Cos’è una caloria? Che significano kJ e kcal? Calorie per 100 g o per porzione?

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO SUPERMERCATO MARKET CIBO SPESA CIBO CARRELLO COMPRARE ETICHETTA ALIMENTI DIETA (4)Quando si parla di nutrizione, ormai tantissime persone hanno imparato i principi base, dopo anni ed anni di diete, eppure quasi nessuno tra i miei pazienti riesce a rispondermi quando gli chiedo semplicemente: “Cos’è una caloria? Cosa significa kJ o kcal nelle etichette nutrizionali?“. 

Caloria, kcal e kJ

Dal punto di vista energetico i cibi sono caratterizzati dal loro contenuto calorico, cioè dalla quantità di energia che possono fornire all’organismo rispetto alla dose assunta. Come unità di misura del potere calorico degli alimenti si è scelta la kilocaloria (anche chiamata grande caloria ed abbreviata kcal), la quantità di calore necessaria per elevare da 14,5 a 15,5 °C un litro d’acqua. La piccola caloria è la quantità di calore necessaria per elevare da 14,5 a 15,5 °C un millilitro d’acqua. In scienza dell’alimentazione si usa la kcaloria (kcal) e spesso la si chiama semplicemente caloria:

1 kcal = 1 caloria nel linguaggio comune = 1.000 piccole calorie

Nel sistema internazionale l’unità di misura dell’energia è il joule. Per passare da kcal a kJ (1.000 joule) basta moltiplicare per 4,186.

1 kcal = 4,186 kJ

Dopo questa breve spiegazione è chiaro come la sigla kcal (kilocaloria) sia equivalente a ciò che comunemente chiamiamo caloria.

Calorie per 100 g o per porzione?

L’etichetta nutrizionale spesso inganna, confondendo due indicazioni: quelle per 100 g di alimento e quelle per porzione. Il risultato è che spesso molti si riferiscono alle indicazioni per porzione e giudicano una merendina ipocalorica perché per porzione apporta 75 calorie mentre un’altra ne apporta 90; peccato che la prima apporti 480 calorie per 100 g, mentre la seconda ne apporti solo 410.
La porzione della prima merendina non apporta meno calorie perché è meno calorica, ma perché è più piccola! Il segreto per non sbagliare mai è considerate sempre le indicazioni riferite ai 100 g e non alla porzione.

Leggi anche:

Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o unisciti al nostro gruppo Facebook o ancora seguici su Twitter, su Instagram, su YouTube, su LinkedIn, su Tumblr e su Pinterest, grazie!

Come perdere 2 kg di peso a settimana in modo rapido e sicuro

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO DIMAGRIRE GRASSO DIETA DIETOLOGIA CALORIE IPOCALORICA OBESO OBESITA SOVRAPPESO KG BILANCIA JEANS PANTALONIMolti miei pazienti vengono da me con parecchio peso da perdere e ben poco tempo a disposizione. Spesso sono pazienti che hanno provato molte diete tradizionali senza mai giungere a risultati concreti e duraturi, oppure sono pazienti che hanno bisogno urgentemente di perdere una grande quantità di peso. Un caso che mi è capitato poco tempo fa è stato quello di una ragazza che doveva sposarsi due mesi dopo ed era disperata perché non riusciva più ad indossare il vestito del matrimonio che aveva acquistato qualche mese prima perché, per lo stress dei preparativi per le nozze, era ingrassata ben 12 kg! In questo tipo di pazienti la terapia migliore per perdere peso in modo rapido, sicuro e senza il rischio di fallimento, è senza dubbio la Dieta Proteica. Questa metodologia, usata da anni da dietologi e nutrizionisti di tutto il mondo, prevede una forte riduzione  della quantità di zuccheri e grassi, attivando il fenomeno della chetogenesi controllata, a scapito delle riserve di grasso dell’organismo. La dieta proteica fu introdotta nel 1973 , grazie agli studi del prof. Blackburn  dell’università di Harvard, che elaborò il protocollo PSMF : Protein Sparing Modified Fasting. Da quel momento sono innumerevoli in tutto il mondo i successi legati a questa terapia, tra cui anche la ragazza che doveva sposarsi: grazie alla mia dieta proteica le ho fatto perdere quasi 14 kg in meno di due mesi ed il giorno delle nozze era bellissima nel suo abito bianco!

Come si svolge la visita?

Dopo la visita medica generale e la visione di esami ematici recenti, passi necessari per escludere eventuali controindicazioni alla Dieta Proteica, eseguo la valutazione delle misure antropometriche (peso,statura, indice delle masse corporee, circonferenze). Successivamente sottopongo il paziente ad una bioimpedenziometria per calcolare le masse corporee, l’idratazione ed il metabolismo basale. Dopo aver valutato tutti i dati raccolti, assegno al paziente una terapia dietologica basata sulla Dieta Proteica vera e propria. I controlli vengono effettuati una volta a settimana.

