Nell’organismo, la produzione dell’energia necessaria alla sopravvivenza necessita di un costante apporto di ossigeno e nutrienti ai tessuti. La respirazione fornisce un costante apporto di ossigeno ai polmoni, a livello dei quali questo gas diffonde attraverso la membrana alveolo-capillare nel sangue (respirazione esterna). L’apparato circolatorio distribuisce, poi, il sangue ossigenato a vari letti vascolari, dove l’ossigeno viene fornito ai vari tessuti (respirazione interna). Oltre a provvedere alla ossigenazione del sangue, i polmoni servono anche a liberare l’organismo dall’anidride carbonica (CO2), prodotto residuo del metabolismo. L’anidride carbonica, veicolata dal sangue venoso, diffonde negli alveoli ed è successivamente espirata nell’atmosfera. Diverse patologie di interesse medico che possono determinare un inadeguato scambio gassoso e quindi insufficienza respiratoria, che può essere ventilatoria (ipercapnia) o di ossigenazione (ipossiemia). Le quantità di ossigeno consumato e di anidride carbonica prodotta ogni minuto sono determinate dall’entità del metabolismo del paziente. L’esercizio fisico e la febbre sono esempi di fattori che aumentano il metabolismo dell’organismo ed impongono una maggiore richiesta all’apparato respiratorio. Quando la riserva cardio-polmonare viene limitata dalla presenza di un processo patologico, la febbre può rappresentare uno stress aggiuntivo in grado di precipitare una insufficienza respiratoria e quindi l’ipossia tissutale. Questo capitolo fornisce una revisione dei concetti importanti per il trattamento dell’insufficienza respiratoria ed applica i concetti teorici ad uno specifico caso di sovradosaggio farmacologico. Questa condizione patologica può essere spesso causa di un deficit neuromuscolare che porta alla comparsa di una insufficienza ventilatoria.
Insufficienza di ossigenazione (ipossiemia)
L’ipossiemia è presente quando la PO2 arteriosa si trova al di sotto dei valori normali previsti per quel dato paziente. Tale condizione può essere classificata in:
- lieve con PaO2 compresa tra 60 e 79 mmHg;
- moderata con PaO2 compresa tra 40 e 59 mmHg;
- grave con PaO2 inferiore a 40 mmHg.
Questa classificazione è basata sui valori normali previsti per pazienti di età inferiore ai 60 anni che respirano aria atmosferica. Nei pazienti più anziani, invece, il medico pratico dovrebbe sottrarre dai limiti dell’ipossiemia lieve e moderata 1 mmHg per ciascun anno di età del paziente al di sopra dei 60 anni. Una PaO inferiore a 40 mmHg rappresenta comunque, a qualunque età, una forma severa di ipossiemia. L’ipossiemia presenta conseguenze potenzialmente gravi, in quanto può portare ad una inadeguata ossigenazione tissutale (ipossia). Quando questa condizione è presente, l’ossigenazione tissutale può venire, comunque, mantenuta da un aumento della gittata cardiaca. I pazienti con ipossiemia severa o diminuita funzionalità cardiaca, possono però non essere in grado di compensare in modo adeguato l’ipossiemia e possono, pertanto, sviluppare ipossia tissutale, coma e morte. La PaO2 si misura tramite emogasanalisi.
Cause e fattori di rischio
La causa più comune di ipossiemia è l’alterazione del rapporto ventilazione/perfusione (V/Q) che compare più frequentemente quando alcune regioni del polmone sono scarsamente ventilate ma restano normalmente perfuse (basso V/Q). Sebbene in tali condizioni si verifichi tipicamente una vasocostrizione locale a livello dei capillari della regione polmonare interessata, il flusso sanguigno non viene comunque del tutto interrotto. In conseguenza di ciò, una certa quantità di sangue lascia i polmoni senza ricevere una adeguata quantità di ossigeno, riducendo così la PO2. del sangue arterioso. Lo squilibrio V/Q si verifica anche quando la perfusione di una porzione del polmone è ridotta o assente nonostante la presenza di una adeguata ventilazione (elevato V/Q).
Il termine shunt, un’altra causa di ipossiemia, si riferisce alla presenza di una quantità di sangue che si sposta dalle sezioni destre del cuore a quelle sinistre senza venire in contatto con alveoli ventilati. Una causa di shunt è costituita dai difetti cardiaci congeniti (shunt anatomico) che consentono al sangue venoso di saltare la circolazione polmonare attraverso canali anomali (ad esempio difetto interventricolare). La causa più comune di shunt è, comunque, la patologia polmonare che provoca il collasso o la mancata ventilazione alveolare (shunt fisiologico). In questa situazione, il sangue che passa attraverso le regioni polmonari affette non partecipa allo scambio gassoso e ciò può causare una severa ipossiemia (PaO2 inferiore a 40 mmHg) che non risponde in maniera soddisfacente alla ossigeno-terapia.
