Minor rischio di depressione post partum con nascite in inverno e primavera

MEDICINA ONLINE PARTO DEPRESSIONE POST PARTUM BABY BLUE NEWBORN GRAVIDANZA INCINTA ACQUA LATTE MATERNO SENO MAMMA FIGLIO BAMBINO BIMBO NEONATO PERICOLOSO BAMBINA IN TERAPIA INTENSIVA BIRTH WATER PICTURE WALLPAPER PICS HD.jpgMese del parto, durata della gravidanza e anestesia influiscono sul rischio di avere la depressione post partum. Le probabilità di soffrirne sono minori infatti per le donne che partoriscono in inverno o primavera, che arrivano alla fine della durata prevista della gravidanza e se gli viene somministrata l’anestesia, come l’epidurale, durante il travaglio. Lo suggerisce uno studio del Brigham & Women’s Hospital di Boston presentato al Congresso in corso della Società americana di anestesiologia. In particolare, in inverno e primavera si attiverebbe nella madre un meccanismo protettivo per il piacere di fare attività dentro casa con il proprio piccolo. Quando invece non si riceve l’analgesia, spiegano i ricercatori, c’è il rischio di vivere un travaglio traumatico, oppure, ipotizzano, è possibile che chi rifiuta l’anestesia abbia delle caratteristiche personali che la rendono più vulnerabile a questo tipo di disturbo.

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Il rischio di depressione post partum è inoltre più alto per chi ha un maggior indice di massa corporea, che può influire sull’aspetto e l’atteggiamento dopo il parto, mentre è minore per le donne di razza caucasica, forse per fattori socioeconomici. Infine, se il bimbo non nasce prematuro, la madre è meno stressata mentalmente al parto. “Volevamo vedere se c’erano alcuni fattori che possono influire sul rischio di sviluppare la depressione post partum e possono quindi essere prevenuti”, commenta Jie Zhou, coordinatore dello studio. Almeno il 10% delle donne soffre di ansia e problemi depressivi dopo il parto. I sintomi sono tristezza, irrequietezza, agitazione, minore concentrazione. Nello studio sono stati analizzati i dati medici di oltre 20mila donne che avevano partorito tra giugno 2015 e agosto 2017 nell’ospedale: di queste, 817, pari al 4,1%, avevano sofferto di depressione post partum.

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Sindrome da depressione autunnale: sintomi, cura e rimedi

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma SONNOLENZA STANCHEZZA CRONICA RIMEDI Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata Macchie Capillari Ano PeneI sintomi sono abbastanza tipici: insonnia, inappetenza o al contrario di troppa fame, risveglio difficile al mattino, senso di stanchezza, difficoltà di concentrazione e brusca riduzione del desiderio sessuale. Sono sintomi tipici che molte persone sperimentano in questo periodo dell’anno, quando, dopo l’equinozio del 21 settembre, è cominciato ufficialmente l’autunno. Questa condizione ha un nome preciso nell’ambito della psicologia: Sindrome da depressione autunnale (SAD) che tende a manifestarsi maggiormente in individui che già si trovano in una situazione di equilibrio dell’umore precario o che soffrono di depressione.

Che cos’è la SAD?

La SAD, acronimo che curiosamente in lingua inglese significa “triste”, è un disordine affettivo stagionale di interesse psichiatrico, che si manifesta in modo ricorrente, ma con sintomi di tono assai minore rispetto alla depressione vera e propria.

Quali sono i sintomi della Sindrome da depressione autunnale?

I sintomi della SAD sono molto vari, e comprendono:

  • insonnia,
  • inappetenza/troppa fame,
  • sonnolenza;
  • risveglio difficile al mattino,
  • astenia (senso di stanchezza),
  • tendenza all’isolamento,
  • difficoltà di concentrazione,
  • riduzione del desiderio sessuale.

Inoltre il soggetto tende a chiudersi in sé stesso, ricerca momenti in cui appartarsi e resta in silenzio per lunghi periodi. Egli prova una diminuzione del desiderio di lasciarsi andare ad esperienze di piacere, di convivialità, di svago ed invece tende a ritirarsi nella propria intimità.
La SAD, al pari di altre patologie psichiatriche, non è una malattia, almeno finché non impedisce lo svolgere delle normali attività della vita quotidiana, creando scompensi più o meno significativi al lavoro, nella sfera delle relazioni, e in quella affettiva. In ogni caso determina però una riduzione progressiva della performance generali, una sorta di rallentamento delle proprie emozioni, della propria carica vitale e delle espressioni della personalità stessa che si fanno man mano sempre più povere, scarne, quasi aride.

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Quali sono le cause?

La SAD non ha una causa unica, bensì è generata da più fattori che agiscono sulla psiche in modo sinergico. Sicuramente il cambio di stagione incide e non poco, dal momento che crea uno squilibrio a livello percettivo e sensoriale (il clima più freddo, l’imbrunire repentino, l’aumento delle piogge). Ma agiscono anche altre cause, come l’inizio dell’attività lavorativa a pieno regime dopo le vacanze estive, il doversi ritagliare un maggiore spazio “intimo” tra le mura domestiche rispetto all’elevato grado di libertà sperimentato in estate. In concomitanza con l’abbassarsi della temperatura si riduce anche, in moto transitorio, l’attività del sistema immunitario, che concorre ad abbassare l’umore in modo lieve-moderato.

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Quali sono i soggetti maggiormente colpiti da questo problema?

Come già prima accennato, le persone maggiormente a rischio sono quelle che già soffrono di disturbi psichiatrici, come ad esempio la depressione. Hanno elevato rischio i soggetti che manifestano una ansia latente, cosiddetta “libera e fluttuante” e cioè quasi costante e, seppur lieve, in grado di limitare la libera espressione della personalità. Le persone insicure per natura, che hanno bisogno di conferme e di consensi, che sono abituate ad accontentarsi a piccole certezze piuttosto che affrontare grandi cambiamenti, che si riconoscono facilmente suscettibili ed estremamente sensibili di fronte agli eventi della vita quotidiana. Anche chi conduce una vita relativamente povera in termini di stimoli ed esperienze, piuttosto monotona nella gestione del quotidiano. Tutti questi soggetti sono in genere colpite in modo lieve da fenomeni ipocondriaci, dalla paura cioè di avere qualcosa che non va nel proprio corpo e che potrebbe essere una malattia da scoprire in tempo utile pena la morte per mancanza di cure adeguate.

