA NO Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgIn questo articolo: Che possibilità ho di rimanere incinta?, abbiamo visto come la donna ha possibilità limitate di avere dei figli, mentre in un altro articolo: Fino a che età un uomo può avere figli?, abbiamo visto come l’uomo possa avere figli virtualmente per tutta la vita. Ma perché c’è questa differenza nei due sessi?

La risposta è semplice: mentre gli uomini producono continuamente nuovi spermatozoi (ininterrottamente e per tutta la vita), le donne nascono avendo già nelle ovaie tutti gli ovociti che useranno nella loro vita fertile.

Il maggior numero di ovociti una donna lo possiede quando si trova ancora nell’utero di sua madre: quando il feto femminile si trova alla ventesima settimana di sviluppo, le sue ovaie contengono fino a 6-7 milioni di ovociti! Al momento della nascita questo numero si riduce a 1-2 milioni e continuerà a diminuire. Al momento della pubertà una ragazza ha 200-500 mila ovociti nelle ovaie, e di questi ne userà solo una piccolissima parte (400-500 in tutto) nel corso della sua vita fertile. Infatti la maggior parte degli ovociti è destinata a degenerare per un processo di “morte spontanea” chiamato atresia: ogni mese iniziano a maturare molti follicoli, ma di questi solo uno o due si svilupperanno completamente mentre gli altri andranno incontro a una degenerazione spontanea.

Con il passare degli anni il processo di atresia può assumere un ritmo più serrato, oppure possono intervenire patologie che provocano una distruzione parziale o totale del patrimonio follicolare.

Ma soprattutto con il passare del tempo diminuisce la qualità degli ovociti, oltre alla loro quantità. La riserva di ovociti della donna invecchia insieme a lei, e questo invecchiamento del patrimonio ovocitario è il principale responsabile della diminuzione, col tempo, della fertilità femminile, perché tanto più un ovocita invecchia tanto più è probabile che sviluppi un’anomalia cromosomica che potrà renderlo inadatto a essere fecondato oppure causare un aborto spontaneo.

La più comune causa di aborto spontaneo è infatti la presenza di un’anomalia cromosomica nell’ovocita fecondato (si calcola che almeno la metà di tutti gli aborti spontanei sia dovuta ad anomalie genetiche dell’embrione). Un donna di 20 anni ha il 12-15% di probabilità di incorrere in un aborto se resta incinta, mentre la percentuale sale al 40% per una donna di 40 anni.

Anche i risultati della procreazione assistita confermano che c’è un forte legame tra l’età della donna e la sua probabilità di restare incinta: sia nelle IUI sia nelle FIVET le percentuali di successo sono maggiori se la donna ha meno di 35 anni, e i dati relativi alle ovodonazioni dimostrano che la probabilità di riuscita dipende molto più dall’età della donatrice (e dunque dell’ovocita) che dall’età della ricevente: le FIVET con ovociti donati da una donna giovane possono raggiungere percentuali di successo del 60% anche se le donne riceventi hanno più di 40 anni.

Quando, per qualunque motivo, il patrimonio ovarico si esaurisce prima del previsto, si parla di esaurimento ovarico prematuro o menopausa precoce: in questo caso la menopausa può arrivare a 35-40 anni, o anche prima (se il patrimonio ovarico si esaurisce nell’arco dei primi 10-12 anni di vita della donna non ci sarà neanche la prima mestruazione!). Quando invece si ha una riduzione (ma non l’esaurimento totale) della capacità di produrre ovociti, si parla di diminuzione della riserva ovarica.

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Fino a che età un uomo può avere figli?

MEDICINA ONLINE AMORE ANZIANI VECCHI NONNI COPPIA MATRIMONIO DIVORZIO SEPARAZIONE SENESCENZACome abbiamo visto in questo articolo: Che possibilità ho di rimanere incinta?, la donna ha possibilità limitate di avere dei figli, perché la sua fertilità diminuisce di molto superati i 35 anni ed è nulla con la “menopausa” momento che – intorno ai 50 anni – segna l’interruzione definitiva delle mestruazioni e, pertanto, della possibilità di avere una prole. E l’uomo? Negli uomini l’età ha un impatto decisamente minore sulla fertilità perché gli spermatozoi vengono continuamente rinnovati e, a differenza degli ovociti della donna, non invecchiano insieme al loro “possessore”.

