Nell’organismo, la produzione dell’energia necessaria alla sopravvivenza necessita di un costante apporto di ossigeno e nutrienti ai tessuti. La respirazione fornisce un costante apporto di ossigeno ai polmoni, a livello dei quali questo gas diffonde attraverso la membrana alveolo-capillare nel sangue (respirazione esterna). L’apparato circolatorio distribuisce, poi, il sangue ossigenato a vari letti vascolari, dove l’ossigeno viene fornito ai vari tessuti (respirazione interna). Oltre a provvedere alla ossigenazione del sangue, i polmoni servono anche a liberare l’organismo dall’anidride carbonica (CO2), prodotto residuo del metabolismo. L’anidride carbonica, veicolata dal sangue venoso, diffonde negli alveoli ed è successivamente espirata nell’atmosfera. Diverse patologie di interesse medico che possono determinare un inadeguato scambio gassoso e quindi insufficienza respiratoria, che può essere ventilatoria (ipercapnia) o di ossigenazione (ipossiemia). Le quantità di ossigeno consumato e di anidride carbonica prodotta ogni minuto sono determinate dall’entità del metabolismo del paziente. L’esercizio fisico e la febbre sono esempi di fattori che aumentano il metabolismo dell’organismo ed impongono una maggiore richiesta all’apparato respiratorio. Quando la riserva cardio-polmonare viene limitata dalla presenza di un processo patologico, la febbre può rappresentare uno stress aggiuntivo in grado di precipitare una insufficienza respiratoria e quindi l’ipossia tissutale. Questo capitolo fornisce una revisione dei concetti importanti per il trattamento dell’insufficienza respiratoria ed applica i concetti teorici ad uno specifico caso di sovradosaggio farmacologico. Questa condizione patologica può essere spesso causa di un deficit neuromuscolare che porta alla comparsa di una insufficienza ventilatoria.
Insufficienza ventilatoria (ipercapnia)
Nell’insufficienza ventilatoria si verifica una inadeguata ventilazione tra i polmoni e l’atmosfera che ha come risultato finale una inappropriata elevazione della pressione parziale di anidride carbonica nel sangue arterioso (PaCO2) fino a valori superiori a 45 mmHg (ipercapnia). L’insufficienza ventilatoria è generalmente considerata:
- lieve con PCO2 tra 45 e 60 mmHg;
- moderata con PCO2 tra 60 e 90 mmHg;
- grave con PCO2 oltre i 90 mmHg.
Quando la PCO2 supera i 100 mmHg si può verificare coma e, oltre i 120 mmHg, la morte. La PCO2 si misura tramite emogasanalisi. Ricordiamo al lettore che la capacità di inspirare necessita della piena efficienza del sistema nervoso il quale deve stimolare i muscoli respiratori. La contrazione del diaframma riduce la pressione intra-toracica e determina la penetrazione del gas all’interno dei polmoni. È necessario un minimo sforzo per tale attività nel caso in cui la gabbia toracica sia intatta, le vie respiratorie pervie ed i polmoni distensibili. La capacità di espirare richiede, invece, la pervietà delle vie respiratorie e del parenchima polmonare, il quale possiede sufficiente elasticità per mantenere aperti i bronchioli fino al completamento dell’espirazione.
Cause e fattori di rischio
Le cause di insufficienza ventilatoria comprendono: la depressione dei centri respiratori ad opera di sostanze farmacologiche, le malattie cerebrali, le anomalie del midollo spinale, le patologie muscolari, le anomalie della gabbia toracica e le ostruzioni delle alte e basse vie aeree. L’ostruzione delle alte vie aeree può manifestarsi in caso di infezioni acute e durante il sonno, quando si riduce il tono muscolare. Numerosi fattori possono contribuire alla debolezza dei muscoli inspiratori e far pendere l’equilibrio in favore dell’insufficienza ventilatoria acuta. La malnutrizione ed i disturbi elettrolitici possono indebolire i muscoli ventilatori, mentre l’iperinflazione polmonare (ad esempio da enfisema polmonare) può rendere il diaframma meno efficiente. L’iperinflazione polmonare costringe il diaframma ad assumere una posizione abnormemente bassa che determina, a sua volta, uno svantaggio meccanico. Questi problemi sono comuni in pazienti affetti da pneumopatia ostruttiva acuta e cronica (asma bronchiale, bronchite cronica ed enfisema polmonare).