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Perché compare soprattutto in autunno?

La SAD compare più frequentemente in autunno perché a livello climatico e psicologico assistiamo ad un forte cambiamento, che molti sentono come in peggio: ad un senso di libertà, di spensieratezza, di distacco quasi dal mondo e dalle responsabilità – tipico dell’idea della vacanza estiva – si passa rapidamente ad un inesorabile movimento di ritorno alle responsabilità lavorative o, nei giovani, di ritorno allo studio. La libertà rappresentata dai leggeri vestiti estivi deve far posto ad indumenti più pesanti, che danno una idea di “blocco”. Tutto questo può diventare pesante, per certi aspetti, difficile da gestire, e se la persona presenta dei fattori di rischio come quelli su elencati, potrebbe risentirne in qualche modo, fino a soffrirne in modo clinicamente significativo.

Può presentarsi anche in altre stagioni?

La SAD può presentarsi in qualsiasi altra stagione (specie nel cambio di stagione) anche se in frequenza assai minore, e persino in estate, nel passaggio cioè tra la primavera e l’estate. Quando compare in questo particolare periodo può assumere connotazioni abbastanza serie, tanto da portare alcuni dei soggetti colpiti a rischio suicidio. Non sono infrequenti in letteratura psichiatrica i suicidi nel mese di maggio/giugno, a dimostrazione di quanto forte possa essere il calo dell’umore in questo periodo.

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Come poter fronteggiare questo problema?

Esistono molti “trucchi” psicologici per provare a gestire questa sindrome:

  • impara a prendere la vita così com’è, senza risentire a livello emozionale dei suoi alti e bassi;
  • riempi la giornata di cose belle, di momenti interessanti ed evolutivi, cioè capaci di farci migliorare, di esperienze piacevoli sia per il corpo che per la mente, può sicuramente essere uno strumento per impedire all’umore di scivolare giù”;
  • riconosci una positiva immagine di te, un buon tessuto di relazioni, esperienze in grado di gratificarci facendoci sentire importanti. L’umore si nutre di feed back positivi che giungono dalle relazioni, quelle significative: dunque è importante distaccarsi dalle persone cosiddette negative e coltivare relazioni in grado di stimolare in modo positivo la nostra creatività, il nostro entusiasmo, facendoci nascere passioni e idee;
  • impara a ritagliarti nell’arco di ogni giornata cinque minuti per te, da dedicare a te ed al tuo benessere, cinque minuti per “stare bene”, significa far crescere il picco di benessere dell’umore, mantenendolo ben oltre il livello soglia che può risentire degli agenti destabilizzanti ambientali, garantendogli stabilità;
  • prenditi cura del tuo corpo: è molto importante aver cura del proprio corpo con una attività fisica moderata e momenti di profondo benessere (come le sedute in una spa), e della propria mente, con interessi da coltivare a livello personale, ad esempio la lettura, o passioni da far nascere e grazie alle quali stimolare la fantasia creativa.

Ovviamente questi sono consigli che possono anche non risolvere il problema: in questi casi è importante il supporto di uno psicoterapeuta e di uno psichiatra.

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Perché piango sempre per tutto e senza motivo? Cosa posso fare?

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  • depressione: nella maggior parte dei casi, la depressione comporta sintomi più evidenti rispetto al semplice pianto, ma fra questi può esservi anche la tendenza a piangere senza un’apparente causa;
  • ansia: molte persone piangono prima o dopo aver avuto un attacco di ansia o panico;
  • stress: elevati livelli di stress sono collegati a una maggiore tendenza a piangere. Se è questo il vostro caso, provate a gestire meglio lo stress, apprendendo una tecnica di rilassamento, praticando yoga o meditazione, o imparando a gestire in maniera più sana la vostra vita quotidiana;
  • sindrome premestruale: circa il 20-40% delle donne, per cause ormonali, sperimenta problemi emotivi durante il periodo della sindrome premestruale, che potrebbero sfociare in pianti apparentemente immotivati. Per lo stesso motivo piange spesso anche la donna incinta, specie se per lei è la prima gravidanza;
  • mancanza di sonno: proprio come i bambini, gli adulti che non dormono abbastanza tendono ad essere emotivamente più fragili, e quindi possono piangere senza una causa evidente.

Come fare ad affrontare e superare questo problema?

In primo luogo, sarà importante riuscire a comprendere qual è la vera causa alla base di questo vostro malessere. Non importa cosa pensate, non si piange mai senza un’effettiva ragione, anche se essa può non essere nota a livello cosciente. Per meglio comprendere cosa sta effettivamente accadendo, potreste farvi aiutare da un professionista esperto, grazie al quale potrete ritrovare il vostro benessere mentale e fisico. Inoltre, potrà essere utile apprendere delle tecniche di rilassamento, o scrivere i vostri pensieri e le vostre sensazioni su un diario. Se il problema continua a lungo, meglio non sottovalutarlo: è opportuno l’aiuto di uno psicoterapeuta o di uno psichiatra. Ber ritrovare il benessere mentale, potrebbe essere utile assumere un integratore alimentare di magnesio: https://amzn.to/2MYZ2Bx da solo o anche in associazione con un integratore completo come questo: https://amzn.to/42hbovv

Se ti ritrovi spesso a piangere senza motivo apparente, oppure senti di non riuscire a trovare una “via d’uscita” ai tuoi problemi, prenota la tua visita e, grazie ad una serie di colloqui riservati, ti aiuterò a risolvere definitivamente il tuo problema.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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Perché si soffre? Come superare la sofferenza?

