Parto cesareo: dopo quanto si possono avere rapporti sessuali?

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma RIFLESSO DI MORO NEONATO MAMMA Riabilitazione Nutrizionista Medicina Estetica Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata Macchie Capillari Linfodrenaggio Pene Vagina Ano TreDopo un parto cesareo è necessario attendere almeno cinque settimane prima di riprendere l’attività sessuale, un tempo necessario alle strutture interessate di ritornare alla “normalità”: ricordate che il parto cesareo è una operazione chirurgica a tutti gli effetti. In ogni caso è consigliabile fare una visita dal medico prima di ricominciare l’attività sessuale.

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Perché riprendere l’attività sessuale dopo il parto è così difficile?

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  • l’aumento della prolattina (ormone che fa produrre il latte) che determina un calo della libido;
  • l’aumento del cortisolo (ormone dello “stress”) determinato dal periodo immediatamente successivo al parto che è fisicamente e psicologicamente difficile non solo per la madre, ma anche per il padre;
  • negli ultimi mesi di gravidanza il sesso è stato ovviamente messo in disparte e ricominciare dopo tanto tempo potrebbe provocare dolore durante la penetrazione, e questo spinge a rimandare un appuntamento tutt’altro che piacevole;
  • la donna dopo il parto può sentirsi a disagio col proprio corpo dal punto di vista estetico: dopo la gravidanza le forme cambiano e la neomamma ha il timore che il suo corpo non sia più così attraente agli occhi del partner, quindi preferisce evitare l’intimità;
  • subito dopo il parto accudire il bambino può prendere molto tempo alla coppia e non solo: molte energie fisiche e mentali sono assorbite dal neonato; ciò ovviamente non aiuta la ripresa dell’intimità tra i partner, che a letto preferiscono un’ora in più di sonno ad un’ora di passione;
  • la sessualità è strettamente legata all’idea di maternità e la natura ci porta inconsciamente a rifiutare un atto che può portare altri figli in un momento in cui tutte le energie sono dedicate al neonato.

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Le 10 frasi da non dire mai ad una mamma single

Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma COSE DA NON DIRE DONNA PARTORITO Medicina Estetica Riabilitazione Nutrizionist Dieta Grasso Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Seno Luce Pulsata Macchie Cutanee Pene Pressoterapia MassaggioEssere mamma è di per sé una bella responsabilità, ma essere allo stesso tempo single può complicare le cose in quanto manca la cosiddetta “spalla maschile” a gestire le questioni scomode.
Ma tante volte sono proprio i figli che alcune volte aumentano il peso delle circostanze.
Per tale motivo questa lista di 10 frasi da non dire ad una mamma single, vuole essere un aiuto ad evitare di aprire bocca a sproposito, e ferire inutilmente l’orgoglio di una mamma che con tanto amore vi vuole bene.
È importante per una mamma essere considerata tale in ogni circostanza, ma allo stesso tempo è nella natura dell’essere donna che risiede quel desiderio di avere al fianco un uomo.

1) Mamma, ma quel tipo non ti piace?

Dire ad una mamma questo tipo di frase significa comunicarle che ti stai preoccupando per la sua sfera sentimentale.
Una mamma generalmente tende a nascondere il proprio lato di “Donna” ai figli.
Per tale motivo questo genere di frasi solitamente mettono in imbarazzo le mamme.

2) Mamma, ieri ho fatto sesso con un tipo, è stato uno sballo!

Per una ragazza che comunque ha un rapporto anche amichevole con la mamma è comunque sconsigliabile parlare della propria sfera sessuale, semplicemente per non farla sentire a disagio o ancor peggio scatenare dei piccoli sensi d’invidia, che seppur ridicoli, fanno male al cuore.

3) Mamma, è colpa tua che sei sola!

Non ha nessuna importanza per un figlio se la colpa di un eventuale divorzio sia da accreditarsi a gesti del padre o della madre. Tu come figlio/a non devi sindacare scelte che hanno fatto i tuoi genitori. Possono esserci elementi a te oscuri che potrebbero ribaltare tutti i tuoi giudizi, o elementi che ti sono tenuti nascosti perché potrebbero darti fastidio.
In ogni caso non dare mai colpe dirette a mamma, anche se possono apparire evidenti, tante volte sono travestite da stupide menzogne a fin di bene.

4) Mamma, mi manca papà!

Questa frase è particolare, è bisogna stare attenti più che altro al contesto nella quale viene detta. In un contesto affettuoso è comprensibile che un figlio/a contribuisca allo stato d’animo della famiglia, richiamandola come forma di desiderio. Ma utilizzare questa frase al termine di un litigio con mamma, nella quale non si ha ottenuto quello che si voleva, significa quasi voler dire “sei cattiva! Se c’era papà sarebbe stato tutto diverso e avrei avuto ragione io!”

5) Mamma, ma quando sarò grande e mi sposerò, tu cosa farai?

Ciò significa preoccuparsi del tempo. E la mamma sa che il tempo non è infinito e che dovrà un giorno fare i conti anche con la vecchiaia, magari senza un compagno.
È inutile ricordarglielo, dicendogli che anche tu ti stai preoccupando.
Quasi a sottolineare involontariamente che non sarai tu a prenderti cura di lei un giorno.

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6) Mamma, mi sono innamorato di una della tua età!

Può apparire una frase sciocca, e tanti si chiederanno cosa può esserci di strano nel non dire una cosa del genere, nel caso dovesse accadere.
Beh, per una mamma avere in casa la fidanzata del proprio figlio che ha la sua età può essere molto difficile da accettare.
Immaginate soltanto cosa potrebbe provare mentre pensa: “mio figlio che fa sesso con una donna che potrei essere io”.

7) Mamma, vado via di casa, o me o lui!

