Rottura della milza: terapia conservativa o chirurgica?

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma ROTTURA MILZA TERAPIA CHIRURGICA Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgLe lesioni della milza possono essere di lieve o di grossa entità. Lesioni spleniche vaste trasformano la rottura della milza in una vera e propria emergenza medica, che richiede l’immediato intervento chirurgico per arrestare l’emorragia interna e salvare la vita al paziente. In caso di traumi più superficiali, la rottura della milza può essere invece trattata in modo conservativo, ospedalizzando per qualche giorno il paziente ed osservando l’evolversi della situazione verso l’eventuale guarigione spontanea.

Per approfondire:

Terapia chirurgica nella rottura della milza
A causa dell’importante vascolarizzazione, la rottura della milza può causare emorragie massive, con accumulo di sangue nella cavità addominale ed insorgenza di shock ipovolemico fino alla morte. In simili circostanze, l’immediato intervento chirurgico di splenectomia (asportazione della milza) può salvare la vita al paziente senza complicanze cliniche significative.

Per approfondire sulla terapia chirurgica che consiste nella rimozione della milza, leggi questo articolo: Splenectomia parziale e totale: perché si esegue e quali sono i rischi

E’ importante però ricordare che, rispetto al passato, grazie alla rivalutazione del ruolo immunitario della milza ed al rischio di severe infezioni post-operatorie, l‘intervento di splenectomia viene oggi praticato con maggiore cautela. Si tende ad osservare il paziente per capire se l’emorragia è in grado di arrestarsi spontaneamente, riservando l’intervento ai casi in cui non avviene la guarigione spontanea. Inoltre, durante l’intervento chirurgico si cerca quando possibile di riparare la lesione, applicando ad esempio dei punti di sutura, o di asportare soltanto la parte di milza interessata dalla rottura (splenectomia subtotale o parziale), piuttosto che asportare completamente la milza come spesso si faceva in passato.

Leggi anche: La milza è un organo indispensabile? Se viene asportata cosa può succedere?

Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo

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Differenza delle lesioni dei legamenti crociato anteriore e posteriore

MEDICINA ONLINE LESIONE LEGAMENTO CROCIATO ANTERIORE POSTERIORE DIFFERENZE LATERALE MEDIALE GINOCCHIO TENDINI MUSCOLI ORTOPEDIA ANATOMIA FUNZIONI GAMBA COSCIA MOVIMENTO.jpgIl legamento crociato anteriore (LCA) ed il legamento crociato posteriore uniscono il femore con la tibia. I legamenti crociati controllano i movimenti di traslazione antero-posteriore tra il femore e la tibia. Il LCA impedisce lo scivolamento in avanti della tibia rispetto al femore, mentre il legamento crociato posteriore (LCP) lo scivolamento indietro. Il LCA controlla anche la rotazione del ginocchio ed impedisce la sua sublussazione nei movimenti di rotazione della gamba.

Lesione del legamento crociato anteriore

La lesione del legamento crociato anteriore avviene quando il ginocchio viene forzato in rotazione od in iperestensione. La maggior parte delle lesioni è legata all’attività sportiva.

Nell’immediato il paziente:

  • avverte uno schiocco (crac) quando il legamento si rompe;
  • avverte dolore e deve abbandonare l’attività;
  • sviluppa una tumefazione entro poche ore dovuto al sanguinamento all’interno del ginocchio (può anche non essere presente);
  • sente il ginocchio instabile.

I sintomi della fase cronica sono: dolore, gonfiore e cedimento. Il dolore e il gonfiore solitamente si risolvono dopo due-quattro settimane, ma può persistere l’instabilità.
All’inizio, i sintomi possono essere avvertiti soltanto praticando attività sportiva ma in seguito si possono manifestare anche nelle attività quotidiane.
L’instabilità cronica può portare all’insorgenza di lesioni della cartilagine articolare ed all’instaurarsi precoce di artrosi per i movimenti anormali tra femore e tibia. Il LCA è dotato di una scarsa vascolarizzazione che ne impedisce la guarigione in caso di rottura. L’unica possibilità terapeutica è rappresentata quindi, in questo caso, dalla sua ricostruzione.

Lesione del legamento crociato posteriore

Il legamento crociato posteriore (LCP) agisce specularmene rispetto al legamento crociato anteriore e limita la traslazione posteriore della tibia. Questo legamento si lesiona generalmente per traumi ad energia, più frequenti incidenti stradali o per traumi a bassa energia, più frequenti negli sport. La lesione risultante si può classificare come isolata, quando riguarda solo legamento posteriore o combinata/associata quando si lesionano anche altre strutture capsulari e/o legamentose.

Le lesioni del legamento crociato posteriore sono di solito meglio tollerate rispetto a quelle del Legamento crociato anteriore, la rottura isolata del legamento posteriore non causa infatti fenomeni di instabilità articolare ma solo un a sintomatologia dolorosa di intensità variabile ed un’alterazione della normale motilità/meccanica articolare che si può produrre nel tempo in un aumentato rischio di alterazioni/usura/lesioni a carico della cartilagine articolare e dei menischi. Le lesioni associate o combinate di altri legamenti causano una a instabilità articolare che può essere presente anche nelle attività quotidiane.

La diagnosi di lesione/rottura del legamento crociato posteriore è basata sulla valutazione clinica mirata con test specifici integrato da esami strumentali come la RMN e la radiografie sotto stress. La RMN è di particolare utilità in fase acuta quando la valutazione clinica e più difficoltosa e può consentire nei casi cronici di valutare anche l’evoluzione della cicatrice del Legamento nelle lesioni incomplete, le radiografie sotto stress consentono di valutare e di misurare quanto la tibia si sposti posteriormente.

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Rottura della milza: cosa si prova e qual è la terapia?

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma ROTTURA DELLA MILZA PROVA TERAPIA SINTOMI Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari An Pene.jpgIn un precedente articolo, ci eravamo chiesti dove si trova, com’è fatta ed a cosa serve la milza, oggi invece cercheremo di capire quello che succede quando si verifica la “rottura della milza”.

Un organo frequentemente sottoposti a traumi
La milza è un organo che si danneggia frequentemente in caso di traumi a livello toracico-addominale o per traumi in altri distretti che si o si ripercuotono indirettamente su di essa. Tra tutti, la milza è infatti l’organo interno più frequentemente leso nei traumi toraco-addominali, questo a causa:

  • della sua fragilità intrinseca;
  • della ricca vascolarizzazione;
  • della sua posizione;
  • della presenza di un lungo peduncolo vascolare (arteria e vena lienale);
  • della connessione ai vari legamenti che le trasmettono sollecitazioni provenienti da altri organi.