Leggi anche: Silvio Berlusconi papà a 86 anni Ma è davvero possibile?

Mentre la donna ha un numero finito di gameti femminili (gli ovociti), al contrario nell’uomo la produzione di gameti maschili (gli spermatozoi) è un processo continuo e virtualmente infinito: la spermatogenesi (il processo di formazione di nuovi spermatozoi) si svolge ininterrottamente all’interno dei testicoli per tutta la vita. L’intero “ciclo di produzione” dura circa 70 giorni, dunque ogni 3 mesi un uomo rinnova interamente il suo patrimonio di spermatozoi. Ciò avviene dalla pubertà fino alla vecchiaia, anzi, letteralmente fino alla morte, e questo spiega perché un uomo di 80 o 90 anni ed oltre, salvo patologie che lo hanno reso sterile, può essere ancora fertile e generare dei figli.

Attenzione però, questo non significa che l’età non abbia alcuna influenza sulla fertilità maschile. Col passare del tempo si può avere progressivamente ad esempio:

Nonostante ciò l’uomo – al contrario della donna – ha la possibilità di fecondare virtualmente per tutta la sua vita e generare figli sani perfino in punto di morte. E la cosiddetta “menopausa maschile“, cioè l’andropausa? Mentre la menopausa impedisce alla donna di avere figli perché da quel momento in poi non ha più ovociti fecondabili, al contrario l’andropausa è caratterizzata principalmente dalla diminuzione del testosterone, ma, come abbiamo visto, ciò rallenta ma non impedisce la spermatogenesi e quindi la possibilità di avere spermatozoi fecondanti. Per approfondire, leggi:

Qui di seguito trovate una lista di integratori alimentari acquistabili senza ricetta, potenzialmente in grado di migliorare la prestazione sessuale sia maschile che femminile a qualsiasi età e trarre maggiore soddisfazione dal rapporto, aumentando la quantità di sperma disponibile, potenziando l’erezione e procurando un aumento di libido sia nell’uomo che nella donna:

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Madre anaffettiva: caratteristiche, effetti sui figli, cosa fare?

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma MADRE ANAFFETTIVA EFFETTI FIGLI COSA FARE Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Pene.jpgI primissimi anni di vita dei bambini sono fondamentali per un loro corretto sviluppo emotivo ed in questa fase più che mai i genitori devono saper trasmettere amore, in particolare la madre: quando quest’ultima non è in grado di manifestare amore e tenerezza, è possibile che la crescita del bimbo sia catalizzata da fattori di carenza emotiva con conseguenze sul piano interpersonale che potrebbero risultare anche molto serie sul luingo periodo.
Crescere con una madre anaffettiva può significare crescere sentendosi abbandonati, incapaci di riconoscersi come individuo e di essere accolti dagli altri manifestando il proprio diritto di esistere.
Le madri anaffettive sono persone incapaci di esprimere liberamente le proprie emozioni, soprattutto quando si tratta di manifestare amore. A livello relazionale comunicativo sono madri che non sanno rimproverare, gratificare, sostenere, incoraggiare, proteggere, tranquillizzare, insegnare, ma sanno solo squalificare, criticare, demotivare, scoraggiare, opprimere, intimidire, ricattare, imbrogliare… Questo, da parte della figura di riferimento più importante in assoluto, nella povera mente di un bambino può avere effetti totalmente distruttivi.

Anche il padre può essere anaffettivo. A tal proposito leggi anche: Padre anaffettivo e assente: effetti sui figli, cosa fare?