Nel caso della mamma single che inizia a frequentare un tipo, senza stringere nessun legame, questa frase può essere la più sbagliata da pronunciare, se la mamma vede in quel tipo il suo futuro. Già! Sta giostrando i suoi sentimenti per cercare di far collimare i sentimenti dei figli e quelli del futuro partner; se ci mettete un carico da 90 togliete a lei ogni speranza di un futuro di coppia. Provate invece a conoscere il tipo. Forse non è tanto male…

8) Mamma, andiamo via, qui non sto bene!

Ovviamente, questa frase dipende dalla situazione di malessere che stai vivendo. Ma se il vostro deve essere solo un capriccio cercate prima di osservare come sta la mamma. Se lei è felice non rovinategli questi attimi. Se poi è insieme ad un uomo, cercate di mostrarvi indifferente ma felice. Servirà a renderla più sicura.

9) Mamma, sto male! (…e non è vero!)

Mai dire ad una mamma che state male senza che sia vero. Magari solo per attirare attenzione. Rischiate solamente di generare panico all’interno di lei facendola preoccupare inutilmente.
Ma la cosa più grave è se prendete l’abitudine; alla fine non vi crederà più e la volta che magari state male davvero rischiate di non avere alcun aiuto da lei.

10) Mamma, sei poco seria!

Questa frase o simili possono scappare in eta adolescenziali durante i litigi magari più serrati. Per quanto possa essere serrato il dialogo, oppure vera l’affermazione; non dite mai una frase del genere a vostra madre perché è proprio quello che lei cerca di insegnare a voi di non essere.
Se voi fate un affermazione del genere è come dirgli che l’educazione che vi ha dato è stata un disastro.

 

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Allattamento materno, artificiale e misto: quale latte per il bambino?

MEDICINA ONLINE NEONATO BIMBO BAMBINO PIANTO CONGENITO LATTE ALLATTAMENTO SEN MADRE FIGLIO GENITORE BIMBI LATTANTE MATERNO ARTIFICIALE DIFFERENZA PICCOLO PARTO CESAREO NATURALE PIANGEREIl latte materno è sicuramente l’alimento più idoneo per il bebè, anche se a volte ci possono essere degli impedimenti o delle controindicazioni che spingono a ricorrere al latte artificiale. In ogni caso, se la mamma non può allattare il bambino al seno, si può ricorrere al latte artificiale scegliendo quello che per composizione è più simile al latte materno (che rimane comunque l’alimento ideale per il bambino). Si deve quindi ricorrere ad altri tipi di latte solo nei casi in cui non sia possibile avere adeguata quantità di latte materno (allattamento misto) o quando questo venga a mancare del tutto (allattamento artificiale). Un numero sempre crescente di indagini, mostrano che l’allattamento materno è particolarmente adatto per soddisfare i bisogni alimentari ed emotivi del bambino. Oltre alle proprietà nutritive e protettive del latte, l’allattamento al seno permette, infatti, di stabilire un contatto importante fra madre e figlio. A questo si uniscono crescenti evidenze di vantaggi in termini di salute anche per la madre che allatta al seno il proprio bambino. È quindi compito del medico informare, indirizzare, incoraggiare ed aiutare tale metodica considerandola un diritto sia per la mamma che per il figlio. Il latte materno adeguatamente trattato e conservato in particolari “banche” collocate nei reparti di neonatologia può essere anche donato per alimentare altri neonati che non possono ricevere quello della propria madre.

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Il latte e il peso del bambino
Ciò che fa latte è la richiesta di un bambino sano e che ha fame. Se il bambino è debole o prematuro o malato, o semplicemente dorme troppo, la sua richiesta di latte sarà minore, di conseguenza le ghiandole mammarie si metteranno a riposo: in altre parole l’organismo, anche se molto efficiente perché produce latte col minimo dispendio calorico, tende a risparmiare fatica.
Durante le prime 6 settimane circa d’allattamento le ghiandole mammarie si saranno “calibrate” sull’esigenza del bambino, in base al sesso, all’età gestazionale e al peso. È però fondamentale che durante tale periodo il bambino abbia avuto libero accesso al seno della mamma, senza restrizioni d’orario e durata delle poppate, né di giorno né di notte. Alla fine delle sei settimane si raggiunge di solito l’apice della produzione, che aumenterà di pochissimo nei 5-6 mesi successivi, mentre il bambino continuerà a crescere. Nel primo mese il piccolo può andare al seno 8-12 volte per 24 ore, se lo desidera, a patto che si attacchi bene.

Il bambino alla nascita ha un peso variabile che va dai 2,5 ai 4,5 chili. Un peso che tende a diminuire nei primi giorni di vita del bambino fino a circa il 10 per cento, quindi un bambino che appena nato pesa 3 chili può calare e raggiungere 2 chili e 700 grammi. Si tratta di un evento naturale dovuto all’emissione di urine e delle prime feci del bebè, all’essiccamento del cordone ombelicale e alla perdita d’acqua con la traspirazione cutanea: non dipende quindi dall’assenza del latte materno. In ogni caso quanto più rapidamente si instaura la montata lattea, tanto più veloce è il recupero del peso della nascita: quindi le perdite vengono compensate dall’assunzione di latte materno. Alcuni bambini iniziano a crescere subito (già dal terzo giorno di vita), altri, avendo avuto alcune difficoltà nell’avvio all’allattamento, stentano un po’ a prendere peso e mettono su qualche grammo solo dopo qualche giorno. L’importante è che alla fine della terza settimana di vita il bebè abbia ripreso il peso della nascita.

Le feci sono spesso fonte di preoccupazione per la mamma, ma è bene sapere che il loro colorito nero-verdastro e la loro vischiosità sono caratteristiche del tutto normali. Le prime feci (meconio) continueranno ad essere eliminate dal bambino nei primi 3-4 giorni di vita per poi far posto gradualmente alle “normali” feci del lattante. Un bambino che al quinto giorno di vita scarichi ancora meconio con tutta probabilità non riceve latte a sufficienza! Il latte materno, infatti, stimola i movimenti intestinali per cui il bambino, di solito, evacua dopo ogni pasto. La consistenza delle feci è di solito cremosa, ma trovare le feci semiliquide non deve spaventare la mamma: non si tratta assolutamente di diarrea. Il colore di solito è giallo-ocra, simile alla senape, ma alcune volte può essere verdastro. La dieta della mamma, se da un lato influenza scarsamente la composizione del latte, può invece modificare molto sia la consistenza, sia la frequenza, sia il colore delle scariche. Le sostanze chimiche che di solito sono responsabili del sapore forte dei cibi (per esempio quelle nella cipolla) possono passare nel latte materno e cambiare le caratteristiche delle feci, ma senza apportare conseguenze per la salute del bebè.

