Il mal di stomaco, un termine comunemente usato per descrivere una varietà di disturbi gastrici, può essere sintomo di diverse condizioni, da quelle lievi a quelle più gravi. Questa guida fornisce un’analisi dettagliata delle possibili cause, dei metodi diagnostici e delle opzioni terapeutiche per affrontare i vari tipi di disturbi dello stomaco. Dalla comprensione delle cause sottostanti, come l’alimentazione o specifiche patologie, alla selezione dei Continua a leggere
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Indigestione: cos’è e quali sono i sintomi
L’indigestione (o dispepsia) è un disturbo molto frequente, improvviso e transitorio legato all’alterazione delle funzioni digestive, è un problema che accomuna moltissime persone e i sintomi con cui si manifesta sono vari. Quando lo stomaco fatica a digerire lo manifesta generalmente dopo l’assunzione dei pasti, attraverso diverse avvisaglie: dolore addominale, meteorismo, sensazione di pesantezza e gonfiore, dolore alla bocca dello stomaco e schiena, bocca amara, sensazione di bruciore nella parte alta Continua a leggere
Differenza tra dieta e dieta di mantenimento
Quando si parla della differenza tra “dieta” e “dieta di mantenimento”, si fa riferimento al termine “dieta” come sinonimo di “dieta dimagrante” anche se i due termini non indicano necessariamente la medesima cosa, dal momento che una dieta può essere non solo ipocalorica (cioè dimagrante), ma anche ipercalorica o normocalorica.
Dieta dimagrante (ipocalorica)
La differenza tra dieta dimagrante e dieta di mantenimento risiede principalmente nei tempi e nella quantità di calorie che essa fornisce al soggetto. Normalmente, in caso di sovrappeso od obesità, il soggetto viene sottoposto a dieta dimagrante (ipocalorica), cioè ad una dieta solitamente ipoglucidica ed ipolipidica che fornisca al paziente una quantità di calorie più bassa rispetto al suo fabbisogno calorico giornaliero determinato dalla somma tra le calorie bruciate dal suo metabolismo basale e le calorie che consuma nelle attività di tutti i giorni (sportive e non). Ad esempio se un soggetto in sovrappeso ha un fabbisogno calorico di 2000 calorie, l’obiettivo di una dieta ipocalorica sarà di fornirgli ad esempio 1800 calorie in modo che le 200 calorie di cui il soggetto ha bisogno siano “prese” dal grasso disponibile ed in sovrappiù nel suo corpo. La dieta ipocalorica, unita ad una aumentata attività fisica (che determina sul medio periodo un aumento della massa magra e del metabolismo basale), determina quindi dimagrimento. La dieta dimagrante viene portata avanti per un periodo variabile, eventualmente con piccole variazioni nella quantità calorica, finché non il soggetto non raggiunge – auspicabilmente! – il peso forma adeguato al suo sesso, altezza ed età.
Dieta di mantenimento (lievemente ipocalorica o normocalorica)
Raggiunto il peso forma, il soggetto è “normopeso” e non ha quindi più bisogno di dimagrire ulteriormente dal momento che ciò lo farebbe diventare “sottopeso“. In questo momento la dieta dovrebbe cambiare: non più ipocalorica, bensì “normocalorica”, cioè una dieta non più dimagrante ma solo appunto “di mantenimento” del peso forma raggiunto, dal momento che fornisce al corpo una quantità di calorie esattamente pari al fabbisogno calorico giornaliero. In alcuni casi la dieta di mantenimento può essere lievemente ipocalorica in modo da procedere con un lieve dimagrimento anche in prossimità del raggiungimento del peso forma, ottenuto con la dieta dimagrante. Ricordiamo che, una volta raggiunto il peso forma, non potremo tornare a mangiare più del nostro fabbisogno giornaliero, altrimenti torneremo inevitabilmente in sovrappeso!
Dieta di mantenimento: quante calorie deve avere?
Questa domanda mi viene fatta spesso, ma non ha molto senso: una dieta di mantenimento deve avere le calorie necessarie al fabbisogno calorico giornaliero (o lievemente inferiore, come abbiamo appena visto) e quindi è variabile e soggettivo.
