Nevrastenia (esaurimento nervoso): cause, diagnosi, cure

MEDICINA ONLINE HEAD PAIN DOLORE FASTIDIO MAL DI TESTA GLICEMIA, CALO ZUCCHERI PRESSIONE ARTERIOSA IPOTENSIONE DONNA TEMPIE STANCHEZZA TIRED WALLPAPER PIC PICTURE HI RES EMICRANIA AURA DCon il termine “nevrastenia” (anche chiamata “scompenso nervoso”, “astenia mentale”, “astenia nervosa” o Continua a leggere

Fotosintesi clorofilliana: riassunto, schema delle fasi, spiegazione semplice

La fotosintesi clorofilliana è un processo biochimico fondamentale per la sopravvivenza delle piante, poiché consente loro di convertire l’energia proveniente dal sole in Continua a leggere

Glicolisi in biochimica: riassunto, schema, spiegazione semplice

Il glucosio (C6H12O6) è lo zucchero più diffuso nel nostro pianeta e gli esseri viventi sono in grado di metabolizzarlo attraverso la glicolisi (pronuncia corretta: “glicolìsi”), che rappresenta la prima via di Continua a leggere

Ciclo di Krebs e respirazione cellulare: spiegazione facile e schema

La respirazione aerobica è il processo che permette di sfruttare il contenuto energetico delle molecole utilizzate nel metabolismo. Per questa via metabolica è necessaria la presenza dell’ossigeno e per questo motivo l’apparizione degli organismi fotosintetici ossigenici è stato un passaggio fondamentale nell’evoluzione dei viventi. La respirazione permette infatti di ossidare il piruvato proveniente dai processi di glicolisi, sfruttando così al massimo il contenuto energetico iniziale del glucosio, zucchero esoso intorno al quale ruota il metabolismo centrale della maggior parte degli esseri viventi.

Negli eucarioti gli enzimi di che intervengono in queste reazioni si trovano nei mitocondri, dove avviene il ciclo di Krebs, o ciclo dei TCA (acidi tricarbossilici) e ciclo dell’acido citrico. Il ciclo è costituito da 8 passaggi. Ma prima di inserirsi in questa via, il piruvato deve essere trasportato attraverso la doppia membrana del mitocondrio, sin nella parte più interna, chiamata matrice mitocondriale. Il piruvato viene poi trasformato in acetilcoenzima A (AcetilCoA) dall’enzima piruvato deidrogenasi, liberando CO2 e NADH. Questo passaggio è necessario, poiché l’energia contenuta nel legame tioestere (che coinvolge uno zolfo) fra l’acetile e il coenzima A viene usata per il legame con l’ossalacetato, uno degli intermedi del ciclo di Krebs. In quanto ciclo, non si può dire che esso abbia un vero substrato di partenza e un vero prodotto di arrivo.
I vari passaggi di ossidazione, catalizzati dalle deidrogenasi, producono cofattori ridotti: 3 NADH e 1 FADH2 per ogni piruvato utilizzato, il doppio per ogni glucosio, dato che la glicolisi permette di ottenere 2 molecole di piruvato per ogni glucosio. Gli altri prodotti ottenuti sono 2 CO2 (che diffonde dalle membrane) e 1 GTP (guanosintrifosfato) dal quale indirettamente si ottiene 1 ATP.

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Il ciclo di Krebs è costituito da 8 reazioni catalizzate da enzimi, i cui intermedi sono spesso substrato di altre vie metaboliche: per questo motivo è necessario che la cellula li sostituisca mediante reazioni di “riempimento” chiamate reazioni anaplerotiche.