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I vantaggi del latte materno
Il latte materno è l’alimento ideale per la crescita e la salute del bambino durante il suo primo anno di vita. È composto, infatti, da nutrienti fondamentali e nessun altro alimento è così adatto a far crescere bene un bambino, proteggendolo dalle malattie più comuni dell’infanzia (diarree, infezioni respiratorie ed urinarie, allergie, malattie infettive) e svolgendo un’importante azione protettiva nei confronti di obesità, ipertensione arteriosa, aterosclerosi, anemia, carie dentaria. Il latte materno è un alimento facilmente digeribile, per questo i bambini allattati al seno non soffrono quasi mai di stitichezza! Inoltre, soddisfa velocemente la fame e la sete del bambino e soprattutto è sempre pronto e alla giusta temperatura.

Composizione ed effetti
La composizione del latte materno varia in base a diversi fattori per rispondere il più possibile alle diverse esigenze del bebè. Alla fine della poppata, per esempio, il latte contiene un numero di proteine e grassi maggiore rispetto all’inizio, quindi il latte da acquoso diventa più denso e cremoso (più saziante). Naturalmente il cambiamento del latte avviene diversamente da mamma a mamma e quindi si può verificare che alcuni bambini ricevano quello di cui hanno bisogno in cinque minuti, altri in dieci minuti o più. Il bambino può passare da una mammella all’altra per soddisfare il senso di sete perché al latte concentrato di una mammella corrisponde il latte più acquoso dell’altra. Questa variabilità è un “optional” originale del latte materno differente in questo dal latte artificiale (sempre invariato nel gusto e nella concentrazione).

I nutrienti principali del latte materno sono:

  • le proteine: sono meglio digerite, di maggiore valore nutritivo, più adatte allo sviluppo, meno allergizzanti e con una funzione antinfettiva maggiore rispetto agli altri latti
  • gli zuccheri: per la maggior parte lattosio, che rappresenta un’ottima fonte di energia e inibisce la crescita di germi cattivi nell’intestino
  • i grassi: sono ben digeriti e per la maggior parte essenziali
  • i minerali: il latte umano è povero di minerali, ragion per cui al sesto mese di vita del bambino si suggerisce di integrare la sua alimentazione cominciando a svezzarlo; il contenuto in ferro, nonostante sia basso, è ben assorbito dall’intestino dei bambini
  • le vitamine: se la mamma esegue una dieta bilanciata il suo latte è in grado di soddisfare il fabbisogno del bambino per tutti i tipi di vitamine.

Lo sviluppo intellettivo del bambino
Nel latte materno c’è una maggiore concentrazione di acido docosaesanoico rispetto al latte artificiale. A questa sostanza lipidica è stato attribuito l’effetto di potenziare la funzionalità delle vie nervose. Quindi il sistema nervoso centrale dei bambini allattati al seno dovrebbe essere più ricco di acido docosaesanoico rispetto a quello dei bambini che sono allattati artificialmente. I primi, secondo alcuni studi, avranno una vista migliore e un quoziente intellettivo superiore. A questi studi è legato però un po’ di scetticismo: sarebbe, infatti, l’ambiente e non solo la dieta a far sviluppare differenze tra il bambino allattato al seno e quello allattato con latte in polvere.

Risparmio
Allattare artificialmente comporta una spesa per la famiglia che si aggira intorno ai 900 euro nel corso del primo anno di vita del bambino. Oltre all’acquisto del latte, poi, ci sono da considerare le spese per acquistare gli accessori utili per allattare. L’allattamento al seno, invece, comporta una spesa inferiore che è sintetizzabile nelle aumentate esigenze alimentari della donna. Un altro punto a favore dell’allattamento al seno è la prevenzione “naturale” delle malattie materne e infantili: un risparmio notevole per la società e i servizi sanitari. Ma non sono solo gli aspetti economici dalla parte dell’allattamento al seno. Si pensi solo alla sua fruibilità del latte materno da parte del bambino: disponibilità a qualsiasi ora del giorno e della notte, sempre alla temperatura ideale, in casa e fuori.

La salute della mamma
Allattare al seno fa perdere i chili presi durante la gravidanza: i grassi accumulati durante la gestazione, infatti, sono utilizzati per produrre il latte. Alcuni studi, poi, documentano come l’allattamento al seno prevenga il tumore della mammella: il benefico effetto, però, è debole e si limita al tumore che insorge prima della menopausa. E ancora, l’allattamento al seno protegge la donna dall’osteoporosi della vecchiaia e in particolare da una sua complicanza: la frattura del collo del femore. Lo scheletro della donna si impoverisce durante l’allattamento per l’aumentato fabbisogno di calcio, tuttavia, a distanza di tempo dalla sospensione dell’allattamento al seno, la mineralizzazione ossea viene reintegrata.

Allattamento artificiale
Per allattamento artificiale si intende l’alimentazione del bambino con latte alternativo a quello materno. Oggi si riconosce che il latte umano è l’alimento ideale per il bambino nel suo primo anno di vita, quindi un latte non vale l’altro. Quando il latte materno, per qualche motivo, non è disponibile, si dovrà scegliere un latte la cui composizione è più vicina a quella del latte umano. Non è possibile riprodurre nel latte in polvere le caratteristiche di quello materno (dalle proprietà antiallergiche a quelle antinfettive), ma si può esigere che siano rispettati i requisiti nutrizionali fondamentali del latte materno.