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Differenza tra dietologia, alimentazione e nutrizione
Alimentazione, dietologia ed alimentazione, non sono sinonimi, pur avendo un campo semantico che per certi versi è sovrapponibile. Cerchiamo oggi di fare un po’ di chiarezza su questi tre termini.
Cos’è l’alimentazione
L’alimentazione è il concetto del fornire di cibo l’organismo, che attraverso la digestione, l’assorbimento ed una quantità elevata di processi metabolici, ne estrarrà energia e sostanze fondamentali per far funzionare l’organismo e svolgere le funzioni di tutti i giorni, in poche parole “vivere”. Alimentarsi significa quindi “introdurre cibo nel corpo”.
Cos’è la nutrizione
La nutrizione è la scienza che studia il corretto apporto di principi alimentari attraverso il cibo e l’alimentazione. Ogni alimento si compone di un certo numero di sostanze semplici, appartenenti a uno dei tre gruppi principali (zuccheri, grassi e proteine), che in modo diverso e sinergico contribuiscono alla costruzione del nostro organismo ed al mantenimento della sue funzioni vitali. Nutrirsi significa dare al nostro corpo tutte le sostanze di cui ha bisogno per rimanere efficiente ed in salute. Nutrirsi significa quindi “alimentarsi” in modo corretto; semplificando: alimentazione equivale nutrizione solo quando i cibi assunti sono in quantità e qualità adeguate per il mantenimento del funzionamento corretto del nostro corpo, ad esempio includono grandi quantità di fibre, frutta, verdura, acqua e grassi “buoni”.
Cos’è la dietologia
La dietologia (anche chiamata “dietetica”) è la scienza che si occupa dei processi relativi alla nutrizione, degli effetti degli alimenti sui processi metabolici dell’organismo, considerandone anche le implicazioni digestive. Inoltre ricerca le razioni alimentari più idonee, tenuto conto delle sue caratteristiche fisiologiche e/o patologiche, al fine di assicurare il miglior stato di salute possibile.
Il fine ultimo di questa pratica è la formulazione di un regime alimentare (dieta) spesso usato con lo scopo del dimagrimento, che si basa non solo sul calcolo esatto di metabolismo basale e fabbisogno calorico giornaliero (tramite anamnesi e bioimpedenziometria) ma anche su alcune analisi (ad esempio analisi del sangue) che possono scoprire determinate patologie di cui il medico dovrà tener conto nello sviluppo della dieta specifica. Una dieta veramente completa dovrà fornire indicazioni anche di tipo psicologico-comportamentale. E’ importante ricordare che una “dieta” non è soltanto utile in caso di dimagrimento (dieta ipocalorica), ma può essere anche importante in caso di necessità di ingrassare (dieta ipercalorica) ad esempio in soggetti affetti da anoressia. Infine una dieta diventa una vera e propria terapia nel momento in cui ha l’obiettivo di “curare” (o diminuire il rischio di) una patologia, come ad esempio: una dieta ipocalorica ipoglucidica per paziente sovrappeso/obeso con prediabete/diabete oppure una dieta normocalorica iposodica per paziente normopeso con ipertensione arteriosa o con elevato rischio di sviluppare ipertensione.
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Differenza tra proteine animali e vegetali: quali sono le migliori?
Cominciamo dalla prima, quasi banale, differenza: le proteine di origine vegetale sono contenute in tutti gli alimenti di origine vegetale, come ad esempio:
- legumi,
- alcuni tipi di verdura,
- cereali.
Le proteine animali sono presenti invece soltanto negli alimenti di origine animale, come ad esempio:
- carne,
- pesce,
- latte,
- latticini,
- formaggi,
- uova.
