Intolleranza al glutine e sport: gestione dell’atleta celiaco

MEDICINA ONLINE PALESTRA MUSCOLI IPERTROFIA ALLENAMENTO FIBRE MUSCOLARI ROSSE BIANCHE POTENZIALE GENETICO PESI PESISTICA WORKOUT PRE POST INTEGRATORI PROTEINE AMINOACIDI RAMIFICATI BCAA WHEY CASEINE CREATINA CARNITINA FISICOLa diagnosi di celiachia è diventata sempre più frequente negli ultimi anni. E anche una percentuale di atleti ne è affetta. D’altro canto la demonizzazione del glutine e il nuovo concetto di “sensibilità”, nel caso in cui non si possa parlare propriamente di malattia celiaca, hanno complicato non poco il modo di guardare a questo problema nel mondo dello sport. Quindi indagheremo in che misura il glutine incida sulla vita o la performance di un atleta, e se una dieta priva di glutine determina vantaggi reali in chi non è malato di celiachia.

Cenni sulla celiachia
Il morbo celiaco è un disordine autoimmune che causa malassorbimento dei macronutrienti da parte dell’intestino. Il sistema immunitario reagisce in maniera abnorme ai cibi conteneti glutine o gliadina (frumento, orzo, segale). Quando un individuo affetto da celicachia ingerisce un cibo contenente glutine, il suo sistema immunitario determina una reazione infiammatoria tale da causare il danneggiamento della mucosa dell’intestino tenue, esitando nell’atrofia dei villi intestinali, che sono quei rilievi digitiformi con la funzione di assorbire i macronutrienti e veicolarli nel circolo ematico. Questa riduzione dell’assorbimento provoca un aumento di concentrazione dei nutrienti nel lume dell’intestino, alcuni con effetto osmotico, che stimolano la peristalsi (i movimenti spontanei dell’intestino dallo stomaco verso il colon); questo fluido contenente acqua e macronutrienti non assorbiti si dirige quindi verso il colon dove, superatane la capacità di assorbimento, provoca diarrea. Tutto ciò conduce ai sintomi tipici della malattia.
L’infiammazione dei villi determina l’appianamento, la totale o subtotale atrofia, la iperplasia delle cripte e un infiltrato di linfociti sotto alla mucosa, nella lamina propria, chiaramente visibile alla biopsia. Sebbene i danni maggiori procurati dalla malattia siano a carico del tratto gastrointestinale, la celiachia è una malattia multisistemica proprio a causa del malassorbimento dei macronutrienti, con effetti sull’osso, sul sangue, sul sistema nervoso, sulla pelle.

Come si sviluppa la malattia?
Sono necessari 2 fattori: la predisposizione genetica e l’esposizione all’antigene. Si crede che la predisposizione genetica sia presente nel 30% circa della popolazione, data dagli antigeni leucocitari (HLA)-DQ2 e DQ8. Questi markers sono stati rinvenuti nel 99.6% degli individui affetti da celiachia. Tuttavia solo l’1% circa della popolazione manifesta la malattia. Perché? Non si sa ancora con certezza, ma ci sono delle cause scatenanti che causano l’espressione dei markers e quindi lo sviluppo della malattia.

Diagnosi
La diagnosi avviene per step successivi e deve soddisfare almeno 4 dei seguenti 5 criteri (1):

  1. Sintomi tipici della malattia
  2. Autoanticorpi anti-gliadina e anti-transglutamminasi ad alto titolo, testati con un banale prelievo ematico;
  3. Presenza di HLA-DQ2 o DQ8
  4. Biopsia della mucosa duodenale tramite EDGS (esofago-duodeno gastroscopia), che dimostra l’appianamento dei villi e/o l’ipertrofia delle cripte e l’infiltrato linfocitario nella lamina basale
  5. Remissione di malattia alla dieta priva di glutine