Cause dell’anaffettività di una madre

Non esistono specifiche cause che rendano una donna una madre anaffettiva. Le motivazioni in genere sono molteplici e risiedono nel vissuto emotivo della donna, agendo in sinergia per produrre questo tipo di comportamento. L’anaffettività dipende solitamente da un vissuto personale problematico che ha impedito alla donna di sviluppare un rapporto sano con le emozioni e con sé stessa. In alcuni casi una madre anaffettiva ha avuto a sua volta una madre anaffettiva: cresciuta con questo modello di riferimento, la donna replica i comportamenti della propria madre credendoli come gli unici possibili per allevare la prole. In altri casi la donna anaffettiva ha avuto uno o più partner narcisisti ed anaffettivi, corroborando in lei l’idea che “la vita va così, è crudele e cinica ed io devo adeguarmi”. In altri casi ancora, eventi traumatici – come un licenziamento, un lutto improvviso, una delusione amorosa – hanno determinato una perdita di fiducia nella vita che ha causato o peggiorato una anaffettività. Spesso la mancata affettività è il risultato finale del fatto che donna non ama abbastanza sé stessa per poter trasmettere amore ai suoi figli.

Caratteristiche delle madri anaffettive

Le madri anaffettive sono l’esatto opposto delle mamme iperprotettive: se queste ultime riempiono di attenzioni eccessive i figli fino a soffocarli, le anafettive non riescono a manifestare affetto, risultando gelide e distaccate. Le caratteristiche principali delle madri anaffettive, sono di seguito elencate.

  • Sono assenti. Le madri anaffettive delegano tutto a figure sostitutive, non partecipano alla vita dei figli e non stanno mai con loro. Non conoscono i propri figli e scappano dall’incombenza di essere madre. Potrebbero, ad esempio, delegare il ruolo di madre ad una o più tate oppure ai nonni.
  • Hanno un rifiuto verso le manifestazioni d’affetto. Un tipico segnale di anaffettività è l’incapacità di abbracciare, baciare, coccolare il bambino, che viene percepito come un ostacolo, un fastidio, qualcosa di addirittura irritante.
  • Sono abili manipolatrici. Le madri anaffettive non sono in grado di leggere e comprendere i propri figlii. Si occupano prevalentemente di se stesse, e percepiscono la prole solo in funzione dei propri personali bisogni.  Pretendono che tutto sia perfetto nella loro vita, inclusi i loro figli. L’unico modo che hanno per assicurarsene è di controllare tutto in prima persona. Il ricatto morale nei confronti dei loro figli è il più vile dato che per loro natura indifeso, non possono rendersi conto di essere imbrigliati in questo tipo di dinamica. Si tratta di un vero e proprio “tradimento” della mamma che invece di proteggere il piccolo e prendersi cura di lui, ne abusa a livello psicologico. Comunque venga espresso il ricatto, il messaggio sottostante è chiaro: “se non farai quello che dico io, mi farai stare molto male”. Per un bambino, per il quale il genitore è la persona più importante, il messaggio è devastante: genera paura, ansia, senso di colpa e lo spinge a muoversi in direzione opposta ai suoi profondi desideri. Conoscendo perfettamente i punti deboli del bambino, la madre anaffettiva fa leva sulla sua paura di perdere la relazione o di entrare in conflitto.
  • Sanno fare leva sui sensi di colpa. Quando i figli saranno adulti, la madre anaffettiva ricorderà e rinfaccerà tutti i sacrifici fatti per loro e sottolinierà quanto loro debbano esserne debitori: si tratta del debito della vita che ha un valore enorme e, pertanto, non potrà “mai” essere colmato! Col suo comportamento da vittima la madre anaffettiva comunica in modo inequivocabile che se il figlio non lo accontenterà, soffrirà e la colpa sarà solo sua. E gli indurrà il senso di colpa, facendolo sentire responsabile del suo malessere e persino della sua vecchiaia.
  • Determinano una inversione di ruolo. Con una madre anaffettiva inevitabilmente, il piccolo (anche se bambino/a) cercherà con tutti i suoi mezzi di farsi carico della madre: diverrà in un certo senso il genitore di sua madre. Ad esempio cucinerà per lei, la metterà a letto o riordinerà la sua casa.
  • Fanno le vittime. Le madri anaffettive hanno richieste martellanti che si risolvono in pianti, insistenze e voglia di commiserazione. La violenza di queste madri si manifesta nel sottoporre i propri figli a continui lamenti, invadono lo spazio dei figli pretendendo di essere comprese, protette e compatite. La madre anaffettiva chiede ai propri figli da bambini di non crearle problemi e da adulti di proteggerla e di aiutarla. Sono gelose. Mostrano gelosia nei confronti del figlio: magari perché ha successo con le persone, o magari ha un buon lavoro.