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Legumi
Iniziamo dai legumi, che ne sono i più ricchi, in particolare la soia e i fagioli. Tutti i legumi hanno la particolarità di trattenere nelle radici un batterio simbionte detto rizobio in grado di fissare l’azoto presente nell’aria e trasformarlo in amminoacidi che vengono assorbiti dalla pianta. Così tutti i tipi di legumi (dai fagioli alla soia, dall’erba medica alla mimosa, che sono tutti legumi) risultano particolarmente ricchi di proteine vegetali. I fagioli poi sono quelli che, per clima, per attidudine del terreno, e anche per produttività, sono più semplici da coltivare, e vengono scelti anche perché fanno molto bene al terreno (lo riempiono di azoto che viene poi ‘risucchiato’ da colture impoverenti come quelle dei cereali) e questo ha garantito il loro successo nel corso degli anni. Oggi, in un’epoca in cui certo non abbiamo carenza proteica, possiamo mettere da parte la carne e gli alimenti di origine animale, per consumare solo alimenti vegetali: ma a livello nutrizionale le proteine animali e vegetali sono la stessa cosa? Davvero le proteine vegetali possono sostituire la carne?
Proteine animali e vegetali: differenze nutrizionali
Per quanto riguarda il contenuto di amminoacidi essenziali, in generale le proteine animali possono essere considerate complete e quelle vegetali sono incomplete. Assumere proteine da fonti vegetali è importante e le carenze di eventuali amminoacidi possono essere superate utilizzando appropriate associazioni alimentari, ad esempio legumi e cereali, perché si completano tra loro: gli amminoacidi di cui è carente la pasta vengono forniti dai fagioli e viceversa. Sul fronte della digeribilità le proteine vegetali valgono meno di quelle animali (soprattutto quelle dei cereali), avendo un coefficiente di digeribilità, che indica la percentuale effettivamente assorbita, molto più basso: ad esempio i legumi sono al 30% rispetto a carne (80%) e uova (100%). Infine, non dimentichiamo che negli alimenti di origine vegetale è basso il livello di ferro e con i vegetali si assume poca vitamina B12 (una vitamina che svolge un ruolo fondamentale nella sintesi di emoglobina ma che è sintetizzata solo dagli animali). Quindi chi segue un regime alimentare vegetariano o vegano deve necessariamente integrare queste due sostanze.
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Proteine animali e vegetali: la quantità proteica contenuta negli alimenti
Parlare di “proteine” è un po’ come parlare di “casa”. Si fa presto a dire casa, ma le case vanno dalle capanne delle periferie di Rio de Janeiro alle ville di George Clooney: sfido a dire che queste due case siano uguali. E per le proteine il discorso non cambia. Una proteina è una catena di amminoacidi, che ne costituiscono i mattoni. Ci sono proteine lunghe e proteine corte, proteine costituite da amminoacidi migliori, per il nostro corpo, e da amminoacidi peggiori, ci sono proteine accartocciate e difficilissime da digerire (come la cheratina, che costituisce le nostre unghie) e proteine facili da digerire, ed ovviamente tutto dipende anche da quante e quali proteine ci sono in un alimento. A livello quantitativo ci sono cibi con più o meno proteine, ma non basta solo questo valore. E’ importante sapere come questi alimenti debbano essere prepararti e cucinati per essere mangiabili. E questi processi alterano e diluiscono la quantità originariamente contenuta nel cibo. Facciamo un esempio. I fagioli secchi contengono un 23,6% di proteine, quindi 23,6 gr per 100 gr di prodotto. Per fare un paragone e far capire come si esegue il calcolo abbiamo scelto un alimento che, così come si compra al supermercato, contiene praticamente la stessa quantità di proteine, il petto di pollo crudo, 23,3%. Facciamo conto che e abbiano tutti e due il 23%, per fare il conto in modo migliore. Quando arrivo a casa, questi due alimenti devo cuocerli, e i fagioli si devono anche ammollare per poterli mangiare. Così i fagioli assorbono acqua, che va a costituire peso nel legume, e quando questo è pronto, è gonfiato, le proteine non costituiscono più il 23%, ma sono il 9% all’incirca, sul prodotto reidratato. Mangiando 100 gr di fagioli (secchi e crudi sono immangiabili) ottengo 9 gr di proteine. Il petto di pollo va cotto, ma la cottura è molto veloce e lo scopo è proprio quello di eliminare acqua, così che le proteine saranno più concentrate e la loro percentuale maggiore: dal petto di pollo cotto, da 100 gr, otterrò circa un 30% di proteine, cioè 30 gr per 100 gr. Per cui abbiamo: 9 gr di proteine nei fagioli contro 30 gr del pollo, pari ad un terzo.
