Psicoterapia sistemico-relazionale: la famiglia converge sul paziente

Dott. Loiacono Emilio Alessio Medico Chirurgo Roma Medicina Chirurgia Estetica Rughe Filler Cavitazione Peso Dimagrire Pancia Grasso Dietologo Cellulite Senologo Pene HD Grasso Pancia Sex Sessuologo Auguri Buon Natale 2013 SALUTE NEONATO DIETA PADRELa psicoterapia ad indirizzo sistemico-relazionale considera la persona portatrice del sintomo “paziente designato”. Tale termine sta ad indicare che il paziente è il membro del sistema-famiglia (per famiglia si intendono sia la propria che almeno le due generazioni che l’hanno preceduta), che esprime o segnala il funzionamento disfunzionale di uno o più dei sistemi di cui egli è uno dei vertici. Tale membro è “designato” dal sistema stesso, secondo una prospettiva bio-psicosociale, in quanto soggetto che esprime una modalità disfunzionale di vivere, pensare, agire. Talvolta, specialmente in casi che riguardano i bambini o gli adolescenti (ambiti in cui la terapia familiare risulta un approccio particolarmente valido), questo si manifesta sotto forma di blocco evolutivo, così che tutte le tensioni tendono a convergersi su di lui; in tal modo diviene il controllore di forze ed energie relazionali, al prezzo di gravi sentimenti di sofferenza e vissuti di disgregazione.

In questa ottica, le tecniche che si utilizzano hanno per obiettivo la modificazione delle regole del sistema, ovvero la modificazione delle modalità di comunicazione e di interazione tra i membri.

Questo approccio ebbe origine a partire da un vasto movimento di teorie e idee diffuse negli Stati Uniti durante gli anni cinquanta, in particolare le teorie della prima e seconda cibernetica. La “Scuola di Palo Alto” e il Mental Research Institute, con i loro maggiori esponenti (Gregory Bateson, Don D. Jackson, Jay Haley, Paul Watzlawick), furono i principali centri di sviluppo della terapia sistemica familiare. I terapeuti che seguono questo orientamento psicoterapeutico condividono la matrice pragmatica, di chiara origine americana, per cui il loro intervento si struttura in genere in un numero di sedute ridotte, e in tempi relativamente rapidi.

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La psicoterapia ad indirizzo sistemico-relazionale si è molto diffusa in Italia e in Europa durante gli anni ottanta, in modo particolare nei servizi di salute pubblica, nel campo della patologia psichiatrica degli adulti, nella neuropsichiatria infantile, nel campo delle tossicodipendenze e negli ultimi anni anche nelle problematiche che riguardano la separazione-divorzi e le problematiche scolastiche; inoltre nell’ambito della psicologia del lavoro ha trovato importanti e significative applicazioni.

In ambito clinico, proprio in Italia è nata e si è sviluppata una delle più importanti tradizioni di ricerca sistemica, di notorietà e diffusione internazionale: il cosiddetto “Modello della Scuola Milanese”, di Selvini-Palazzoli, Boscolo, Cecchin e Prata. La terapia sistemico-relazionale coincideva, almeno all’inizio del suo sviluppo, con la terapia familiare benché oggi sia applicata molto anche a incontri individuali, mantenendo però un approccio per cui l’individuo è portavoce di un malessere esteso all’interno del suo sistema di relazioni.

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Amare uno schizofrenico: come comportarsi con uno schizofrenico?

MEDICINA ONLINE TRISTE SPERMA LIQUIDO SEMINALE PENIS VARICOCELE HYDROCELE IDROCELE AMORE DOPING DONNA PENE EREZIONE IMPOTENZA DISFUNZIONE ERETTILE VAGINA SESSULITA SESSO COPPIA LOVE SAD COUPLE FRINEDS LOVER SEX GIRL MAN WALLPAPERChe atteggiamento adottare con una persona schizofrenica? Come gestire l’assunzione dei farmaci? Che fare in caso di crisi? Tante domande con le quali chi sta vicino ai malati si confronta regolarmente. La famiglia e la cerchia di familiari e amici rappresentano spesso il principale sostegno delle persone schizofreniche. Giocano un ruolo importante per aiutare il paziente nella sua vita quotidiana. Ma devono anche sapere identificare i segni premonitori di una ricaduta e riuscire ad affrontare episodi acuti.

I seguenti consigli valgono per chiunque stia vicino ad un paziente che soffre di schizofrenia, come famigliari, partner, colleghi e conviventi.

Creare un ambiente stabile

L’atteggiamento da adottare dipende dallo stadio della malattia e dallo stato di ansia o di agitazione della persona. Durante le crisi, è importante assicurare allo schizofrenico un ambiente il più stabile possibile. Le discussioni o le conversazioni troppo animate devono essere evitate in sua presenza. Al contrario bisogna rivolgerglisi con fare calmo e parole semplici, frasi brevi, spiegando semplicemente ciò che si fa o si sta per fare. È indispensabile provare a stabilire qualche regola riguardante ad esempio l’igiene o le sigarette, e provare a scandire la giornata con attività di routine (igiene personale, pasto, passeggiate…).

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Discutere senza imporsi

Queste regole renderanno più facile la vita in famiglia e aiuteranno il malato a strutturarsi. Se queste regole non sono rispettate, bisogna ricordargliele e provare a discutere con la persona il modo in cui preferirebbe che le cose fossero organizzate, senza criticarlo, né dargli la sensazione di imporgli delle azioni. La preferenza va data agli incoraggiamenti piuttosto che alle rimostranze. Infine bisogna evitare sollecitazioni eccessive, ad esempio, non insistere per un pasto al ristorante o con invitati e lasciargli sempre una possibilità di ritirarsi in un luogo tranquillo. Progressivamente sarà possibile incoraggiare la partecipazione alle attività quotidiane della casa o al tempo libero e aiutare la persona a ritrovare una certa autonomia. A questo stadio si impone ancora la vigilanza. Occorre esporgli chiaramente i rischi dell’alcool, della droga e del comportamento al volante sotto gli effetti del trattamento e identificare i segni di degrado che potrebbero seguire all’abbandono del trattamento.