Leggi anche: “Se tu non mi ami è colpa mia”: i pensieri di una donna che ama un uomo anaffettivo

Cosa comporta crescere con una madre anaffettiva?

Chi è cresciuto con una mamma anaffettiva, in età adulta potrebbe sviluppare una serie di tratti comportamentali o di patologie di interesse psichiatrico, tra cui:

  • anaffettività nei confronti del partner e/o dei propri figli;
  • sindrome di Münchhausen per procura;
  • poca autostima;
  • disistima nei confronti del partner;
  • disistima nei confronti delle donne in generale o vera e propria misoginia;
  • sindrome di inferiorità;
  • sindrome da abbandono;
  • alessitimia (incapacità di manifestare le emozioni);
  • depressione;
  • atti di autolesionismo;
  • fobie;
  • disturbo da stress post traumatico;
  • dipendenze da sostanze (alcolismo, droghe, farmaci…) o comportamentali (cleptomania, shopping compulsivo…);
  • disturbi di personalità;
  • non riuscire a mantenere rapporti amorosi a lungo termine.

Ovviamente aver avuto un genitore anaffettivo non significa necessariamente soffrire di una o più delle condizioni e patologie elencate.

Leggi anche: La sindrome da abbandono: cos’è e come si supera

Cosa fare se hai avuto una madre anaffettiva?

A chi ha avuto un genitore anaffettivo, io consiglio questi “10 comandamenti”:

  1. impara a capire che non hai colpe nell’aver avuto una madre o un padre anaffettivo: in questo caso sei una vittima e non certo carnefice. Mai pensare ad esempio “è colpa mia se mia madre è anaffettiva, se fossi più carino o ubbidiente o di successo, lei sarebbe più buona con me”;
  2. impara a prenderti cura di te stesso/a, a nutrirti di rapporti affettivi basati sul reciproco sostegno;
  3. dai spazio ai tuoi interessi, alle tue passioni, ai tuoi amori, fino a costruirti un’identità stabile e indipendente;
  4. non bloccare le tue emozioni ma lasciale scorrere ricercando il contatto con la natura e – perché no? – con gli animali, spesso gli unici veri depositari dell’affetto illimitato e incondizionato verso i loro padroni;
  5. lasciati ispirare da modelli di riferimento materno alternativi (nonne, zie, tate…), qualora fossero capaci di donare liberamente amore e riconoscimento;
  6. impara ad accettare i limiti di tua madre e non ostinarti a cercare di cambiarla;
  7. non cedere al risentimento e alla recriminazione: probabilmente saresti solo tu a soffrirne per tutta la tuia vita;
  8. se hai figli, amali. Tu sei diverso/a da tua madre. Non permettere all’anaffettività di diventare un circolo vizioso che governa la tua famiglia;
  9. circondati di persone gioiose e attive, capaci di apprezzarti e di valorizzarti;
  10. se la situazione ti genera una angoscia insopportabile, che interferisce con i tuoi rapporti sociali, il tuo lavoro, le tue relazioni, allora contatta un medico o uno psicoterapeuta con cui potrai affrontare un percorso terapeuto.

Leggi anche: “Mi sono pentita di aver avuto un figlio”

Testi consigliati

Un libro economico ma che tratta in modo esauriente questo argomento, è “Madri che feriscono. Liberarsi dal loro potere per rinascere”, scritto da Anne-Laure Buffet, una popolare autrice francese – madre di due bambini – che si interessa da anni dei problemi che interessano la famiglia. Lo potete trovare in offerta seguendo questo link: https://amzn.to/3XpqrzO

Un altro testo che vi consigliamo, in modo da crescere bimbi sereni ed evitare gli errori che ha compiuto la vostra madre con voi, è “Come crescere bambini felici e capirli attraverso il loro linguaggio del corpo e come farsi ascoltare senza urlare”, dell’italiana Fiorenza Moretti, psicologa clinica e psicoterapeuta specializzata in infanzia, adolescenza e genitorialità. Lo potete trovare qui a circa 11 euro: https://amzn.to/3AlmtyS