Solo i latti che rispondono a questi requisiti, definiti “adattati”, possono essere utilizzati per la nutrizione del bambino nei primi 4-6 mesi di vita, in assenza del latte materno. Il latte di latteria (intero o diluito), per esempio, non è adatto per tutto il primo anno di vita del bambino perché comporta una serie di svantaggi: un carico di sali minerali eccessivo, un maggiore apporto di acidi grassi saturi (possibili responsabili di aterosclerosi), un maggiore rischio di anemia da carenza di ferro. Lo stesso dicasi per il latte di mucca. Dopo i sei mesi e fino alla fine del primo anno di vita del bambino, in assenza di latte materno, si utilizzeranno i cosiddetti “latti di proseguimento” che, a differenza di quelli utilizzati nei primi mesi, sono meno elaborati da punto di vista nutrizionale (la loro produzione quindi costa meno).

Preparazione ed offerta
Latti artificiali in polvere o liquidi? Entrambi sono validi. I primi durano a lungo e ingombrano poco, con i secondi si evitano eventuali errori di preparazione. In Italia sono più diffusi i latti in polvere, mentre quelli liquidi sono utilizzati soprattutto dagli ospedali. Il latte in polvere va sciolto in acqua tiepida (in precedenza bollita) in modo che ogni 100 millilitri di latte contengano 13 grammi di sostanze disciolte. Questa concentrazione è l’ideale per una crescita ottimale: il latte non va addensato arbitrariamente nella convinzione di far crescere meglio il bambino (o più in fretta!). Quello che conta è di non lasciar cadere sistematicamente nel biberon un misurino più del dovuto. Se si ha l’impressione che il bambino mangerebbe di più, non si deve modificare la composizione del latte quanto piuttosto offrire al bebè poppate più abbondanti. Nell’allattamento artificiale, infatti, è compito della mamma incrementare gradualmente la quantità di latte quando nota che quello preparato fino a quel momento diventa insufficiente (se il bebè lo richiede vuol dire che ne ha bisogno). Se la concentrazione è esatta non ci saranno problemi di digestione. Anche l’orario della poppata deve essere elastico, quindi no agli orari rigidi. Per stare più tranquilla la mamma può preparare i biberon di latte un’unica volta al giorno, calcolando orientativamente le quantità che saranno necessarie: questi biberon possono essere conservati nel frigo anche 24 ore.

Dal latte materno al latte artificiale
Quando il passaggio dal seno al biberon si rende necessario, ma è sgradito, può essere utile che sia qualcun altro, e non la mamma, ad offrire il biberon al bambino (per esempio una nonna o il papà). Il cambiamento così è completo: del latte e di chi lo offre al bambino. Il rifiuto del biberon, comunque, non è un evento comune: capita spesso, infatti, che il bambino passi dal seno al biberon con facilità e rapidità proprio per la minor fatica nella suzione.

Allattamento misto
Se nelle prime settimane di vita del lattante la madre non ha latte a sufficienza o se questa situazione avviene a causa di brevi malattie o stress psichici, si completa la poppata carente al seno con quantità superiori di latte artificiale, ma solo se la carenza di latte è momentanea. Nel caso di una riduzione temporanea della portata lattea è utile aumentare il numero dei pasti, perché la suzione del bambino è un’eccellente stimolante della secrezione lattea, e assumere qualche medicamento che favorisce la produzione di latte. Ecco un esempio per chiarire: la madre di un lattante di 3 mesi che pesa 5 chili e 600 grammi si accorge che il bebè alla fine del pasto piange dimostrando chiaramente di avere ancora fame. Dalla doppia pesata, eseguita almeno per un paio di giorni, risulta che la quantità di latte introdotto è in media 500 grammi al giorno. Il fabbisogno alimentare è invece 160 grammi x 5,6 chilogrammi, pari cioè a 900 grammi al giorno. La madre quindi alla fine di ogni pasto darà al proprio piccolo una quantità di latte in polvere tale da compensare il difetto del latte materno. In pratica il bambino dovrebbe introdurre 180 grammi per pasto, quindi 180 grammi per 5 pasti: quello che manca deve essere coperto da latte in polvere adattato. Diverso il discorso quando si parla di bambini prematuri o neonati di peso molto basso. L'”unicità” del latte materno, l’immaturità funzionale dell’apparato digerente in questi bambini, la loro facilità alle infezioni intestinali, rendono particolarmente preziosa l’alimentazione naturale. Quindi anche se il bambino prematuro è assistito in ospedale la madre deve fare il possibile per mantenere viva la lattazione, estraendo meccanicamente il latte almeno 4 volte al giorno con un tiralatte. Avvicinare il bambino e stabilire un contatto precoce e molto utile: quando il bambino è portato al seno della madre la lattazione aumenta immediatamente.

Quando iniziare lo svezzamento 
Lo svezzamento consiste nell’introduzione nell’alimentazione del bambino di pasti diversi dal latte. È un momento delicato perché il bambino dovrà abituarsi a staccarsi gradualmente dal seno materno, a non considerarlo più un’abitudine. Il periodo ideale per iniziare lo svezzamento è il periodo intorno al sesto mese di vita del bambino per motivi sia fisiologici sia psicologici. A questa età il bambino ha raggiunto la maturità delle funzioni digestive, è curioso e disponibile alle novità, mentre in seguito comincerà a diventare più diffidente, meno incline ad esperienze gustative nuove. I cibi solidi, per esempio i cereali, la carne e il formaggio non sono adatti alla sua funzione renale ancora immatura. Inoltre, possono rappresentare una fonte di sostanze allergizzanti che potrebbero passare attraverso la parete intestinale, che nei primi mesi di vita del bambino è particolarmente permeabile, col rischio di scatenare allergie nel bambino. Inoltre i cibi solidi sono poveri di grassi, di cui il lattante ha invece molto bisogno. In una minestrina, per esempio, si trova solo il 30 per cento delle calorie sotto forma di grassi, mentre nel latte materno ben il 54 per cento. I cibi solidi, essendo a più alta densità energetica, possono, se messi nel biberon, determinare un’iperalimentazione del bambino e un eccessivo aumento di peso, che nei soggetti predisposti può rappresentare un fattore di rischio di diventare obesi nelle età successive. Naturalmente i tempi e i modi dello svezzamento dipendono dagli usi e dai costumi della popolazione e dalle caratteristiche culturali del nucleo familiare, quindi meglio non attenersi a schemi rigidi o a tabelle obbligate, ma è opportuno tenere in considerazione le norme generali per evitare alcuni errori:

  • non iniziare lo svezzamento prima del quarto-sesto mese del piccolo
  • l’accettazione e la tolleranza di un alimento da parte del bambino non è sinonimo di salute (anche in assenza di disturbi evidenti)
  • se il bambino rifiuta il cibo è meglio non insistere troppo e riprovare più avanti (lo svezzamento deve essere un motivo di piacere!)

Non esiste un momento preciso per smettere di allattare. Oggi molte donne portano avanti un allattamento di lunga durata, fino alla fine del secondo anno di vita e oltre: una scelta che, nel rispetto delle esigenze individuali e sociali della mamma e del piccolo, può avere implicazioni psicologiche positive sullo sviluppo di alcuni bambini. Comunque mamma e bambino dovrebbero decidere in libertà, senza volere stabilire a priori dei tempi per smettere di allattare e allo stesso tempo senza essere condizionati da pregiudizi diffusi ma privi di fondamento sui limiti dell’allattamento.

La relazione madre figlio
Come il bambino prova piacere nel succhiare il seno materno, così la mamma prova piacere ad essere fonte di gratificazione per il figlio e avverte una sensazione di benessere fisico. La mamma inizia a conoscere il neonato, toccandolo, tenendolo vicino, guardandolo e rivolgendosi a lui con voce dolce; il bambino si calma quando viene appoggiato sulla spalla per effetto del calore del corpo e del rassicurante battito del cuore. Inoltre il piccolo oltre a seguire con lo sguardo i movimenti della mamma, è capace fin dal primo giorno di rispondere alla voce dell’adulto, anche senza vederlo, esprimendosi con i propri movimenti o con il pianto (la mamma inizia a capire se il piccolo piange per rabbia o per fame, per frustrazione o per dolore). Di richiamo per l’adulto è poi lo stesso aspetto fisico del bambino, occhi e testa grandi, guance rotonde e in evidenza, alta fronte sporgente.

Latte umano e contatto
La specie umana è “una specie a contatto continuo”, ossia una specie il cui piccolo, completamente dipendente dalla mamma, rimane vicino a lei per frequenti poppate rese necessarie dal contenuto relativamente basso di proteine (ma anche di grassi e di sali) del latte di donna. Ecco dunque spiegata “biologicamente” la vicinanza continua tra madre e bambino, a prescindere dalle implicazioni di ordine psicologico. Quanto frequenti debbano essere le poppate nessuno può dirlo con esattezza, sono troppi infatti gli elementi che mascherano i ritmi naturali. La cultura, le convenzioni sociali e la famiglia hanno il loro peso. Le madri dei paesi in via di sviluppo, per esempio, che dormono accanto ai loro bambini e li portano al collo durante i loro spostamenti, forse rappresentano il modello per eccellenza della specie umana intesa come specie a contatti continui. Queste donne non consentono ai loro bambini di piangere e li attaccano al seno ogni volta che i loro piccoli ne manifestano il desiderio. La donna italiana, per esempio, anche se non può comportarsi come la donna del terzo mondo, può comunque capire l’importanza di sincronizzare i propri ritmi sociali a quelli del bambino, lasciando la precedenza alla natura piuttosto che all’applicazione di rigidi schemi di interazione e nutrizione.

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Favole nei bambini: quando iniziare a raccontarle e quanto sono importanti?

MEDICINA ONLINE FAVOLA FIABA BIMBO RACCONTO BAMBINO ETA INIZIARE UN ANNO ANNI FAVOLE IMPORTANTI.jpgÈ già qualche anno che vivo il ritorno piacevole di ascoltare e raccontare favole. Favole della buonanotte, favole africane, fiabe medioevali, fiabe giapponesi. Ogni volta è come entrare in contatto con qualcosa di speciale, e la cosa più speciale che ad ogni lettura, ascolto o visione, la magia si ripete. Vedere una favola rappresentata a teatro, al cinema o sui fogli di un libro non cambia di molto il risultato. Perché in ognuno di noi c’è ancora una parte bambina che con le fiabe è cresciuta e attraverso le quali ha imparato a conoscere se stesso, ad accettarsi e a vincere le proprie paure.

Le favole guidano i bambini nella scoperta del proprio mondo emotivo

Le favole danno la possibilità ai bambini, e non solo, di entrare alla scoperta del proprio mondo emotivo. È possibile attraverso le fiabe apprendere schemi nuovi di comportamento, imparare a rispondere più efficacemente a situazioni difficili o di disagio. In questo modo si impara a non rimanere vinti dalle emozioni che si vivono. Riconoscersi nei protagonisti, identificandosi, darà loro modo di entrare in contatto con quelle emozioni, impareranno a riconoscerle, a dargli un nome e quindi ad esprimerle. Spesso, quando si ascolta una fiaba si viene totalmente assorbiti da questa. Ancora di più nel caso dei bambini. Il bambino infatti entra totalmente nel mondo fatato, si veste degli abiti e delle azioni dei suoi protagonisti. Eccolo diventare allora una fata, un leone, un mago, una Winx, un principe o una principessa.