Proteine animali e vegetali: la qualità delle proteine
Ma non abbiamo ancora considerato la qualità proteica. Esistono diversi indici per definire la qualità delle proteine: il valore biologico, il rapporto di efficienza proteica e l’indice chimico; ne esistono anche altri, ma questi tre sono quelli più utilizzati ed è proprio in base a questi che si capisce come il livello qualitativo delle proteine vegetali sia minore di quello delle proteine di origine animale. Facciamo un altro esempio. La qualità proteica calcolata con il metodo C.U.D. (coefficente di utilizzazione digestiva) è il rapporto tra le proteine ingerite e quelle assorbite, ed ha un valore che va da 0 a 100. Se è 100 (albume d’uovo) la proteina è perfetta, di qualità altissima, perché tutta quella che si mangia la si assorbe; se è 0 (unghie, ad esempio) è come se non la mangiassimo affatto. Le proteine della carne di pollo hanno un valore di 80, per cui mangiando 100 gr di proteine ne assorbiamo 80; per i fagioli questo valore è 30, per cui mangiandone 100 gr ne assorbiamo solo 30. Il che significa che mangiando 100 gr di petto di pollo e 100 gr di fagioli otteniamo con il primo 30 gr, e per una qualità di 0,8 assorbiremo 24 gr di proteine. Mangiando 100 gr di fagioli lessi, invece, ne otteniamo 9 gr, per una qualità di 0,3 avremo 3 gr di proteine. Sono sempre 100 gr di prodotto, ma dalla carne di pollo otteniamo 8 volte le proteine che otteniamo dai fagioli. Dovremmo mangiarne 800 gr per tornare allo stesso valore. Se volete divertirvi a fare questo conteggio con altri alimenti, su internet e sui libri si trovano tranquillamente sia le tabelle qualitative delle proteine, sia le tabelle nutrizionali degli alimenti (sui sito INRAN) per cui potete divertirvi anche da soli a ripetere il conteggio che abbiamo appena fatto insieme.
Proteine vegetali e proteine animali: alternative vegetali alle proteine animali
La differenza tra le proteine animali e vegetali è evidente e le proteine di origine vegetale non sono un’alternativa a quelle di origine animale. I vegetariani devono sopperire alle carenze di alcuni amminoacidi essenziali integrandoli con quelli di sintesi o seguendo sempre e comunque una dieta equilibrata che comprenda latte, latticini, uova, legumi, soia e tutti i tipi di verdure e frutta, cereali e legumi di varietà differenti per assumere tutte le proteine di cui abbisogna il corpo. Il problema è ben più complicato per i vegani; il fabbisogno proteico per il nostro organismo è fornito solo da uno specifico mix di alimenti e a livello pratico non è semplice da applicare, perché sono poche le varietà vegetali da mangiare per ottenere il giusto apporto proteico e sempre in grandi quantità. Basti pensare che in un regime ‘onnivoro’ solo 1/3 delle nostro fabbisogno proteico è fornito da alimenti vegetali.
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Mangiare senza sale fa dimagrire o ingrassare?
Mangiare senza sale fa dimagrire o ingrassare? La risposta esiste: sì, aiuta a perdere peso, ma non è l’unico a dover essere limitato nella nostra dieta, considerato che c’è anche lo zucchero – molto pericoloso per la linea -, cibi spazzatura e quelli in scatola, grassi. Chi ha iniziato già a seguire seriamente una dieta ipocalorica sa bene che deve evitare di usare condimenti super-calorici per i propri piatti, evitando soprattutto di aggiungere tonnellate di sale e olio. Oltre a fare attenzione a quello che si mette in tavola, bisogna auto-convincersi che, per raggiungere il proprio peso forma e un fisico per niente flaccido, lo sport non deve mancare almeno tre giorni a settimana.