Quali sono le cause di rottura della milza?
Come abbiamo appena visto, la rottura della milza può essere causata da traumi violenti (come incidenti stradali, un pugno molto forte, un proiettile…). Tuttavia ci sono delle circostanze, non così rare, in cui la milza diviene particolarmente suscettibile alla rottura, anche a seguito di traumi modesti o insignificanti, come un colpo di tosse, uno starnuto, un conato di vomito, lo sforzo alla defecazione, od una palpazione troppo vigorosa dell’organo. In genere, il rischio di rotture spontanee o secondarie a traumi minimi è elevato in caso di splenomegalia (ingrossamento della milza), specie se severo. Ecco allora che la rottura della milza diviene più comune nel corso di alcune malattie, come la mononucleosi infettiva, la malaria, la schistosomiasi, la cirrosi, le anemie emolitiche (es. talassemia), il morbo di Gaucher, la sarcoidosi, la leucemia a cellule capellute, la leucemia cronica mielogenica, la leucemia cronica linfocitica ecc. Per questa ragione, in questi individui (per es. ai ragazzi affetti da mononucleosi infettiva) la pratica di sport di contatto o ad alto rischio di traumi è caldamente sconsigliata dai medici.

Leggi anche: La milza è un organo indispensabile? Se viene asportata cosa può succedere?

Cosa si prova in caso di rottura della milza?
In presenza di un trauma violento dell’addome il paziente lamenta un dolore intenso in questa regione (ipocondrio sinistro, quadrante supero-laterale sinistro dell’addome), che si irradia alla spalla omolaterale (sinistra) ed è aggravato dalla palpazione. Le pareti addominali appaiono ipercontratte e l’addome disteso per l’accumulo di sangue nella cavità addominale; inoltre, il sanguinamento interno porta gradualmente ad uno stato si shock emorragico, segnalato da sintomi come pallore, ansietà, tachicardia, stordimento e confusione. Non sempre, però, le manifestazioni cliniche della rottura splenica si instaurano così precocemente; l’emorragia, infatti, può non essere immediata ma verificarsi in un secondo tempo, con una latenza di qualche giorno dal trauma ed insorgenza tardiva dei disturbi, anche a distanza di 6-7 giorni dall’incidente. Naturalmente, la rottura della milza può essere isolata o associata a lesioni di altri organi, che complicano le manifestazioni cliniche e la prognosi; quando vi è associazione con lesioni di altri organi, la mortalità per rottura splenica è elevata (10-20%), mentre in caso di lesione isolata la mortalità si aggira al 4%.

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Come si fa diagnosi di rottura della milza?
I mezzi diagnostici essenziali sono la TAC e l’ecografia, che avvalorano il sospetto emerso dall’esame fisico del paziente; anche il lavaggio peritoneale ha un’importante utilità diagnostica (si introduce un piccolo catetere, un tubicino di plastica flessibile, nell’addome, per aspirare ed analizzare il liquido aspirato ricercando la presenza di sangue).

Emergenza medica o terapia conservativa
Le lesioni spleniche possono essere lievi o di grossa entità; a seconda della gravità della situazione le possibili terapie sono quella conservativa o quella chirurgica. A tal proposito leggi: Rottura della milza: terapia conservativa o chirurgica?

Per approfondire sulla terapia chirurgica che consiste nella rimozione della milza, leggi questo articolo: Splenectomia parziale e totale: perché si esegue e quali sono i rischi

Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo

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Tendine e muscolo semitendinoso: anatomia, funzioni ed uso chirurgico

MEDICINA ONLINE MUSCOLI DI ANCA E COSCIA GAMBA VISTI POSTERIORMENTE GLUTEI tendine muscolo semitendinoso muscoli posteriori coscia muscolo bicipite femorale semimembranoso anatomia funzioni uso chirurgico.jpgIl muscolo semitendinoso è un muscolo che fa parte dei muscoli della coscia ed è in­nervato dal nervo tibiale (L4-S1).

Funzioni

Il muscolo semitendinoso agisce esten­dendo la coscia e flettendo il ginocchio insieme agli altri ischiocrurali permettendo di ruotarlo medialmente quando questo è piegato.

Anatomia

Il muscolo semitendinoso è posto superficialmente nella parte postero-mediale della coscia; è un muscolo carnoso nella porzione su­periore, tendineo in quella inferiore. Origina in alto dalla tuberosità ischiatica e discende verti­calmente fino alla parte media della coscia, do­ve continua in un lungo tendine, il tendine semitendinoso, che concorre al­la costituzione della zampa d’oca, inserendosi nella parte superiore della faccia mediale della tibia. La zampa d’oca corrisponde all’inserzione dei muscoli sartorio, gracile e semitendinoso sulla porzione superiore della faccia antero-mediale della tibia, che assume appunto una forma che ricorda quella della zampa di un’oca. Poste­riormente è in rapporto, in alto, con il muscolo grande gluteo e quindi con la fascia femorale; anteriormente corrisponde ai muscoli grande adduttore e semimembranoso. Insieme al tendi­ne del muscolo semimembranoso costituisce il limite supero-interno della fossa poplitea.

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Uso in chirurgia ortepedica

In caso di lesione del legamento crociato anteriore, il terzo centrale del tendine rotuleo ed i tendini del semitendinoso e del gracile, sono le strutture tendinee autologhe più frequentemente utilizzate per la sua ricostruzione.

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Articolazione del ginocchio: com’è fatta, quali sono le patologie, i sintomi e gli esami da fare

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Il ginocchio è un’articolazione che unisce la coscia e la gamba, le quali, insieme al piede, compongono l’arto inferiore. Il ginocchio è composto in realtà da due articolazioni: una tra femore e tibia, e l’altra tra femore e rotula. L’incavo posteriore è chiamato cavità poplitea. Il ginocchio consente movimenti in flessione ed estensione.