Atleti affetti da celiachia: valutazione iniziale
Forse non immaginate quanti atleti d’elite famosi a voi tutti siano celiaci. Djokovic e la Lisicki, per fare solo due esempi eclatanti nel mondo del tennis e noti anche in Italia, ma ci sono alcuni giocatori di baseball e football americano molto noti, nonché atleti olimpici. Uno dei motivi per cui spesso ci vuole molto prima di giungere alla diagnosi di celiachia è l’ampia varietà dei sintomi: diarrea cronica, sintomi da malnutrizione, gonfiore addominale, astenia e facile faticabilità, anemia, vomito, crampi addominali, dolore addominale, mialgia, artralgia, osteoporosi, irregolarità mestruali, irritabilità, stipsi, dermatite erpetiforme.
Sono un valanga di sintomi che si riscontrano nella diagnosi differenziale di decine di altre patologie. Tanto basta per confondere il medico più scaltro. Soprattutto nell’atleta giovane e sano la diagnosi differenziale dovrebbe includere mononucleosi infettiva, l’intolleranza al lattosio, dispepsia, malattie del colon irritabile, disturbi alimentari, depressione, malattia diverticolare, morbo di Crohn, la fibromialgia, la carenza di ferro, allergie, anemia, ipo / ipertiroidismo. Una anamnesi dettagliata dovrebbe essere sempre raccolta dal medico, con particolare attenzione alla storia familiare. La prevalenza della malattia celiaca è del 4-12% nei soggetti con parenti di primo grado che hanno celiachia. L’anamnesi familiare dovrebbe anche includere domande riguardanti la statura dei genitori e fratelli (la bassa statura è associata con la malattia celiaca), storia di problemi gastrointestinali in famiglia, diabete di tipo I, anemia, ipotiroidismo, o osteopenia.
L’anamnesi dell’atleta invece dovrebbe includere la stanchezza, il livello di energia, la tolleranza all’esercizio, sintomi gastrointestinali come diarrea, gonfiore, e dolore addominale. Bisogna indagare su eventuali fratture da stress da stress, anemia, e anamnesi nutrizionali sull’uso di alimenti contenenti glutine.