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Restare in ascolto

La cerchia di familiari e amici gioca un ruolo importante nel far rispettare le prescrizioni e gli appuntamenti medici. Se un’altra persona, a casa, segue una terapia, può essere utile instaurare un momento in comune per l’assunzione dei farmaci, al fine di ridurre i rischi di dimenticanza o negligenza. È essenziale essere sempre attenti alle lamentele della persona schizofrenica, non negare né ridurre al minimo le sue paure o le sue preoccupazioni. Gli effetti collaterali dei farmaci possono essere fastidiosi. Alcuni sono transitori, scompaiono dopo qualche giorno di trattamento, altri possono essere corretti con farmaci o devono condurre a modificare la terapia. Infine occorre sforzarsi di convincere il malato a prendere i suoi farmaci, non serve a niente rassicurarlo e soprattutto non bisogna provare ad obbligarlo a prenderli, né somministrarglieli a sua insaputa.

Scoprire i segni di ricaduta

I cambiamenti di comportamento devono allertare sulla possibilità di una recidiva e portare a domandare rapidamente un consiglio medico. Si tratta spesso degli stessi segni che hanno segnato l’inizio della malattia: ripiegamento su se stesso, insonnia, allucinazioni, pensiero incoerente, trasandatezza… È importante fare attenzione a questi segni e spiegare al malato che devono portarlo subito dal medico per adattare il trattamento. Generalmente, è il frutto della propria esperienza, brancolando e adattandosi costantemente allo stato della persona schizofrenica, che si finisce per trovare l’atteggiamento più adatto. Tuttavia è importante poter beneficiare dell’esperienza di altre persone che curano e si può rimpiangere, a questo proposito, la mancanza di sostegno e di formazione per le famiglie.

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Preoccuparsi troppo del giudizio degli altri e temere il rifiuto

MEDICINA ONLINE RAGAZZA BULLISMO TRISTE INFEZIONE SESSO COPPIA AMORE TRISTE DONNA UOMO ANSIA DA PRESTAZIONE IMPOTENZA DISFUNZIONE ERETTILE FRIGIDA PAURA FOBIA TRADIMENTO GELOSIA RABBIA RLa paura di essere giudicati dagli altri – amici, parenti o anche semplicemente sconosciuti incontrati alla fermata dell’autobus – deriva da un bisogno ovvero quello di sentirci appagati da un giudizio positivo espresso dai nostri simili. Quante volte entrando in contatto con una persona sentiamo che da questa vorremmo essere stimati, considerati positivamente e il nostro desiderio ci fa sembrare artificiosi, poco spontanei, diamo più importanza a sembrare ciò che non siamo piuttosto che a costruire un sé autentico. Ciò accade perché già dall’infanzia scopriamo che il giudizio positivo di chi ci sta intorno allontana dolore e frustrazione, ci dà un senso di soddisfazione che ci appaga e ci fa credere di più in noi stessi. Sviluppiamo quindi il bisogno di avere questo giudizio positivo sia in famiglia (dai genitori), sia in altri ambienti (scuola e lavoro).

Leggi anche: Aumenta la tua autostima ed impara ad amarti

Acconsentire le aspettative del gruppo

Di contrasto ovviamente c’è il rifiuto di qualsiasi giudizio negativo, cerchiamo di accontentare le aspettative altrui per paura dell’emarginazione da cui deriverebbe un giudizio negativo. Spesso il fatto stesso di temere di non essere accettati porta all’acconsentire a qualsiasi cosa decida il “gruppo” anche se le decisioni di questo vanno contro i nostri valori etici. Se esprimiamo le nostre idee e se queste vanno contro a quelle del gruppo temiamo di venir emarginati, temiamo la solitudine, ecco perché si sviluppa quella che è chiamata fobia sociale. La paura di approcciarsi agli altri, il timore di esprimere se stessi, insomma la fobia di stare in società. Si entra quindi in una sorta di circolo vizioso. Più siamo alla ricerca del giudizio altrui più siamo smascherati e quindi soli.

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Poca autostima

Spesso la paura del giudizio altrui serve proprio a piegare determinate persone, quelle più fragili, quelle che soffrendo di fobia sociale cambiano spesso idea piegandola al volere del gruppo. C’è da dire inoltre che vivere in questo modo far spegnere del tutto la propria personalità. Infatti molte persone che soffrono di questa fobia finiscono per non essere più spontanee ma completamente assoggettate alle idee altrui. Ciò accade principalmente per la poca stima che abbiamo di noi stessi, modifichiamo infatti il nostro comportamento fino a perdere la nostra personalità. La fobia sociale non ci porta solo a temere il giudizio altrui e a desiderare un giudizio positivo, porta anche a perdere se stessi. La propria personalità è infatti messa in discussione, si plasma al volere degli altri.

Se credi di avere bassa autostima o la paura del giudizio degli altri ti blocca, prenota subito la tua visita e, grazie ad una serie di colloqui riservati, ti aiuterò ad affrontare e superare i tuoi problemi.

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Madre anaffettiva: caratteristiche, effetti sui figli, cosa fare?