Fisiopatologia
Un aumento acuto della PaC02 determina la riduzione del pH del sangue arterioso. L’associazione di elevata PaC02 ed acidosi può avere effetti marcati sull’organismo, specialmente quando l’insufficienza ventilatoria è severa. L’acidosi respiratoria acuta grave provoca uno scadimento delle funzioni cognitive a causa della depressione del sistema nervoso centrale. I vasi cerebrali e periferici si dilatano in risposta alla ipercapnia.
Sintomi e segni
Esistono pochi segni clinici suggestivi della presenza di una elevata PaCO2. Reperti clinici suggestivi di insufficienza ventilatoria comprendono:
- cefalea;
- diminuita vigilanza;
- cute calda arrossata;
- polsi periferici ipersfigmici.
Tali reperti sono, però, estremamente aspecifìci in quanto compaiono in numerose condizioni differenti dall’insufficienza ventilatoria. Poiché in un paziente con insufficienza ventilatoria è spesso presente ipossiemia, è possibile, di frequente, osservare la contemporanea comparsa dei segni di inadeguata ossigenazione periferica.
L’ipotermia e la perdita di coscienza sono reperti comuni, invece, nel caso in cui l’insufficienza ventilatoria sia il risultato di una overdose di sostanze ad effetto farmacologico sedativo. I sedativi e gli antidepressivi triciclici determinano spesso dilatazione e fissità pupillare. Gli antidepressivi triciclici aumentano, inoltre, la frequenza cardiaca e la pressione arteriosa. In caso di overdose farmacologica, i suoni respiratori sono spesso evidenti nonostante si sia verificata una aspirazione. Tale evenienza è più probabile con l’abuso di sedativi ed alcol (in conseguenza della diminuzione del riflesso della deglutizione) e può avere come conseguenza la comparsa di rantoli a livello del lobo inferiore destro.
I segni clinici dell’affaticamento diaframmatico costituiscono un reperto di avvertimento precoce di insufficienza respiratoria in un paziente con distress respiratorio. Tali segni sono, infatti, fortemente suggestivi della necessità di una immediata assistenza ventilatoria del paziente. L’affaticamento del diaframma causa inizialmente la comparsa di tachipnea, seguita da periodi di alternanza respiratoria o di respiro addominale paradosso. L’alternanza respiratoria consiste nella comparsa di una alternanza per brevi periodi di tempo di una respirazione con i muscoli accessori e con il diaframma. Il respiro addominale paradosso viene, invece, riconosciuto sulla base del movimento verso l’interno dell’addome ad ogni sforzo respiratorio. Questo fenomeno è dovuto alla flaccidità del diaframma che ne causa la trazione verso l’alto ogni qual volta i muscoli accessori della respirazione creano una pressione negativa intratoracica.
Diagnosi
Anamnesi ed esame obiettivo sono ovviamente i primi passi della diagnosi. La misurazione dei valori emogasanalitici è importantissima nel valutare i pazienti con insufficienza ventilatoria. La severità dell’insufficienza ventilatoria è indicata dall’entità dell’aumento della paCOz. La valutazione del pH ematico identifica, invece, il grado di acidosi respiratoria presente e suggerisce l’urgenza del trattamento. Il paziente necessita di immediato trattamento qualora il pH si porti al di sotto di 7.2.
Trattamento
L’elevazione acuta della PCO2 arteriosa indica che il paziente non è in grado di mantenere una adeguata ventilazione alveolare e può necessitare di una assistenza ventilatoria. La PaCO2 non deve obbligatoriamente superare i valori normali perché vi sia l’indicazione alla assistenza ventilatoria. Ad esempio, se la PaCO2, di 30 mmHg e poi, a causa di un affaticamento dei muscoli respiratori sale a 40 mmHg, il paziente potrebbe trarre notevole beneficio dalla immediata intubazione e ventilazione meccanica. Questo esempio illustra, quindi, chiaramente come la documentazione della tendenza (“trend”) dei valori della PaCO2 arteriosa possa aiutare nel porre indicazione alla ventilazione assistita. Una volta che il paziente è stato intubato, il volume corrente impostato dovrebbe essere di 10-15 cc/Kg di peso corporeo ideale (ad esempio nei pazienti obesi non è necessario un volume corrente enorme). Volumi correnti inferiori a questi tendono a determinare il collasso delle unità polmonari più periferiche (atelettasia), mentre volumi correnti superiori a 10-15 cc/kg tendono a sovradistendere i polmoni e possono causare barotrauma (pneumotorace o pneumomediastino).