Come viene organizzata una Dieta Proteica?

La Dieta Proteica è uno schema piuttosto facile da seguire. Ecco un esempio tipico:

  1. Colazione: Caffè o tè senza zucchero +  1 busta proteica
  2. Metà mattina1 busta proteica
  3. Tarda mattina: 1 frutto (mela, pera, kiwi, arancia)
  4. Pranzo1 busta proteica + 300 g di verdura concessa
  5. Merenda: 1 frutto (mela, pera, kiwi, arancia)
  6. Cena1 busta proteica + 300 g di verdura concessa

La verdura concessa è: (cotta a vapore o lessa) broccoli, cavolfiori, cime di rapa, spinaci, zucchine, cicoria, melanzane, bieta, peperoni gialli e verdi, asparagi, insalata verde, finocchio, sedano. Condire con mezzo cucchiaio di olio d’oliva, sale, limone.
La verdura NON concessa è: pomodori, radicchio, carota, peperoni rossi, ravanelli

Accortezze importanti da seguire durante la dieta

Durante tutta la terapia il paziente dovrà bere giornalmente almeno due litri a scelta tra le seguenti bevande: acqua; tè verde; spremuta d’arancio o pompelmo; caffè senza zucchero. E’ importante assumere anche con integratore di vitamine e sali minerali. Estremamente importante è non assumere zuccheri di nessun tipo e nessun altro alimento non incluso nello schema. Lo schema proposto precedentemente può essere diverso in base alle vostre caratteristiche fisiche, ad esempio le buste proteiche possono essere cinque e non quattro. Le buste proteiche devono essere disciolte in acqua (e NON in altro liquido) ed assunte rapidamente. Le buste proteiche in commercio hanno i sapori più vari per venire incontro al vostro gusto (cioccolato, arancia, cibi salati…): io vi aiuterò nella scelta dell’integratore giusto per la vostra terapia.

Quali sono i vantaggi della Dieta Proteica?

  • Senso di sazietà che dura tutto il giorno;
  • Facilità di gestire la dieta. Non c’è bisogno di andare a fare una spesa mirata, di verificare le quantità esatte, di cuocere i cibi: quasi impossibile fare errori!
  • Facilità di assunzione del prodotto anche quando si è a lavoro in pausa pranzo;
  • Mantenimento della massa muscolare e di un alto metabolismo basale;
  • Minor rischio di intolleranze;
  • Maggiore assimilazione dei nutrienti;
  • Sicurezza del trattamento;
  • Facilità nel dimagrimento;
  • Economicità del trattamento in rapporto alla grande perdita di peso;
  • Rapidità del dimagrimento.

Come agisce la Dieta Proteica nell’organismo?

L’ipoinsulinemia, indotta dalla marcata riduzione degli zuccheri, va a provocare il catabolismo dei trigliceridi di riserva, i quali grazie all’azione della lipoproteina lipasi, si trasformano in acidi grassi liberi e glicerolo. Di quest’ultimo, il 10% viene ossidato a livello epatico per finire in glucosio, il resto apporta l’energia necessaria per la gluconeogenesi. Per quanto riguarda gli acidi grassi, il 40% viene direttamente usato dai muscoli, il resto subisce una betaossidazione a livello epatico, trasformandosi in 48 ore dall’inizio della dieta in corpi chetogeni. Questi, in presenza di insulina e glucosio, endogeno ed esogeno, si ricondenseranno a formare l’acetil-coenzima A, che finirà nel ciclo di Krebs per fornire energia alle cellule. L’ipoinsulinemia quindi , crea e favorisce la chetogenesi e la lipolisi, apportando energia a tutto l’organismo, senza intaccare la massa muscolare.

Quali sono le controindicazioni alla Dieta Proteica?

  • Grave insufficienza epatica e renale
  • Gravidanze e allattamento
  • Età inferiore ai 14 anni
  • Recenti incidenti vascolari (trombosi venosa profonda, ictus cerebrale, infarto del miocardio, arteriopatia obliterante degli arti inferiori)
  • Gravi alterazioni psichiatriche (psicosi maniacali, schizofrenia)
  • Diabete insulinodipendente
  • Celiachia.

Per quanto tempo può essere seguita la Dieta Proteica?

Ricerche effettuate in tutto il mondo, confermano che la Dieta Proteica, può essere proseguita – sotto stretto controllo medico – fino a 16 settimane consecutive.

Quanti kg di peso si perdono a settimana con la Dieta Proteica?

Una Dieta Proteica seguita in maniera costante porta ad una sicura perdita di peso, che oscilla tra non meno di 2 kg a 2,5 kg a settimana.

Leggi anche:

Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o unisciti al nostro gruppo Facebook o ancora seguici su Twitter, su Instagram, su YouTube, su LinkedIn, su Tumblr e su Pinterest, grazie!