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma MADRE ANAFFETTIVA EFFETTI FIGLI COSA FARE Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Pene.jpgI primissimi anni di vita dei bambini sono fondamentali per un loro corretto sviluppo emotivo ed in questa fase più che mai i genitori devono saper trasmettere amore, in particolare la madre: quando quest’ultima non è in grado di manifestare amore e tenerezza, è possibile che la crescita del bimbo sia catalizzata da fattori di carenza emotiva con conseguenze sul piano interpersonale che potrebbero risultare anche molto serie sul luingo periodo.
Crescere con una madre anaffettiva può significare crescere sentendosi abbandonati, incapaci di riconoscersi come individuo e di essere accolti dagli altri manifestando il proprio diritto di esistere.
Le madri anaffettive sono persone incapaci di esprimere liberamente le proprie emozioni, soprattutto quando si tratta di manifestare amore. A livello relazionale comunicativo sono madri che non sanno rimproverare, gratificare, sostenere, incoraggiare, proteggere, tranquillizzare, insegnare, ma sanno solo squalificare, criticare, demotivare, scoraggiare, opprimere, intimidire, ricattare, imbrogliare… Questo, da parte della figura di riferimento più importante in assoluto, nella povera mente di un bambino può avere effetti totalmente distruttivi.

Anche il padre può essere anaffettivo. A tal proposito leggi anche: Padre anaffettivo e assente: effetti sui figli, cosa fare?

Cause dell’anaffettività di una madre

Non esistono specifiche cause che rendano una donna una madre anaffettiva. Le motivazioni in genere sono molteplici e risiedono nel vissuto emotivo della donna, agendo in sinergia per produrre questo tipo di comportamento. L’anaffettività dipende solitamente da un vissuto personale problematico che ha impedito alla donna di sviluppare un rapporto sano con le emozioni e con sé stessa. In alcuni casi una madre anaffettiva ha avuto a sua volta una madre anaffettiva: cresciuta con questo modello di riferimento, la donna replica i comportamenti della propria madre credendoli come gli unici possibili per allevare la prole. In altri casi la donna anaffettiva ha avuto uno o più partner narcisisti ed anaffettivi, corroborando in lei l’idea che “la vita va così, è crudele e cinica ed io devo adeguarmi”. In altri casi ancora, eventi traumatici – come un licenziamento, un lutto improvviso, una delusione amorosa – hanno determinato una perdita di fiducia nella vita che ha causato o peggiorato una anaffettività. Spesso la mancata affettività è il risultato finale del fatto che donna non ama abbastanza sé stessa per poter trasmettere amore ai suoi figli.

Caratteristiche delle madri anaffettive

Le madri anaffettive sono l’esatto opposto delle mamme iperprotettive: se queste ultime riempiono di attenzioni eccessive i figli fino a soffocarli, le anafettive non riescono a manifestare affetto, risultando gelide e distaccate. Le caratteristiche principali delle madri anaffettive, sono di seguito elencate.

  • Sono assenti. Le madri anaffettive delegano tutto a figure sostitutive, non partecipano alla vita dei figli e non stanno mai con loro. Non conoscono i propri figli e scappano dall’incombenza di essere madre. Potrebbero, ad esempio, delegare il ruolo di madre ad una o più tate oppure ai nonni.
  • Hanno un rifiuto verso le manifestazioni d’affetto. Un tipico segnale di anaffettività è l’incapacità di abbracciare, baciare, coccolare il bambino, che viene percepito come un ostacolo, un fastidio, qualcosa di addirittura irritante.
  • Sono abili manipolatrici. Le madri anaffettive non sono in grado di leggere e comprendere i propri figlii. Si occupano prevalentemente di se stesse, e percepiscono la prole solo in funzione dei propri personali bisogni.  Pretendono che tutto sia perfetto nella loro vita, inclusi i loro figli. L’unico modo che hanno per assicurarsene è di controllare tutto in prima persona. Il ricatto morale nei confronti dei loro figli è il più vile dato che per loro natura indifeso, non possono rendersi conto di essere imbrigliati in questo tipo di dinamica. Si tratta di un vero e proprio “tradimento” della mamma che invece di proteggere il piccolo e prendersi cura di lui, ne abusa a livello psicologico. Comunque venga espresso il ricatto, il messaggio sottostante è chiaro: “se non farai quello che dico io, mi farai stare molto male”. Per un bambino, per il quale il genitore è la persona più importante, il messaggio è devastante: genera paura, ansia, senso di colpa e lo spinge a muoversi in direzione opposta ai suoi profondi desideri. Conoscendo perfettamente i punti deboli del bambino, la madre anaffettiva fa leva sulla sua paura di perdere la relazione o di entrare in conflitto.
  • Sanno fare leva sui sensi di colpa. Quando i figli saranno adulti, la madre anaffettiva ricorderà e rinfaccerà tutti i sacrifici fatti per loro e sottolinierà quanto loro debbano esserne debitori: si tratta del debito della vita che ha un valore enorme e, pertanto, non potrà “mai” essere colmato! Col suo comportamento da vittima la madre anaffettiva comunica in modo inequivocabile che se il figlio non lo accontenterà, soffrirà e la colpa sarà solo sua. E gli indurrà il senso di colpa, facendolo sentire responsabile del suo malessere e persino della sua vecchiaia.
  • Determinano una inversione di ruolo. Con una madre anaffettiva inevitabilmente, il piccolo (anche se bambino/a) cercherà con tutti i suoi mezzi di farsi carico della madre: diverrà in un certo senso il genitore di sua madre. Ad esempio cucinerà per lei, la metterà a letto o riordinerà la sua casa.
  • Fanno le vittime. Le madri anaffettive hanno richieste martellanti che si risolvono in pianti, insistenze e voglia di commiserazione. La violenza di queste madri si manifesta nel sottoporre i propri figli a continui lamenti, invadono lo spazio dei figli pretendendo di essere comprese, protette e compatite. La madre anaffettiva chiede ai propri figli da bambini di non crearle problemi e da adulti di proteggerla e di aiutarla. Sono gelose. Mostrano gelosia nei confronti del figlio: magari perché ha successo con le persone, o magari ha un buon lavoro.

Leggi anche: “Se tu non mi ami è colpa mia”: i pensieri di una donna che ama un uomo anaffettivo

Cosa comporta crescere con una madre anaffettiva?