Ma perché il sale fa ingrassare?
Più che ingrassare, fa aumentare i chili sulla bilancia e c’è un motivo per cui ho fatto questa distinzione, una leggera sfumatura: il sale non genera massa grassa (quindi non fa ingrassare), ma provoca un accumulo di liquidi per via della sua capacità di legare le molecole di acqua e questo porta alla ritenzione idrosalina, pericolosa per chi soffre di cellulite, difficile da eliminare del tutto (ma non impossibile). Assumere troppo sale fa male alla salute, oltre che al peso-forma: l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha affermato che mangiare quattro o cinque volte sale durante tutto l’arco della giornata porta ad avere pressione alta, tumore allo stomaco, osteoporosi, problemi ai reni e al cuore, seri disturbi alla vista. C’è chi crede che mangiare senza sale fa male alla tiroide, ma anche per chi soffre di problemi tiroidei deve stare molto attento ai grammi di sale da utilizzare in cucina.
Quanti grammi da assumere ogni giorno?
Uomini e donne, in media, assumo tra gli 8 e i 10 grammi di sale. Troppi! L’ideale sarebbe usare 2 massimo 3 grammi di sale nei propri piatti, non di più, evitando così di aumentare il rischio delle malattie sopraccitate. Diminuendo notevolmente il sale, diminuisce anche il peso: senza troppo sale, l’organismo riesce a perdere persino 2 chili dopo quattro giorni e ciò è dovuto alla risoluzione della ritenzione idrosalina. In un mese, si possono abbattere anche 6 chili, se ovviamente a queste accortezze vengono affiancate attività sportive da svolgere regolarmente: anche una semplice passeggiata ha i suoi benefici!
Mangiare senza sale fa dimagrire: quello che devi sapere
- Il sale non deve mai mancare nella nostra dieta perché il sodio svolge un’azione importante per il nostro organismo: allevia i dolori reumatici, rende più attivo il cervello, evita i crampi muscolari;
- Mangiare con poco sale si dimagrisce davvero perché si evita la ritenzione idrosalina;
- Per perdere peso bisogna limitare sale, zucchero, grassi e cibi spazzatura;
- Lo sport è fondamentale per dimagrire, non solo la riduzione del sale;
- Il sale può provocare malattie cardiovascolari, osteoporosi e tumore allo stomaco;
- Bisogna assumere all’incirca 3 g di sale al giorno;
- Riducendo il sale, si possono perdere anche sei chili in un mese.
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Inverti il primo piatto con il secondo: il segreto della dieta anti-diabete
La lotta al diabete si combatte a tavola, ha i sapori della dieta mediterranea e stravolge la struttura del menù: il primo piatto diventa il secondo e viceversa, perché mangiare proteine e lipidi prima dei carboidrati aiuta a domare la glicemia evitando picchi dopo i pasti. Meglio dunque invertire l’ordine delle portate, mentre i più conservatori potranno cominciare con un antipasto ‘carbo-free’ (qualche scaglia di grana o un’entrée a base di uova sode) e, solo dopo, passare allo spaghetto. A riscrivere ‘la carte’ sono gli ultimi consigli che arrivano dal 26esimo Congresso della Società italiana di diabetologia (Sid), in corso a Rimini. Novità e conferme: pesce azzurro e olio d’oliva restano promossi a pieni voti.
“La dieta costituisce un vero e proprio strumento terapeutico che affianca la terapia farmacologica durante tutto il decorso della malattia diabetica”, spiega Giorgio Sesti, presidente eletto della Sid. Una dieta ‘doc’, infatti, non solo tiene a bada l’ago della bilancia, ma permette anche di “migliorare il controllo glicemico e di prevenire eventi cardiovascolari attraverso la riduzione dei fattori di rischio” come la pressione alta o livelli fuori soglia di grassi nel sangue. Mangiare sano non significa sacrificare il gusto: “Un ottimo esempio è la dieta mediterranea, non a caso inserita dall’Unesco tra i Patrimoni culturali immateriali dell’umanità”, ricorda lo specialista.