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Ossa e superfici articolari

L’articolazione del ginocchio è un ginglimo angolare, con un grado di libertà consente quindi il movimento di flessione-estensione; Prevede un secondo grado di mobilità, la rotazione su asse longitudinale della gamba, che si verifica solo a ginocchio flesso. Sul piano frontale, grazie agli assi longitudinali del femore e della tibia, è possibile notare il comune fisiologico valgismo di circa 170°. Le ossa coinvolte nell’articolazione del ginocchio sono il femore, la rotula (o patella) e la tibia. La patella è il più grande osso sesamoide del corpo umano. È un osso piatto che possiede due superfici, una anteriore ed una posteriore, tre lati ed un apice diretto inferiormente ma la sua forma è molto variabile. La superficie anteriore è molto ricca di fori nutritizi (dove penetrano rami delle arterie genicolate e della ricorrente anteriore tibiale) ed appare scabra, con rilievi longitudinali che possono essere più o meno marcati a seconda dell’individuo e che sono le aree di inserzione del tendine del muscolo quadricipite femorale. Prossimalmente presenta un’area più liscia dove si inseriscono i muscoli vasto intermedio e retto del femore. Lungo i lati mediale e laterale si inseriscono rispettivamente il retinacolo patellare mediale e il retinacolo patellare laterale. La superficie posteriore è invece più liscia di quella anteriore. La porzione superiore è divisa longitudinalmente da un rilievo, detto spigolo, in due faccette articolari, con la laterale più estesa della mediale. Tramite le due faccette la patella si articola con la superficie patellare del femore. La porzione inferiore sino all’apice è invece molto scabra, qui infatti si inserisce il tendine patellare che la collega alla tibia. La patella è costituita da una lamina di osso compatto superficiale che ricopre una più spessa porzione trabecolare, con le trabecole parallele alla superficie dell’osso nella porzione anteriore, più raggiate in quella posteriore. La superficie articolare del femore è costituita dalla sua epifisi distale espansa. L’epifisi distale del femore è costituita dai due condili, mediale e laterale, che anteriormente si fondono per poi formare la diafisi, mentre posteriormente divergono lateralmente; lo spazio che ne deriva è la fossa intercondiloidea. Superiormente e lateralmente ad esso, ciascun condilo possiede il corrispondente epicondilo. La porzione superiore dell’epicondilo mediale forma una sporgenza detta tubercolo adduttorio, poiché vi si inserisce una parte del tendine del muscolo grande adduttore. La superficie dell’epifisi distale posteriore compresa tra le due linee sopracondiloidee (mediale e laterale), detta poplitea, è scabra appena superiormente ai condili. Scabra è anche la superficie anteriore dei condili e degli epicondili, ma è liscia posteriormente sui condili e nella fossa intercondiloidea. Anteriormente all’epifisi distale vi è un’area triangolare liscia, la superficie patellare che si articola con la patella; è concava trasversalmente e convessa verticalmente. La superficie articolare del femore, costituita dalla superficie inferiore dei due condili è liscia ed ha la forma di una “U” rovesciata, essa si articola con il piatto tibiale, cioè la superficie superiore dell’epifisi prossimale della tibia, mentre non prende contatto con il perone.

Capsula articolare

Come ogni diartrosi, il ginocchio è circondato da una capsula articolare, formata da membrane fibrose, separate da depositi di grasso. La capsula è costituita da una parte esterna e da una interna, che costituisce la membrana sinoviale, che delimita una cavità dove è presente liquido sinoviale. Anteriormente la membrana sinoviale è attaccata al margine delle cartilagini del femore e della tibia. Esistono altre capsule che non sono comunicanti con questa, presenti tra la cute e la patella.

Menischi

I dischi articolari del ginocchio sono chiamati menischi. I menischi sono costituiti da tessuto connettivo con fibre di collagene contenente cellule cartilaginee, hanno una forma appiattita e sono fusi lateralmente con la membrana sinoviale. Ne troviamo due: il menisco laterale e il menisco mediale, che sono uniti tra loro dal legamento trasverso del ginocchio posto anteriormente ad essi. Il menisco laterale ha una forma quasi circolare, mentre quello mediale è più grande ed ha una forma semilunare. Entrambi prendono inserzione sull’eminenza intercondiloidea della tibia. I menischi servono a proteggere le estremità delle ossa dallo sfregamento e ad assorbire gli urti. Possono venire danneggiati o strappati quando il ginocchio è sottoposto a una rotazione o piegamento forzato.

Legamenti

Molti legamenti circondano il ginocchio, essi hanno la funzione di tenere in sito il ginocchio e dare stabilità, limitando i movimenti e proteggendo la capsula articolare.

Intracapsulari

Il ginocchio è stabilizzato attraverso i legamenti crociati (anteriore e posteriore), che prendono inserzione sull’eminenza intercondiloidea e si incrociano a livello della fossa intercondiloidea,. Il legamento crociato anteriore si estende dal condilo laterale del femore all’area intercondilare anteriore. Questo legamento impedisce che la tibia sia spinta anteriormente rispetto al femore. Il legamento crociato posteriore si estende dal condilo mediale del femore all’area intercondilare posteriore. Questo legamento impedisce lo spostamento posteriore della tibia rispetto al femore. Il legamento traverso si estende dal menisco laterale al menisco mediale. Passa davanti ai menischi e li collega anteriormente. Nel 10% della popolazione è suddiviso in più legamenti. I legamenti meniscofemorali posteriori e anteriori si estendono dal corno posteriore del menisco laterale al condilo femorale mediale. Il legamento meniscofemorale posteriore è più comune; più raramente sono presenti entrambi i legamenti. Il legamento meniscotibiale (o coronarico) si estende dai margini inferiori dei mensichi alla periferia del plateau tibiale.

Extracapsulari

Il legamento patellare unisce la patella alla tuberosità tibiale. Viene anche chiamato tendine patellare vista la mancanza di separazione tra il tendine quadricipite (che circonda la patella) e l’area che collega la patella alla tibia. Lateralmente e medialmente al legamento patellare, il retinacoli laterale e mediale connettono le fibre del muscolo vasto laterale e mediale alla tibia. Alcune fibre del tratto iliotibiale si irradiano nei retinacoli e ricevono fibre trasversali derivanti dall’epicondilo femorale mediale. I legamenti collaterali, (mediale o tibiale, e laterale o fibulare), si originano dagli epicondili femorali per poi prendere inserzione rispettivamente sulla tibia e sulla testa del perone.

Muscoli

I muscoli responsabili del movimento del ginocchio appartengono al compartimento anteriore, mediale o posteriore della coscia. In generale, i muscoli estensori appartengono al compartimento anteriore e i flessori al posteriore. Esistono due eccezioni: il gracile, un flessore, appartiene alla zona mediale e il sartorio, un flessore, all’anteriore.

Circolazione sanguigna

L’arteria femorale e l’arteria poplitea contribuiscono a formare la rete arteriosa che circonda l’articolazione del ginocchio. Esistono sei rami principali: due arterie genicolari superiori, due arterie genicolari inferiori, l’arteria genicolare discendente e il ramo ricorrente dell’arteria tibiale anteriore. Le arterie genicolari mediali penetrano nel ginocchio.