MEDICINA ONLINE TRISTE CERVELLO TELENCEFALO MEMORIA EMOZIONI CARATTERE ORMONI EPILESSIA STRESS RABBIA PAURA FOBIA SONNAMBULO ATTACCHI PANICO ANSIA VERTIGINE LIPOTIMIA IPOCONDRIA PSICOLOGIA DEPRESSIONE VERTIGINE DONNADobbiamo partire dal riconoscere che la sofferenza è naturale, è parte della vita. 2500 anni fa, Buddha ha dedicato la sua esistenza al comprendere ed eliminare la sofferenza: una delle sue conclusioni è che “La vita è sofferenza” (anche se una traduzione migliore sarebbe “Nella vita sono insiti sofferenza, impermanenza e cambiamento”). Che io sappia, nessuno l’ha mai realmente smentito. Quindi, quando soffri non sempre c’è un colpevole o una causa eliminabile: a volte è come va la vita. A questa conclusione sono giunte anche diverse filosofie; per esempio, nell’antica Grecia lo Stoicismo consigliava di vivere in armonia col destino, anche avverso, per raggiungere così serenità e saggezza.

La sofferenza è inevitabile (a volte)

Perché soffrire – a volte – è inevitabile? Quanto meno, per le seguenti ragioni:

  1. A volte non accade quello che vogliamo.
  2. A volte accade quello che non vogliamo.
  3. Tutto è impermanente, tutto cambia; quindi, prima o poi perderemo quello a cui teniamo.
  4. Un giorno tu morirai – e questo vale per chiunque.
  5. Poiché siamo tutti diversi, e spesso vogliamo cose diverse, ci sarà sempre qualche disaccordo o conflitto con le altre persone.

E’ da notare che queste ragioni valgono per tutti, qualsiasi sia la loro condizione: non c’è modo di sfuggirle. Alcuni coltivano l’illusione che ci siano dei “trucchi” per sfuggire alla sofferenza (il denaro, il potere, la bellezza, la fede…), ma è tutto vano.
Certo, la sofferenza può essere diminuita, sia con azioni concrete che con il giusto atteggiamento (gli insegnamenti del Buddha hanno questo scopo), ma la sua eliminazione totale è semplicemente illusoria. Anzi, ostinarsi ad eliminare la sofferenza può portare al risultato opposto.

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La vita e il mondo non sono fatti a nostra misura

Il mondo non è fatto per renderci felici. Anche se ci piacerebbe tanto che lo fosse, e alcune religioni ci dicono che è così, non c’è alcuna prova a favore, ma ce ne sono molte contro. Non è il mondo che deve adattarsi a noi; piuttosto, siamo noi che dobbiamo adattarci al mondo, se vogliamo realizzare quello che desideriamo.

Allo stesso modo, la vita non è fatta per renderci felici: l’esistenza, per sua stessa natura, è spesso dura, complicata e incerta. Per milioni di anni la mera sopravvivenza è stata un problema quotidiano, e tuttora lo è in molte parti del mondo. Elementi che rendono la vita difficile, come l’egoismo, l’avidità e la competizione, sono parte di ogni essere vivente (anche perché portano un vantaggio evolutivo). L’idea che l’esistenza possa – o debba – essere facile e senza problemi è profondamente ingenua e disinformata.

Poiché la vita non è fatta per renderci felici, aspettarci che lo faccia è egocentrico e infantile. La vita – semmai – ci offre delle opportunità per essere felici, ma sta a noi coglierle e svilupparle. La felicità personale non è mai scontata o un diritto (anche se a volte può arrivarci come dono inaspettato), ma è una creazione e una conquista che richiede impegno e risorse. Se non siamo felici e vorremmo esserlo, dovremmo chiederci cosa stiamo facendo, concretamente, per diventarlo.

Dicendo che “il mondo (o la vita) non sono fatti per renderci felici”, non intendo certo dire che siano fatti per renderci infelici. Semplicemente non sono al nostro servizio, quindi non possiamo aspettarci che si occupino della nostra felicità; quel compito spetta a noi stessi).

Non siamo speciali come ci dice la religione

Perché reagiamo con tanto stupore e smarrimento quando ci accadono eventi spiacevoli? In parte, io credo, perché la religione cristiana (come anche le altre religioni monoteiste) ci dice che noi umani siamo creature speciali e privilegiate, che Dio ci ama in modo particolare, ecc. Questo crea aspettative irreali: che la realtà si adatti a noi, che soddisfi i nostri bisogni, che se ci comportiamo bene saremo felici e protetti dal dolore. Anche se queste convinzioni sono confortanti, purtroppo sono anche alquanto illusorie: e quando vengono infrante, la delusione può essere terribile.
In realtà non siamo così speciali: rispetto agli animali abbiamo capacità avanzate e una coscienza, è vero (ma queste ci portano anche “doni” quali angosce esistenziali, nevrosi e depressione). Ma a parte quello, la vita umana si svolge come per gli animali: nasciamo con paura e dolore, viviamo in competizione per ottenere quel che vogliamo, ci ammaliamo, patiamo la decadenza, e infine moriamo.
Non ci viene riservato nessun “trattamento di favore”. Nonostante le enormi risorse che spendiamo per allontanare paure e sofferenze (gran parte del consumismo può essere visto come un tentativo in questo senso), il nostro destino rimane simile a quello di tutte le altre creature viventi.

Dal mio punto di vista, le religioni dicono spesso cose non vere. Ma se credere negli insegnamenti religiosi per te funziona, ti fa stare bene, e ti fornisce le risposte di cui hai bisogno, va benissimo; non intendo convincerti del contrario. Però, se quello in cui credi non corrisponde alla tua realtà, o se ti genera confusione e sofferenza (invece di pace e benessere), forse è il caso di metterlo in discussione.

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Principali fonti di sofferenza

Di seguito elenco alcune delle principali fonti da cui proviene la nostra sofferenza. Averne chiara l’origine può aiutarci a gestirla meglio, ad accettarla (se non vi è alcun rimedio), oppure a cercare una possibile soluzione.