L’ipossiemia può comparire anche quando un soggetto inala una miscela di gas che non contiene una adeguata pressione parziale di ossigeno. Tale evenienza determina una PO2 alveolare inferiore ai valori normali e quindi una ipossiemia arteriosa. Questa condizione può verificarsi durante la permanenza a grandi altezze, durante gli incendi in strutture chiuse e nel caso di disfunzione degli apparecchi in corso di ventilazione meccanica. L’ipoventilazione aumenta la PCO2 alveolare (PaCO2) e riduce la PO2 alveolare (PaO2). Se il paziente sta respirando aria atmosferica, l’ipoventilazione può causare ipossiemia, mentre essa è, invece, meno probabile se il paziente ipoventilante sta respirando miscele gassose ad elevata FiO2.
Fisiopatologia
L’entità dell’ipossiemia e le preesistenti condizioni cliniche del paziente determinano la risposta all’ipossiemia. Un paziente precedentemente sano non presenterà, infatti, alcuna sintomatologia in caso di ipossiemia lieve, mentre un paziente affetto da una grave patologia cardio-polmonare sarà, probabilmente, in grande pericolo in una condizione analoga.
I pazienti rispondono, solitamente, all’ipossiemia aumentando la frequenza delle inspirazioni (tachipnea). La tachipnea aumenta la ventilazione per minuto, riduce la PaCO2 ed aumenta in una certa misura la PaO2. Poiché lo spazio morto anatomico (costituito da quelle parti del polmone che sono ventilate ma non perfuse) è fisso, viene in tal modo ad aumentare il lavoro ventilatorio. Se il sistema ventilatorio del paziente non è in condizioni di efficienza (ad esempio le vie respiratorie sono ostruite), la tachipnea può rappresentare un grave incremento del lavoro respiratorio.
L’ipossia alveolare stimola la costrizione dei capillari polmonari delle regioni interessate dall’ipoventilazione e tale vasocostrizione polmonare risulta diffusa se il processo patologico, a causa dell’ipossiemia, è esteso a tutto l’ambito polmonare. Nel caso di una diffusa vasocostrizione polmonare si osserva un marcato aumento delle resistenze vascolari polmonari (PVR) , e ciò porterà ad un significativo aumento del lavoro ventricolare destro, che, nel caso persista per molti mesi, può esitare nello scompenso cardiaco congestizio destro. Tale evento è caratterizzato da un aumento delle pressioni e dalla dilatazione delle sezioni cardiache destre (poiché il cuore pompa contro capillari vasocostretti). L’associazione di patologia polmonare e scompenso ventricolare destro è nota come cor pulmonale (cuore polmonare).
Nel tentativo di compensare l’ipossiemia si osserva un aumento della frequenza cardiaca e della forza di contrazione del cuore e, nel caso sia presente una patologia coronarica, tale aumento del lavoro cardiaco può condurre alla comparsa di ischemia e ad un danno irreversibile del muscolo cardiaco (infarto miocardico).
Il cervello può anch’esso essere danneggiato dall’ipossiemia nel caso in cui essa sia severa oppure se il cuore non è in grado di aumentare in modo sufficiente la gittata cardiaca in maniera da mantenere un adeguato trasporto di ossigeno. In tal caso, il sensorio e le funzioni cognitive del paziente diminuiscono. Se il cervello continua ad essere ipossico, il paziente andrà incontro ad una perdita di coscienza ed entrerà in coma.
Sintomi e segni
L’ispezione di un paziente affetto da ipossiemia severa mostra tipicamente un soggetto che sembra essere in distress respiratorio acuto. Comune è l’impiego dei muscoli accessori della respirazione e ciò indica un aumento del lavoro respiratorio. Il paziente presenta, probabilmente, una cianosi di tipo centrale, a meno che egli non sia affetto da
anemia in grado di celare la cianosi. La cianosi centrale è una condizione caratterizzata dalla colorazione bluastra della lingua e delle mucose causata dalla desaturazione dell’emoglobina. La presenza di anemia è in grado, quindi, di ridurre le capacità diagnostiche del medico perché in questa condizione è presente una quantità di emoglobina insufficiente a rendere evidente la tipica colorazione cianotica. Tipicamente anomali sono i segni vitali, con presenza di tachicardia, tachipnea ed ipertensione arteriosa. L’ipossiemia severa può, inoltre, condizionare la comparsa di confusione mentale, agitazione e lentezza nelle risposte psicomotorie (poiché il cervello è in una fase di sofferenza legata alla inadeguata ossigenazione) .
Se l’ipossiemia è invece cronica, può svilupparsi uno scompenso cardiaco destro legato ad un persistente aumento delle resistenze vascolari polmonari (cor pulmonale) con comparsa di distensione venosa giugulare. L’ipossiemia cronica comporta anche altri segni di insufficienza ventricolare destra che comprendono l’ingrandimento del fegato (epatomegalia), l’edema pedidio, l’aumento del tono di chiusura della valvola polmonare e l’ippocratismo digitale.
Diagnosi
Anamnesi ed esame obiettivo sono ovviamente i primi passi della diagnosi.
Le anomalie di laboratorio associate all’ipossiemia comprendono una bassa PO2, SO2 ed un ridotto contenuto di ossigeno nel sangue arterioso all’emogasanalisi (ABG). Se l’ipossiemia è cronica, il midollo osseo viene stimolato a produrre globuli rossi, il che determina la comparsa di policitemia ed elevati valori di ematocrito ed emoglobina.