La frequenza ventilatoria necessaria al paziente dipende dal suo metabolismo, sebbene
i soggetti adulti necessitino solitamente di 8-15 atti respiratori/minuto. La ventilazione viene comunque modificata in gran parte dei pazienti in modo da mantenere i valori di PaCO2, tra 35 e 45 mmHg. Una eccezione è costituita dal paziente con edema cerebrale, nel quale la presenza di valori di PaCO2 più bassi può rivelarsi utile nel ridurre la
pressione intracranica. Un’altra eccezione è costituita dai pazienti con valori di PaCO, cronicamente elevati nei quali l’obiettivo della ventilazione meccanica è quello di far ritornare il pH entro i limiti normali e la PCO2 del paziente ai suoi valori di base. Se il paziente con ipoventilazione cronica e ritenzione di CO2 viene ventilato con sufficiente vigore fino a raggiungere una normale PCO2 insorge, nel breve termine, il problema della alcalosi respiratoria e nel lungo termine quello dello svezzamento dalla ventilazione meccanica.
Il medico dovrebbe comunque determinare la causa dell’insufficienza ventilatoria prima di iniziare il trattamento sintomatico. Nel caso di sovradosaggio farmacologico, dovrebbero essere fatti sforzi per identificare il composto responsabile, la
quantità di farmaco ingerito, il lasso di tempo trascorso dalla ingestione e la presenza o meno di lesioni traumatiche. Obiettivi generali nel trattamento del sovradosaggio farmaco logico sono quelli di prevenire l’assorbimento della tossina (lavanda gastrica oppure stimolazione del riflesso del vomito ed impiego di carbone attivo), di aumentare l’escrezione del farmaco (dialisi) e prevenire l’accumulo dei prodotti metabolici tossici (ad esempio l’acetilcisteina costituisce l’antidoto di scelta del sovradosaggio di acetaminofene).
Lo svezzamento del paziente dalla ventilazione meccanica può iniziare appena corretta la causa dell’insufficienza respiratoria e stabilizzate le condizioni cliniche di pertinenza medica. I parametri dello svezzamento aiutano a definire quando lo svezzamento presenta una consistente probabilità di successo. I medici dovrebbero utilizzare più parametri per decidere quando iniziare lo svezzamento dalla ventilazione, poiché ognuno di essi da solo può essere fonte di confusione. In pazienti adulti, la combinazione di un volume corrente spontaneo superiore a 325 cc ed una frequenza respiratoria spontanea inferiore a 38 atti/minuto sembra costituire un buon indice di successo nello svezzamento. I metodi utilizzati nello svezzamento comprendono l’IMV, il supporto pressorio ed il tubo “T”. Ciascuna di tali metodiche presenta vantaggi e svantaggi, ma ognuna di esse dovrebbe essere in grado di svezzare efficacemente gran parte dei pazienti appena possibile. Ciascuno dei metodi è basato sulla progressiva riduzione del supporto ventilatorio in condizioni controllate, durante attento monitoraggio del paziente. L’estubazione può essere, infine, effettuata quando il riflesso della deglutizione è integro ed il tubo endotracheale non è più necessario.
Lo svezzamento in IMV viene effettuato riducendo il numero degli atti respiratori al minuto ad un intervallo di poche ore, finché il paziente non necessita più del supporto meccanico oppure dimostra una scarsa tolleranza allo svezzamento (ad esempio modificazioni del 20% della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa). Il principale svantaggio dell’IMV è dato dal potenziale incremento del lavoro respiratorio imposto al paziente durante la respirazione spontanea (13). Tale incremento lavorativo è principalmente dovuto alla eccessiva resistenza posta a livello della valvola a domanda. I ventilatori di più recente concezione, comunque, tentano di correggere questo problema.
Il supporto pressorio aiuta a superare il lavoro imposto dalla resistenza del circuito artificiale, grazie alla somministrazione di una prefissata pressione positiva durante l’inspirazione. Lo svezzamento mediante supporto di pressione richiede la riduzione della pressione di supporto in modo graduale con una costante sorveglianza delle condizioni cliniche del paziente. Una volta che il paziente è in grado di tollerare bassi livelli pressori di supporto (ad esempio inferiori a 5 cm H2O) l’assistenza ventilatoria può essere sospesa. Lo svezzamento mediante tubo “T” viene, invece, effettuato sospendendo la ventilazione meccanica per un breve periodo di tempo e ponendo il paziente sotto un flusso continuo di aria ad una prefissata FiO2. Il tempo durante il quale il paziente viene fatto respirare spontaneamente viene gradualmente prolungato finché non compaiono segni di stress oppure il soggetto non richiede nuovamente un supporto ventilatorio meccanico.
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Lo Staff di Medicina OnLine
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