Gestione dell’atleta con diagnosi recente di celiachia
Per un atleta, una diagnosi di celiachia rappresenta un cambiamento di stile di vita totale. Serve quindi un approccio multidisciplinare per gestire l’atleta in questa fase rivoluzionaria della sua vita. Poiché cambiare totalmente la propria alimentazione e nello stesso tempo mantenere le performance precedenti può essere una cosa molto stressante a livello psicologico, occorre anche la presenza di uno psicologo dello sport a supporto.
Mangiare rigorosamente senza glutine è l’unico trattamento conosciuto per la celiachia. Di conseguenza, subentra il nutrizionista. Eliminare tutte le fonti di grano, segale e orzo significa che l’atleta dovrà trovare fonti alternative di carboidrati e non è una cosa così facile e immediata, soprattutto se le abitudini alimentari erano ormai consolidate. Fagioli, riso, farina di mais, patate, tapioca, e quinoa, insieme a frutta e verdura fresca, sono eccellenti fonti di carboidrati per l’atleta celiaco.
Di fondamentale importanza è inoltre educare l’atleta, il personale che si occupa della preparazione atletica, gli allenatori e compagni di squadra dell’atleta, sulla celiachia e su ciò che comporta una dieta priva di glutine: è importante per “normalizzare” la vita dell’atleta e non farlo sentire diverso dagli altri. Inoltre bisognerà adeguare le strutture che si occupano di preparare il cibo in modo da evitare la contaminazione da glutine negli alimenti cucinati per quell’atleta, anche quando si affrontano trasferte, scegliere ristoranti che abbiano nel loro menu dei piatti gluten-free.
I compagni di squadra dell’atleta dovrebbero essere educati a capire quanto sia facile cross-contaminare gli alimenti senza glutine con quelli contenenti glutine. Un esempio: spalmare burro di arachidi senza glutine su una fetta di pane (contenente glutine) con un coltello e poi infilare il coltello usato di nuovo nel burro di arachidi senza glutine: abbiamo cross-contaminato l’intero vasetto di burro d’arachidi quasi inconsciamente.
Poiché l’anemia da carenza di ferro (sideropenica) si riscontra in una percentuale che va dal 10 al 70% nella nuove diagnosi di celiachia, bisogna valutare la carenza di ferro nell’atleta e la possibile anemia già instauratasi. Questa si ha a causa della distruzione dei villi duodenale che contengono i carriers deputati all’assorbimento del ferro contenuto negli alimenti. Negli atleti, per correggere questa situazione, potrebbero essere necessari da 2 a 18 mesi. Inoltre il nutrizionista ha il compito di spiegare e guidare l’atleta verso la scelta di cibi privi di glutine e ricchi di ferro. Anche nell’uso di multivitaminici ed altri integratori si dovrebbe avere sempre l’accortezza di utilizzare prodotti senza glutine, come pure l’uso eventuale di farmaci, soprattutto antinfiammatori, largamente usati dagli atleti.
La malattia celiaca altera l’assorbimento delle sostanze nutritive, dicevamo, e quindi potremo reperatare nell’atleta diversi deficit, soprattutto di micronutrienti. La carenza di vitamina D e il conseguente malassorbimento del calcio sono comuni. Dal 10% al 20% dei pazienti con malattia celiaca ha osteopenia o osteoporosi al momento della diagnosi, di conseguenza la MOC con DEXA in un paziente celiaco è tassativa, soprattutto per evitare fratture da stress. Inoltre va valutata la concentrazione ematica di vitamina D ed eventualmente corretta con somministrazione integrativa di calcio e vitamina D. Molti pazienti con nuova diagnosi di celiachia sono anche temporaneamente intolleranti al lattosio, perché la malattia, distruggendo i villi, ha distrutto le lattasi (enzima che degrada il lattosio). Quindi bisognerebbe evitare in un primo periodo anche il latte e i suoi derivati.
Alimenti come succo d’arancia, broccoli, spinaci e pesci possono servire, in quanto sono ricchi di calcio, a sostituire la limitazione. Anche cereali come amaranto, quinoa, teff e sono ricchi di calcio. Ci possono essere carenze di altri nutrienti, compresa la vitamina B12, acido folico, zinco e rame. Non c’è consenso nella comunità scientifica sul controllo di questi livelli. Forse sarebbe comunque sempre bene controllarli.

Gestione dell’atleta con una lunga storia di malattia celiaca
Per l’atleta a cui è stata diagnosticata la malattia celiaca da più di un anno, la stretta aderenza ad una dieta priva di glutine è il fattore più importante nel trattamento e nel controllo a lungo termine della malattia. Al contrario dell’atleta con diagnosi recente, l’atleta con una lunga storia di malattia ha ormai superato le sfide sociali ed emotive, però deve ancora affrontare quotidianamente le sfide nella gestione della malattia. I pasti di viaggio e di squadra sono questioni ricorrenti che richiedono una costante vigilanza e attenzione, uno stress non da poco che agli altri viene risparmiato.

Leggi anche:

Lo staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o seguici su Twitter, su Instagram o su Pinterest, grazie!

Celiachia e dieta senza glutine: fanno ingrassare o dimagrire?

MEDICINA ONLINE RISO RISOTTO CIBO DIABETICO INDICE GLICEMICO PASTA CARBOIDRATI GLICEMIA DIETA GRASSO PRANZOÈ un falso mito quello che seguire una dieta senza glutine faccia perdere peso, anzi a volte fa addirittura ingrassare, poiché i prodotti sostitutivi sono ricchi di calorie. Attenzione dunque agli alimenti gluten free, consumati dai celiaci, dagli allergici al frumento e da chi soffre di ipersensibilità  ma non solo: c’è anche da chi lo fa per moda. Che la dieta povera di glutine non faccia dimagrire lo spiega Alessio Fasano, direttore del centro ricerche sulla celiachia dell’Università  di Maryland, negli Stati Uniti.