Il sugo al pomodoro fa bene al cuore e combatte i tumori

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO PASTA DIETA MEDITERRANEA CUCINARE CIBO DIETA DIMAGRIRE CUCINA POMODORI (4)Il sugo al pomodoro fa bene alla salute grazie a 40 polifenoli antiossidanti racchiusi nei suoi ingredienti: è il risultato di uno studio spagnolo pubblicato su Food Chemistry, condotto da un gruppo di scienziati dell’Università di Barcellona che hanno confrontato diverse salse vendute al supermercato. Secondo gli autori della ricerca le virtù del sugo al pomodoro si nascondono nel mix di tutti i suoi ingredienti: agli antiossidanti del pomodoro si aggiungono quelli di olio, cipolla ed aglio.

Rosa Maria Lamuela, coordinatrice della ricerca, ha affermato: “Con 120 grammi di sugo aggiunto alla pasta si introducono dai 16 ai 4 milligrammi di polifenoli per porzione e dai 6 ai 10 milligrammi di carotenoidi. Questi composti sono molto utili e un loro consumo è correlato alla riduzione dei tumori e delle malattie cardiovascolari, come ha dimostrato lo studio PREDIMED (PREvention with a MEDiterranean Diet) nel quale si è valutata la frequenza dell’uso di sugo di pomodoro connessa con il rischio di patologie a cuore e vasi, senza però “misurare” esattamente che cosa, dentro all’alimento, sia responsabile dell’effetto protettivo. La nostra ricerca ha perciò individuato le sostanze responsabili dell’azione benefica del sugo”.

Leggi anche:

Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o unisciti al nostro gruppo Facebook o ancora seguici su Twitter, su Instagram, su YouTube, su LinkedIn, su Tumblr e su Pinterest, grazie!

Proprietà delle mele: un tesoro di vitamine, fibre e sali minerali

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO CHIRURGO MELE FRUTTA NATURA VITAMINE BUCCIA (5)Lo ammetto, insieme alla banana, la mela è uno dei miei frutti preferiti. E’ uno degli alimenti più importanti per la nostra alimentazione, basti pensare che la mela è uno dei primi frutti che viene utilizzato nello svezzamento, non solo per la facilità con cui può essere schiacciato per renderlo deglutibile, ma anche per il sapore gradevolmente dolce e aromatico che è fonte di piacevoli sensazioni gustative. Dal punto di vista della nutrizione del bambino questo frutto in particolare e i pomi in genere (mela e pera) uniti con il succo di agrumi, per prevenire l’imbrunimento della polpa, sono un’ottima fonte di nutrimento per l’elevato contenuto di acqua con zuccheri, acidi organici, vitamine, sali minerali e fibra, svolgono un ruolo importante anche nella regolazione della funzione intestinale. Vediamo oggi quali immensi tesori nasconde questo frutto semplice e meraviglioso.

Calorie, fruttosio e diabete

La mela, come tutta la frutta, rappresenta un alimento importante per ogni età. Il contenuto calorico della mela sbucciata è infatti di sole 50 Kcal in 100 g, ed è dovuto prevalentemente a zuccheri semplici (14 g/100 g di cui 8 g di fruttosio).
Gli zuccheri “semplici” diversamente dagli zuccheri “complessi” (amido, glicogeno, ecc.) non richiedono digestione e pertanto vengono assorbiti rapidamente per essere utilizzati a scopo energetico. Gli zuccheri sono importanti per la contrazione muscolare ed in particolare per il funzionamento di altri due tipi di cellule: quelle del cervello e dei globuli rossi del sangue che utilizzano prevalentemente il glucosio per il loro metabolismo. La presenza di fruttosio in quantità significative nei pomi (mela e pera) è di estrema importanza non tanto per il maggior potere dolcificante rispetto al glucosio, quanto per il fatto che il fruttosio non stimola direttamente la produzione di insulina e quindi influisce in modo marginale sulla glicemia. Per questo motivo i pomi possono essere consumati, in quantità adeguate, anche dai diabetici. Recenti studi dimostrano inoltre che una piccola dose di fruttosio, come quella assumibile da una porzione di frutta (150 g), in un pasto a base di cibi ad alto indice glicemico (dolci, pane, riso, pasta, ecc.) tende a ridurre la risposta glicemica poiché favorisce l’utilizzo del glucosio da parte del fegato.
Il glucosio è lo zucchero metabolico per eccellenza, presente nei cereali (nella forma polimerica di amido) e anche negli ortaggi e nella frutta (sia pure in minore quantità). La sua importanza nel metabolismo cellulare è tale che la quantità di glucosio presente nel circolo sanguigno viene mantenuta costante (70-120 mg/100 ml) mediante l’azione di ormoni tra di loro antagonisti: insulina e glucagone, entrambi prodotti dal pancreas. Dopo un pasto ricco di zuccheri si evidenzia una maggiore produzione cerebrale di serotonina che agisce sulla sensazione di benessere e svolge un’azione antidepressiva; questa situazione favorevole all’organismo, soprattutto al nostro umore, è dovuta al coinvolgimento dello zucchero nel trasporto del triptofano (precursore della serotonina) attraverso la barriera ematoencefalica e non si verifica dopo un pasto ricco di proteine.
È questo un buon motivo per mantenere le nostre abitudini alimentari mediterranee che si basano su di un regolare consumo di alimenti di origine vegetale ed in particolare di frutta e ortaggi.