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Un momento speciale

Il momento delle storie raccontate e ascoltate dalla mamma e dal papà, magari accoccolati tra le loro braccia, prende un significato emotivo molto più grande del gesto in sé. È unico nel suo genere. Il tempo del racconto prima di andare a ninna è molto importante per la relazione tra genitori e figli. Il tempo che un genitore dedica al proprio figlio parla di generosità, istruisce circa il piacere del dare e del ricevere. È un tempo che manifesta affetto e pazienza. È un tempo ricco di presenza, in cui il solo “stare” è già di per sé un momento che dona sicurezza al bambino, lo aiuta nella crescita delle sue capacità emotive e cognitive. Questo spazio può essere riempito di domande, racconti su come è andata la propria giornata, riflessioni, fantasie e immagini. È uno spazio fecondo in cui possono crescere la fiducia verso se stessi, la capacità di superare piccole paure, insicurezze e conflitti. Per cui è molto meglio far addormentare i bimbi in questo modo, piuttosto che davanti alla tv o nella stanza da soli. Le favole possono essere utili a favorire la fiducia in se stessi, a comprendere meglio alcuni eventi che possono essere fonte di disagio, e in ultimo  forniscono e lasciano traccia, nella memoria emotiva, di cosa vuol dire “sentirsi accuditi e accolti”, esperienza fondamentale per la crescita. Lavorando con gli adulti, mi capita di rilevare nel mio lavoro, come alcuni di questi non abbiano sviluppato nella loro vita uno spazio di accoglienza e di accudimento verso le loro sensazioni dolorose, risultando incapaci di reperire dentro loro stessi momenti in cui si siano sentiti accuditi, accolti, ascoltati. Pensate, quindi, come può essere importante il momento delle favole della buonanotte: 15 minuti a sera potrebbero aiutare vostro figlio nel futuro a far fronte a numerose esperienze dolorose. Perché attraverso le favole, attraverso l’uso della metafora, si aiutano i bambini a scoprire diversi modi di interpretare le situazioni e a migliorare le loro capacità di risolverle. Le favole insegnano ad avere pazienza, a essere empatici, ad osservarsi, ad avere coraggio, ad apprendere regole di comportamento, a capire cosa sono la bellezza e la generosità. In questo modo aiutiamo i bambini a sviluppare l’intelligenza emotiva. Questa è una grande risorsa che non in tutti è sviluppata, ma è di fondamentale importanza per la gestione delle emozioni (ansie, paure, ecc) e per migliorare le capacità relazionali con gli altri.

Da che età?

Ci sono favole per ogni età. Per quanto possa sembrare incredibile, già ad un anno, i bambini possono prestare attenzione a brevi e semplici racconti, per esempio piccoli libricini fatti di figure semplici. Poi crescendo, si noterà che i bimbi sono in grado di seguire racconti via via sempre più complessi. Intorno ai 3-4 anni il loro interesse sarà focalizzato attorno a quelle storie che rimandano alle loro attività quotidiane, come per esempio mangiare, dormire, vestirsi, giocare, lavarsi denti. Invece attorno ai 4-5 anni gli piacerà ascoltare e identificarsi con storie riguardanti fate, principesse, cavalieri, maghi, animali. È importante sviluppare il “muscolo” dell’immaginazione, sia per l’età bambina che, in futuro, per quella adulta. E’ utile per capire e superare i drammi della vita, come l’abbandono, la cattiveria, la paura. La lettura delle fiabe viene vissuta piacevolmente da entrambi i sessi. E così come abbiamo detto all’inizio di questo scritto le favole non sono ad uso esclusivo dei bambini. Se un adulto rifiuta o si trova in difficoltà rispetto al contatto con questo mondo, ci sarebbero da porsi diverse domande riguardo alle cause di tale posizione. Quindi sceglietevi una bella favola, che sia in un libro, a teatro, al cinema e…buona immersione!

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Perché un neonato piange sempre? 8 sistemi per calmarlo

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma RAFFREDDORE NEONATO CURA Riabilitazione Nutrizionista Medicina Estetica Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata Macchie Capillari Linfodrenaggio Pene Vagina Glutei PressoPerché il neonato piange così spesso? Le principali ragioni sono:

  • ha fame;
  • il pannolino è sporco;
  • è stanco;
  • è malato;
  • ha una colica;
  • ha sete;
  • ha caldo o freddo;
  • si sente solo;
  • sta crescendo un dentino attraverso la gengiva.

Cercare di capire il motivo del pianto da parte dei genitori nasconde un processo molto importante: vuol dire mettersi al posto del bambino e capire le sue necessità. Questo è fondamentale per rispondere correttamente ai segnali del bambino. Così egli sente di esistere e che mamma e papà tengono conto delle sue necessità. Dalla nascita il bambino capisce abbastanza velocemente che il suo pianto richiama la mamma o il papà, che vengono a soddisfare i suoi bisogni. Questa esperienza è necessaria alla sua sopravvivenza e lo segnerà per sempre. Inizierà ad avere fiducia in se stesso e nelle proprie competenze, perché riuscirà a esprimersi e ad agire sull’ambiente esterno. Per quanto piccolo possa essere.

1 Avvolgilo in una coperta. Non troppo caldo però

Avvolgi il bimbo in una coperta (occhio a non tenerlo troppo caldo però), meglio se in posizione fetale. Questo è un trucco che può aiutare a calmarlo purché il pianto non sia dovuto a frame, sete o dolore. Ci sono bambini però che non sopportano di essere fasciati troppo stretti. In questo caso allora meglio avvolgerlo in un cuscino da allattamento.

2 Tienilo vicino a te

Nei primi mesi di vita i bimbi soffrono spesso di problemi di digestione. Non esitare a tenere il piccolo stretto a te e a fargli fare un po’ di nanna in braccio. Ricordati però di trovare una posizione confortevole anche per te. Se dopo pranzo lo mettete nella culla dove dorme solo mezz’ora e poi ricomincia a piangere, può essere che tenendolo poggiato a voi dorma anche una o due ore consecutive e quando si risveglierà sarà di buon umore. Non preoccupatevi, non dovete farlo per molto tempo: verso il sesto mese riuscirà a fare il sonnellino nel suo lettino.