Spiega l’esperto, tra l’altro uno degli autori del recente studio che ha individuato la gluten sensivity, disturbo che colpisce sei volte di più della celiachia: “occorre stare attenti a dichiarazioni come quelle recentemente sentite da personaggi dello spettacolo come la popolare conduttrice americana Oprah Winfrey, che ha seguito una dieta senza glutine per un periodo di tempo. Alimentarsi con prodotti sostitutivi, soprattutto snack e dolci, spesso significa assumere molte calorie in più.”

Al di là  dei celiachi, e di coloro che soffrono di un’ipersensibilità  al glutine, c’è chi segue un regime alimentare privo di glutine per moda, perché convinto che con questo tipo di alimentazione si possa perdere peso. Niente di più sbagliato, anzi è possibile che l’ago della bilancia si sposti in avanti, visto l’alto contenuto di calorie presente nei prodotti sostitutivi.

Se da una parte i celiaci, che sono affetti da un’intolleranza permanente al glutine, hanno la necessità  di seguire un’alimentazione particolare per evitare la reazione infiammatoria scatenata dal glutine, chi non presenta questo genere di intolleranza non ha motivo di seguire una simile dieta.

Viene dunque smentita una credenza popolare del tutto errata, ma del resto si sa che seguire una dieta senza il parere di un esperto può tradursi spesso in cattiva salute. Bisogna dunque prestare molta attenzione al regime alimentare che si decide di seguire quando si inizia una dieta, come sempre la migliore scelta è quella di consultare un dietologo o quella di orientarsi a un’alimentazione sana, senza privarsi di determinati alimenti, ma mangiare spesso frutta e verdura e diminuire dolci, bevande gassate e carboidrati, riducendo le porzioni e mangiando tre volte al giorno per combattere la fame.

Leggi anche:

Lo staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o seguici su Twitter, su Instagram o su Pinterest, grazie!

Celiachia, cos’è il glutine, in quali alimenti è contenuto ed in quali no?

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma CELIACHIA GLUTINE ALIMENTI CONTENGONO  Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgIl glutine è una componente proteica di alcuni cibi, è presente nel frumento ed in vari cereali quali farro, spelta, triticale, orzo e segale. Di conseguenza, è Continua a leggere

Dietoterapia: le diete per il diabete, l’ipertensione ed altre patologie

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO PENTOLA PADELLA CUCINA DIETA CIBO MANGIARE OLIVEI soggetti affetti da patologie, per ottenere uno stato di salute ottimale, devono porre estrema attenzione alla loro dieta, molto di più di quando già debba farlo un soggetto sano. E’ qui che entra in gioco la dietoterapia, ovvero quella branca della dietetica che si occupa della nutrizione in condizioni patologiche. Varie sono le patologie che possono essere affrontate non solo dal punto di vista farmacologico o chirurgico, ma anche grazie a determinate “diete in condizioni patologiche”.

Diabete

Il diabete è una patologia caratterizzata da un aumento della concentrazione di glucosio nel sangue a causa di un difetto assoluto o relativo di insulina, ormone secreto dal pancreas ed indispensabile per il metabolismo degli zuccheri. Un valore di glicemia è considerato normale fino al valore di 110 mg/dl. La diagnosi di diabete è certa con un valore superiore a 200 mg/dl, rilevato in qualunque momento della giornata o due ore dopo un carico di glucosio. Valori di glicemia compresi fra 140 a 200 dopo un carico di glucosio definiscono invece la ridotta tolleranza al glucosio che può evolvere nel tempo verso un Diabete conclamato.
Il diabete può determinare complicanze acute o croniche. Le complicanze acute sono più frequenti nel diabete tipo 1 e sono in relazione alla carenza pressoché totale di insulina.
Nel diabete tipo 2 le complicanze acute sono piuttosto rare, mentre sono molto frequenti le complicanze croniche che riguardano diversi organi e tessuti, tra cui gli occhi, i reni, il cuore, i vasi sanguigni e i nervi periferici.
La terapia della malattia diabetica ha come cardine l’attuazione di uno stile di vita adeguato.
La dieta del soggetto diabetico ha l’obiettivo di ridurre il rischio di complicanze attraverso il mantenimento di valori di glucosio, lipidi plasmatici e pressione arteriosa il più possibile vicini alla norma.