Leggi anche: Mangia più mele e farai un sesso più appagante

Acidi organici e tannini

Interessante risulta essere anche la presenza nella mela di piccole quantità di acidi organici (0,25-0,5 g %): tra questi predomina l’acido malico (90%), mentre l’acido citrico contribuisce solo per il 10% e scarsa è la quantità di acido ascorbico che varia tra 5 e 20 mg % a seconda della varietà di mela. Queste quantità, anche se modeste, rappresentano nell’alimentazione giornaliera un’ottima fonte di micronutrienti (vitamine e sali minerali) soprattutto se la mela viene consumata fresca. Gli acidi organici insieme ai tannini (composti polifenolici) contribuiscono non solo alle proprietà organolettiche della mela, ma anche ai suoi effetti benefici sulla salute dell’uomo. I primi infatti sono importanti per la loro azione regolatrice sull’equilibrio acido-base del sangue e sulla tipologia dei microrganismi che popolano la flora batterica intestinale, mentre i secondi per le proprietà astringenti ed antiossidanti.

Leggi anche: La frutta è meglio sbucciarla o mangiarla intera? Come lavarla per eliminare batteri e pesticidi?

Fibra solubile ed insolubile

La polpa della mela contiene anche fibra, componente non nutriente in quanto non digeribile, ma che svolge un effetto protettivo sul nostro organismo regolando il tempo di transito intestinale del bolo alimentare, l’assorbimento di taluni nutrienti (glucosio, colesterolo, ecc.) e fornendo materiale nutritivo alla flora batterica intestinale. La fibra della frutta è costituita da due frazioni: quella insolubile (cellulosa, emicellulosa e lignina) che trattiene acqua e gas prodotti nell’intestino, aumentando così la massa fecale e velocizzando il transito; quella solubile (pectine), che nella mela è circa il 25% del totale, forma nell’intestino una massa gelatinosa che intrappola il glucosio modulandone l’assorbimento e quindi riducendo il picco glicemico dopo il pasto. Durante il transito nell’intestino la fibra solubile viene metabolizzata dalla flora batterica ottenendo due importanti risultati:
1) la proliferazione di microrganismi “buoni” favorevoli al nostro organismo e perciò detti “probiotici
2) la produzione di acidi grassi a catena corta (ac. acetico, propionico e butirrico) che abbassano il pH del colon neutralizzando le fermentazioni putride delle proteine indigerite e forniscono nutrimento per l’epitelio del colon.
La buccia della mela, contrariamente a quanto comunemente affermato, non ha un contenuto in nutrienti così importante da far preferire il consumo del frutto intero. La mela privata della buccia e del torsolo perde poco del valore nutritivo del frutto intero, solo una modesta parte di micronutrienti e di fibra, mentre mantiene il prezioso apporto in carotenoidi (circa 20 g/100 g).

Leggi anche:

Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o unisciti al nostro gruppo Facebook o ancora seguici su Twitter, su Instagram, su YouTube, su LinkedIn, su Tumblr e su Pinterest, grazie!

Siete attratti da cibi ipercalorici? La colpa è (anche) dei vostri geni

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO HAMBURGER PATATINE FRITTE PATATE PANINO FAST FOOD JUNK FOOD FRITTI DIETA DIMAGRIRE GRASSI (6)Alcuni miei pazienti mi dicono che proprio non riescono a resistere: i cibi ricchi di carboidrati e grassi, i “junk food” (che tradotto significa “cibo spazzatura“) come i panini pieni di maionese, le patatine fritte o le ciambelle, rappresentano per loro una attrazione troppo forte, col risultato che un mese di faticosa dieta, viene letteralmente azzerato in una abbuffata di un weekend. E’ un comportamento molto diffuso che oggi ha – in parte – una “scusante”. Se anche voi non riuscite a resistere ai cibi ipercalorici non fatevene (troppo) una colpa: essere attratti dai cibi ipercalorici può dipendere anche dal vostro corredo genetico.