  1. L’acetilCoA sintetizzato dalla decarbossilazione ossidativa del piruvato reagisce con l’ossalacetato, ottenendo il citrato. La reazione è catalizzata dall’enzima citrato sintasi, che libera coenzimaA, nuovamente disponibile per la piruvato deidrogenasi.
  2. Il citrato viene trasformato nel suo isomero isocitrato dall’enzima aconitasi, con la formazione di un intermedio insaturo chiamato cis-aconitato.
  3. L’isocitrato viene ossidato ad α-chetoglutarato dall’enzima isocitrato deidrogenasi, che utilizza NAD+ come cofattore, il quale viene ridotto a NADH.
  4. L’α-chetoglutarato viene a sua volta ossidato a succinilCoA dall’enzima α-chetoglutarato deidrogenasi, un complesso che utilizza anche il coenzimaA e il NAD+ per completare la reazione.
  5. Il succinilCoA perde il coenzimaA, liberando l’energia necessaria per la fosforilazione a livello del substrato del GDP a GTP, in una reazione catalizzata dalla succinilCoA sintetasi, che libera succinato.
  6. Il succinato viene ossidato a fumarato dall’enzima succinato deidrogenasi, liberando FADH2 a partire da FAD.
  7. Il fumarato subisce l’aggiunta di una molecola d’acqua (idratazione) ottenendo L-malato, mediante l’enzima fumarato idratasi.
  8. L-malato viene ossidato a ossalacetato dall’enzima malato deidrogenasi, liberando NADH.

MEDICINA ONLINE CICLO DI KREBS ACIDI TRICARBOSSILICI.jpg

Visto che non risulta conveniente coinvolgere così tanti enzimi per guadagnare solo 1 ATP, la cellula sfrutta i cofattori ridotti accumulati nella glicolisi e nel ciclo di Krebs per produrre altro ATP. Sulla membrana interna sono presenti un gruppo di proteine integrali che svolgono il ruolo di deidrogenasi. Esse sono in grado di ossidare il NADH e il FADH2 e di utilizzare l’energia potenziale degli elettroni che da essi ottengono, i quali derivano in origine dall’ossidazione del glucosio e del piruvato. Queste proteine sono enzimi che vengono chiamati nel loro insieme catena di trasporto degli elettroni.

  1. Il complesso I, chiamato anche NADH:ubichinone deidrogenasi, catalizza il trasferimento degli elettroni dal NADH all’ubichinone (coenzima Q): il NADH si ossida a NAD+, mentre l’ubichinone risulta ridotto a ubichinolo. Il complesso di più di 40 proteine contiene un centro ferro-zolfo (Fe-S), in grado di facilitare il trasferimento degli elettroni.
  2. Il complesso II è in realtà uno degli enzimi del ciclo di Krebs, ovvero la succinato deidrogenasi, che catilizza la reazione n°6. Questo complesso ha un funzionamento simile al complesso I, in quanto il complesso II catalizza il passaggio di elettroni dal FADH2 all’ubichinone, ottenendo FAD ossidato e coenzima Q ridotto.
  3. Il complesso III viene chiamato anche ubichinone:citocromo c ossidoreduttasi, e catalizza il trasferimento di elettroni dall’ubichinolo al citocromo c, che risulta ridotto.
  4. Il complesso IV, chiamato citocromo ossidasi, trasferisce gli elettroni all’ossigeno (O2), riducendolo a H2O. Senza l’ossigeno, accettore finale degli elettroni, la cellula non sarebbe in grado di smaltire gli elettroni: per questo motivo la sua presenza (e quindi l’aerobiosi) è fondamentale.

I complessi I, III e IV sono in realtà delle pompe protoniche in grado di sfruttare l’energia delle reazioni redox che catalizzano per trasportare protoni (H+) dalla matrice allo spazio intermembrana, creando così un gradiente di concentrazione ad alta energia potenziale. I protoni infatti subiscono forte repulsione elettrostatica e cercano una “valvola di sfogo” per allontanarsi, cedendo la propria energia a qualcun altro.
L’enzima ATP sintasi, anch’esso nella membrana interna del mitocondrio, è in grado di usare questo gradiente per legare un gruppo fosfato all’ADP, sintetizzando l’ATP, la cui energia è proprio contenuta nel legame dell’ultimo gruppo fosfato, che qui si forma. Questo tipo di aggiunta di un gruppo fosfato viene chiamato fosforilazione ossidativa. La reazione completa, a partire dal glucosio e comprendendo quindi la glicolisi e la catena di trasporto degli elettroni, è la seguente:

C6H12O6 + 6O2 → 6CO2 + 6H2O + 36 (o 38) ATP

MEDICINA ONLINE CATENA DI TRASPORTO DEGLI ELETTRONI BIOCHIMICA RESPIRAZIONE CELLULARE.jpg

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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Differenza tra livello energetico ed orbitale