Non è solo cardioprotettiva. Secondo due studi presentati al meeting romagnolo, è anche anti-infiammatoria e ringiovanisce le arterie favorendo il ricambio delle cellule che le foderano internamente. “Via libera dunque a frutta e verdura, specie a foglia (bieta, spinaci, broccoletti e cicorie compresi i radicchi) e ortaggi a radice (carote, barbabietole, rape) – elenca Sesti – ma anche a pomodori e carciofi, veri e propri nutraceutici. Come fonte di carboidrati preferire vegetali, legumi, frutta e cereali integrali, mentre sono da limitare pane bianco, pizza e pasta”. Pochi grassi animali, un filo d’olio evo e il pranzo anti-diabete è servito.
ANTIPASTO CARBO-FREE. Per non sbagliare l’importante è partire con il piede giusto e lo dimostra un piccolo studio dell’università di Pisa, condotto su 8 pazienti con diabete di tipo 2 ben controllato, a cui sono stati serviti 50 grammi di parmigiano, un uovo sodo e acqua, prima di essere sottoposti a test del carico orale di glucosio. La conclusione è che iniziare con un antipasto a base di proteine e lipidi migliora sensibilmente la tolleranza a un successivo pasto ricco di glucidi.
IL SECONDO PRIMA DEL PRIMO. Lo stesso gruppo di ricercatori pisani, del Dipartimento di medicina clinica e sperimentale, ha verificato su 17 pazienti con diabete 2 che modificare l’ordine di ingestione dei nutrienti (prima proteine e lipidi, poi i carboidrati) migliora la risposta glicemica a un successivo carico orale di glucosio, rallentando l’assorbimento intestinale dello zucchero, potenziando la funzione delle beta-cellule pancreatiche che fabbricano insulina, con un metabolismo più favorevole dell’ormone stesso.
PESCE AZZURRO SCUDO PER LE ARTERIE. Un esperimento su 17 diabetici di tipo 2, condotto dai centri ricerca di Assoittica e Federpesca, ha valutato l’effetto di un pasto a base di acidi grassi omega-3 sui livelli di ossido nitrico allarga-arterie (NO) e sulla funzione dell’endotelio che riveste internamente i vasi. Confrontando un secondo a base di alici (circa un etto e mezzo) con 60 grammi bresaola, gli autori hanno concluso che rispetto al piatto di terra quello di mare possa contribuire a ridurre il rischio di aterosclerosi, attraverso una maggiore produzione di NO e una migliore funzione endoteliale immediatamente dopo aver mangiato.
OLIO D’OLIVA DOMA-GLICEMIA. Uno studio dell’università Federico II di Napoli ha voluto verificare su 13 pazienti con diabete di tipo 1 se anche la qualità dei grassi, oltre alla quantità, e la loro interazione con i carboidrati possano influenzare la riposta glicemica post-prandiale. Il risultato è che usare l’olio d’oliva per condire un pasto ad alto contenuto glicemico ‘spiana’ il picco di zuccheri nel sangue che si verifica invece con il burro, o nei pasti a basso contenuto di grassi.
DIETA MEDITERRANEA ELISIR DI GIOVINEZZA CARDIOVASCOLARE. Esaminando 215 pazienti con diabete di tipo 2, ricercatori della Seconda università di Napoli hanno osservato da un lato che la dieta mediterranea influenza le capacità rigenerative delle arterie, aumentando il livelli circolanti di cellule progenitrici endoteliali che mantengono giovani le ‘autostrade del sangue’. Inoltre, hanno calcolato che mangiare ‘tricolore’ riduce del 37% la proteina C reattiva (Pcr, spia di infiammazione) e aumenta del 43% l’adiponectina (un ormone ‘buono’ per cuore e vasi, prodotto dal tessuto adiposo). L’effetto si mantiene nel tempo, anche a distanza di 8 anni, ma solo per chi resta fedele al regime alimentare nostrano.