La ricerca inglese

A tale risultato è giunta una ricerca condotta all’Imperial college di Londra, nella quale sono stati individuati due geni le cui alterazioni sarebbero responsabili dell’attrazione verso gli alimenti ad alto contenuto di zuccheri e grassi. I due geni in questione si chiamano FTO e DRD2. Il primo, se mutato, predispone all’obesità mentre il secondo regola il funzionamento nel cervello della dopamina, ormone che induce il senso di soddisfazione. Cosa succede se entrambi presentano una variante? Per scoprirlo i ricercatori inglesi hanno sottoposto una campione di quarantacinque uomini (età fra i 19 e i 55 anni) a un test con risonanza magnetica funzionale a immagini. Ai partecipanti, con indice di massa corporea compreso tra 19 e 53 Kg/m2 (quindi in tutto il range che copre dalla magrezza al normopeso fino all’obesità), sono state mostrate immagini di cibi mentre erano dentro all’apparecchio che monitorava l’attività del cervello, chiedendo anche di dare una valutazione su quanto si sentivano attratti da ogni alimento.

Il gene FTO rende i cibi irresistibili

Previa analisi del Dna dei soggetti, è risultato che quelli con il gene FTO mutato hanno mostrato un’intensa attività della corteccia orbito frontale, una zona del cervello coinvolta nei processi del senso di gratificazione, quando venivano loro mostrati cibi ipercalorici, mentre la stessa cosa non accadeva con immagini di alimenti con pochi zuccheri e grassi. Indipendentemente da età e peso corporeo, i soggetti con la variante di FTO hanno tutti valutato le immagini dei cibi grassi come molto attraenti. “Per la prima volta abbiamo constatato che in queste persone la visione di cibi ad alto contenuto di calorie provoca un incremento dell’attività dello striato (area del cervello dove risiedono recettori della dopamina e che si attiva con stimoli associati alla ricompensa, N.d.A.); questi soggetti hanno mostrato anche una variazione del gene DRD2, in grado di alterare il normale sistema di regolazione della dopamina nel cervello” spiega il dottor Tony Goldstone, endocrinologo a capo del team che ha condotto lo studio.

Forse spiegato il perché alcuni non riescono a seguire una dieta

Insomma, l’alterazione di questi due geni “programma” il cervello in modo da far sentire il desiderio di roba dolce e grassa e di percepire senso di ricompensa verso questi cibi tramite i segnali inviati dalla dopamina. È dunque possibile che chi ha queste varianti genetiche non risponda ai normali trattamenti contro l’obesità: ecco forse spiegata l’incapacità per alcune persone di seguire una dieta. Sono i geni mutati i responsabili. “I risultati di questo studio ci aiutano a comprendere meglio le basi biologiche che inducono il comportamento e le abitudini alimentari, in particolare a capire perché c’è una predisposizione in alcune persone a ingozzarsi di cibi ipercalorici e a divenire obese” afferma Goldstone “e di conseguenza a sviluppare metodi e trattamenti personalizzati contro l’obesità, come per esempio l’impiego di farmaci che modificano la regolazione della dopamina per contrastare gli impulsi generati dall’azione sinergica dei due geni alterati”.

In ogni caso non usate questa ricerca per trovare scusanti e tornate alla vostra dieta ipocalorica!

Leggi anche:

Lo staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o seguici su Twitter, su Instagram o su Pinterest, grazie!

Troppo macho per la dieta, sempre più uomini muoiono di diabete

MEDICINA ONLINE DIETA UOMO PANCIA GRASSO DIMAGRANTE GRASSI CALORIE ATTIVITA FISICA SPORT DIMAGRIRE PERDERE PESOMettersi a dieta non è roba per uomini, stando almeno ad alcuni ricercatori danesi, secondo i quali il sesso forte corre di più il rischio di morire di diabete perché si ritene ‘troppo macho‘ per seguire un regime alimentare. Alle donne, invece, meno restie a tagliare le calorie, andrebbe meglio. Lo studio, condotto da un gruppo di ricercatori e riportato dal ‘Daily Mail’, ha evidenziato che le donne che invece seguono una dieta e fanno esercizio fisico sono meno propense ad ammalarsi di malattie legate al diabete.

Continua la lettura su https://www.adnkronos.com/troppo-macho-per-la-dieta-sempre-piu-uomini-muoiono-di-diabete_7xPrLqNSaZU6YEYsqzgLsk

Leggi anche:

Articoli sul prediabete:

Lo staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o seguici su Twitter, su Instagram o su Pinterest, grazie!

Dietoterapia: le diete per il diabete, l’ipertensione ed altre patologie

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO PENTOLA PADELLA CUCINA DIETA CIBO MANGIARE OLIVEI soggetti affetti da patologie, per ottenere uno stato di salute ottimale, devono porre estrema attenzione alla loro dieta, molto di più di quando già debba farlo un soggetto sano. E’ qui che entra in gioco la dietoterapia, ovvero quella branca della dietetica che si occupa della nutrizione in condizioni patologiche. Varie sono le patologie che possono essere affrontate non solo dal punto di vista farmacologico o chirurgico, ma anche grazie a determinate “diete in condizioni patologiche”.