3 Vuoi uscire? Mettilo nel marsupio

Devi fare delle commissioni o uscire? Un buon trucco consiste nell’usare una fascia o un marsupio. Il bimbo cullato dal tuo passo farà un bel riposino.

4 Anche il papà può calmare il bambino. Ricordatelo

Chiedi a persone di fiducia (tuo marito, la nonna, una zia …) di aiutarti a calmare il bimbo. Quando si è stanchi è difficile essere calmi e rassicuranti; il bimbo percepirà il tuo stress e si agiterà a sua volta.

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5 Sei in difficoltà? Chiedi un aiuto concreto a chi ti sta vicino

Non aver paura a chiedere un aiuto concreto e a dire che sei in difficoltà. Ti stupirai della sensibilità delle persone attorno a te. “Spesso – dice Valentin – gli altri non si accorgono che siamo in difficoltà, proprio perché ci teniamo tutto dentro”.

6 Trova un piccolo rito. Lo rassicura

Prova a stabilire un metodo efficace per calmare tuo figlio e poi attieniti a questo metodo anche quando il bimbo non smette di piangere. “Sperimentando mezzi diversi, il piccolo percepirà la vostra insicurezza e non riuscirà a sentirsi rassicurato – dice Valentin – Un unico metodo può diventare quasi un rituale, cosa che lo calmerà”.

7 Togli carillon e peluche dal lettino

Controlla il letto del bimbo e togli tutto quello che potrebbe svegliarlo, come il carillon e i peluche nei quali i bambini sembrano affondare.

8 Non perdere la fiducia

Se le risposte del tuo pediatra non ti soddisfano, consulta una puericultrice o una specialista della prima infanzia. A volte basta poco per arrivare a una soluzione.

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Differenze tra neonati allattati con latte materno ed artificiale

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1) I neonati allattati al seno prendono meno peso e mangiano più spesso. Quando si allatta al seno si ha l’impressione che il bambino abbia sempre fame e sia meno in carne di quello della nostra amica che allatta con il latte artificiale. Questo accade per varie ragioni. La prima è perché il latte materno è più leggero e digeribile per il neonato, l’assorbimento è migliore, quindi i tempi di svuotamento gastrico sono più veloci e la fame torna prima. Invece la composizione chimica del latte artificiale rimane un po’ più indigesta al neonato dando una sensazione di sazietà più lunga e facendogli accumulare più peso. Ma il peso non va confuso con la buona salute. La seconda ragione è che un neonato allattato al seno vive il momento del nutrimento come un momento di coccole e contatto con il seno materno, quindi a volte vorrà stare al seno non per fame, ma solo per avere quel tipo di legame con la mamma.

2) I neonati allattati al seno hanno difese immunitarie più alte. Rientra tra i maggiori benefici del latte materno, attraverso il quale passano gli anticorpi della mamma che lo proteggono dalle infezioni.

Leggi anche: Differenza tra latte in polvere e liquido per neonati: quale scegliere?

3) I neonati allattati al seno sviluppano un apparato digerente più sano e soffrono meno di colichette, reflussi e stitichezza. Questo accade non solo perché il latte materno è l’unico alimento totalmente digeribile per il neonato, ma anche perché questi disturbi hanno una grossa componente psicosomatica, legata al distacco dal corpo materno. L’allattamento al seno attutisce questo trauma, regalando attimi di stretto contatto fisico con la mamma, di cui il neonato ha assolutamente bisogno nella esogestazione. Per evitare questa psicosomatica nei neonati allattati artificialmente è importante che le mamme li tengano comunque a stretto contatto pelle a pelle più volte al giorno.

4) I neonati allattati al seno hanno un minore rischio di sviluppare intolleranze e allergie alimentari dopo lo svezzamento proprio grazie al migliore sviluppo del loro apparato gastro intestinale.

5) I neonati allattati al seno sono più intelligenti. Ci sono alcuni studi che dimostrano come gli acidi grassi presenti solo nel latte materno avrebbero un ruolo fondamentale nell’ottimale sviluppo del cervello e del potenziale intellettivo, quindi come conseguenza un migliore sviluppo cognitivo. Senza escludere che questo possa essere determinato anche da un migliore legame con la madre che si instaura proprio attraverso questa pratica, rendendo i bambini più felici, quindi sereni e predisposti all’apprendimento.

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Differenza tra parto cesareo e naturale: vantaggi e svantaggi

MEDICINA ONLINE VAGINA DONNA BACIO SESSULITA GRAVIDANZA INCINTA SESSO COPPIA AMORE TRISTE GAY OMOSESSUAANSIA DA PRESTAZIONE IMPOTENZA DISFUNZIONE ERETTILE FRIGIDA PAURA FOBIA TRADIMENTOParto naturale

Come dice la parola stessa, il parto naturale è il modo per mettere al mondo nostro figlio secondo natura. Quindi nel caso di una gravidanza fisiologica (cioè quando mamma e bambino stanno bene e non hanno nessun disturbo o patologia), è ovviamente il metodo migliore e meno rischioso.

vantaggi sono diversi: da un punto di vista psicologico, la donna si rafforza molto dopo quest’esperienza così intensa che aumenta notevolmente la sua autostima. Fisicamente, chi partorisce in modo spontaneo ha una ripresa decisamente migliore e più veloce, anche se c’è qualche punto per l’episiotomia o piccole lacerazioni. Inoltre è autonoma e indipendente fin da subito, potendo così lavarsi, vestirsi, mangiare qualunque cosa e badare al bambino senza alcun problema.

L’obiezione che le donne sollevano è in merito al dolore, che quindi è l’unico contro, ma nemmeno del tutto. È vero che si deve affrontare il travaglio quindi bisogna sopportare il dolore e fare un percorso faticoso, ma ciò è molto importante, perché durante questo cammino, la mamma ha il tempo di prepararsi psicologicamente al distacco e di maturare come donna e come genitore, ed il piccolino grazie al “massaggio” delle contrazioni del passaggio nel canale da parto, riceve tanti stimoli che lo rendono più pronto alla vita extrauterina.