Sofferenza causata dagli altri

Quando la sofferenza è causata da altri esseri umani (dalle liti in famiglia alle guerre mondiali), è facile pensare che quelle persone siano cattive, stupide o ignoranti. Ma in molti conflitti non c’è chi ha “ragione” e chi ha “torto”, bensì ogni parte ha le sue ragioni. Quello che a te sembra sbagliato o assurdo, per altri può essere l’azione migliore: siamo tutti diversi, e vediamo le cose in modi differenti.
Questo vale anche per i presunti “bene” e “male”. Alcuni credono che, se eliminassimo il “male” (o i “cattivi”), la sofferenza sparirebbe. Ma chi decide cosa è bene o male? In genere, vediamo come “bene” ciò che è positivo per noi, e come “male” ciò che è negativo per noi. Ma quello che è male per qualcuno, potrebbe essere – e spesso è realmente – bene per qualcun altro. Inoltre, quello che ci sembra positivo oggi, potrebbe rivelarsi negativo domani (come illustrato dalla storia del contadino che ad ogni evento commentava: “Fortuna o sfortuna: chi può dirlo?”). E allora, chi ha ragione?
In realtà, bene e male sono “categorie immaginarie”, giudizi arbitrari e soggettivi. Prendiamo l’esempio del leone che insegue la gazzella per mangiarla: chi ha ragione e chi torto? Quale animale dovrebbe morire, e perché? Ovviamente, sia il leone che la gazzella avranno sull’argomento pareri ben diversi… e così è per noi: spesso giudichiamo un evento “bene” o “male” a seconda se siamo nella posizione della gazzella o del leone. Inoltre, quando qualcuno ci ferisce, tendiamo a prenderla sul personale, a pensare che ce l’abbia con noi o che ci voglia male. Ma invece, molto spesso questo accade per ragioni che non c’entrano nulla con noi: quella persona potrebbe avere avuto una giornata storta, o è malato, o non ci ha compresi, o era distratto, o seguiva una sua necessità, oppure vede le cose diversamente da noi. Tenere presente questo ci aiuta a non vedere gli altri come “nemici” e noi stessi come “vittime”.
Allo stesso modo, quando la vita ci fa soffrire, il più delle volte non riguarda noi personalmente, non c’è un motivo per cui ci capita: non è che il mondo ce l’ha con noi, o che veniamo puniti per qualche ragione. Certo, a volte soffriamo perché commettiamo degli errori (se attraverso la strada senza guardare e mi investono, se non mi preparo per un esame e mi bocciano), ma queste non sono “punizioni” (non c’è una causa morale), bensì conseguenze; in questi casi, dobbiamo imparare dai nostri errori e migliorare, per evitare di ripeterli.

Sofferenza causata dalla società

Una causa di sofferenza ampiamente diffusa ma di cui siamo spesso inconsapevoli, è quella causata dalle regole e dalle costrizioni sociali. Anche se non ce ne rendiamo conto perché vi siamo abituati fin dall’infanzia, siamo continuamente condizionati a reprimere ciò che sentiamo, quello che vorremmo dire e fare, per adeguarci alle norme e alle esigenze altrui (dalle persone intorno a noi fino alle leggi dello Stato).
Come aveva osservato già Freud, questa continua repressione è una delle principali cause di nevrosi e malesseri psichici. Negare il proprio sé, la propria natura autentica, non può essere privo di conseguenze. Al tempo stesso, questa repressione è il “prezzo da pagare” per tutti i vantaggi che ci porta il vivere in società: sicurezza, facile accesso a cibo e risorse, supporto, condivisione di mezzi e informazioni, possibilità di creare cose che da soli mai potremmo. Per essere completamente liberi, l’alternativa sarebbe vivere da soli come eremiti – ma le ragioni per cui non lo facciamo sono ovvie. Certo ci possono essere modi migliori e più armoniosi di vivere in società (la democrazia è assai meglio di dittature o monarchie), ma una vita sociale sarà sempre limitante: in primo luogo, ma non solo, perché la mia libertà finisce dove comincia quella altrui.
Attenuare la sofferenza del vivere in gruppo è però possibile, in vari modi:

  • Sviluppare una propria autonomia di pensiero. Non seguire passivamente la massa, o i gruppi che si frequentano.
  • Mettere in discussione usanze prive di senso o distruttive, e non seguirle solo perché di uso comune o tradizionali.
  • E soprattutto, non dare troppa importanza ai giudizi degli altri, e non dipendere dalla loro approvazione (anche perché non è mai possibile fare contenti tutti).

Sofferenza causata da noi stessi

A volte soffriamo per cause esterne a noi, senza che ne abbiamo colpa alcuna; altre volte, siamo noi stessi a causare gli eventi che ci fanno soffrire. E’ importante riconoscere quando è vero il secondo caso, e assumercene la responsabilità – altrimenti non sapremo cambiare, e continueremo a creare sofferenza.

Due cause specifiche per cui a volte creiamo la nostra sofferenza, sono l’ignoranza e le illusioni(cioè credere a cose non vere).

  • Per esempio, ci sono convinzioni diffuse che ci rendono infelici ma, finché non le mettiamo in discussione, continuiamo a seguirle.
  • Oppure, non conosciamo le ragioni per cui le persone si attraggono e si piacciono (oppure no), e quindi ci muoviamo “a casaccio” nel mondo delle relazioni.
  • Anche nell’ambito sentimentale, molti tendono a credere a pregiudizi e idee ingannevoli, che portano a infinite incomprensioni e scontri in amore.

Non è mai abbastanza

A volte soffriamo perché vediamo la nostra vita in modo distorto: ci concentriamo sui lati negativi e trascuriamo quelli positivi. Per la maggior parte del tempo, la nostra mente funziona così: se nella tua vita hai nove cose positive ed una negativa, tenderai a soffrire per quell’una che non funziona, e trascurerai di apprezzare le nove che vanno bene. Anche quando le cose ci vanno bene, di rado sappiamo goderci il momento presente; invece, tendiamo a desiderare altro e di più. Qualunque obiettivo raggiungiamo, non è mai abbastanza. Quindi viviamo proiettati verso una ipotetica felicità futura, invece di sentirci felici per quello che siamo e abbiamo. La felicità possibile nel presente ci sfugge perché siamo concentrati su quella immaginaria nel futuro.

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Sofferenza causata dalle aspettative

Ogni volta che abbiamo un’aspettativa irreale o impossibile (sia verso il mondo esterno che verso se stessi), finiamo col crearci frustrazione e infelicità. Spesso non sono gli eventi in sé che generano la sofferenza, ma le aspettative che abbiamo in proposito: se ottengo 100 e mi aspettavo 200 sarò deluso; ma se ottengo 100 e mi aspettavo 50, sarò ben contento. Stesso evento, diversa reazione.
Se siamo spesso frustrati da quel che ci capita, è bene chiedersi se le nostre aspettative siano esagerate. Se ci aspettiamo che tutto vada a modo nostro (il mondo, la vita, il comportamento altrui…), ci ritroveremo costantemente insoddisfatti.