Il libro della dott.ssa Fiorenza Moretti è disponibile anche in versione gratuita con l’abbonamento Kindle Unlimited, che potete ottenere gratis per 30 giorni seguendo questo link: https://amzn.to/3PQFPBo

Se pensi di aver avuto una madre anaffettiva e ciò ti genera conflitti ed angosce irrisolvibili, prenota una visita e – tramite una serie di colloqui – riusciremo insieme a risolvere i tuoi problemi.
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Leggere male a tuo figlio influenza lo sviluppo del suo cervello

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma LEGGERE MALE FIGLIO SVILUPPO CERVELLO Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgLeggere una storia ai propri figli è un’abitudine molto diffusa ed importante che potenzia lo sviluppo del bambino, anche se i neuroscienziati avvertono che staremmo sprecando una buona opportunità, perché, a quanto pare, non lo stiamo facendo correttamente.
Infatti, la maggior parte dei genitori legge ai figli la notte prima che si addormentino, per conciliare velocemente il sonno. Così il racconto prima di addormentarsi si trasforma in una routine il cui obiettivo principale è quello di rilassare il bambino. Altri genitori sono più attenti e si preoccupano che la lettura migliori le competenze linguistiche dei bambini o consolidi determinati valori.
Ma i neuroscienziati affermano che leggere libri ai bambini, senza fare pause o promuovere la riflessione, è come guardare un film. In pratica, i bambini vengono attratti nella trama e sono così ansiosi di arrivare alla fine per scoprire come termina la storia che si perdono i dettagli più importanti, o almeno si lasciano sfuggire le maggiori opportunità di crescita. La buona notizia è che i genitori possono rimediare a questo “errore” cambiando semplicemente il modo di leggere.

La lettura cambia il cervello del bambino
Uno studio condotto da psicologi della Princeton University ha scoperto che quando leggiamo un romanzo sviluppiamo un atteggiamento più empatico e comprendiamo meglio gli stati mentali degli altri. Questo perché i romanzi catturano la nostra attenzione e, attraverso la trama, ci coinvolgono nei pensieri e le emozioni dei personaggi, aiutandoci a metterci nei panni degli altri.
Un altro studio condotto presso la Emory University ha fatto un passo ulteriore scoprendo che gli effetti della lettura sul cervello non sono effimeri, ma si mantengono nel tempo. Secondo questi neuroscienziati, leggere un buon romanzo è come ricevere un dolce ma potente “massaggio”, direttamente nel cervello. E la cosa più interessante è che questi cambiamenti persistono anche cinque giorni dopo aver terminato la lettura, indicando che gli effetti della lettura non terminano quando chiudiamo il libro.
Ovviamente, la maggior parte dei libri per bambini non sono così profondi e ricchi di dettagli, ma in generale tutti i racconti infantili possono essere utilizzati per favorire l’empatia e sviluppare il processo decisionale. In effetti, uno studio condotto presso l’Ospedale di Cincinnati con bambini tra 3 e 5 anni d’età, ha rivelato che il cervello dei piccoli ai quali i genitori solevano leggere, mostrava una maggiore attività in risposta alla lettura nei settori connessi alla comprensione narrativa e le immagini visive.
Il segreto per ottenere che la lettura potenzi ulteriormente l’apprendimento e lo sviluppo del cervello infantile è molto semplice: leggere facendo delle pause.