Chi è cresciuto con una mamma anaffettiva, in età adulta potrebbe sviluppare una serie di tratti comportamentali o di patologie di interesse psichiatrico, tra cui:

  • anaffettività nei confronti del partner e/o dei propri figli;
  • sindrome di Münchhausen per procura;
  • poca autostima;
  • disistima nei confronti del partner;
  • disistima nei confronti delle donne in generale o vera e propria misoginia;
  • sindrome di inferiorità;
  • sindrome da abbandono;
  • alessitimia (incapacità di manifestare le emozioni);
  • depressione;
  • atti di autolesionismo;
  • fobie;
  • disturbo da stress post traumatico;
  • dipendenze da sostanze (alcolismo, droghe, farmaci…) o comportamentali (cleptomania, shopping compulsivo…);
  • disturbi di personalità;
  • non riuscire a mantenere rapporti amorosi a lungo termine.

Ovviamente aver avuto un genitore anaffettivo non significa necessariamente soffrire di una o più delle condizioni e patologie elencate.

Leggi anche: La sindrome da abbandono: cos’è e come si supera

Cosa fare se hai avuto una madre anaffettiva?

A chi ha avuto un genitore anaffettivo, io consiglio questi “10 comandamenti”:

  1. impara a capire che non hai colpe nell’aver avuto una madre o un padre anaffettivo: in questo caso sei una vittima e non certo carnefice. Mai pensare ad esempio “è colpa mia se mia madre è anaffettiva, se fossi più carino o ubbidiente o di successo, lei sarebbe più buona con me”;
  2. impara a prenderti cura di te stesso/a, a nutrirti di rapporti affettivi basati sul reciproco sostegno;
  3. dai spazio ai tuoi interessi, alle tue passioni, ai tuoi amori, fino a costruirti un’identità stabile e indipendente;
  4. non bloccare le tue emozioni ma lasciale scorrere ricercando il contatto con la natura e – perché no? – con gli animali, spesso gli unici veri depositari dell’affetto illimitato e incondizionato verso i loro padroni;
  5. lasciati ispirare da modelli di riferimento materno alternativi (nonne, zie, tate…), qualora fossero capaci di donare liberamente amore e riconoscimento;
  6. impara ad accettare i limiti di tua madre e non ostinarti a cercare di cambiarla;
  7. non cedere al risentimento e alla recriminazione: probabilmente saresti solo tu a soffrirne per tutta la tuia vita;
  8. se hai figli, amali. Tu sei diverso/a da tua madre. Non permettere all’anaffettività di diventare un circolo vizioso che governa la tua famiglia;
  9. circondati di persone gioiose e attive, capaci di apprezzarti e di valorizzarti;
  10. se la situazione ti genera una angoscia insopportabile, che interferisce con i tuoi rapporti sociali, il tuo lavoro, le tue relazioni, allora contatta un medico o uno psicoterapeuta con cui potrai affrontare un percorso terapeuto.

Leggi anche: “Mi sono pentita di aver avuto un figlio”

Testi consigliati

Un libro economico ma che tratta in modo esauriente questo argomento, è “Madri che feriscono. Liberarsi dal loro potere per rinascere”, scritto da Anne-Laure Buffet, una popolare autrice francese – madre di due bambini – che si interessa da anni dei problemi che interessano la famiglia. Lo potete trovare in offerta seguendo questo link: https://amzn.to/3XpqrzO

Un altro testo che vi consigliamo, in modo da crescere bimbi sereni ed evitare gli errori che ha compiuto la vostra madre con voi, è “Come crescere bambini felici e capirli attraverso il loro linguaggio del corpo e come farsi ascoltare senza urlare”, dell’italiana Fiorenza Moretti, psicologa clinica e psicoterapeuta specializzata in infanzia, adolescenza e genitorialità. Lo potete trovare qui a circa 11 euro: https://amzn.to/3AlmtyS

Il libro della dott.ssa Fiorenza Moretti è disponibile anche in versione gratuita con l’abbonamento Kindle Unlimited, che potete ottenere gratis per 30 giorni seguendo questo link: https://amzn.to/3PQFPBo

Se pensi di aver avuto una madre anaffettiva e ciò ti genera conflitti ed angosce irrisolvibili, prenota una visita e – tramite una serie di colloqui – riusciremo insieme a risolvere i tuoi problemi.
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Auguri di buone feste da Medicina OnLine!

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma AUGURI DI BUONE FESTE NATALE 2016 Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgA tutti voi lettori ed ai vostri cari, un augurio di liete festività, che possiate passarle in serenità in compagnia di chi amate!

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Christmas Blues: a Natale sei triste perché sei obbligato ad essere felice. I consigli per stare bene durante le feste

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma CHRISTMAS BLUES NATALE SEI TRISTE FELICE  Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari An Pene.jpgTutto sembra essere felice durante le feste natalizie: luci, colori, suoni all’insegna dei buoni sentimenti. Ma tu ti senti stressato, pieno di impegni da rispettare, tasse da pagare, amici o presunti tali a cui fare necessariamente regalo ed auguri, parenti insopportabili a cui sei costretto di ridare la parola dopo mesi di silenzi. L’anno sta finendo e tu non hai rispettato quasi nessuno dei buoni propositi che avevi programmato un anno fa. Tutti apparentemente si divertono, dovresti divertirti anche tu, ma non ci riesci. Ripensi con nostalgia ai natali di quando eri bambino, quando tutto sembrava magico e ti bastava una macchinina o una bambola per essere felice, mentre ora ti serve l’ultimo modello di smartphone, per esserlo.
Ripensi alle tavole imbandite del cibo che aveva cucinato tua nonna ed a quando i tuoi cari erano ancora tutti vivi, seduti accanto a te. Ora al contrario tutto sembra grigio.

Vorresti esternare la tua tristezza ma non puoi: a Natale DEVI sentirti felice, non puoi fare altro. E questo ti fa sentire ancora più infelice.
Ma soprattutto ti senti solo.
In mezzo alla folla, ma inesorabilmente solo.