Il dolore non dobbiamo combatterlo nè considerarlo un fattore negativo, perché ha un suo scopo. Lo sentiamo infatti, perché durante il travaglio ci guida: se ascoltassimo il nostro corpo e le sensazioni che lo attraversano, ci accorgeremmo che il dolore ci suggerisce delle posizioni per soffrire di meno. Queste posizioni hanno una doppia valenza: da un lato sono appunto posizioni antalgiche, dall’altro agevolano la discesa e quindi il passaggio del nostro bambino nel canale da parto.

Leggi anche: Parto: cosa prova il bambino durante il parto?

MA POI POTRÒ TORNARE AD AVERE UNA VITA SESSUALE NORMALE?

Questa è un’altra domanda che spesso tormenta noi donne.
Certo che sì! Anche se dovessero esserci delle lacerazioni o se venisse praticata l’episiotomia, la sessualità di ognuna di noi riprende in modo normale. Sono rari e davvero estremi i casi in cui si riportano delle problematiche del genere!

Leggi anche: Differenze tra bambini nati con cesareo e quelli con parto naturale

SE PARTORISCO NATURALMENTE, SOFFRIRÒ DI EMORROIDI DOPO?

Le emorroidi sono frequenti in tutta la gravidanza, a prescindere dal parto. Questo sia per una questione ormonale (il progesterone ammorbidisce le mucose rettali favorendo lo sfiancamento delle pareti del retto quindi causando la fuoriuscita delle emorroidi, in più anche la stitichezza causata sempre dal progesterone influisce molto), sia a causa del peso sempre maggiore dell’utero gravido, il quale preme proprio sul retto e quindi sui vasi rettali, causando questo problema fastidioso.
Quindi di solito si arriva al momento del parto che le emorroidi già ci sono! Il parto naturale a causa degli sforzi da compiere, può peggiorare un po’ la situazione, ma nella maggior parte di casi, è un fastidio temporaneo. Infatti una volta che gli ormoni tornano in ordine, che l’utero non pesa più e che gli sforzi sono finiti, le emorroidi tendono a rientrare.

Leggi anche: L’allattamento al seno è possibile dopo un parto cesareo?

E SE IO O IL MIO BAMBINO DOVESSIMO ESSERE IN PERICOLO DURANTE IL TRAVAGLIO?

Questa sarebbe una situazione di urgenza o emergenza, quindi va valutata sul momento.
Ovviamente in caso di pericolo di vita, si fa sempre in tempo a fare il cesareo (la sala operatoria è sempre vicina alla sala parto).
Se si inizia a travagliare e ci si incammina verso un parto vaginale, non si è costrette a partorire naturalmente anche se si presentano complicazioni importanti! La prima cosa che sta a cuore a tutti, è la salute della donna e del bambino, quindi nell’eventualità dovesse essere necessario, si è prontissimi ad intervenire con il cesareo.

Taglio cesareo

È un intervento chirurgico a tutti gli effetti, quindi con tutti i rischi del caso: infezioni, emorragie, ecc. Ciò non toglie che, QUANDO NECESSARIO, È UN INTERVENTO SALVAVITA.

Tra i VANTAGGI, c’è quello di non provare il dolore fisico. Ma innanzitutto abbiamo detto che il dolore c’è per guidarci nelle giuste posizioni, ed inoltre non crediate che con questo intervento non soffrirete nemmeno un po’.

CONTRO: i dolori infatti arrivano appena comincia a svanire l’effetto dell’anestesia (già dopo 3-4 ore); la ferita chirurgica fa male e gli addominali non ci sorreggono, rendendo così difficoltose anche cose semplici come passare da sedute ad in piedi, ridere, starnutire, tossire, tutto ciò che comporta uno sforzo addominale che scatena il dolore della ferita. Inoltre per le prime 24h si ha il catetere vescicale, le flebo e un’importante difficoltà nel muoversi anche nel letto. Tutto ciò rende complicato anche badare al bambino ed allattarlo.

Quindi solitamente nei primi 2-3 giorni si ha un’autonomia piuttosto scarsa: la donna viene lavata, deve essere aiutata a mettersi seduta e ad alzarsi e può mangiare solo cose molto leggere perchè comunque è stato un intervento per via addominale.

SE FACCIO UN CESAREO, SUCCESSIVAMENTE NON POTRÒ MAI PROVARE UN PARTO NATURALE?

Non è noto a tutti che il parto naturale dopo il taglio cesareo si può fare, l’importante è che siano passati almeno 18 mesi dall’intervento. Vanno poi valutate altre cose durante la gravidanza successiva (stima del peso fetale, problemi in gravidanza, posizione del feto…), ma nella maggioranza dei casi, il parto vaginale è possibilissimo. In Italia è poco frequente, ma per un problema dei ginecologi, non perché non è fattibile!

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CON IL TAGLIO CESAREO, IL LATTE NON ARRIVA?

Dicerie popolari affermano che la montata lattea arriva solo se si fa un parto naturale… beh, non è così! Anche chi subisce un cesareo può allattare! Il latte arriverà 1-2 giorni dopo (in 3^-4^ giornata anziché in 2^-3^), ma arriva ugualmente, specie se il seno viene stimolato attaccando il bambino.

La scelta ovviamente spetta ad ogni donna, caso per caso, in base al suo stato di salute, quello del suo bambino, alla sua cultura, pensiero, vissuto e precedenti esperienze sul campo. L’importante però è SCEGLIERE IN MODO CONSAPEVOLE, valutando quindi i pro ed i contro di ogni evenienza, le proprie forze e motivazioni (è da qui che arriva la giusta energia per affrontare l’evento) e, soprattutto, considerando cosa ci si aspetta dall’esperienza del parto e come vogliamo vivere l’evento nascita, momenti unici che segnano la vita di ogni donna e mamma.

In ogni caso, ricordiamoci che non è il tipo di parto che rende una mamma migliore o peggiore di un’altra.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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