Enfatizzare i conflitti migliora l’apprendimento
Secondo i neuroscienziati, la chiave perché i bambini ottengano il massimo beneficio dalla maggior parte dei libri è che i genitori siano in grado di evidenziare i conflitti che si presentano nella trama, esattamente l’opposto di ciò che gli adulti fanno di solito.
Infatti, spesso sorvoliamo velocemente i conflitti che si presentano nei libri, leggiamo rapidamente per arrivare alla fine, che in genere è: “e vissero tutti felici e contenti”. Ma in realtà, dovremmo proprio fare una pausa quando nella trama si presentano delle situazioni conflittuali e chiedere al bambino cosa farebbe al posto dei protagonisti della vicenda.
A questo proposito, gli studi hanno dimostrato che quando stiamo imparando e dobbiamo prendere una decisione, ricordiamo meglio. Ciò che avviene in questi casi è che il cervello inizia a funzionare nel suo complesso. Quando il bambino ascolta il racconto che gli leggono i genitori assume un ruolo passivo. Tuttavia, quando partecipa attivamente e prende decisioni circa il corso degli eventi si attivano diverse aree cerebrali che facilitano ulteriormente l’apprendimento.
Ed è proprio questo momento di riflessione che permette un apprendimento più olistico, che lascia tracce profonde nel cervello del bambino. Infatti, spesso la parte più interessante del racconto si verifica proprio quando i genitori chiudono il libro e il bambino riflette su ciò che ha sentito. Per questo si dice che i libri migliori sono quelli che fanno pensare quando la storia è finita.

Un momento per la trama e un’altro per l’ apprendimento
È importante che genitori e insegnanti comprendano che l’obiettivo della lettura non è semplicemente che i bambini imparino parole nuove o sviluppino l’amore per la lettura, ma generare esperienze più intense dal punto di vista intellettuale che favoriscano anche lo sviluppo delle funzioni cognitive. Inoltre, questa forma di lettura stimola anche l’empatia, dato che motiva il bambino a mettersi al posto dei personaggi, “buoni” o “cattivi”, contribuendo a sviluppare la “Teoria della Mente”. Inoltre, trovarsi di fronte a un dilemma morale è anche un potente strumento per trasmettere dei valori.
Naturalmente, non è necessario fare una pausa per riflettere ogni volta che leggiamo loro una storia, perché è anche importante che i bambini godano della magia della trama e si lascino trasportare dagli eventi. Tuttavia, è importante che genitori e insegnanti siano consapevoli del fatto che la lettura veloce non permette di ottenere il massimo beneficio da quei libri speciali che contengono lezioni di vita in attesa di essere scoperte.

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Il calendario delle vaccinazioni obbligatorie per i vostri figli

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO CHIRURGO BAMBINO PEDIATRA OSPEDALEQuali sono e quando far fare le vaccinazioni obbligatorie ai nostri figli? Sul tema il dibattito è ancora acceso e, secondo quanto denuncia il Ministero della Salute, le vaccinazioni dei piccolini sono effettivamente in calo e addirittura sono scese sotto il livello minimo previsto dal Piano nazionale di prevenzione vaccinale spingendo l’autorità ad intervenire concretamente, tutto ciò a causa di alcune teorie pseudo-scientifiche che si diffondono con estrema rapidità sul web. Ma di questo parlerò un’altra volta.

Leggi anche: Febbre alta nei bambini e neonati: quali farmaci e cosa fare

Vaccinazioni obbligatorie: quali sono?

Le vaccinazioni obbligatorie per i bambini sono complessivamente quattro: antidifterica, antitetanica, antipoliomielitica e antiepatitevirale B. Le altre, quelle contro la pertosse, il morbillo, la parotite, la rosolia e l’Haemophilus influenzae b (Hib), sono invece facoltative, ma fortemente incentivate dal Sistema sanitario che ne suggerisce l’uso garantendone la gratuità.

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Modalità di somministrazione dei vaccini

Le modalità di somministrazione dei vaccini obbligatori sono sostanzialmente due: l’antidifterica e l’antitetanica, infatti, si possono somministrare insieme con il DT, il cosiddetto vaccino combinato, oppure – se i genitori acconsentono ad aggiungere alle prime due la vaccinazione facoltativa contro la pertosse – con il vaccino trivalente antidifterico-tetanico-pertossico (DTP).

Vaccinazioni obbligatorie: da 3 a 11 mesi

I bambini iniziano a sottoporsi alle vaccinazioni a partire dal terzo mese di vita quando, sostanzialmente, sono chiamati a fare il primo ciclo delle obbligatorie che sarà seguito da un secondo ciclo al quinto mese e da un terzo all’undicesimo.