Sofferenza causata dalla competizione

A volte soffriamo perché ci sentiamo spinti alla competizione:

  • lo sforzo negli studi per acquisire competenze che diano maggiori opportunità;
  • la lotta per ottenere un posto di lavoro, e poi per fare carriera;
  • la conquista di un partner e la paura dei tradimenti, ecc.

Anche se queste situazioni ci possono apparire crudeli, in realtà sono anch’esse “naturali”, perché la natura stessa funziona secondo principi di “competizione darwiniana”. In natura, si è costantemente alla ricerca di risorse (cibo, riparo, partner), e in lotta contro altri individui e condizioni avverse: i più adatti prosperano, i meno adatti periscono. Gli esseri umani hanno sviluppato la società anche per attenuare queste condizioni (per esempio, tramite leggi uguali per tutti e servizi condivisi), ma la competizione rimane alla base della nostra natura (tutti vorrebbero il meglio, ma non tutti possono averlo).

La giustizia non esiste in Natura

A volte soffriamo perché subiamo delle ingiustizie. Per gli esseri umani la giustizia è un concetto primario, al punto che ci sembra una “legge naturale” – ma non è affatto così. In Natura non esiste giustizia o equità, ma vige la lotta per la sopravvivenza e la prevalenza del più adatto.
Sicuramente è importante impegnarsi per un mondo equo e giusto, per noi e per gli altri, ma non dovremmo stupirci se questo non sempre avviene. La giustizia è una invenzione umana, una funzione artificiale della società, un ideale che non sempre si riesce ad applicare.

Sofferenza per disastri naturali

Quando accadono disastri naturali (terremoti, eruzioni, uragani, tsunami, ecc.), siamo sconvolti e atterriti. Ci chiediamo il perché accadono eventi così terribili, la ragione di tanta sofferenza. La risposta che si davano gli antichi era l’ira o la vendetta di qualche dio; anche tutt’oggi alcuni vedono questi disastri come punizioni divine. Ma questi sono modi ingenui di dare una spiegazione “umana” ad eventi tanto più grandi di noi.
In realtà, i disastri naturali sono semplicemente meccanismi nel funzionamento del nostro pianetaNon hanno nulla a che fare con la nostra presenza: accadevano miliardi di anni fa, quando noi non c’eravamo, e accadranno quando noi saremo estinti. La Terra segue il suo corso, ignara delle conseguenze per le creature che ospita; un po’ come un elefante che è ignaro delle formiche che possono essere sul suo dorso.

Sofferenza senza senso

Dare una spiegazione agli eventi è un bisogno umano, e forse per questo certe religioni o filosofie dicono che ogni evento ha sempre un senso, un suo scopo. Ma quello che accade non sempre ha un senso: un terremoto non ha alcuno scopo, accade e basta (anche se ha una spiegazione geologica).
E’ vero che c’è sempre un motivo o una spiegazione agli eventi, ma non sempre è morale (le leggi naturali, la fisica o la biologia, sono amorali e indifferenti ai destini umani) o logico ai nostri occhi (una malattia segue una sua “logica” che prescinde dalla nostra).

Superare la sofferenza

Anche a causa di certi insegnamenti religiosi o “new age” (per quanto ben intenzionati), che credono in una connessione diretta tra le nostre virtù o azioni, e i risultati che otteniamo, certe persone vedono la sofferenza come un segno che hanno sbagliato, sono “peccatori” o hanno “perduto la grazia di Dio”: “Se avessi fatto tutto giusto – pensano – allora tutto andrebbe bene”. Come ampiamente spiegato sopra, invece, gli eventi negativi capitano a tutti, buoni e cattivi, a volte senza alcun motivo. E’ evidente che non sempre i “buoni” vengono premiati e i “cattivi” puniti.
Quando soffriamo, non vuol dire che siamo sbagliati, incapaci o colpevoli. A volte dipende dalle nostre azioni, ma altre volte succede solo perché siamo nel luogo sbagliato al momento sbagliato.

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Non tutto il male viene per nuocere

La sofferenza non è solo negativa, presenta anche degli aspetti “luminosi” e utili:

  • Ci fa crescere, ci spinge a migliorare ed evolverci.
  • Ci insegna a comprendere la sofferenza altrui (se non abbiamo provato un dolore particolare, non possiamo capire chi si trova in quella situazione). Aumenta la nostra empatia e compassione.
  • Ci induce ad apprezzare le cose positive (se fosse tutto facile e scontato, non lo apprezzeremmo).

Quindi, per certi versi la sofferenza ci rende più umani, più tolleranti e più saggi.

Altre risposte alla sofferenza

Nei casi in cui la sofferenza sia inevitabile, prendersela o combatterla è inutile (e persino controproducente): farlo non fa che aumentare la sofferenza stessa. E’ molto più produttivo concentrarsi su quel che di positivo abbiamo nella nostra vita, e godercelo. Anche quando non possiamo diminuire l’oscurità, possiamo però aumentare la luce.

Poiché l’esperienza della sofferenza è eterna e universale, nel corso del tempo l’uomo ha sempre cercato risposte e rimedi:

  • Come già accennato, la filosofia ha proposto numerose interpretazioni e metodi per affrontare la sofferenza e l’ignoto.
  • La classica “Preghiera della serenità” offre un’ispirazione preziosa per affrontare le preoccupazioni.
  • La psicologia e la comprensione dell’animo umano, offrono molti strumenti per diminuire la sofferenza e aumentare la felicità.
  • Coltivare una posizione di “ragionevole saggezza” (una visione realistica, in equilibrio tra gli estremi dell’ottimismo ingenuo e del pessimismo disperato), ci permette di affrontare meglio la sofferenza ed esserne meno influenzati.

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“Mi ha lasciato e non mi cerca”: cosa fare quando lui (o lei) ti lascia

MEDICINA ONLINE VOLTO TRISTE DONNA RAGAZZA CAPELLI SGUARDO ESTATE SUMMER MORA PELLE SKIN OCCHI OCCHIAIE TERAPIA TRATTAMENTO EYES TRUCOS DE BELLEZZA VISO DONNA RIMEDI SEXY SEX MEDICINA ELui mi ha lasciata e non mi cerca“: è una frase che è un grande classico nelle confidenze tra amiche. Sono frasi sentite tantissime volte, e molto spesso, quasi sempre, sono frutto di errori che quasi tutte le ragazze o le donne hanno commesso prima che Lui ponga termine a una relazione.