Funzione

L’articolazione del ginocchio permette movimenti di estensione e flessione della gamba rispetto alla coscia. I movimenti di rotazione sono limitati dalla presenza dei legamenti crociati e collaterali. Il ginocchio consente la flessione e l’estensione su un asse trasversale virtuale, nonché una leggera rotazione mediale e laterale attorno all’asse della gamba inferiore. Il giunto del ginocchio è mobile perché il femore e il menisco laterale si muovono sulla tibia durante la rotazione, mentre il femore ruota e scorre su entrambi i menischi durante la flessione e l’estensione. Il centro dell’asse trasversale dei movimenti di estensione e flessione si trova nell’incrocio tra i legamenti collaterali e i legamenti crociati. Il punto centrale si muove verso l’alto e all’indietro durante la flessione, mentre la distanza tra il centro e le superfici articolari del femore cambia con la diminuzione della curvatura dei condili femorali.

Le patologie

Diverse sono le patologie che coinvolgono l’articolazione del ginocchio. La più comune riguarda pazienti con età avanzata: l’artrosi è una malattia degenerativa cronica che coinvolge capsula, legamenti e cartilagine e porta ad una graduale usura dell’articolazione.

Ma le malattie del ginocchio sono diagnosticabili anche in pazienti giovani, come le lesioni meniscali o le rotture del legamento crociato anteriore, causate da traumi o da sforzi ripetuti anche di natura sportiva. Causa di dolore al ginocchio possono poi essere poi patologie da sovraccarico o post-traumatiche come borsiti o tendiniti.

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Lesioni meniscali

Le lesioni meniscali sono molto frequenti, avvengono o per trauma distorsivo del ginocchio o per usura cronica del menisco, sono più a rischio persone che “usano” molto le ginocchia: calciatori, pavimentatori, operai, pallavolisti eccetera.
Le lesioni del menisco si differenziano secondo la loro localizzazione, quindi sarà facile trovare uno di questi termini nel referto della vostra ecografia al ginocchio:

  • a “manico di secchio”: dal corpo del menisco si alza un frammento semilunare, derivante dall’aggravarsi di una lesione più piccola, e rischia di rimanere incastrato e causare un blocco.
  • longitudinale: lesione in senso longitudinale rispetto al corpo del menisco
  • trasversale: lesione in senso trasversale, quindi perpendicolare, rispetto al corpo del menisco.

Sintomi e segni

Il sintomo più tipico che allarma il paziente è il dolore (gonalgia). La sede del dolore dipende dalla struttura colpita dalla patologia e dal compartimento interessato. Nei pazienti anziani il dolore è tipicamente mediale, compartimento colpito più frequentemente dalle fasi iniziali dell’artrosi.

Le modalità di insorgenza variano a seconda della patologia che lo determinano. Il dolore a comparsa lenta con progressivo peggioramento in un paziente anziano fa sospettare l’insorgenza di una gonartrosi, il dolore acuto in un paziente giovane dopo trauma discorsivo o sforzo, fa sospettare l’insorgenza di una lesione meniscale. Il dolore causato dall’articolazione del ginocchio viene evocato dal carico (cammino) o dalla mobilizzazione passiva eseguita dall’esaminatore ai gradi massimi di articolarità.

Spesso il dolore può essere accompagnato dalla zoppia causata dal tentativo del paziente di ridurre al minimo il momento dell’appoggio dell’arto con ginocchio doloroso. Tale tentativo produce uno squilibrio nell’andatura per effetto della minore durata del passo con appoggio sull’arto “malato” rispetto al passo con appoggio sull’arto sano.

Altrettanto spesso il dolore può essere accompagnato da gonfiore. La tumefazione dell’articolazione, talvolta evidente alla semplice osservazione, è causato dall’aumento della quantità di liquido intrarticolare. Quando il liquido in eccesso è liquido sinoviale, come nel caso dell’infiammazione della parete interna della capsula (sinovite) la tumefazione viene definita idrartro. Tipica è la presenza di idrartro in caso di artrosi severa. Quando il liquido in eccesso contiene sangue, causato da una frattura o da una lesione legamentosa intrarticolare dopo un trauma, si parla di emartro.

Più rara è la comparsa di rigidità, spesso dovuta al consumo severo della superficie articolare ed a comparsa di calcificazioni che diminuiscono l’escursione articolare.

Il blocco articolare è invece una limitazione articolare che consente pochi gradi di escursione articolare, spesso accompagnati da intenso dolore. Il blocco ha sempre una causa meccanica, più frequentemente è causata da un frammento di menisco rotto che si interpone tra le due superfici articolari impedendone lo scivolamento l’una sull’altra.

L’instabilità definisce un cedimento dell’articolazione durante il carico. Può essere causata nei pazienti anziani dalla degenerazione dei legamenti collaterali e dal consumo dell’osso femorale o tibiale o nei pazienti giovani nella lesione del legamento crociato anteriore.

Leggi anche: Differenza tra legamento e tendine con esempi

Gli esami

Nella maggior parte dei casi è il medico di famiglia che prescrive l’esecuzione di una radiografia standard in proiezione antero-posteriore e laterale del ginocchio affetto che lo aiuta a formulare la diagnosi. La proiezione assiale di rotula (tangenziale a ginocchio flesso) mette in rilievo anomalie ossee dell’articolazione femoro-rotulea.

La radiografia del ginocchio visualizza le parti ossee (chiare, cioè radiopache), permette quindi di valutare la forma del femore, della tibia e della rotula, l’assenza di fenomeni patologici come le calcificazioni o le lesioni litiche (consumo dell’osso). Permette inoltre di valutare l’ampiezza dello spazio articolare cioè lo spessore delle cartilagini femorale e tibiale che essendo radiotrasparenti (scure) sono identificabili nello “spazio vuoto” tra i condili femorali ed il piatto tibiale.

La TC (o TAC) è utile nel caso si vogliano approfondire le indagini per quanto riguarda il versante osseo, meniscale o legamentoso

La risonanza magnetica serve a valutare la presenza di sofferenza ossea (es. sofferenza dell’osso del piatto tibiale o dei condili femorali in fase iniziale, non visibili alla radiografia), di lesioni del menisco laterale o mediale, di lesioni dei legamenti crociati o collaterali o di problemi dei tessuti molli circostanti (es. borsiti, cisti,..).

L’ecografia muscolo tendinea è una metodica non invasiva e assolutamente non dannosa per l’organismo (relativamente economica in relazione al suo impatto sui costi sociali) che utilizza ultrasuoni ovvero onde sonore ad alta frequenza per studiare i fasci muscolari, i tendini e le neoformazioni dei tessuti molli come le cisti e i lipomi. È un esame che spesso riesce ad offrire informazioni preliminari sulle cause possibili del dolore articolare. I vantaggi dell’ecografia sono che è un esame indolore, rapido (l’esame dura 10-15 minuti), economico, permette una visione in tempo reale anche con l’articolazione in movimento (impossibile con altre metodiche), può essere eseguito anche se il paziente è portatore di pacemaker e non espone il soggetto a radiazioni. Per quel che riguarda il ginocchio, l’ecografia è utile per:

  • lo studio dei tendini e delle loro lesioni;
  • lo studio delle lesioni muscolari;
  • lo studio delle cisti tendinee e articolari;
  • lo studio preliminare delle neoformazioni del sotto cute;
  • lo studio delle fasce muscolari e delle borse sierose.