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Vaccinazioni facoltative e richiami: da 13 mesi a 6 anni

A partire dai tredici mesi, e comunque entro i quindici, arriva quindi il momento delle vaccinazioni facoltative che poi devono essere ripetute al sesto anno di età quando si dovranno rifare anche tre delle quattro obbligatorie (ovvero antidifterica, antitetanica, antipoliomielitica). In questa occasione, poi, i bambini che avranno optato per il vaccino trivalente saranno nuovamente vaccinati anche contro la pertosse.

Vaccinazioni nell’adolescenza

Il rischio di difterite, tetano e pertosse, infine, verrà nuovamente combattuto con un ultimo ciclo di vaccinazioni tra i 14 e i 16 anni di età. Questo, in sostanza, è il calendario delle vaccinazioni obbligatorie e facoltative ma le scadenze non sono determinanti: se per qualche ragione si allungano infatti i tempi tra una dose e l’altra, infatti, l’efficacia del ciclo non viene compromessa a patto che questo venga portato a termine.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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Essere bravi genitori: cinque consigli per crescere fratelli uniti

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO BAMBINI FRATELLI FAMIGLIA GENITORI FAMIGLIA (4)Essere bravi genitori è la cosa più difficile al mondo, specie quando il figlio non è più uno solo ed il secondogenito va ad alterare degli equilibri che si erano creati in casa: si verifica la classica gelosia tra i figli (maschi o femmine) che nasconde quasi sempre la difficoltà del primogenito di accettare che il rapporto con mamma e papà non possa essere unico ed esclusivo. Tutto nasce da un desiderio di possesso: ogni figlio non vorrebbe ‘dividere’ i genitori con il fratello o la sorella ma non può prendersela con loro, quindi ‘sfoga’ le sue emozioni verso l’altro/a. La tipica competizione nel quotidiano scatta proprio per questa ragione più profonda ed è bene tenerlo a mente. In altre parole, i litigi sono fisiologici e non sono un segnale di scarso affetto tra fratelli: anche quando si punzecchiano (quasi) in continuazione, di fatto si vogliono bene. Tuttavia, mamma e papà devono il più possibile favorire lo sviluppo di una buona relazione tra fratelli e sorelle, e farli crescere uniti, evitando alcuni comportamenti che invece possono allontanarli. Ecco cinque consigli per evitare gli errori più comuni.

1 Non intervenire quando i bambini litigano
E’ molto importante lasciare che fratelli e sorelle risolvano da soli i loro conflitti, entro ovviamente certi limiti. “I bambini trovano le loro misure e l’intervento a favore di uno o dell’altro contribuisce invece ad aumentare la gelosia. Ma anche punire tutti nello stesso modo non è una buona strategia perché è percepito come ingiusto.  Un errore molto comune tra i genitori è poi quello di agire da giudici imbastendo una sorta di processo, che va avanti all’infinito, per stabilire chi ha iniziato la lite. Un atteggiamento del genere è controproducente e non porta a nulla. Dal punto di vista dell’esperta, l’approccio migliore è invece invitare i figli a cavarsela da soli cercando un accordo e riferendolo, poi, all’adulto.

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2 Quando un bambino picchia il fratello o la sorella, cercate di calmarlo con tono tranquillo e senza mai urlare
Se un figlio usa spesso le mani contro l’altro/a significa che è davvero molto arrabbiato e si sfoga contro il più debole, che di solito è il più piccolo. Attenzione, però, non significa che non voglia bene al fratello o alla sorella, in realtà il vero obiettivo della sua rabbia potrebbero essere mamma e papà. Al momento, di fronte all’episodio concreto, è opportuno invitare il bimbo che dà le botte al fratello a sospendere quello che sta facendo e calmarlo parlando in tono tranquillo. Non serve dirgli ‘non devi fare così’ ma è molto importante mostrare comprensione e contenerlo con modi pacati. Non si risponde mai alla rabbia urlando. Quando la situazione si ripete spesso il genitore dovrebbe interrogarsi e mettersi in discussione poiché l’azione violenta è sintomo di paura e angoscia di abbandono. Il bambino violento è spaventato a morte dall’idea di ‘non essere visto’ e dà la colpa a qualcuno, al fratello o alla sorella. Questo può capitare perché non è stato aiutato a sufficienza nella sua evoluzione e ha bisogno di stare più tempo insieme ai genitori. E’ fondamentale rassicurarlo e aiutarlo a superare la paura che i genitori spariscano. Un buon modo per farlo è chiacchierare con lui, andare a prenderlo a scuola una volta in più e condividere tempo e giochi. Fino alla fine della primaria, il gioco e le fiabe, da leggere insieme ad alta voce la sera, sono strumenti efficaci e preziosi per stemperare queste emozioni di ogni bambino.