MEDICINA ONLINE ATOMO ELETTRONE ORBITA ORBITALE LIVELLO ENERGETICO ELETTRONE NUCLEO PROTONE NEUTRONE FOTONE RAGGIO RADIAZIONE LUCE VELOCITA CHIMICA DIFFERENZA STRUTTURA BOHR RELATIVITA GSintesi: l’orbita è una traiettoria definita; l’orbitale è una funzione matematica che ci consente di stabilire dove è più probabile trovare l’elettrone nello spazio intorno al nucleo; il livello energetico indica la quantità definita di energia che possiede l’elettrone quando ruota attorno al nucleo dell’atomo.

Secondo il modello atomico proposto da Bohr agli inizi del secolo scorso, l’elettrone ruota attorno al nucleo atomico descrivendo un’orbita circolare; ad ogni elettrone corrisponde un’orbita ben precisa, cioè un percorso definito che, se l’atomo non assorbe o non emette energia, non varia nel tempo. Gli elettroni che percorrono tali orbite possiedono una quantità ben definita di energia: devono infatti muoversi ad una certa velocità per contrastare la forza elettrica attrattiva che il nucleo, carico positivamente, esercita su di essi, avendo gli elettroni carica elettrica negativa; se gli elettroni fossero fermi non avrebbero altro destino che di essere risucchiati dal nucleo.

Alla quantità ben definita di energia che possiede l’elettrone quando ruota attorno al nucleo si dà il nome di livello energetico dell’orbita; quindi l’orbita corrisponde al percorso che l’elettrone effettua attorno al nucleo mentre il livello energetico corrisponde alla quantità di energia che l’elettrone deve possedere per percorrere quella particolare orbita.

Il termine orbitale è stato invece introdotto con un successivo, e molto più complesso, modello atomico, il modello quantomeccanico dell’atomo. La meccanica quantistica è una teoria della fisica moderna in grado di descrivere il comportamento di particelle piccolissime, come gli elettroni, per le quali non valgono le leggi della fisica classica. La meccanica quantistica dimostra che non è possibile definire la traiettoria di un elettrone, motivo per cui è necessario abbandonare il concetto di orbita percorsa da un elettrone. Al suo posto compare il concetto di orbitale atomico, una complicata funzione matematica che ci consente di ricavare informazioni sulla posizione dell’elettrone, ma soltanto in termini di probabilità della sua presenza in un certo spazio intorno al nucleo. Per esempio, mentre secondo Bohr l’elettrone dell’atomo di idrogeno percorre un’orbita circolare intorno al nucleo e ad una certa distanza da esso (e può trovarsi quindi soltanto su uno dei punti dell’orbita stessa), secondo la meccanica quantistica l’elettrone dell’idrogeno può trovarsi in un punto qualsiasi dello spazio sferico intorno al nucleo, con una probabilità di presenza che è molto alta nella zona più vicina al nucleo e che diventa via via più bassa man mano che ci si allontana dal nucleo.

Ogni orbitale ci consente di descrivere il comportamento di non più di due elettroni; per descrivere gli atomi polielettronici servono quindi più orbitali atomici. Essi si differenziano prima di tutto per il valore di energia (così come per l’orbita, anche a ciascun orbitale corrisponde uno specifico livello energetico), poi per la forma della zona di spazio in cui è grande la probabilità di rinvenire l’elettrone e per l’orientamento nello spazio di tale zona (sui libri di testo di chimica trovi spesso le rappresentazioni di alcuni di tali orbitali). Quando gli orbitali atomici presentano valori simili di energia, ma diversa forma e orientamento nello spazio, si dice che appartengono a diversi sottolivelli energetici. Devi quindi immaginare che gli elettroni di un atomo polielettronico siano distribuiti a distanze via via crescenti dal nucleo e che siano concentrati più a certe distanze dal nucleo che ad altre, cioè più in certe fasce che in altre. All’aumentare della distanza aumenta il valore di energia dell’elettrone, cioè aumenta il suo livello energetico, e aumenta anche il numero di elettroni che può trovarsi nella stessa fascia. Gli elettroni che si trovano in una stessa fascia, che appartengono cioè ad uno stesso livello energetico, ma che occupano zone di spazio differenti, hanno valori di energia leggermente diversi e appartengono per questo a sottolivelli energetici diversi.