Diabete

Il diabete è una patologia caratterizzata da un aumento della concentrazione di glucosio nel sangue a causa di un difetto assoluto o relativo di insulina, ormone secreto dal pancreas ed indispensabile per il metabolismo degli zuccheri. Un valore di glicemia è considerato normale fino al valore di 110 mg/dl. La diagnosi di diabete è certa con un valore superiore a 200 mg/dl, rilevato in qualunque momento della giornata o due ore dopo un carico di glucosio. Valori di glicemia compresi fra 140 a 200 dopo un carico di glucosio definiscono invece la ridotta tolleranza al glucosio che può evolvere nel tempo verso un Diabete conclamato.
Il diabete può determinare complicanze acute o croniche. Le complicanze acute sono più frequenti nel diabete tipo 1 e sono in relazione alla carenza pressoché totale di insulina.
Nel diabete tipo 2 le complicanze acute sono piuttosto rare, mentre sono molto frequenti le complicanze croniche che riguardano diversi organi e tessuti, tra cui gli occhi, i reni, il cuore, i vasi sanguigni e i nervi periferici.
La terapia della malattia diabetica ha come cardine l’attuazione di uno stile di vita adeguato.
La dieta del soggetto diabetico ha l’obiettivo di ridurre il rischio di complicanze attraverso il mantenimento di valori di glucosio, lipidi plasmatici e pressione arteriosa il più possibile vicini alla norma.

  • Diabete tipo 1: Riguarda circa il 10% delle persone con diabete e in genere insorge nell’infanzia o nell’adolescenza. Nel diabete tipo 1 il sistema immunitario attacca le cellule che producono insulina. Per questo motivo, il diabete di tipo 1 viene classificato tra le malattie cosiddette “autoimmuni”, cioè dovute a una reazione immunitaria diretta contro l’organismo stesso.
  • Diabete tipo 2: È la forma più comune di diabete e rappresenta circa il 90% dei casi di questa malattia. La causa è ancora ignota, anche se è certo che il pancreas è in grado di produrre insulina, ma le cellule dell’organismo non riescono poi a utilizzarla. In genere, la malattia si manifesta dopo i 30-40 anni e numerosi fattori di rischio sono stati riconosciuti associarsi alla sua insorgenza. Tra questi: la familiarità per diabete, lo scarso esercizio fisico, il sovrappeso e l’appartenenza ad alcune etnie. Il rischio di sviluppare la malattia aumenta con l’età, con la presenza di obesità e con la mancanza di attività fisica: questa osservazione consente di prevedere strategie di prevenzione “primaria”, cioè interventi in grado di prevenire l’insorgenza della malattia e che hanno il loro cardine nell’applicazione di uno stile di vita adeguato, che comprenda gli aspetti nutrizionali e l’esercizio fisico.

Ipertensione

L’ipertensione è una patologia caratterizzata da un aumento considerevole della pressione sanguigna con valori oltre la norma. Un individuo viene definito iperteso quando la sua pressione arteriosa sistolica o massima è superiore a 140 mmHg e quella diastolica o minima è superiore a 95 mmHg.
Esistono due tipologie d’ipertensione, quella primaria o essenziale e quella secondaria. Nella primaria si ha un incremento della pressione sanguigna causato da fattori non identificabili. Nell’ipertensione secondaria è invece possibile associare tale rialzo ad una causa ben precisa come l’insufficienza renale, le malattie vascolari renali, la sindrome di Cushing, l’iperaldosteronismo, l’uso del contraccettivo orale, l’obesità. Una diminuzione del peso corporeo medio tra i 5 e i 7 Kg può ridurre la pressione arteriosa mediamente di circa 10 – 20 mmHg, sia per la diastolica che per la sistolica, in soggetti con un peso superiore al 10% del peso ideale.

Dislipidemie

La dislipidemia è una condizione clinica caratterizzata da un incremento dei grassi circolanti nel sangue (colesterolo e trigliceridi).
I lipidi o grassi sono sostanze fondamentali per il nostro organismo, così come lo sono le proteine e gli zuccheri perché rappresentano una fonte di energia diretta (dopo gli zuccheri e le proteine) e soprattutto una forma di accumulo della energia stessa. Essi non rappresentano un pericolo per la salute dell’uomo finché la loro concentrazione non supera un valore limite nel qual caso, vuoi per un apporto superiore alle necessità dell’organismo, vuoi per una predisposizione genetica, può verificarsi un loro accumulo in alcuni organi come il fegato e nei vasi sanguigni. L’accumulo dei grassi nelle arterie predispone all’infarto ed in generale alla malattia coronarica. La dislipidemia va tenuta sotto controllo in primis con la dieta e, qualora questa non sia sufficiente, con la prescrizione di integratori e farmaci appropriati.