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Cosa sono e qual è la differenza tra massa magra e massa grassa? Tutte le percentuali di grasso, ossa e muscoli
Massa magra
Con massa magra (o LBM, acronimo dall’inglese Lean Body Mass) in medicina si intende la parte di massa di un organismo che esclude il grasso di deposito (acqua, proteine, minerali, glucidi, grasso essenziale). Si esprime in percentuale quando è intesa in riferimento al peso complessivo dell’organismo. Quando si intende definire la massa magra escludendo anche il grasso primario, si parla più precisamente di Massa magra alipidica, o FFM, dall’inglese Fat Free Mass. Il grasso primario costituisce circa il 3% della massa corporea maschile ed il 12% di quella femminile, valori inferiori non sono compatibili con uno stato di buona salute generale. Le componenti della massa magra sono:
- massa proteica;
- glicogeno;
- acqua;
- minerali;
- grasso primario.
La maggior parte della massa magra è costituita da acqua, che, in dipendenza da sesso ed età, è tra il 40 ed il 70% del peso corporeo.
Circa il 50% della massa magra è costituito da muscoli, mentre le ossa rappresentano circa il 20% della massa magra.
Esistono due differenti criteri per valutare la componente magra del corpo:
- la massa magra o lean body mass (LBM), la quale rappresenta tutto ciò che resta dell’organismo dopo averlo privato del solo grasso di deposito (tessuto adiposo), ma include il grasso primario, che costituisce circa il 3% della massa corporea maschile ed il 12% di quella femminile. Esso risulta fondamentale per la salute dell’individuo e non può essere intaccato, se non in minima parte, dal dimagrimento. Questa componente protegge gli organi interni, ed è rappresentato nel sistema nervoso centrale, nel midollo osseo, nei reni, nella milza, nelle ghiandole mammarie ed è presente in vari altri tessuti, nonché in tutte le membrane cellulari, di natura fosfolipidica. Per tali motivi la LBM non esclude completamente la componente lipidica.
- la massa magra alipidica o fat free mass (FFM), rappresenta ciò che resta dell’organismo dalla privazione di tutta la componente lipidica, compreso il grasso primario o essenziale.
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Massa grassa
Con massa grassa (o FM, acronimo dall’inglese Fatty Mass) si intende la parte di massa (peso) di un organismo costituita dall’organo adiposo, ovvero dal grasso corporeo. La parte restante di massa è definita massa magra. La massa grassa comprende a sua volta il tessuto adiposo bianco, il tessuto adiposo bruno, i trigliceridi intramuscolari e il grasso essenziale.
La massa grassa si definisce per la quantità di lipociti (anche chiamate “adipociti”, cioè le cellule adipose) ed il loro grado di riempimento. La quantità di lipociti in un organismo dipende di fattori genetici e ormonali, mentre il riempimento varia (secondo le funzioni di scorta) a seguito di stati di nutrizione ipo- o ipercalorica, attività fisica, farmaci e altro. Fattori che promuovono proliferazione e riempimento dei lipociti, a lungo andare, portano ad essere in sovrappeso od obesi, fattori che fanno deperire i lipociti portano invece ad essere sottopeso.
La percentuale di massa grassa ideale varia in funzione del sesso e, in maniera minore, dell’età. La misurazione della massa grassa è importante in dietologia perché permette di determinare con precisione una condizione di sovrappeso o di sottopeso. Infatti il solo peso corporeo (espresso come indice di massa corporea) non tiene conto dell’ossatura e della muscolatura: un soggetto dotato di muscolatura e/o ossatura possente potrebbe apparire sovrappeso pur essendo in effetti normopeso.
La percentuale di massa grassa (in funzione del peso corporeo di un individuo), detta anche “Body Fat Mass” dall’inglese, dovrebbe restare intorno a dei precisi valori, che nelle donne sono leggermente maggiori poiché esse hanno del tessuto adiposo in più nelle mammelle. La massa grassa in aggiunta a quella essenziale viene chiamata grasso di deposito poiché funge da riserva di energia per il nostro organismo nei casi di necessità, pertanto avere anche una ridotta quantità di grasso di deposito è fondamentale per mantenersi forti ed in buona salute. Tuttavia, come già detto sopra, un eccesso di massa grassa è un fattore di rischio per varie malattie cardiovascolari ed abbassa notevolmente il metabolismo. In sintesi, bisogna mantenerla ad una percentuale corretta.