Forse anche tu ti ritrovi nel bel mezzo del Christmas Blues, il mix esplosivo di sentimenti e condizioni che, proprio durante le festività natalizie, fa cadere molti in uno stato di profonda tristezza o acuire i sintomi di una preesistente depressione, uno stato di frustrazione in contrasto, ma solo in apparenza, con l’atmosfera delle feste.

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Essere felici per forza

Questo senso di tristezza e depressione può derivare da quella sorta di obbligo al dover essere felici che si percepisce e che deriva dall’idea stereotipata del Natale veicolata ad esempio dalla pubblicità ma che, in vari casi, non ha nulla a che vedere con la realtà. È una sorta di ‘effetto post partum natalizio’: così come, infatti, la donna che ha appena partorito è spesso depressa ma tutti pretendono che sia invece felice e piena di entusiasmo, allo stesso modo una persona con un disagio interiore si sente chiamata a esternare felicità per rispondere appunto ad un clichè sul Natale.

Aspettative troppo elevate

Il problema risiede anche nel fatto che in molti di noi c’è una aspettativa troppo elevata rispetto alle feste ed ai rituali. Questo perché viviamo in un momento di paura e destabilizzazione e dunque, per reazione, spostiamo l’aspettativa di gioia e serenità proprio sulle feste natalizie, viste come possibilità di ricarica e stabilizzazione. Ma ciò difficilmente si realizza e subentrano così delusione e depressione. Dobbiamo invece renderci conto che il Natale può certamente regalare gioia e serenità, ma non può affrancare totalmente, come se avesse l’effetto di una bacchetta magica, dai disagi profondi che si vivono, sia nella propria vita (disoccupazione, malattie, lutti…) che nel mondo in cui viviamo (guerre, morti,stragi, incidenti aerei…).

Isolamento sociale

Va inoltre considerato che, nell’epoca della globalizzazione e dei social network, l’esperienza dell’isolamento sociale e di una mancata rete di rapporti reali si accentua in maniera fortissima nel periodo natalizio, specie per alcuni soggetti a rischio come gli anziani: i messaggi che riceviamo sono di serenità, casa abbondanza, e diventano una esplosiva miscela per chi tutto questo sente di non poterlo realizzare, mentre si amplifica lo stato di malessere.

Crediamo di vivere più vicini alle altre persone, ma nella realtà siamo più lontani

Shopping, parenti e bilanci esistenziali

Un ruolo nella malinconia delle feste, però, lo giocano pure il ‘tour de forcè legato allo shopping, gli incontri a volte non proprio graditi con parenti anche lontani o il ricordo, più intenso in questi giorni, di chi non c’è più. Altro capitolo ‘a rischio’ è poi quello dei bilanci esistenziali, tipico della fine dell’anno: spesso a Natale tendiamo a mettere in evidenza quello che non siamo riusciti a ottenere durante l’anno, invece di spostare l’attenzione su cosa abbiamo fatto e sugli obiettivi raggiunti.

I consigli per stare bene durante le feste

Non c’è una ricetta vincente per stare bene durante le feste. I consigli principali sono:

  • Cercare di sforzarsi di vedere il ‘bicchiere mezzo pieno’ e di essere positivi.
  • Non investire emotivamente troppo nel Natale.
  • Tenere a mente che questo evento non può far scomparire per magia le nostre frustrazioni e la nostra paura di essere soli.
  • Considerare il Natale un “giorno come un altro”.
  • Ricalibrare le aspettative.
  • Liberarsi dai ‘clichè delle feste’.
  • Non impazzire alla ricerca del regalo perfetto: a volte basta anche il primo regalino che trovate nel primo negozio.
  • Ricordarsi che a Natale non è obbligatorio essere felici, ma che è assolutamente normale provare anche tristezza.

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Papà single e truccato: la polemica sulla pubblicità del latte

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma PAPA SINGLE TRUCCATO FAMIGLIA SUL LATTE Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata Macchie Capillari Ano PeneSuscita polemiche la campagna pubblicitaria della Centrale del Latte di Brescia. La società, a partecipazione pubblica, ha diffuso l’immagine di un uomo truccato da donna assieme ad una bambina con lo slogan, “la famiglia ha un nuovo formato” (vedi foto).

Il riferimento è alla nuova bottiglia del latte più piccola rispetto alle precedenti, ma l’allusione è ai nuovi modelli di famiglia e non è piaciuta all’associazione Generazione famiglia che è nell’orbita No Gender e che ha condannato l’iniziativa. Sulla questione l’ex assessore ai Lavori pubblici del Comune di Brescia Mario Labolani ha chiesto pubblicamente di boicottare l’azienda, mentre il centrodestra in Comune a Brescia è pronto a presentare un’interrogazione al sindaco della città Emilio Del Bono.

La mia personale opinione a riguardo è che questa foto mi regala un sorriso e tanta simpatia per un padre che farebbe di tutto per far divertire la propria figlia, anche farsi truccare il viso… almeno io ci vedo questo! In ogni caso siamo nel 2016, il mondo è cambiato, la società è cambiata, la famiglia e cambiata ed a chi se la prende per queste cose dico: forse è il caso di adeguarsi!

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Depressione maggiore e minore, suicidio, diagnosi e cura: fai il test e scopri se sei a rischio

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma DEPRESSIONE MAGGIORE MINORE SUICIDIO TEST CURA   Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari.jpgQuante volte, nella nostra vita, in un periodo triste abbiamo detto “sono depresso”? La realtà è che la depressione, nelle sue varie forme, è qualcosa di completamente diverso alla “semplice” tristezza: è il non provare più piacere, il sentirsi inutili, la fine di ogni speranza, il non vedere vie di uscita se non – a volte – addirittura il suicidio. Nel depresso non c’è bisogno che arrivi la sera per sentirsi avvolto dalle tenebre.

Cos’è la depressione maggiore?