  • Diabete tipo 1: Riguarda circa il 10% delle persone con diabete e in genere insorge nell’infanzia o nell’adolescenza. Nel diabete tipo 1 il sistema immunitario attacca le cellule che producono insulina. Per questo motivo, il diabete di tipo 1 viene classificato tra le malattie cosiddette “autoimmuni”, cioè dovute a una reazione immunitaria diretta contro l’organismo stesso.
  • Diabete tipo 2: È la forma più comune di diabete e rappresenta circa il 90% dei casi di questa malattia. La causa è ancora ignota, anche se è certo che il pancreas è in grado di produrre insulina, ma le cellule dell’organismo non riescono poi a utilizzarla. In genere, la malattia si manifesta dopo i 30-40 anni e numerosi fattori di rischio sono stati riconosciuti associarsi alla sua insorgenza. Tra questi: la familiarità per diabete, lo scarso esercizio fisico, il sovrappeso e l’appartenenza ad alcune etnie. Il rischio di sviluppare la malattia aumenta con l’età, con la presenza di obesità e con la mancanza di attività fisica: questa osservazione consente di prevedere strategie di prevenzione “primaria”, cioè interventi in grado di prevenire l’insorgenza della malattia e che hanno il loro cardine nell’applicazione di uno stile di vita adeguato, che comprenda gli aspetti nutrizionali e l’esercizio fisico.

Ipertensione

L’ipertensione è una patologia caratterizzata da un aumento considerevole della pressione sanguigna con valori oltre la norma. Un individuo viene definito iperteso quando la sua pressione arteriosa sistolica o massima è superiore a 140 mmHg e quella diastolica o minima è superiore a 95 mmHg.
Esistono due tipologie d’ipertensione, quella primaria o essenziale e quella secondaria. Nella primaria si ha un incremento della pressione sanguigna causato da fattori non identificabili. Nell’ipertensione secondaria è invece possibile associare tale rialzo ad una causa ben precisa come l’insufficienza renale, le malattie vascolari renali, la sindrome di Cushing, l’iperaldosteronismo, l’uso del contraccettivo orale, l’obesità. Una diminuzione del peso corporeo medio tra i 5 e i 7 Kg può ridurre la pressione arteriosa mediamente di circa 10 – 20 mmHg, sia per la diastolica che per la sistolica, in soggetti con un peso superiore al 10% del peso ideale.

Dislipidemie

La dislipidemia è una condizione clinica caratterizzata da un incremento dei grassi circolanti nel sangue (colesterolo e trigliceridi).
I lipidi o grassi sono sostanze fondamentali per il nostro organismo, così come lo sono le proteine e gli zuccheri perché rappresentano una fonte di energia diretta (dopo gli zuccheri e le proteine) e soprattutto una forma di accumulo della energia stessa. Essi non rappresentano un pericolo per la salute dell’uomo finché la loro concentrazione non supera un valore limite nel qual caso, vuoi per un apporto superiore alle necessità dell’organismo, vuoi per una predisposizione genetica, può verificarsi un loro accumulo in alcuni organi come il fegato e nei vasi sanguigni. L’accumulo dei grassi nelle arterie predispone all’infarto ed in generale alla malattia coronarica. La dislipidemia va tenuta sotto controllo in primis con la dieta e, qualora questa non sia sufficiente, con la prescrizione di integratori e farmaci appropriati.

Epatopatie

Per malattia epatica (o epatopatia) si intende una patologia che comprometta la funzionalità dell’organo epatico. Le possiamo distinguere in epatopatia:
  • da infezione, conseguente ad epatite
  • da steatosi, (causata da infiltrazioni di grasso nel fegato)
  • da alcool

Le epatopatie possono compromettere la funzionalità di tutti i principali sistemi del corpo umano e in particolare del:

  • sistema nervoso (neuropatia)
  • sistema circolatorio (disfunzioni del circolo portale)

Ogni epatopatia presenta una fase acuta ed una fase subacuta, che a volte può diventare cronica (come la cirrosi epatica). La dieta in tali casi deve essere equilibrata nei vari nutrienti, ricca di proteine e di vitamine del gruppo B e K. Sono consigliati più pasti leggeri nella giornata, preferendo alimenti semplici e con elevato potere nutritivo evitando gli alcoolici e limitando i grassi specialmente quelli fritti. L’apporto di amidi e zuccheri è fondamentale per preservare le riserve di glicogeno epatico.