Se lui (o lei) ti ha lasciata e non si fa più sentire, non è per mancanza di tempo o perché ha troppo da lavorare, stai tranquilla: semplicemente non vuole proprio cercarti e non gl’importa nemmeno molto sapere come stai, cosa fai, se stai male o esci con altri.
Alcune ragazze puntano sulla famosa strategia “Se non mi faccio più sentire, lui mi cercherà”, immaginando di potergli mancare. Beh, non è una grande idea, questa. ma è sempre meglio che zerbinarsi completamente, come si dice: nella maggior parte dei casi otterresti solo l’effetto contrario.

In molti casi, quindi, chi lascia tende a non voler riprendere i contatti con l’altra persona, soprattutto quando il rapporto ha avuto una fine un po’ tragica (soprattutto in caso di corna).non impazzire nel cercare motivazioni, perché la situazione comunque non cambia avendo risposte.

Se continui a cercarlo (o a cercarla) proprio ora che ti ha detto che di te è stufo, apparirai ai suoi occhi sempre più bisognosa e lo farai sentire messo alle core e soffocato: un accollo, insomma. Proprio questo tuo comportamento lo porterà ad allontanarsi sempre più, e soprattutto a convincersi  che la sua decisione effettivamente è stata la più giusta.

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Cerca di non contattarlo assolutamente in maniera elemosinante, almeno nel primo periodo, perché ti faresti solo del male e non otterresti nulla di buono ma solo pugni nello stomaco. Puoi sempre fargli sapere, tramite amici e contatti comuni che tu ci sei e che lo pensi, ma prostrarsi ai suoi piedi non è la cosa giusta da fare.

Spesso, poi, chi rincorre l’altro non comprende che non sta veramente “amandolo”, ma vorrebbe amare qualcuno. Non sta realmente desiderando quella persona, ma sta desiderando di appagare il suo desiderio di amare qualcuno che invece non la vuole più.

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Non ti chiudere quindi in te stessa, né in casa, ma esci con amici o amiche, specialmente quelli fidati: e attenta ai consigli generici, perché pareri di persone a te non vicinissime (o magari gelose di voi) potrebbero solo peggiorare la situazione. Prova a pensare che, se non ti cerca più, era una persona che non ha dato il giusto peso alla vostra storia, che non l’ha messa al primo posto. E tu meriti invece una persona che si impegni con te e che abbia la consapevolezza di quanto vali e di quanto valga quello che potete vivere insieme.

La vita è una ed è importante: il periodo della sofferenza è sicuramente difficile da evitare in fretta, ma stai certa che ritorneranno i momenti belli (magari anche con lui, se sentirà la tua mancanza) e rinascerai e tornerai ad amare qualcuno che ti merita. Ma prima devi pensare  solo a stare bene con te stessa!

Se credi di avere dei problemi con il tuo partner o la tua partner e non riesci a gestire da sola o da solo questa situazione, prenota subito la tua visita e, grazie ad una serie di colloqui riservati, ti aiuterò a superare questo momento difficile.

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Mi ha lasciato da mesi ma io soffro come il primo giorno: cosa faccio?

MEDICINA ONLINE TRISTE SPERMA LIQUIDO SEMINALE PENIS VARICOCELE HYDROCELE IDROCELE AMORE DOPING DONNA PENE EREZIONE IMPOTENZA DISFUNZIONE ERETTILE VAGINA SESSULITA SESSO COPPIA LOVE SAD COUPLE FRINEDS LOVER SEX GIRL MAN WALLPAPERStar male quando si è lasciati da una persona che si ama è normale e comprensibile, tuttavia, in alcuni casi, la tristezza per la perdita non svanisce, ma anzi peggiora e può diventare qualcosa che abbassa la propria qualità della vita, che interferisce nella nostra vita sociale, relazionale o professionale, che può trasformarsi in uno stato depressivo caratterizzato da ideazioni suicidarie. Per questo motivo, se la fine di una relazione ci ha lasciato addosso una ferita insanabile, non bisogna sottovalutare la situazione.

La mia vita non ha più senso

La persona lasciata si ripete “non potrò mai stare solo, la mia vita non ha più senso ora” e il pensiero torna sempre all’amore perduto. Come mai per alcune persone superare il distacco è più duro che per altre? Per prima cosa possiamo notare che nella nostra cultura la sofferenza per amore è, non solo socialmente accettata, ma in qualche modo richiesta. Se sentiamo qualcuno che, dopo esser stato lasciato è riuscito a superare in breve tempo la tristezza lo colpevolizziamo dicendogli “ci sei riuscito perché non eri veramente innamorato”. Lavorare su un disagio dovuto a problemi di coppia è particolarmente complesso in quanto entrano in gioco influenze socioculturali, modi di intendere gli affetti, aspetti caratteriali. In alcuni casi, chi è lasciato ha difficoltà a superare la separazione perché ha una personalità dipendente. Le persone dipendenti tendono a creare con gli altri rapporti asimmetrici in cui il partner diventa una vera e propria droga da cui non è possibile separarsi per nessun motivo.

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Un passato doloroso

Un individuo che ha caratteristiche dipendenti di personalità spesso ha avuto genitori che durante i primi anni di vita non gli hanno dato la sicurezza di cui aveva bisogno. In alcuni casi c’è stato un abbandono o un lutto importante nell’infanzia. Altre volte l’insicurezza deriva da un ridotto livello di autonomia che la persona ha maturato nel corso della sua infanzia, ad esempio a causa della ricezione di un’educazione iperprotettiva e/o di un episodio traumatico irrisolto. Affrontare insieme ad un paziente il dolore conseguente ad una delusione d’amore è un percorso tortuoso e pieno di ostacoli che rende necessario prendere in considerazione i significati personali alla base del disagio. Capire i meccanismi nei quali si è entrati e i bisogni che la relazione soddisfava, permette una presa di distanza dalle emozioni spiacevoli ed intraprendere un viaggio che ci permetterà di superare la situazione spiacevole.