I migliori prodotti per la cura delle ossa e dei dolori articolari

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A cosa serve la milza e che significa “rottura della milza”?

MEDICINA ONLINE DOVE SI TROVA LA MILZA A CHE SERVE LA MILZA FUNZIONI SANGUE IMMUNITRARIO ROTTURA MILZA CHIRURGIA SPLENECTOMIA CONSEGUENENZE.jpgTutti sanno (più o meno) a cosa serve il cuore, o il polmone o lo stomaco, ma in pochi sanno a cosa serva la milza. Un organo meraviglioso nella sua semplicità, eppure sempre molto sottovalutato! Merita sicuramente un approfondimento, così da oggi anche voi saprete rispondere a questa domanda:

Cos’è la milza?

La milza è un organo interno, linfoide secondario, parenchimatoso, impari (significa che nel corpo ne abbiamo solo una), dalla forma ovoidale, di colore rosso scuro e consistenza molle. L’assenza congenita della milza è un’anomalia molto rara, mentre circa una persona su dieci ha una o più milze accessorie, spesso senza neanche saperlo.

Dove si trova la milza?

La milza è situata nella regione posteriore della cavità addominale sulla sinistra, più in particolare è localizzata nel quadrante superiore sinistro dell’addome, appena sotto il diaframma, protetta dalle ultime coste dell’emitorace sinistro, vicino a stomaco e pancreas.

Leggi anche: Apparato digerente: cos’è, com’è fatto, a che serve e come funziona?

Com’è fatta la milza?

È un organo color rosso porpora, di consistenza elastica e molle, Ha una lunghezza di circa 12 centimetri, una larghezza di 7/8 e uno spessore di 3/5. La milza pesa mediamente di 200 grammi nell’uomo e 168 nella donna. Il peso ed il  volume della milza diminuiscono con la vecchiaia, mentre aumentano durante particolari patologie cardiovascolari o infettive (come la mononucleosi).

A che serve la milza?

Quale organo vascolare sanguigno e linfatico, provvede al metabolismo del ferro, è sede di formazione (emopoiesi), accumulo e distruzione (emocateresi) delle cellule del sangue. Essa inoltre distrugge i batteri e ogni particella inerte che le vengono convogliati dalla corrente sanguigna; accumula poi grandi quantità di piastrine che riversa in circolo in caso di necessità (per esempio in presenza di sforzi o forti stress). Le funzioni appena elencate sono svolte dalla milza durante la fase adulta, invece durante lo sviluppo embrionale, la milza produce globuli rossi e bianchi. Dopo la nascita tale funzione è assunta dal midollo osseo e la milza limita la sua attività alla produzione di certi tipi di globuli bianchi e alla distruzione dei globuli rossi senescenti e ormai inefficienti. Per ricapitolare ecco nel dettaglio le funzioni della milza:

  • permette la maturazione degli elementi della serie rossa: nella milza si completa la maturazione ed il modellamento dei reticolociti (globuli rossi di recente formazione);
  • funzione ematopoieitica: permette la sintesi delle cellule ematiche, tipica della vita fetale, può riattivarsi anche nell’adulto in caso di emergenza, per esempio dopo abbondanti emorragie;
  • rimozione degli eritrociti: i macrofagi presenti nella milza rimuovono dal circolo sanguigno i globuli rossi invecchiati o malfunzionanti; questa funzione, sia quantitativa che qualitativa, è chiamata emocateresi ed è estesa anche ai linfociti e alle piastrine.
  • funzione linfopoietica: produce globuli bianchi);
  • funzione anticorpopoietica: produce anticorpi IgM e IgG (la milza ha quindi un ruolo immunitario di primordine e contribuisce ad accrescere le difese dell’organismo);
  • sintesi di opsonine: la milza produce macromolecole che facilitano l’attività macrofagica “etichettando” e segnalando come dannose determinate sostanze estranee, altrimenti difficilmente riconoscibili dal sistema immunitario;
  • magazzino ematico: la milza funge da “serbatoio” di sangue, al quale l’organismo può attingere in caso di necessità. Questa funzione diventa importante solo in condizioni patologiche (splenomegalia). Nella milza vengono depositati anche il ferro, le piastrine ed alcune popolazioni linfocitarie.

La milza è un organo indispensabile? Cosa succede se viene asportata?

A causa di tutte le mansioni appena elencate, i pazienti che hanno subìto un intervento di asportazione possono andare incontro ad alcune condizioni particolari. Per approfondire leggi: La milza è un organo indispensabile? Se viene asportata cosa può succedere?

Per approfondire sulla terapia chirurgica che consiste nella rimozione della milza, leggi questi articoli:

Cosa succede quando la milza non funziona?

Tra le patologie a carico della milza ricordiamo la sindrome ipersplenica, quando l’organo funziona troppo (con sintomi come anemia, leucopenia, piastrinopenia e splenomegalia, che si manifesta anche in caso di neoplasie, problemi a livello di circolazione del sangue e alcune malattie infettive e parassitarie come toxoplasmosi, mononucleosi, epatite, endocardite, tifo, sifilide e malaria), mentre la complicanza più grave è la rottura della milza, che può essere causata da un trauma.

Cosa indica il dolore alla milza?

Avvertire dolore nella zona della milza tende a spaventare i pazienti, tuttavia la maggior parte delle volte, tale dolore non indica patologia. E’ il caso ad esempio del dolore durante lo sport intenso. Solitamente quando si fa uno sforzo fisico prolungato si prova un dolore alla milza anche intenso, che non necessariamente indica la presenza di patologie di altra natura. Questo disturbo solitamente scompare quando lo sforzo finisce e il corpo ritorna a riposo. Ma per quale motivo si sente il dolore alla milza durante gli sforzi? L’ipotesi più plausibile a riguardo è che il dolore sia legato ad un’ischemia splenica transitoria, legata al temporaneo dirottamento di sangue dalla milza ai muscoli in attività. L’organismo nel tempo tende comunque ad adattarsi all’allenamento ed il soggetto tende a non sentire più dolore durante lo sforzo intenso.

Leggi anche: Dove si trova il pancreas ed a che serve?