La depressione maggiore (anche chiamata “depressione endogena” o “depressione unipolare” o “disturbo depressivo maggiore”) è un disturbo psichiatrico che appartiene al gruppo dei disturbi dell’umore, che colpisce ogni anno circa il 5% della popolazione, in particolare le donne tra i 30 ed i 40 anni, e può avere gravi conseguenze sulla qualità della vita di un individuo. Il disturbo depressivo maggiore si manifesta in prevalenza nel sesso femminile, con un rapporto di circa 2:1 rispetto al sesso maschile L’Organizzazione Mondiale della Sanità valuta la depressione maggiore come uno dei disturbi più invalidanti al mondo. Diversamente da una normale sensazione di tristezza o di un passeggero stato di cattivo umore, la depressione maggiore presenta caratteristiche di persistenza e può interferire pesantemente sul modo di pensare di un individuo, sul suo comportamento, sulle condizioni dell’umore, sull’attività ed il benessere fisico. Una considerevole parte (oltre la metà) di coloro che sono stati colpiti da un primo episodio di depressione potranno presentare altri episodi depressivi durante il resto della vita. Alcune persone sono colpite da più episodi durante l’anno; in questo caso si parla di depressione ricorrente. Qualora non vengano curati, gli episodi di depressione possono durare dai sei mesi a un anno. La Depressione Maggiore è solo una delle varie forme di disturbo depressivo. Altre forme di depressione sono la distimia (depressione minore), e la depressione bipolare (che è poi la fase depressiva del disturbo bipolare, anche chiamato disturbo maniaco-depressivo). Il disturbo depressivo maggiore è stato inserito nel 1980 all’interno del DSM-III, il Manuale statistico e diagnostico dei disturbi mentali. La depressione maggiore è inserita anche nella quinta e più recente edizione del DSM (il DSM-5).

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Cos’è la depressione minore?

La depressione minore, o distimia o ancora disturbo distimico, è un disturbo cronico caratterizzato dalla presenza di umore depresso che persiste per la maggior parte del giorno ed è presente nella maggior parte dei giorni. Secondo la quarta e penultima edizione del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM-IV) le più caratteristiche manifestazioni del disturbo erano sentimenti di inadeguatezza, colpa, irritabilità e rabbia; ritiro sociale; perdita di interesse, inattività e mancanza di produttività. Il termine “distimia”, indicativo “di cattivo umore”, fu introdotto nel 1980 e modificato in disturbo distimico nel DSM-IV. Prima del 1980, la maggior parte dei pazienti ora classificati come affetti da disturbo distimico era classificata come affetta da nevrosi depressiva (detta anche depressione nevrotica). Il disturbo distimico è comune nella popolazione generale e colpisce il 3-5% di tutti gli individui. II disturbo distimico è più frequente tra le persone non sposate e giovani e in quelle a basso reddito. Inoltre, il disturbo distimico spesso coesiste con altri disturbi mentali, soprattutto il disturbo depressivo maggiore, i disturbi d’ansia (in particolare quello da attacchi di panico), l’abuso di sostanze e probabilmente il disturbo borderline di personalità.
I criteri diagnostici del DSM per il disturbo distimico richiedono la presenza di umore depresso per la maggior parte del tempo per almeno due anni. Perché i criteri diagnostici siano soddisfatti, il soggetto non dovrebbe presentare sintomi me­glio classificabili come disturbo depressivo maggiore. Il paziente non dovrebbe aver mai avuto un episodio maniacale o ipomaniacale.
II disturbo distimico è un disturbo cronico caratterizzato non da episodi di malattia, ma piuttosto dalla costante presenza dei sintomi. Tuttavia, il paziente con disturbo distimico può presentare alcune variazioni temporali nella gravità dei sintomi. Gli stessi sintomi sono simili a quelli del disturbo depressivo maggiore e la presenza di umore depresso – cioè il sentirsi triste, giù di corda, il vedere tutto nero e la mancanza di interesse nelle abituali attività – è un aspetto centrale del disturbo. La gravità dei sintomi depressivi nel disturbo distimico è di solito minore che nel disturbo depressivo maggiore, ma è la mancanza di episodi discreti a far pesare la bilancia a favore della diagnosi di disturbo distimico.
I pazienti con disturbo distimico possono spesso essere sarcastici, nichilisti, meditabondi, esigenti e reclamanti; possono essere tesi e rigidi e resistenti nei confronti degli interventi terapeutici, pur presentandosi regolarmente agli appuntamenti. Come risultato, il medico può provare rabbia nei confronti del soggetto e persino trascurarne le lamentele. Per definizione le persone con disturbo distimico non hanno sintomi psicotici.
I sintomi associati comprendono alterazioni dell’appetito e del sonno, ridotta autostima, perdita di energia, rallentamento psicomotorio, ridotta pulsione sessuale e preoccupazione ossessiva per i problemi di salute.
Una difficoltà nei rapporti sociali è talora la ragione per cui i pazienti con disturbo distimico cercano una cura. In effetti divorzio, disoccupazione e problemi sociali sono comuni in questi pazienti. Essi possono lamentarsi di avere difficoltà di concentrazione e riferire che le loro prestazioni scolastiche o lavorative sono scadenti. Lamentandosi di essere malati fisicamente, i pazienti possono perdere giorni di lavoro e appuntamenti sociali. I soggetti con disturbo distimico possono avere problemi coniugali derivanti da disfunzioni sessuali (ad esempio impotenza) o dall’incapacità di mantenere l’inti­mità emotiva.
Depressione doppia: il 40% circa dei soggetti con disturbo depressivo maggiore soddisfa anche i criteri per disturbo distimico. Questa combinazione di disturbi viene spesso definita depressione doppia. I dati disponibili sostengono la conclusione che i pazienti con depressione doppia hanno una prognosi peggiore di quelli con solo disturbo depressivo maggiore. Il trattamento dei casi di depressione doppia dovrebbe essere diretto verso entrambi i disturbi, poiché la risoluzione dei sintomi di un disturbo depressivo maggiore in tali pazienti li lascia ancora con un significativo problema psichiatrico.