Anemia

Si definisce anemia una condizione caratterizzata dalla carenza di emoglobina totale presente nel circolo ematico. L’emoglobina è la proteina, contenuta nei globuli rossi, che trasporta l’ossigeno ai vari tessuti dell’organismo.
E’ possibile distinguere vari tipi di anemia:

  • Da carenza di ferro
    Per produrre la giusta quantità di emoglobina il midollo osseo ha bisogno di ferro che si introduce tramite l’alimentazione: un livello basso di questo minerale causa anemia.
  • Anemia da deficit vitaminico
    Altro elemento importante per la produzione di globuli rossi sani è la presenza di acido folico e di vitamina B12. Anche qui si tratta di avere una dieta ricca per consentire all’organismo di assorbirne la quantità necessaria. In alcuni casi può essere presente una difficoltà di assorbimento di questo tipo di nutrienti, specie in presenza di anemia perniciosa.
  • Anemia da malattie croniche
    E’ difficile che si presenti nei bambini ed è causata da infiammazioni croniche (epatite, problemi renali, cancro e Aids). Può essere causata anche da malattie intestinali, che provocano un malassorbimento delle sostanze nutritive, come ad esempio in caso di celiachia (intolleranza al glutine)
  • Anemia emolitica
    E’ caratterizzata dalla distruzione veloce dei globuli rossi tanto da non permettere al midollo di rimpiazzarli. Poco comune nei bambini.
  • Anemia aplastica
    E’ la più grave ed è causata dalla limitata capacità del midollo di produrre i globuli rossi, i globuli bianchi e le piastrine. Fortunatamente è poco comune, ma può essere scatenata anche dalla reazione ad alcuni tipi di farmaci.
  • Anemia mediterranea o talassemia
    E’ una malattia congenita ereditaria molto comune nel nostro paese caratterizzata da una produzione irregolare di emoglobina. Esistono due tipi di talassemia: la ´minor´ (si è portatori sani, non ci sono sintomi e non costituisce alcun rischio se non quando si decide di avere un figlio: nel caso si trovi un partner anch’egli portatore sano, le probabilità di avere un bambino malato è del 50%) e la ´maior´ (la malattia è conclamata e non esiste altra forma di cura se non trasfusioni di sangue e trapianto di midollo; è una malattia che può essere ormai facilmente diagnosticabile anche in fase prenatale).

Intolleranza al glutine: celiachia

La celiachia detta anche malattia celiaca è un’intolleranza permanente alla gliadina. La gliadina è la componente alcool-solubile del glutine, un insieme di proteine contenute nel frumento, nell’orzo, nella segale, nel farro e nel kamut. L’avena sembra essere tollerata in piccole quantità dalla maggior parte dei soggetti affetti. Pertanto, tutti gli alimenti derivati dai suddetti cereali o contenenti glutine in seguito a contaminazione devono essere considerati tossici per i pazienti affetti da questa malattia. Sebbene la malattia non abbia una trasmissione genetica mendeliana, è comunque caratterizzata da un certo grado di familiarità, dovuta a geni non del tutto identificati. L’intolleranza al glutine causa gravi lesioni alla mucosa dell’intestino tenue, che regrediscono eliminando il glutine dalla dieta. La reversibilità della patologia è strettamente legata alla non assunzione da parte del soggetto celiaco di alimenti contenenti glutine o comunque da esso contaminati. La malattia celiaca non guarisce: il soggetto celiaco rimarrà tale per tutta la sua vita, l’unica cura consiste nell’adozione di una dieta rigorosamente priva di glutine.