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Si può produrre energia dalle feci?

MEDICINA ONLINE LABORATORIO BLOOD TEST EXAM ESAME DEL SANGUE FECI URINE GLICEMIA ANALISI GLOBULI ROSSI BIANCHI PIATRINE VALORI ERITROCITI ANEMIA TUMORE CANCRO LEUCEMIA FERRO FALCIFORME MSi può produrre energia dalle feci? Si, le feci possono essere utilizzate per produrre corrente elettrica.

In un gran numero di aree del mondo, caratterizzate da penuria di carburante vegetale o fossile, lo sterco di animali erbivori (dromedari, bovini, equini) trova un importante utilizzo come carburante.

Per lo più esso viene fatto disseccare al sole dopo averlo mescolato con paglia, dandogli forme che ne consentano un più facile trasporto. Per esempio in Arabia o in Egitto, caratterizzati da una scarsità eccezionale di legname e di altro materiale utile ad essere bruciato per ricavarne calore, allo sterco viene fatta assumere una forma discoidale ed è chiamato aqrāṣ ǧilla.

In Cina sono oltre 20 milioni le abitazioni dotate di un sistema di produzione del biogas dagli scarichi del wc.

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Differenza tra proteine animali e vegetali: quali sono le migliori?

Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Specialista in Medicina Estetica ASSUMI VITAMINA D SINTOMI CARENZA CIBI  Roma Cavitazione Pressoterapia Linfodrenante Dietologo Cellulite Calorie Pancia Sessuologia Sesso Pene Laser Filler Rughe Botulino 1Cominciamo dalla prima, quasi banale, differenza: le proteine di origine vegetale sono contenute in tutti gli alimenti di origine vegetale, come ad esempio:

  • legumi,
  • alcuni tipi di verdura,
  • cereali.

Le proteine animali sono presenti invece soltanto negli alimenti di origine animale, come ad esempio:

  • carne,
  • pesce,
  • latte,
  • latticini,
  • formaggi,
  • uova.

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Legumi
Iniziamo dai legumi, che ne sono i più ricchi, in particolare la soia e i fagioli. Tutti i legumi hanno la particolarità di trattenere nelle radici un batterio simbionte detto rizobio in grado di fissare l’azoto presente nell’aria e trasformarlo in amminoacidi che vengono assorbiti dalla pianta. Così tutti i tipi di legumi (dai fagioli alla soia, dall’erba medica alla mimosa, che sono tutti legumi) risultano particolarmente ricchi di proteine vegetali. I fagioli poi sono quelli che, per clima, per attidudine del terreno, e anche per produttività, sono più semplici da coltivare, e vengono scelti anche perché fanno molto bene al terreno (lo riempiono di azoto che viene poi ‘risucchiato’ da colture impoverenti come quelle dei cereali) e questo ha garantito il loro successo nel corso degli anni. Oggi, in un’epoca in cui certo non abbiamo carenza proteica, possiamo mettere da parte la carne e gli alimenti di origine animale, per consumare solo alimenti vegetali: ma a livello nutrizionale le proteine animali e vegetali sono la stessa cosa? Davvero le proteine vegetali possono sostituire la carne?

Proteine animali e vegetali: differenze nutrizionali
Per quanto riguarda il contenuto di amminoacidi essenziali, in generale le proteine animali possono essere considerate complete e quelle vegetali sono incomplete. Assumere proteine da fonti vegetali è importante e le carenze di eventuali amminoacidi possono essere superate utilizzando appropriate associazioni alimentari, ad esempio legumi e cereali, perché si completano tra loro: gli amminoacidi di cui è carente la pasta vengono forniti dai fagioli e viceversa. Sul fronte della digeribilità le proteine vegetali valgono meno di quelle animali (soprattutto quelle dei cereali), avendo un coefficiente di digeribilità, che indica la percentuale effettivamente assorbita, molto più basso: ad esempio i legumi sono al 30% rispetto a carne (80%) e uova (100%). Infine, non dimentichiamo che negli alimenti di origine vegetale è basso il livello di ferro e con i vegetali si assume poca vitamina B12 (una vitamina che svolge un ruolo fondamentale nella sintesi di emoglobina ma che è sintetizzata solo dagli animali). Quindi chi segue un regime alimentare vegetariano o vegano deve necessariamente integrare queste due sostanze.