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Differenze tra i vari tipi di depressione

Il disturbo depressivo minore è caratterizzato da episodi di sintomi depressivi meno gravi di quelli osservati nel disturbo depressivo maggiore. La differenza fra disturbo distimico e disturbo depressivo minore è legata principalmente alla natura episodica dei sintomi nel secondo. Fra un episodio e l’altro, i pazienti con disturbo depressivo minore hanno infatti umore eutimico, mentre quelli con disturbo distimico non hanno praticamente periodi eutimici.

Cause

Possibili cause di depressione maggiore e minore, sono:

1) Eventi della vita e stress ambientali. Un’osservazione clinica di vecchia data che è stata replicata è che eventi stressanti della vita molto più spesso precedono i primi episodi di disturbo dell’umore rispetto a episodi successivi. Questa associazione è stata riportata per pazienti sia con disturbo depressivo maggiore sia con disturbo bipolare I. Una teoria proposta per spiegare questa osservazione è che lo stress che accompagna il primo episodio determini alterazioni durature nella biologia del cervello. Tali alterazioni perduranti possono risultare in cambiamenti nello stato funzionale dei vari neurotrasmettitori e dei sistemi intraneuronali e possono anche includere la perdita di neuroni e una riduzione eccessiva nei contatti sinaptici. Il risultato netto di questi cambiamenti è che essi aumentano nella persona il rischio di manifestare episodi successivi di un disturbo dell’umore, anche in assenza di un evento stressante esterno. Da una prospettiva psicodinamica, il medico è sempre interessato al significato del fattore stressante. La ricerca ha dimostrato che il fattore stressante percepito dal paziente come maggiormente condizionante in modo negativo l’autostima più probabilmente produce depressione. Inoltre quello che può sembrare un fattore stressante relativamente lieve a persone esterne può essere devastante per il paziente a causa dei significati particolarmente idiosincrasici connessi all’evento. Alcuni medici sono assolutamente convinti che gli eventi della vita giochino un ruolo primario o principale nella depressione; altri suggeriscono che abbiano solo un ruolo limitato nell’esordio e nella cadenza degli episodi depressivi.
I dati più significativi mostrano che l’evento vitale più frequentemente associato al successivo sviluppo di depressi­ne è la perdita di un genitore prima dell’età di 11 anni. Lo stress ambientale maggiormente associato all’esordio di un episodio depressivo è la perdita del coniuge.

2) Famiglia. Molti articoli teorici e molte segnalazioni aneddotiche riguardano la relazione fra il funzionamento della famiglia e l’inizio o il decorso di un disturbo dell’umore, in particolare il disturbo depressivo maggiore. Numerosi dati mostrano che la psicopatologia osservata nella famiglia durante il periodo in cui il paziente identificato è stato trattato tende a rimanere anche dopo che il soggetto si è rimesso. Inoltre, il grado di psicopatologia nella famiglia può condizionare il tasso di recupero, la ricomparsa dei sintomi e l’adattamento del paziente dopo il recupero. Dati clinici e aneddotici sostengono l’importanza di valutare la vita familiare di un individuo e di prendere in esame tutti gli eventi stressanti riconosciuti come correlati alla famiglia.

3) Fattori della personalità premorbosaNessun tratto singolo e nessun tipo di personalità predispone da solo un soggetto alla depressione; tutti gli esseri umani, con qualunque personalità, possono diventare e in effetti divengono depressi in circostanze appropriate. Tuttavia alcuni tipi di personalità – dipendenti, ossessivo-compulsivi e isterici – possono avere un maggiore rischio di depressione rispetto a tipi di personalità antisociale, paranoide o altri tipi che possono utilizzare la proiezione e altri meccanismi difensivi di estemalizzazione per proteggere se stessi dalla rabbia interna. Nessuna evidenza indica che un particolare disturbo di personalità sia associato allo sviluppo successivo di un disturbo bipolare I, ma quelli con disturbo distimico e ciclotimico hanno un rischio maggiore di sviluppare successivamente un disturbo bipolare I.

Sintomi

I sintomi principali della depressione maggiore e minore, sono:

  • un persistente umore triste o irritabile;
  • importanti variazioni nelle abitudini del dormire (insonnia e altri disturbi del sonno), dell’appetito e del movimento;
  • difficoltà nel pensare, della concentrazione, e della memoria;
  • mancanza di interesse o piacere nelle attività che invece prima interessavano;
  • sentimenti di colpa, di inutilità, mancanza di speranze e senso di vuoto;
  • pensieri ricorrenti di morte o di suicidio;
  • sintomi fisici persistenti che non rispondono alle cure come mal di testa, problemi di digestione, dolori persistenti e generalizzati.

Non tutti questi sintomi possono essere presenti contemporaneamente.

Come si manifesta la depressione?

E’ raro che una persona depressa abbia contemporaneamente tutti i sintomi riportati precedentemente, ma se soffre quotidianamente dei primi due sintomi su descritti e di almeno altri tre è molto probabile che abbia un disturbo depressivo.
Spesso la depressione si associa ad altri disturbi, sia psicologici (frequentemente di ansia) sia medici. In questi casi la persona si deprime per il fatto di avere un disturbo psicologico o medico. 25 persone su 100 che soffrono di un disturbo organico, come il diabete, la cardiopatia, l’HIV, l’invalidità corporea fino ad arrivare ai casi di malattie terminali, si ammalano anche di depressione. Purtroppo la depressione può portare ad un aggravamento ulteriore, dato che quando si è depressi si ha difficoltà a collaborare nella cura, perché ci si sente affaticati, sfiduciati, impotenti e si ha una scarsa fiducia di migliorare. Inoltre, la depressione può complicare la cura anche per le conseguenze negative che può avere sul sistema immunitario e sulla qualità di vita già compromessa dalla malattia medica.
I sintomi depressivi possono alternarsi, e a volte presentarsi in contemporanea, a sintomi di eccitamento (euforia, irritazione, impulsività, loquacità, pensieri veloci che si accavallano e a cui è difficile stare dietro, sensazioni di grandiosità, infinita potenzialità personale o convinzioni di essere perseguitati). In questo caso si tratta di episodi depressivi o misti all’interno di un disturbo bipolare dell’umore.