La milza contiene moltissimo sangue

La milza è un organo ad elevato contenuto di sangue, la cui irrorazione è affidata all’arteria splenica, mentre il deflusso ematico avviene attraverso la vena splenica (afferente alla vena porta). L’organo si può quindi considerare come un grosso filtro che, al contrario di quello renale (abile nel setacciare ioni e molecole di piccole dimensioni), provvede ad eliminare le cellule e le macromolecole dannose o presenti in eccesso. In presenza di un incremento ematico la milza aumenta di dimensioni (splenomegalia = milza ingrossata) e può arrivare a trattenere due litri di sangue. Tale condizione può essere legata a modificazioni del flusso sanguigno interno (ipotonia del distretto arterioso intrasplenico) o ad ostacoli che ne impediscano l’uscita (come si verifica in caso di ipertensione portale conseguente a cirrosi epatica). La milza appare ingrossata anche in caso di malattie emolitiche, quando accumula eccessive quantità di glucosio o di lipidi (tesaurismosi) o a causa di processi neoplastici, comunque rari. Infine, la splenomegalia è tipica anche di alcune malattie infettive e parassitarie (toxoplasmosi, mononucleosi, epatite, endocardite, tifo, sifilide e malaria).

Rottura della milza

Quali sono le cause di rottura della milza, cosa si prova quando accade e come si cura? Per rispondere a queste domande, vi invito a leggere: Rottura della milza: cosa si prova e qual è la terapia?

Leggi anche:

Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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Aneurisma dell’aorta addominale: cause, sintomi, diagnosi e terapie

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Molti pazienti mi chiedono, con profondo timore ed ansia, cosa sia l’aneurisma dell’aorta addominale. Oggi facciamo un po’ di chiarezza su questa patologia. Per definizione un “aneurisma” è una dilatazione anomala e permanente della parete di un segmento di un’arteria, almeno pari al 50% (altrimenti si parla di ectasia), causata da un trauma o da una patologia che interessa il vaso sanguigno (ad esempio aterosclerosi). Un aneurisma dell’aorta addominale è una dilatazione patologica permanente che interessa la parete della più grande arteria dell’addome: l’aorta. Sebbene le cause precise siano al momento ignote, la comunità scientifica ritiene che l’insorgenza di un aneurisma addominale sia favorita da diversi fattori, tra cui ipertensione arteriosa, invecchiamento, famigliarità e fumo di sigaretta. I sintomi, quando presenti, consistono in una strana sensazione pulsante a livello dell’ombelico, accompagnata da dolore addominale persistente e dolore lombare.
Per una diagnosi precisa, oltre all’esame obiettivo, occorrono solitamente un’ecografia addominale, una TAC e/o una risonanza magnetica nucleare. La terapia prevede l’intervento chirurgico, il quale viene generalmente praticato solo in caso di aneurismi di grandi dimensioni.
Un aneurisma è una dilatazione patologica di un vaso sanguigno, generalmente un’arteria. I problemi per la salute derivano dal fatto che, una volta dilatatasi, la parete vasale si indebolisce e può rompersi con facilità; in caso di rottura, la perdita di sangue che ne consegue può essere massiva e portare anche alla morte. Inoltre, anche se non dovesse rompersi, un aneurisma di grandi dimensioni può comunque pregiudicare la corretta circolazione sanguigna e favorire la formazione di coaguli sanguigni o di trombi.

Leggi anche: Tipi e grandezza degli aneurismi cerebrali

Cos’è l’aorta?

L’aorta è il vaso arterioso più grande e importante del corpo umano. Origina direttamente dal cuore (ventricolo sinistro) e, grazie alle sue innumerevoli ramificazioni, diffonde il sangue verso ogni distretto anatomico: testa, arti superiori, organi dell’addome e arti inferiori. A livello puramente didattico, l’aorta viene distinta in due principali segmenti: aorta toracica e aorta addominale.

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Un aneurisma dell’aorta addominale, detto più semplicemente aneurisma addominale o AAA, è un rigonfiamento patologico di una porzione del tratto di aorta passante per l’addome (vedere figura).
Come per ogni altro aneurisma, la parete aortica interessata dal rigonfiamento è fragile e può rompersi con relativa facilità, provocando una grave perdita di sangue. Per dare un’idea della gravità degli aneurismi addominali, si pensi che il 70-90% dei casi di rottura spontanea si conclude con la morte del soggetto colpito. Insieme agli aneurismi cerebrali, quelli che interessano l’aorta addominale sono gli aneurismi che più mettono in pericolo la vita di un individuo.

Diametro

Diametro dell’aorta, normale e patologico:

  • In condizioni normali, nell’adulto, il diametro dell’aorta addominale misura circa 20 millimetri (cioè 2 centimetri).
  • Si parla di aneurisma addominale quando il rigonfiamento aortico raggiunge almeno i 30 millimetri (ovvero 3 centimetri) di diametro.
  • L’aneurisma è ritenuto di grandi dimensioni quando raggiunge un diametro di 55 millimetri (5,5 centimetri).

Leggi anche: Cosa si prova e cosa succede quando si rompe un aneurisma cerebrale?

Dove sono localizzati più frequentemente gli aneurismi addominali?

Gli aneurismi addominali possono insorgere in vari punti dell’aorta addominale: sotto, sopra e allo stesso livello dei reni (rispettivamente posizione sottorenale, sovrarenale e pararenale), e in prossimità della diramazione che porta alle arterie iliache. Secondo una ricerca statistica, il 90% degli aneurismi dell’aorta addominale è sottorenale. Va ricordato ai lettori che l’aorta può essere interessata da un aneurisma anche ad altri livelli dell’aorta, come ad esempio a livello toracico: in questo caso si parla di aneurisma dell’aorta toracica.

Epidemiologia

La formazione di un aneurisma addominale è assai più frequente tra gli individui di età avanzata (N.B: sopra i 65 anni, si osserva un aumento sensibile del numero di casi), tra i fumatori e tra i soggetti affetti da ipertensione arteriosa. Inoltre, si è notato che gli uomini sono più colpiti delle donne e che la razza maggiormente interessata è quella caucasica. Secondo alcuni studi statistici, gli uomini di età superiore ai 65 anni hanno dall’1 al 3% di probabilità di andare incontro alla rottura di un AAA. Come si è detto, la mortalità in caso di rottura di un aneurisma addominale è assai elevata (tra il 70 e il 90%).

Leggi anche: Rottura di aneurisma dell’aorta addominale: intervento chirurgico

Quali sono le cause dell’aneurisma dell’aorta addominale?