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Valori di massa grassa
Di seguito sono riportati i valori di massa grassa in percentuale, rapportati all’età ed alla corrispondente forma fisica.
UOMO:
Grasso essenziale
- Età 20-39: 3-4%
- Età 40-59: 4-5%
- Età più di 60: 5-6%
Sottopeso
- Età 20-39: 5-7%
- Età 40-59: 6-8%
- Età più di 60: 7-10%
Forma atletica
- Età 20-39: 8-12%
- Età 40-59: 9-13%
- Età più di 60: 11-15%
Forma buona
- Età 20-39: 13-16%
- Età 40-59: 14-18%
- Età più di 60: 16-20%
Forma accettabile
- Età 20-39: 17-20%
- Età 40-59: 19-23%
- Età più di 60: 21-25%
Sovrappeso
- Età 20-39: 21-26%
- Età 40-59: 24-29%
- Età più di 60: 26-31%
Obesità
- Età 20-39: 27% o più
- Età 40-59: 30% o più
- Età più di 60: 32% o più.
DONNA:
Grasso essenziale
- Età 20-39: 10-11%
- Età 40-59: 11-12%
- Età più di 60: 12-13%
Sottopeso
- Età 20-39: 12-14%
- Età 40-59: 13-15%
- Età più di 60: 14-17%
Forma atletica
- Età 20-39: 14-20%
- Età 40-59: 16-22%
- Età più di 60: 18-24%
Forma buona
- Età 20-39: 21-24%
- Età 40-59: 23-27%
- Età più di 60: 25-29%
Forma accettabile
- Età 20-39: 25-28%
- Età 40-59: 28-31%
- Età più di 60: 30-33%
Sovrappeso
- Età 20-39:29-34%
- Età 40-59: 32-37%
- Età più di 60: 34-39%
Obesità
- Età 20-39: 35% o più
- Età 40-59: 38% o più
- Età più di 60: 40% o più.
Nota importante: una “forma fisica atletica” è definita, oltre che dalle percentuali di massa grassa indicate, dalla presenza simultanea di una buona massa muscolare. In caso quest’ultima fosse scarsa o ridotta, il fisico risulterebbe “magrolino” e debole, quasi sottopeso; pertanto in questo caso si deve parlare di “magrezza” e non di forma atletica. Invece – a prescindere da quanti muscoli si abbiano – le percentuali di grasso indicate nella colonna del sottopeso sono troppo esigue e non salutari IN OGNI CASO.
RAGAZZI 15-19 ANNI
Per gli adolescenti i valori riportati di seguito non sono completamente accurati , ma devono solo dare un’idea generale della composizione corporea, in aggiunta alle tabelle dei percentili dell’IMC. I valori della seguente tabella si riferiscono a ragazzi e ragazze che abbiano completato le tappe principali dello sviluppo puberale. In piena pubertà, o in età prepuberale, i singoli bambini vanno considerati come caso a sé, e non ha senso seguire delle tabelle come per gli adulti.
MASCHIO
- Grasso essenziale: 3-4%
- Sottopeso: 5-9%
- Normopeso: 10-17%
- Sovrappeso: 18-24%
- Obesità: 25% o più.
FEMMINA
- Grasso essenziale: 10-11%
- Sottopeso: 12-16%
- Normopeso: 17-25%
- Sovrappeso: 26-32%
- Obesità: 33% o più.
Differenza tra massa magra e grassa
Da quanto esposto, la differenza appare chiara: il valore di massa magra indica il peso di tutto quello che nel nostro corpo è massa muscolare, ossa, acqua, grasso primario, tendini… tutto tranne il grasso corporeo (non quello primario), che invece viene conteggiato nella massa grassa.
Per approfondire:
- Percentuale di grasso corporeo normale per uomo e donna
- Qual è la giusta percentuale di grasso che dobbiamo avere nel corpo?
- La dieta ti sta facendo perdere massa magra o massa grassa? Scoprilo con la bioimpedenziometria
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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine
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