Epatopatie

Per malattia epatica (o epatopatia) si intende una patologia che comprometta la funzionalità dell’organo epatico. Le possiamo distinguere in epatopatia:
  • da infezione, conseguente ad epatite
  • da steatosi, (causata da infiltrazioni di grasso nel fegato)
  • da alcool

Le epatopatie possono compromettere la funzionalità di tutti i principali sistemi del corpo umano e in particolare del:

  • sistema nervoso (neuropatia)
  • sistema circolatorio (disfunzioni del circolo portale)

Ogni epatopatia presenta una fase acuta ed una fase subacuta, che a volte può diventare cronica (come la cirrosi epatica). La dieta in tali casi deve essere equilibrata nei vari nutrienti, ricca di proteine e di vitamine del gruppo B e K. Sono consigliati più pasti leggeri nella giornata, preferendo alimenti semplici e con elevato potere nutritivo evitando gli alcoolici e limitando i grassi specialmente quelli fritti. L’apporto di amidi e zuccheri è fondamentale per preservare le riserve di glicogeno epatico.

Anemia

Si definisce anemia una condizione caratterizzata dalla carenza di emoglobina totale presente nel circolo ematico. L’emoglobina è la proteina, contenuta nei globuli rossi, che trasporta l’ossigeno ai vari tessuti dell’organismo.
E’ possibile distinguere vari tipi di anemia:

  • Da carenza di ferro
    Per produrre la giusta quantità di emoglobina il midollo osseo ha bisogno di ferro che si introduce tramite l’alimentazione: un livello basso di questo minerale causa anemia.
  • Anemia da deficit vitaminico
    Altro elemento importante per la produzione di globuli rossi sani è la presenza di acido folico e di vitamina B12. Anche qui si tratta di avere una dieta ricca per consentire all’organismo di assorbirne la quantità necessaria. In alcuni casi può essere presente una difficoltà di assorbimento di questo tipo di nutrienti, specie in presenza di anemia perniciosa.
  • Anemia da malattie croniche
    E’ difficile che si presenti nei bambini ed è causata da infiammazioni croniche (epatite, problemi renali, cancro e Aids). Può essere causata anche da malattie intestinali, che provocano un malassorbimento delle sostanze nutritive, come ad esempio in caso di celiachia (intolleranza al glutine)
  • Anemia emolitica
    E’ caratterizzata dalla distruzione veloce dei globuli rossi tanto da non permettere al midollo di rimpiazzarli. Poco comune nei bambini.
  • Anemia aplastica
    E’ la più grave ed è causata dalla limitata capacità del midollo di produrre i globuli rossi, i globuli bianchi e le piastrine. Fortunatamente è poco comune, ma può essere scatenata anche dalla reazione ad alcuni tipi di farmaci.
  • Anemia mediterranea o talassemia
    E’ una malattia congenita ereditaria molto comune nel nostro paese caratterizzata da una produzione irregolare di emoglobina. Esistono due tipi di talassemia: la ´minor´ (si è portatori sani, non ci sono sintomi e non costituisce alcun rischio se non quando si decide di avere un figlio: nel caso si trovi un partner anch’egli portatore sano, le probabilità di avere un bambino malato è del 50%) e la ´maior´ (la malattia è conclamata e non esiste altra forma di cura se non trasfusioni di sangue e trapianto di midollo; è una malattia che può essere ormai facilmente diagnosticabile anche in fase prenatale).

Intolleranza al glutine: celiachia

La celiachia detta anche malattia celiaca è un’intolleranza permanente alla gliadina. La gliadina è la componente alcool-solubile del glutine, un insieme di proteine contenute nel frumento, nell’orzo, nella segale, nel farro e nel kamut. L’avena sembra essere tollerata in piccole quantità dalla maggior parte dei soggetti affetti. Pertanto, tutti gli alimenti derivati dai suddetti cereali o contenenti glutine in seguito a contaminazione devono essere considerati tossici per i pazienti affetti da questa malattia. Sebbene la malattia non abbia una trasmissione genetica mendeliana, è comunque caratterizzata da un certo grado di familiarità, dovuta a geni non del tutto identificati. L’intolleranza al glutine causa gravi lesioni alla mucosa dell’intestino tenue, che regrediscono eliminando il glutine dalla dieta. La reversibilità della patologia è strettamente legata alla non assunzione da parte del soggetto celiaco di alimenti contenenti glutine o comunque da esso contaminati. La malattia celiaca non guarisce: il soggetto celiaco rimarrà tale per tutta la sua vita, l’unica cura consiste nell’adozione di una dieta rigorosamente priva di glutine.