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3 Evita una sorta di ‘spartizione’ tra mamma e papà nell’accudimento dei figli che non crea solidarietà
“Tu ti occupi del piccolo e io del grande!”. Certo, è possibile fare a turni, ma mamma e papà devono condividere insieme ogni aspetto dell’educazione e della vita dei figli.

4 Fare le stesse cose del fratello o della sorella per un periodo è positivo: aiuta a sviluppare l’empatia
A volte sono proprio le osservazioni e gli interventi inopportuni dei genitori a dividere i figli. Se il maggiore, per esempio, che magari frequenta già le medie, si mette a giocare con il fratellino (o sorellina), non è bene dire una cosa tipo: “Ma tu sei ormai troppo grande per questo gioco!”. In modo analogo, se il bambino chiede ancora biberon e ciuccio – ormai abbandonati da tempo – o di dormire accanto alla mamma perché vede farlo il fratellino o la sorellina, non deve essere un problema. In genere, atteggiamenti simili, in cui il bimbo sembra tornare più piccolo, indicano che quei progressi gli sono costati molta fatica. Questi episodi di regressione sono una grande occasione di ri-sperimentare una situazione ma non significa perdere le competenze già acquisite. Tornare indietro, semplicemente, rinfranca un po’ il bambino, ed è una sorta di terapia, quindi è bene lasciarlo fare. Dopo un po’, per aiutarlo (senza ansia) a riconquistare le sue abitudini, è sufficiente sostenerlo con un atteggiamento sereno e positivo. “Riccardo, mi sa che il gelato, in fondo, ti piace di più del latte nel biberon, eh… perché tu sei grande!”. In ogni caso, è un segnale positivo immedesimarsi nel piccolo è un modo per capirlo. Di fatto, mettersi al posto dell’altro vuol dire provare empatia ed un bimbo di tre-quattro anni lo fa concretamente. Anche nel caso contrario quando è il bambino più giovane a voler imitare il grande, non è corretto bloccarlo subito perché è ‘piccolo’: è invece appropriato incoraggiare questi momenti. “Bene, mi piace che giocate insieme, ecco qui delle penne per te anche se non sai ancora scrivere!”.

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5 Asseconda la complicità dei tuoi figli e non osteggiarli quando fanno ‘banda’
Nella relazioni tra fratelli o sorelle, arriva un momento in cui i figli si ‘coalizzano’ contro i genitori, nonostante, magari, la differenza di età. E’ tipico il caso di nascondere le marachelle: “Prendiamo insieme un altro pezzetto di cioccolato!”, “Diciamo alla mamma che il vaso l’ha rotto il gatto”. Fare fronte comune diventa una sorta di colla, e getta le basi di quella solidarietà che dura tutta la vita ; è fondamentale non osteggiare questi comportamenti, al contrario, i genitori dovrebbero leggere la creatività dietro a tutto ciò, in base all’età dei bambini”. Se a metà della scuola primaria, per esempio, i figli preparano dei cartelli perché desiderano un computer, si tratta di una ‘sommossa’ positiva. Anche in seguito, quando sono più grandi, fratelli e sorelle possono mettersi insieme per ottenere un permesso speciale o una particolare concessione. Questo senso di complicità dovrebbe essere assecondato perché è parte positiva della relazione tra figli.

Articolo di Marzia Rubega pubblicato su: https://www.nostrofiglio.it/bambino/psicologia/come-crescere-fratelli-uniti-4-principi-guida-ai-genitori

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