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Iniziamo il viaggio

Per iniziare il viaggio verso il superamento dell’abbandono, vi fornisco alcuni suggerimenti pratici utili per superare la fine di una relazione:

  • Esprimi le tue emozioni: esprimere le emozioni ci aiuta a modularle e a renderle più tollerabili. Puoi esprimerle con un amico/a o anche con te stesso scrivendo su un diario. Potresti anche decidere di scrivere immaginando di formulare una lettera per il tuo ex in cui scriverai le emozioni che provi rispetto alla fine della vostra storia (ad esempio rabbia, tristezza, ecc..).
  • Non negare la sofferenza: per superare un trauma come quello legato alla perdita di una relazione importante è necessario guadare le acque della sofferenza. Se sfuggi del tutto la sofferenza difficilmente potrai superarla, rimarrà bloccata in qualche parte della tua mente e del tuo corpo.
  • Evita le lamentele: a volte confondiamo l’espressione delle nostre emozioni con l’espressione di sterili lamentele, quando esprimiamo un’emozione che proviamo in quel momento ci sentiamo effettivamente più leggeri e alle persone accanto viene spontaneo di diventare accudenti e comprensive nei nostri confronti. Quando ci lamentiamo invece continuiamo a dire che le cose esterne non vanno, non ascoltiamo le nostre emozioni, risultiamo fastidiosi e pesanti per noi stessi e per gli altri. La lamentela, al contrario dell’espressione sana delle emozioni allontana gli altri!
  • Coltiva il tuo benessere psicologico: se sappiamo che la sofferenza è normale dopo la fine di un amore, talvolta accade che la nostra mente entri in loop pensando e ripensando al passato e confrontandolo col presente oppure tornando al passato quasi per volerlo cambiare o ancora andando al futuro per immagine ciò che sarebbe potuto essere e non sarà. Un primo step è accorgersi di questi viaggi della mente, un secondo passo è decidere dove porre la nostra attenzione, ovvero se continuare a viaggiare o se uscire dalla macchina del tempo. Praticare la meditazione ti potrebbe aiutare ad essere più consapevole di ciò che accade dentro di te e a poter scegliere come far lavorare la tua mente.
  • Prenditi cura del tuo corpo: l’attività fisica, specie quella all’aria aperta in mezzo al verde è il migliore antidepressivo, ti potrà aiutare a non andare troppo giù nell’umore e a sentirti più sicuro/a e attraente fisicamente.
  • Evita di cercare il sostegno dalla persona che ti ha lasciato: è una cosa banale, ma spesso accade che chiediamo sostegno emotivo alla persona che ci ha lasciato. Solo lasciando perdere i contatti con lei ed interrompendo le indagini sulla sua vita ti permetterai di lasciar andare la relazione passata e poter superare il dolore legato alla perdita.
  • Stabilisci nuovi obiettivi: la fine di un rapporto può cambiare in maniera importante le nostre abitudini e stravolgere i nostri piani. Può essere il momento di ripensare a come reindirizzare la propria vita.
  • Avvicinati alle persone che ti vogliono bene: in questi momenti passare il tempo con amici può aiutare a sentirti meno solo, ad esprimere le tue emozioni o semplicemente a distrarti condividendo il tuo tempo libero.
  • Scegli con attenzione le letture, la musica, i film:  perché alimentare la sofferenza con letture, musiche e film depressivi? Eppure sappiamo che la nostra mente ci spinge a cercare contenuti attinenti al nostro stato d’animo finendo a volte per peggiorarlo.
  • Se tendi ad idealizzarlo/a sforzati di ricordarne anche i difetti:  quando una persona ci manca spesso tendiamo ad idealizzare i ricordi belli con quella persona ed i suoi pregi. Ricordare i difetti ti aiuterà ad avere una visione più equilibrata. Di sicuro ne ha avuto almeno uno: non ha scelto di rimanere con te.
  • Chiedi l’aiuto di un professionista: se da parecchi mesi o da anni sei bloccato o bloccata nell’elaborazione di un distacco, qualcosa nel fisiologico processo di elaborazione non è andato per il verso giusto e non ti stai permettendo di “lasciar andare” la persona dalla tua mente: in questo caso hai probabilmente bisogno di un aiuto professionale, che ti aiuti a superare la situazione.

Se credi di avere dei problemi con il tuo ex partner o non riesci a gestire da sola o da solo la fine di una relazione, prenota subito la tua visita e, grazie ad una serie di colloqui riservati, ti aiuterò a superare questa situazione difficile.

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Come superare il dolore della fine di una relazione d’amore

MEDICINA ONLINE TRADIMENTO 10 UOMINI DA EVITARE RELAZIONE GELOSIA PATOLOGICA NORMALE DIFFERENZE GEALOUS GIRL BOY MAN WOMAN LOVE WALLPAPER AMICIZIA RAPPORTO SESSO TRADIRE FIDANZATI MATRIMONIO MARITO MOGLIE SCOPRIRE HDLa fine di una relazione causa dolore, la donna vive l’impatto della separazione come se si trattasse della morte di una persona amata e l’uomo crede che tutto sia terminato, che il mondo gli sia caduto addosso e che non avrà più ulteriori opportunità di incontrare il grande amore. Quando termina una relazione la maggioranza delle persone sente come un grande vuoto e vive la situazione come un fallimento. Molti semplicemente sono solo troppo pigri per dover iniziare tutto da zero. Di seguito vi propongo alcune idee che normalmente mi confidano le persone che hanno sofferto di una separazione e cercano aiuto.

“Il tempo passa ma il dolore non se ne va”

Molte persone desiderano dimenticare il compagno di anni di vita in pochi mesi, ma è semplicemente impossibile. Qualcuno si da alla pazza gioia nel tentativo di affrontare la vita con una prospettiva totalmente diversa da quella che si aveva prima, la persona si butta in nuove avventure secondo il vecchio detto: “chiodo scaccia chiodo”: questa tecnica funziona per ben pochi, quando finisce la pacchia il dolore sembra peggiorare e la mancanza dell’essere amato si sente ancora più forte.
Cerchiamo invece di accettare il dolore, viverlo e non tentare di sostituire l’amore perso con una avventura. Poco a poco saremo capaci di liberarci completamente della sensazione di perdita e così riprendere, se lo desideriamo, la ricerca di una persona a cui dare il nostro amore senza riserve e senza i fantasmi del passato.