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Proteine animali e vegetali: la quantità proteica contenuta negli alimenti
Parlare di “proteine” è un po’ come parlare di “casa”. Si fa presto a dire casa, ma le case vanno dalle capanne delle periferie di Rio de Janeiro alle ville di George Clooney: sfido a dire che queste due case siano uguali. E per le proteine il discorso non cambia. Una proteina è una catena di amminoacidi, che ne costituiscono i mattoni. Ci sono proteine lunghe e proteine corte, proteine costituite da amminoacidi migliori, per il nostro corpo, e da amminoacidi peggiori, ci sono proteine accartocciate e difficilissime da digerire (come la cheratina, che costituisce le nostre unghie) e proteine facili da digerire, ed ovviamente tutto dipende anche da quante e quali proteine ci sono in un alimento. A livello quantitativo ci sono cibi con più o meno proteine, ma non basta solo questo valore. E’ importante sapere come questi alimenti debbano essere prepararti e cucinati per essere mangiabili. E questi processi alterano e diluiscono la quantità originariamente contenuta nel cibo. Facciamo un esempio. I fagioli secchi contengono un 23,6% di proteine, quindi 23,6 gr per 100 gr di prodotto. Per fare un paragone e far capire come si esegue il calcolo abbiamo scelto un alimento che, così come si compra al supermercato, contiene praticamente la stessa quantità di proteine, il petto di pollo crudo, 23,3%. Facciamo conto che e abbiano tutti e due il 23%, per fare il conto in modo migliore. Quando arrivo a casa, questi due alimenti devo cuocerli, e i fagioli si devono anche ammollare per poterli mangiare. Così i fagioli assorbono acqua, che va a costituire peso nel legume, e quando questo è pronto, è gonfiato, le proteine non costituiscono più il 23%, ma sono il 9% all’incirca, sul prodotto reidratato. Mangiando 100 gr di fagioli (secchi e crudi sono immangiabili) ottengo 9 gr di proteine. Il petto di pollo va cotto, ma la cottura è molto veloce e lo scopo è proprio quello di eliminare acqua, così che le proteine saranno più concentrate e la loro percentuale maggiore: dal petto di pollo cotto, da 100 gr, otterrò circa un 30% di proteine, cioè 30 gr per 100 gr.  Per cui abbiamo: 9 gr di proteine nei fagioli contro 30 gr del pollo, pari ad un terzo.

Proteine animali e vegetali: la qualità delle proteine
Ma non abbiamo ancora considerato la qualità proteica. Esistono diversi indici per definire la qualità delle proteine: il valore biologico, il rapporto di efficienza proteica e l’indice chimico; ne esistono anche altri, ma questi tre sono quelli più utilizzati ed è proprio in base a questi che si capisce come il livello qualitativo delle proteine vegetali sia minore di quello delle proteine di origine animale. Facciamo un altro esempio. La qualità proteica calcolata con il metodo C.U.D. (coefficente di utilizzazione digestiva) è il rapporto tra le proteine ingerite e quelle assorbite, ed ha un valore che va da 0 a 100. Se è 100 (albume d’uovo) la proteina è perfetta, di qualità altissima, perché tutta quella che si mangia la si assorbe; se è 0 (unghie, ad esempio) è come se non la mangiassimo affatto. Le proteine della carne di pollo hanno un valore di 80, per cui mangiando 100 gr di proteine ne assorbiamo 80; per i fagioli questo valore è 30, per cui mangiandone 100 gr ne assorbiamo solo 30.  Il che significa che mangiando 100 gr di petto di pollo e 100 gr di fagioli otteniamo con il primo 30 gr, e per una qualità di 0,8 assorbiremo 24 gr di proteine. Mangiando 100 gr di fagioli lessi, invece, ne otteniamo 9 gr, per una qualità di 0,3 avremo 3 gr di proteine. Sono sempre 100 gr di prodotto, ma dalla carne di pollo otteniamo 8 volte le proteine che otteniamo dai fagioli. Dovremmo mangiarne 800 gr per tornare allo stesso valore. Se volete divertirvi a fare questo conteggio con altri alimenti, su internet e sui libri si trovano tranquillamente sia le tabelle qualitative delle proteine, sia le tabelle nutrizionali degli alimenti (sui sito INRAN) per cui potete divertirvi anche da soli a ripetere il conteggio che abbiamo appena fatto insieme.