La causa precisa che porta alla formazione di un aneurisma dell’aorta addominale è sconosciuta.
Molti medici, tuttavia, concordano nell’attribuire un ruolo fondamentale a fattori di rischio come:

  • L’invecchiamento. La parete dei vasi sanguigni è composta da elastina e collagene. La prima assicura elasticità ai vasi; la seconda ne garantisce la forza e la resistenza alle sollecitazioni.
    E’ ormai assodato che l’invecchiamento determini una perdita progressiva sia di elastina che di collagene; ciò irrigidisce e rende più fragile la parete vasale, pertanto è anche più facilmente soggetta a dilatazioni permanenti e rotture.
  • L’aterosclerosi. Si tratta di una malattia degenerativa che interessa le arterie di medio e grosso calibro e che dipende da numerosi fattori di rischio (quali fumo, obesità, diabete, sedentarietà ecc.).
    L’aterosclerosi è caratterizzata dall’accumulo, sulla parete interna dei vasi, di depositi di grasso e di altre sostanze (i cosiddetti ateromi o placche aterosclerotiche); questi, una volta infiammati, possono rompersi e provocare sanguinamento. A tale emorragia fa seguito il normale processo di coagulazione, che, però, quando avviene all’interno dei vasi e in prossimità di ciò che rimane degli ateromi, può avere pericolose conseguenze: possono infatti formarsi trombi o coaguli sanguigni, che vanno a sommarsi alla placca aterosclerotica ostacolando il normale flusso ematico.
  • L’ipertensione. L’alta pressione arteriosa è scatenata da numerosi fattori, tra cui: il sovrappeso, l’obesità, la sedentarietà, il fumo di sigaretta, l’invecchiamento, lo stress, una certa predisposizione genetica, l’ipercolesterolemia ecc. Di conseguenza, tutte queste situazioni sono anche fattori favorenti un aneurisma dell’aorta addominale.
  • Il fumo di sigaretta. Il fumo di sigaretta, sia attivo che passivo, oltre a danneggiare direttamente le arterie, favorisce anche la formazione di ateromi e l’innalzamento della pressione arteriosa.
  • La vasculite. È il termine medico che indica un’infiammazione delle pareti dei vasi sanguigni. Può essere provocata da un’infezione, un’allergia, alcuni tipi di tumore, alcune malattie autoimmuni o certi farmaci.
  • Una determinata predisposizione genetica. Gli individui che hanno una storia familiare di aneurisma addominale sono predisposti a sviluppare tali disturbi con maggiore facilità e prima del solito (cioè prima dell’età soglia di 65 anni). Ciò ha indotto a pensare che giochi un ruolo fondamentale anche la componente genetica.

Leggi anche: Cos’è un infarto e quanti tipi di infarto conosci?

Di solito, i fattori sopradescritti agiscono di concerto, cioè insieme. Pertanto, è più facile che un individuo sviluppi un aneurisma se è contemporaneamente fumatore e affetto da ipertensione oppure se è fumatore, obeso, predisposto geneticamente al problema ecc.

Quali sono i sintomi, segni e complicazioni dell’aneurisma dell’aorta addominale?

L’aneurisma dell’aorta addominale è spesso asintomatico (cioè privo di sintomi evidenti): secondo alcune indagini statistiche, infatti, circa 7 individui affetti su 10 non manifestano alcun disturbo degno di nota. Nei rimanenti casi, in cui è invece sintomatico, l’aneurisma addominale può causare:

  • Una strana sensazione pulsante a livello dell’ombelico.
  • Un dolore profondo e costante all’interno dell’addome o su un lato soltanto (la sensazione dolorosa è dovuta alla pressione che la dilatazione, creata dall’aneurisma, esercita sulle strutture anatomiche adiacenti).
  • Un dolore alla zona lombare.

E’ importante notare che spesso la presenza o meno di sintomi è legata alla grandezza e alla velocità di crescita dell’aneurisma addominale. In genere, infatti, gli aneurismi asintomatici sono di dimensioni ridotte e a sviluppo lento, mentre gli aneurismi sintomatici sono per lo più di dimensioni notevoli e a crescita rapida.

Quando rivolgersi al medico e chi deve controllarsi con maggiore frequenza?

Qualora si avvertano uno o più dei sintomi prima elencati, è buona norma contattare il proprio medico. Inoltre, se per qualche ragione si è un soggetto fortemente a rischio, è altrettanto opportuno sottoporsi a controlli periodici; per esempio, si consiglia una visita specialistica a:

  • I grandi fumatori, aventi 65 anni o di più
  • Le persone dai 65 anni in su, di sesso maschile e affette da ipertensione
  • I fumatori con una storia familiare di aneurisma dell’aorta addominale
  • Gli uomini con una storia familiare di AAA, affetti da obesità

Leggi anche: Aorta addominale: dove si trova?

Complicazioni degli aneurismi dell’aorta addominale

Gli aneurismi dell’aorta addominale, specie se di grandi dimensioni, possono rompersi e provocare emorragie così importanti e consistenti da portare anche alla morte dell’individuo.
I sintomi e i segni solitamente provocati dalla rottura di un aneurisma addominale sono:

  • Dolore intenso e persistente a livello addominale e lombare
  • Dolore che si irradia dalla zona lombare alle gambe
  • Intensa sudorazione
  • Giramenti di testa
  • Nausea e vomito
  • Ipotensione (cioè bassa pressione arteriosa)
  • Polso veloce
  • Perdita di conoscenza
  • Difficoltà respiratorie

Un’altra seria conseguenza, che può avere luogo a seguito di un aneurisma addominale, consiste nella più facile formazione di emboli all’interno del sistema vascolare.
Gli emboli sono, quasi sempre, dei coaguli di sangue capaci di spostarsi dalla sede d’origine (in questo caso l’aneurisma) ad altre arterie contigue di diametro inferiore, situate per esempio nelle gambe, nei piedi o negli organi addominali (rene, fegato ecc); una volta raggiunto un vaso di diametro sufficientemente piccolo da impedirne l’avanzamento, l’embolo blocca come un tappo il flusso di sangue locale.

Leggi anche: Aneurisma dell’aorta addominale: cos’è e quando diventa pericoloso

Dimensione della dilatazione e probabilità di rottura dell’aneurisma

Esiste una correlazione tra possibilità di rottura e grandezza della dilatazione:

  • 40 mm – 55 mm: la probabilità di rottura è pari a un 1%
  • 55 mm – 60 mm: la probabilità di rottura è pari a un 10%
  • 60 mm – 69 mm: la probabilità di rottura è pari a un 15%
  • 70 mm – 79 mm: la probabilità di rottura è pari a un 35%
  • 80 mm o di più: la probabilità di rottura è pari a un 50%

Diagnosi di aneurisma dell’aorta addominale

Un medico può accorgersi della presenza di un aneurisma addominale anche con un semplice esame obiettivo, in quanto, al fonendoscopio, può avvertire un rumore particolare e del tutto caratteristico. Tuttavia, per poter delineare le precise caratteristiche dell’aneurisma (dimensioni, posizione, gravità ecc) occorrono diverse procedure diagnostiche, assai più precise, come l’ecografia addominale, la TAC e la risonanza magnetica nucleare. Attenzione: l’esame obiettivo è attendibile nella maggior parte dei casi; tuttavia, se l’aneurisma dell’aorta addominale è piccolo, il medico potrebbe non percepire alcun rumore indicativo. Pertanto, senza ulteriori indagini, il problema rimane inosservato.