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“Non merito quello che mi sta accadendo”

La posizione della vittima abbandonata non risolverà il conflitto interiore. Quando una relazione termina entrambe le parti ne hanno la responsabilità. La cosa più utile è analizzare quali sono stati i nostri errori per tentare di non commetterli in futuro.

“Non posso accettarlo”

È perfettamente comprensibile che ci costi molto accettare una realtà per molti versi dura, che non avremmo desiderato, ma più tardi accettiamo il cambiamento più tempo perderemo prima di liberarci del dolore ed aprirci totalmente ad un nuovo amore. Assumere atteggiamenti del tipo: “non è successo niente” o vivere nell’illusione di una possibile riconciliazione in un futuro che non avverrà mai è una forma di auto-tortura psicologica; anche se nella prima fase della rottura la negazione, l’ira, l’odio e la depressione sono risposte abbastanza comuni.

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“La colpa è tutta mia”

Anche se probabilmente alcune persone hanno una responsabilità maggiore di altre nella fine della relazione, è certo che continuare a fare pensieri auto-denigranti non risolverà il problema ma addirittura ci chiuderà in un cerchio portandoci all’immobilismo. Se la relazione è definitivamente terminata è ci rendiamo conto che oggettivamente abbiamo fatto no degli sbagli, ci resta almeno di trarre esperienza dagli errori commessi per affrontare le nuove relazioni da un punto di vista più maturo.

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“Non incontrerò mai più una persona come lui/lei”

Probabilmente è così, non esistono al mondo due persone identiche, tutti abbiamo diverse virtù e difetti ma questo non vuol dire che non incontreremo un altra persona, diversa, ma che giungeremo ad amare con la stessa intensità, forse anche proprio perché diversa.

La fine di una relazione implica momenti di tensione, angustia, depressione, nostalgia ma è sempre superabile a patto che si viva come un cambiamento in più che dobbiamo affrontare nella vita e dal quale dobbiamo uscire rafforzati e con una maggiore maturità emotiva per affrontare le relazioni future.

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Come faccio a superare la fine di una storia d’amore?

MEDICINA ONLINE VOLTO TRISTE DONNA RAGAZZA CAPELLI SGUARDO ESTATE SUMMER MORA PELLE SKIN OCCHI OCCHIAIE TERAPIA TRATTAMENTO EYES TRUCOS DE BELLEZZA VISO DONNA RIMEDI SEXY SEX MEDICINA E“Un amore, qualunque amore, ci rivela nella nostra nudità, miseria, inermità, nulla”. Bisogna partire da questa struggente frase di C. Pavese per compiere un percorso di superamento della fine di un’amore.

Superare la negazione

Innanzitutto bisogna accettare che l’amore è finito e che nel finire ci ha completamente disarmati, come nella frase di Pavese. Senza un’accettazione di ciò qualsiasi percorso è inutile. Sembra scontato ciò, ma non lo è. All’inizio, soprattutto se la fine sopraggiunge in maniera improvvisa ed imprevista, si tende a negare il tutto o quanto meno a minimizzare. Si ritiene che l’altro ritornerà, che ha confuso qualche suo dubbio o quant’altro come mancanza d’amore.
Dopo che si è arrivati ad accettare che l’amore è realmente finito, si sprofonda in un cupo, lacerante dolore. Bisogna allora concedersi un periodo del tutto simile ad un vero e proprio lutto. In questo periodo che può durare giorni o settimane ed a volte mesi, va cacciato fuori tutto il nostro dolore. Bisogna piangere tutte le lacrime che vorremmo provare a tenerci dentro, evitando di nascondere lo sporco sotto il tappeto che porta soltanto ad una rimozione che rende più difficile il superamento della situazione. Ci si può far affiancare in questo periodo da una persona a noi cara che prestandoci semplicemente ascolto, raccogliendo il nostro dolore, ci allevierà un po’ la sofferenza. Va espressa anche tutta la rabbia che si ha dentro. Vanno analizzati eventuali sensi di colpa che si provano.

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Il distacco assoluto evita l’agonia prolungata

Serve un distacco assoluto dalla persona che ci ha lasciato. Spesso, per soffrire di meno, si tende a mantenere una minimo di relazione, di tipo amicale, con l’altro. Magari anche solo seguendolo sui social come Facebook o Instagram, mandandosi di tanto in tanto un messaggio. Ci si illude che così il dolore sarà meno lacerante, mentre non si fa altro che prolungare l’agonia. Inoltre questo atteggiamento nasconde la speranza, spesso inconscia, che l’amore possa ritornare. Quindi, prima che si possa riprendere un rapporto anche minimamente formale con l’altro, occorre tempo.

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Nuovo interesse

Nel frattempo che il tempo ci aiuti a superare la situazione, sostituiamo il nostro rapporto ormai finito con un nuovo forte interesse, che magari non riempirà appieno il baratro lasciato dal precedente, ma ci aiuterà comunque a superarlo. La natura umana aborrisce il vuoto, soprattutto nell’area dei comportamenti e delle emozioni umane. Se non colmiamo, pur parzialmente, questo vuoto, il comportamento dipendente si rafforza. Ricordarsi della massima del filosofo Nieztsche che recita “Tutto ciò che non mi uccide, mi giova”. La fine dell’amore rappresenta anche un momento di crescita, di rafforzamento delle proprie capacità di superare le difficoltà. Se ci riusciremo saremo sicuramente più forti e più maturi.

Dottore “tempo”

Non dimenticarsi del dottore “tempo” che col suo trascorrere cicatrizza qualsiasi ferita. Infine vorrei ricordare un bel verso di U. Saba “Muta il destino
lentamente, a un’ora precipita”. 
Per quanto doloroso e lento possa essere questo percorso di superamento della fine di un’amore, arriverà un’ora dove vi accorgerete di essere guariti. E vi renderete conto che il più grande amore è quello che ancora deve venire.

Se credi di non riuscire a gestire da sola o da solo la fine di una relazione, prenota subito la tua visita e, grazie ad una serie di colloqui riservati, ti aiuterò a superare questa difficile situazione.

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