Quando l’aumento dell’emoglobina è significativo, il contenuto di ossigeno del sangue arterioso può essere normale o quasi normale, anche in presenza di ipossiemia.
La radiografia del torace è solitamente anormale in presenza di insufficiente ossigenazione. Anomalie tipiche comprendono la presenza di infiltrati diagnostici per edema polmonare, la sindrome da distress respiratorio dell’adulto (ARDS), l’atelettasia o la polmonite. Quando, invece, la causa primaria dell’ipossiemia è esterna al cuore (ad esempio uno shunt derivante da una cardiopatia congenita), la radiografia del torace è spesso normale a meno che non sia presente una patologia respiratoria complicante il quadro di base.
Terapia
Il trattamento iniziale dell’ipossiemia consiste nell’elevazione della concentrazione dell’ossigeno nel gas inspirato (FiO2). La supplementazione di ossigeno porta rapidamente alla correzione dell’ipossiemia legata ad uno squilibrio V/Q o all’ipoventilazione. In tali condizioni, l’ossigenoterapia può essere effettuata mediante nasocannula, semplice maschera oppure maschera a permanenza. Quest’ultima fornisce una specifica FiO2 indipendentemente dalle caratteristiche di ventilazione del paziente; al contrario, invece, la FiO2 della cannula nasale e della maschera semplice variano
in funzione della frequenza respiratoria e del volume respiratorio del paziente.
L’ipossiemia dovuta alla presenza di uno shunt anatomico o fisiologico, solitamente, non risponde all’aumento della FiO2: ciò accade perché il sangue che viene cortocircuitato non giunge mai a contatto con gli alveoli ventilati. Il trattamento di uno shunt anatomico richiede la chiusura del difetto, se ciò è possibile, mentre quello di uno shunt fisiologico necessita della riapertura degli alveoli. Lo shunt determinato dal collasso alveolare spesso risponde alla ventilazione a pressione positiva, la quale può ridurre lo sforzo respiratorio del paziente e riaprire gli alveoli collassati,
così da consentire un migliore scambio gassoso. La pressione positiva viene generalmente utilizzata per trattare l’ipossiemia quando la PaO2 del paziente è inferiore
a 60 mmHg nonostante l’aumento della FiO2 a 0.5 o più. L’applicazione della pressione positiva continua (CPAP) mediante maschera costituisce un’accettabile misura temporanea fino a quando la ventilazione del paziente resta adeguata e nei casi in cui è probabile che il problema del paziente possa risolversi rapidamente (ad esempio atelettasia postoperatoria). L’intubazione e la ventilazione meccanica si rendono invece necessarie se la CPAP in maschera non si dimostra in grado di correggere l’ipossiemia o ridurre il lavoro respiratorio del paziente, oppure quando è probabile che il problema del paziente non possa risolversi in breve tempo, come nel caso della sindrome da distress respiratorio dell’adulto (ARDS). L’applicazione della pressione positiva tele espiratoria (PEEP) in corso di ventilazione meccanica risulta solitamente necessaria nel trattamento di quei pazienti con ipossiemia severa dovuta a shunt. La PEEP e la CPAP consentono una adeguata ossigenazione a valori inferiori di FiO2 riducendo così il rischio di tossicità da ossigeno.
I metodi convenzionali di ventilazione meccanica sono adeguati alla maggior parte dei pazienti. Questi comprendono la ventilazione assistita o intermittente a richiesta (IMV). L’apparecchio impostato per una ventilazione assistita fornisce un volume corrente (Tidal) preselezionato ad una specifica frequenza ventilatoria. Il sistema di ventilazione può anche consentire una respirazione completamente meccanica ogni qual volta il paziente inizia uno sforzo respiratorio. Il ventilatore impostato in IMV, invece, fornisce volumi correnti prefissati a frequenze impostate, ma non completa meccanicamente un atto respiratorio una volta che sia stato iniziato dal paziente, nell’intervallo tra due atti preimpostati.
In conseguenza di ciò, il paziente può compiere numerosi atti respiratori, tra meccanici e spontanei, ogni minuto. Nonostante l’IMV sia stata popolare, inizialmente, solo come metodo di svezzamento del paziente dalla ventilazione meccanica, essa è attualmente diffusa anche come misura di supporto ventilatorio. La ventilazione meccanica viene quasi sempre iniziata impostando tempi inspiratori molto più brevi di quelli espiratori. Una lunga espirazione consente di assicurare un adeguato periodo di espirazione e riduce la possibilità di un involontario intrappolamento di aria. Prolungati tempi inspiratori con brevi tempi di espirazione (rapporto inspirazione/espirazione (I/E) inverso) possono, invece, migliorare l’ossigenazione in alcuni tipi di pazienti con bassa distensibilità polmonare e scarsa capacità di scambio gassoso. Il rapporto ventilatorio inverso (IRV) è stato per la prima volta applicato nei neonati, ma viene attualmente utilizzato anche in pazienti adulti con ipossiemia refrattaria.
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Lo Staff di Medicina OnLine
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