Ecografia addominale

L’ecografia addominale è un esame strumentale sufficientemente esauriente e privo di pericolosità. L’indagine prevede l’uso di una sonda a ultrasuoni, la quale, una volta appoggiata sulla cute del paziente, è in grado di proiettare su un monitor gli organi interni di quest’ultimo. Nel punto in cui appoggia la sonda, il medico spalma del gel, che serve soltanto a migliorare la qualità delle immagini. In caso di aneurisma addominale, l’ecografia permette non solo di localizzare il punto esatto della dilatazione, ma anche di misurarne il diametro.

TAC

La TAC (tomografia assiale computerizzata) fornisce delle immagini chiare degli organi interni, mostrando minuziosamente l’aspetto dell’aorta e degli altri vasi arteriosi che da essa dipartono.

Risonanza magnetica

Grazie alla creazione di campi magnetici, la risonanza magnetica nucleare fornisce un’immagine precisa degli organi contenuti nell’addome, compresi l’aorta e le sue prime ramificazioni. Non è invasiva e non prevede l’utilizzo di radiazioni nocive per l’uomo.

Terapia dell’aneurisma dell’aorta addominale

Il solo modo per poter curare un aneurisma dell’aorta addominale è intervenire con un’operazione chirurgica ad hoc, tuttavia bisogna specificare che la chirurgia è riservata soltanto ai pazienti con aneurismi di diametro superiore ai 55 millimetri (5,5 centimetri). Infatti, quando la dilatazione aortica è di dimensioni ridotte, è preferibile limitarsi al principio del “guardare e aspettare” (o principio della “sorveglianza”). Perché non operare gli aneurismi più piccoli? L’operazione chirurgica per la risoluzione di un aneurisma addominale è molto delicata e il rischio che il paziente muoia durante la sua esecuzione è concreto. Pertanto, viene praticata solo quando il rischio di morte per rottura dell’aneurisma è superiore al rischio di morte per le complicazioni legate all’intervento chirurgico. In altre parole, i medici decidono di operare solo se la presenza dell’aneurisma è considerata più insidiosa della pratica operatoria. Come anticipato, gli aneurismi addominali più pericolosi sono quelli di grandi dimensioni. Cosa significa il principio del “guardare ed aspettare”? Il principio del “guardare e aspettare” consiste nel sottoporre il paziente a un’ecografia addominale ogni 6-12 mesi. Secondo i medici, questo è un ottimo modo per monitorare la situazione e accorgersi per tempo di un’eventuale ingrandimento della dilatazione. Quali sono i trattamenti chirurgici attualmente disponibili?
Per riparare l’aorta addominale colpita da aneurisma, attualmente esistono due principali opzioni chirurgiche: la procedura tradizionale e la procedura endovascolare.

Procedura tradizionale

La procedura tradizionale, o “a cielo aperto”, consiste nel rimuovere la sezione di aorta interessata dall’aneurisma, per poi sostituirla con una struttura di forma analoga ma di materiale sintetico. In altre parole, il chirurgo esegue una sorta di trapianto. Tale approccio è molto invasivo, perché prevede l’incisione dell’addome e di un vaso arterioso importante come l’aorta. Il recupero post-operatorio può richiedere anche più di 30 giorni.

Procedura endovascolare

Consiste nel rinforzare le pareti dell’aneurisma inserendo, internamente alla dilatazione, una protesi metallica di forma circolare e simile a una rete (detta stent). Il posizionamento della protesi avviene tramite un catetere infilato in un’arteria della gamba e condotto fino all’aorta. Una volta posizionato, lo stent è fissato con delle clip metalliche, in modo tale che non si muova dalla sua posizione. Il vantaggio di questa procedura consiste nella bassa invasività e nei tempi di recupero più brevi rispetto alla tecnica tradizionale. Lo svantaggio è che lo stent potrebbe staccarsi, rendendo così necessario un altro intervento per la sua sistemazione. Per assicurarsi che lo stent si mantenga in posizione corretta, è consigliabile svolgere un’ecografia addominale ogni 6-12 mesi. Secondo uno studio statistico, le due procedure, se vanno a buon fine, garantiscono risultati simili: il tasso di sopravvivenza a lungo termine è infatti sovrapponibile. Da quali parametri dipende, allora, la scelta della procedura chirurgica? Per scegliere quale procedura è meglio adottare, il medico valuta l’età del paziente, il suo stato di salute generale (funzione renale ecc.) e la sede dell’aneurisma.

Leggi anche: Stenosi carotidea, placche, ictus cerebrale ed attacco ischemico transitorio (TIA)

Rottura dell’aneurisma dell’aorta addominale

Quando un aneurisma dell’aorta addominale va incontro a rottura, bisogna intervenire immediatamente, nel giro di pochi minuti; una simile situazione è infatti molto grave e può portare in modo alquanto repentino alla morte.

Consigli per prevenire un ulteriore peggioramento delle condizioni

In presenza di un aneurisma addominale il medico raccomanda al paziente di:

  • Non fumare
  • Praticare regolarmente attività fisica
  • Mangiare sano e in maniera equilibrata, quindi limitare le dosi di cibo, gli alimenti grassi e il sale
  • Perdere peso, in caso di sovrappeso e obesità
  • Non bere alcolici
  • Se si soffre di diabete, ipercolesterolemia, ipertensione ecc, curarsi secondo le indicazioni del medico

Queste stesse indicazioni valgono anche a livello di prevenzione. Tuttavia, bisogna ricordare che se esiste una predisposizione genetica alla formazione di aneurismi, anche l’adozione delle corrette misure preventive potrebbe non essere sufficiente ad impedirne la comparsa.

Prognosi

Molto spesso, l’individuo che sviluppa un aneurisma addominale è anche a rischio delle altre malattie cardiovascolari ad esso associate (coronaropatie, ictus, arteriopatie degli arti inferiori ecc.). Non a caso, la maggior parte di questi pazienti muore per un attacco di cuore o per un ictus, mentre ben più rari sono i decessi per rottura dell’aneurisma.

Mortalità post-intervento

La mortalità, dopo un intervento (riuscito) di correzione di un AAA, è diminuita negli ultimi decenni; al momento (2014), nel mondo Occidentale il suo valore è pari all’1,6%. Risulta invece nettamente superiore la mortalità dopo un intervento per rimediare alla rottura spontanea di un aneurisma addominale; essa è infatti pari a circa il 40%.

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