Proteine vegetali e proteine animali: alternative vegetali alle proteine animali
La differenza tra le proteine animali e vegetali è evidente e le proteine di origine vegetale non sono un’alternativa a quelle di origine animale. I vegetariani devono sopperire alle carenze di alcuni amminoacidi essenziali integrandoli con quelli di sintesi o seguendo sempre e comunque una dieta equilibrata che comprenda latte, latticini, uova, legumi, soia e tutti i tipi di verdure e frutta, cereali e legumi di varietà differenti per assumere tutte le proteine di cui abbisogna il corpo. Il problema è ben più complicato per i vegani; il fabbisogno proteico per il nostro organismo è fornito solo da uno specifico mix di alimenti e a livello pratico non è semplice da applicare, perché sono poche le varietà vegetali da mangiare per ottenere il giusto apporto proteico e sempre in grandi quantità. Basti pensare che in un regime ‘onnivoro’ solo 1/3 delle nostro fabbisogno proteico è fornito da alimenti vegetali.

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Differenza tra mitocondri e cloroplasti

Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Estetico Medicina Estetica Roma COME UN FILO DERBA NELLASFALTO ED IL CEMENTO Pelle Cute Radiofrequenza Cavitazione Cellulite Pulsata Peeling Pressoterapia Linfodrenante Tecarterapia Dietologo DermatologoIl mitocondrio (in inglese “mitochondrion”, al prurale “mitochondria”) è un organello della cellula eucariote umana. E’ una vera e propria “centrale energetica” cellulare: produce l’energia necessaria per molte funzioni cellulari, quali il movimento ed il trasporto di sostanze. I mitocondri contengono gli enzimi necessari per far avvenire le reazioni chimiche che recuperano l’energia contenuta negli alimenti e l’accumulano in speciali molecole di adenosintrifosfato (ATP), nelle quali si conserva concentrata e pronta all’uso. Il compito dei mitocondri è quello di completare la demolizione delle molecole ingerite come fonte di energia. Infatti, nel citosol gli zuccheri vengono demoliti con reazioni che non utilizzano ossigeno, per cui la digestione è parziale e la resa in energia bassa. Nei mitocondri il metabolismo degli zuccheri (ma anche quello dei lipidi) si completa con la loro ossidazione (ciclo di Krebs). I prodotti di questa reazione vengono utilizzati dalla catena di trasporto degli elettroni per produrre molecole ad alta energia (ATP). In questo modo, l’energia immagazzinata nelle molecole di ATP è molto più alta: infatti da ogni molecola di glucosio vengono prodotte 36 molecole di ATP, mentre la glicolisi a livello del citosol ne produce soltanto 2.

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I cloroplasti (in inglese “chloroplast”, al plurare “chloroplasts”) sono organelli cellulari che si trovano invece negli organi fotosintetici delle piante (foglie e fusti verdi) e nelle alghe eucariotiche; in essi avviene il processo di fotosintesi clorofilliana e sono visibili al microscopio come corpuscoli di colore verde (dovuto alla clorofilla). All’interno di questi organuli si svolge il processo della fotosintesi clorofilliana: l’energia luminosa del sole viene catturata dai pigmenti di clorofilla (e non solo) e viene convertita in energia chimica (ATP e NADPH). Durante la fotosintesi viene liberato ossigeno tramite la fotolisi di molecole d’acqua, e ciò consente di rifornire di ossigeno l’atmosfera terrestre. Similmente ai mitocondri, la loro origine è avvenuta a causa di una endosimbiosi tra cellule eucariotiche e cianobatteri (procarioti fotosintetici) avvenuta circa 1 miliardo di anni fa, e per questo i cloroplasti posseggono un proprio genoma (di tipo batterico) e si riproducono nella cellula in maniera indipendente.

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