Intolleranza al lattosio

Si definisce intolleranza al lattosio  una sindrome caratterizzata da disturbi gastroenterici che insorgono dopo l’ingestione di alimenti contenenti questo zucchero, generata dal deficit di produzione da parte delle cellule intestinali del duodeno dell’enzima lattasi deputato alla scissione del lattosio in glucosio e galattosio che sotto questa forma possono essere assorbiti.
Le persone con tale intolleranza non posseggono l’enzima necessario alla digestione del lattosio, lo zucchero del latte. Infatti il lattosio che non viene digerito nello stomaco, arriva all’intestino crasso dove viene digerito dai batteri intestinali. L’enzima che catalizza la degradazione del lattosio, la lattasi, viene prodotta solitamente dai mammiferi nei primi stadi di vita e una volta adulti smettono di produrla. Solo gli uomini possono continuare la sua sintesi. Si stima che il 30% degli uomini, conserva la capacità di digerire il lattosio. I sintomi più comuni sono gastrointestinali: dolore addominale non specifico e non focale, crampi addominali diffusi, gonfiore e tensione intestinale, aumento della peristalsi con movimenti talora palpabili, meteorismo, flatulenza e diarrea con feci poltacee, acquose, acide, che insorgono da 1 a poche ore dopo l’ingestione di alimenti contenenti lattosio. Tuttavia tali sintomi non sono specifici: altri disordini come la ipersensibilità alle proteine del latte, reazioni allergiche ad altri cibi, o intolleranze ad altri glicidi possono causare sintomi simili. Si stima che occorrano più di 240 ml di latte al giorno (12 grammi di lattosio) per causare sintomi in soggetti con carenza di lattasi. L’insorgenza della sintomatologia è anche dipendente dal cibo associato, in quanto è legata alla velocità di svuotamento gastrico: se il lattosio si sposta rapidamente dallo stomaco ad un intestino con bassa attività lattasica, i sintomi saranno più evidenti. Quindi se il lattosio viene ingerito insieme a carboidrati (specie i carboidrati semplici), che aumentano la velocità di svuotamento gastrico,  i sintomi sono più probabili o più intensi, mentre se viene ingerito insieme a grassi, che riducono la velocità di svuotamento gastrico, i sintomi possono essere molto ridotti o addirittura assenti. Il Breath test al lattosio è una metodica rapida, semplice, riproducibile ed economica per diagnosticare l’intolleranza al lattosio. Il principio della metodica si basa sul fatto che normalmente, in presenza di lattasi, il lattosio (un disaccaride, formato cioè da due molecole di zuccheri unite insieme) viene scisso nell’intestino tenue in glucosio e galattosio, due monosaccaridi (zuccheri semplici) che vengono rapidamente assorbiti dalla mucosa intestinale, senza produzione significativa di idrogeno. Quando esiste un deficit di lattasi, il lattosio arriva indigerito nel colon dove la flora batterica intestinale lo sottopone a reazioni di fermentazione con produzione significativa di idrogeno, metano ed anidride carbonica. Questi gas vengono assorbiti nel sangue ed una parte viene espirata dai polmoni. Il Breath test al lattosio misura proprio la quantità di idrogeno che viene espirata prima e dopo la somministrazione di lattosio permettendo quindi di evidenziare la carenza di lattasi responsabile dell’intolleranza.
Il Breath Test al Lattosio viene eseguito generalmente al mattino, dopo un digiuno di almeno 8 ore. Per sottoporsi al test, inoltre,  è necessario non assumere antibiotici, fermenti lattici e lassativi nei 7 giorni prima dell’esame e cenare la sera prima con riso bollito con olio e carne o pesce ai ferri o bolliti.
Il paziente deve inizialmente soffiare un palloncino e subito dopo deve bere 20 g. di lattosio sciolti in un bicchiere d’acqua. Da questo momento, ogni 30 minuti il paziente dovrà soffiare nel palloncino per altre 6 volte. Quindi il test dura in tutto 3 ore.

FONTE 1

FONTE 2

Leggi anche:

Lo staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o seguici su Twitter, su Instagram o su Pinterest, grazie!

Le dieci multinazionali che controllano tutto il cibo che mangi

Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Specialista in Medicina Estetica Roma MULTINAZIONALI CONTROLLANO CIBO CHE MANGI Radiofrequenza Rughe Cavitazione Grasso Pressoterapia Linfodrenante Dietologo Cellulite Calorie Sessuologia Filler Botulino

  • Nestlé.
  • Unliver.
  • Mars.
  • Mondelēz.
  • Coca-Cola.
  • Associated British Foods.
  • General Mills.
  • Pepsico.
  • Kellogg’s.
  • Danone.

Quante volte abbiamo sentito nominare o abbiamo acquistato una di queste marche? Oxfam International, confederazione di organizzazioni non governative che lavorano in oltre 100 Paesi per trovare una soluzione definitiva alla povertà, ha realizzato un grafico (l’immagine che vedete qui in alto) che mostra come questa manciata di appena dieci società controllino quasi tutti i prodotti che si trovano sugli scaffali dei supermercati. Davvero impressionante, non trovate? La grafica, riportata lo scorso 7 luglio da Business Insider, si concentra soprattutto sulle dieci aziende alimentari e di bevande più ‘potenti’ al mondo, raffigurate al centro. Tutti questi gruppi sono stati definiti da Oxfam ‘Big 10’.

Leggi anche:

Lo staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o seguici su Twitter, su Instagram o su Pinterest, grazie!