Intolleranza al lattosio

Si definisce intolleranza al lattosio  una sindrome caratterizzata da disturbi gastroenterici che insorgono dopo l’ingestione di alimenti contenenti questo zucchero, generata dal deficit di produzione da parte delle cellule intestinali del duodeno dell’enzima lattasi deputato alla scissione del lattosio in glucosio e galattosio che sotto questa forma possono essere assorbiti.
Le persone con tale intolleranza non posseggono l’enzima necessario alla digestione del lattosio, lo zucchero del latte. Infatti il lattosio che non viene digerito nello stomaco, arriva all’intestino crasso dove viene digerito dai batteri intestinali. L’enzima che catalizza la degradazione del lattosio, la lattasi, viene prodotta solitamente dai mammiferi nei primi stadi di vita e una volta adulti smettono di produrla. Solo gli uomini possono continuare la sua sintesi. Si stima che il 30% degli uomini, conserva la capacità di digerire il lattosio. I sintomi più comuni sono gastrointestinali: dolore addominale non specifico e non focale, crampi addominali diffusi, gonfiore e tensione intestinale, aumento della peristalsi con movimenti talora palpabili, meteorismo, flatulenza e diarrea con feci poltacee, acquose, acide, che insorgono da 1 a poche ore dopo l’ingestione di alimenti contenenti lattosio. Tuttavia tali sintomi non sono specifici: altri disordini come la ipersensibilità alle proteine del latte, reazioni allergiche ad altri cibi, o intolleranze ad altri glicidi possono causare sintomi simili. Si stima che occorrano più di 240 ml di latte al giorno (12 grammi di lattosio) per causare sintomi in soggetti con carenza di lattasi. L’insorgenza della sintomatologia è anche dipendente dal cibo associato, in quanto è legata alla velocità di svuotamento gastrico: se il lattosio si sposta rapidamente dallo stomaco ad un intestino con bassa attività lattasica, i sintomi saranno più evidenti. Quindi se il lattosio viene ingerito insieme a carboidrati (specie i carboidrati semplici), che aumentano la velocità di svuotamento gastrico,  i sintomi sono più probabili o più intensi, mentre se viene ingerito insieme a grassi, che riducono la velocità di svuotamento gastrico, i sintomi possono essere molto ridotti o addirittura assenti. Il Breath test al lattosio è una metodica rapida, semplice, riproducibile ed economica per diagnosticare l’intolleranza al lattosio. Il principio della metodica si basa sul fatto che normalmente, in presenza di lattasi, il lattosio (un disaccaride, formato cioè da due molecole di zuccheri unite insieme) viene scisso nell’intestino tenue in glucosio e galattosio, due monosaccaridi (zuccheri semplici) che vengono rapidamente assorbiti dalla mucosa intestinale, senza produzione significativa di idrogeno. Quando esiste un deficit di lattasi, il lattosio arriva indigerito nel colon dove la flora batterica intestinale lo sottopone a reazioni di fermentazione con produzione significativa di idrogeno, metano ed anidride carbonica. Questi gas vengono assorbiti nel sangue ed una parte viene espirata dai polmoni. Il Breath test al lattosio misura proprio la quantità di idrogeno che viene espirata prima e dopo la somministrazione di lattosio permettendo quindi di evidenziare la carenza di lattasi responsabile dell’intolleranza.
Il Breath Test al Lattosio viene eseguito generalmente al mattino, dopo un digiuno di almeno 8 ore. Per sottoporsi al test, inoltre,  è necessario non assumere antibiotici, fermenti lattici e lassativi nei 7 giorni prima dell’esame e cenare la sera prima con riso bollito con olio e carne o pesce ai ferri o bolliti.
Il paziente deve inizialmente soffiare un palloncino e subito dopo deve bere 20 g. di lattosio sciolti in un bicchiere d’acqua. Da questo momento, ogni 30 minuti il paziente dovrà soffiare nel palloncino per altre 6 volte. Quindi il test dura in tutto 3 ore.

FONTE 1

FONTE 2

Leggi anche:

Lo staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o seguici su Twitter, su Instagram o su Pinterest, grazie!