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Decorso e conseguenze della depressione

La depressione è un disturbo spesso ricorrente e cronico. Chi si ammala di depressione può facilmente soffrirne più volte nell’arco della vita. Mentre nei primi episodi l’evento scatenante è facilmente individuabile in un evento esterno che la persona valuta e sente come perdita importante e inaccettabile, nelle ricadute successive gli eventi scatenanti sono difficilmente individuabili perché spesso si tratta di eventi “interni” all’individuo come un normale abbassamento dell’umore, che per chi è stato depresso già diverse volte è preoccupante e segnale di ricaduta.
Il disturbo depressivo può portare a gravi compromissioni nella vita di chi ne soffre. Non si riesce più a lavorare o a studiare, a iniziare e mantenere relazioni sociali e affettive, a provare piacere e interesse nelle attività. 15 persone su 100 che soffrono di depressione clinica grave muoiono per suicidio. Più giovane è la persona colpita, più le compromissioni saranno gravide di conseguenze. Per esempio un adolescente depresso non riesce a studiare e ad avere relazioni, e quindi non riesce a costruire i mattoni su cui costruire il proprio futuro.

Diagnosi

Secondo la quanti a più recente edizione del Manuale statistico e diagnostico dei disturbi mentali (DSM-5), per poter stabilire una diagnosi di depressione maggiore, devono essere presenti almeno cinque dei seguenti sintomi:

  • perdita di interesse e piacere nel fare qualsiasi cosa;
  • agitazione psicomotoria o rallentamento psicomotorio;
  • difficoltà nel pensare e restare concentrati, oppure patologica indecisione;
  • stanchezza cronica;
  • umore depresso (ad esempio sentire di non avere un futuro, essere tristi, vuoti, senza speranza);
  • significativa perdita di peso o aumento di peso;
  • sentimenti di indegnità o sensi di colpa eccessivi o inappropriati;
  • ricorrenti pensieri di morte o di suicidio oppure reali tentativi di suicidio.

Per raggiungere una diagnosi, almeno uno dei sintomi sopra elencati deve essere umore depresso o perdita di interesse nel fare qualsiasi cosa.

Terapie

Come si cura la depressione? Esistono varie terapie disponibili. Le principali cure sono rappresentate da farmaci e psicoterapia, che agiscono in sinergia tra loro.

Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale

La psicoterapia Cognitivo-Comportamentale (TCC): ha mostrato scientificamente una buona efficacia sia sui sintomi acuti che sulla ricorrenza. A volte è necessario associare la TCC ai farmaci antidepressivi o ai regolatori dell’umore, soprattutto nelle forme moderate-gravi. L’associazioni della Terapia Cognitivo-Comportamentale e i farmaci aumentano l’efficacia della cura. Nel corso della Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale la persona viene aiutata a prendere consapevolezza dei circoli viziosi che mantengono e aggravano la malattia e a liberarsene gradualmente attraverso la riattivarsi del comportamento e l’acquisizione di modalità di pensiero e di comportamento più funzionali. Inoltre, dal momento che la depressione è un disturbo ricorrente, la TCC prevede una particolare attenzione alla cura della vulnerabilità alla ricaduta. Per far questo utilizza anche specifici protocolli, come la Schema-Therapy, il lavoro sul Benessere Psicologico e la Mindfulness.

Farmaci

I primi farmaci antidepressivi furono scoperti verso la metà degli anni Cinquanta. Da allora numerosi sono stati gli antidepressivi immessi nel mercato. Non tutti hanno avuto successo, alcuni hanno resistito all’arrivo dei nuovi farmaci, altri sono usciti dal commercio perché o poco efficaci di per sé o perché surclassati dai nuovi arrivati o perché gravati da maggiori effetti collaterali. Generalmente gli antidepressivi si suddividono in gruppi in funzione della struttura chimica o del/i neuromediatore/i su cui agiscono. Ecco alcuni farmaci usati in caso di depressione:

  • gli inibitori delle monoaminoossidasi o I-MAO,
  • gli antidepressivi triciclici o TCA,
  • gli antidepressivi Atipici,
  • inibitori selettivi del reuptake di uno o più neuromediatori:
  • gli SSRI: serotonin selective reuptake inhibitors,
  • i NaRI: noradrenalin reuptake inhibitors,
  • gli SNRI: serotonin-noradrenalin reuptake inhibitors,
  • i NaSSA: noradrenergic and specific serotonergic antidepressants, modulatori della trasmissione serotoninergica e noradrenergica.

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Come può una sostanza chimica modificare emozioni e sentimenti?

Per comprendere come delle sostanze chimiche possano agire sulle emozioni e sui sentimenti è necessario fare una breve premessa sul funzionamento del cervello . Le cellule che consentono il funzionamento del cervello sono i neuroni, delle cellule specializzate nella trasmissione degli impulsi. I neuroni sono collegati tra loro a formare dei circuiti deputati prevalentemente a specifiche funzioni (sensazioni, movimento, emozioni/sentimenti, integrazione di esperienze diverse, funzioni vegetative, ecc.). Il sistema che si attiva quando il soggetto prova delle emozioni o agisce sotto la spinta delle emozioni è il sistema limbico. In condizioni di normale equilibrio, i neuroni di questo sistema controllano l’umore, l’iniziativa, la volontà, ecc. in risposta a stimoli provenienti dall’esterno e dall’interno del nostro organismo. Quando questo equilibrio si altera per qualsiasi ragione, interna o esterna, i neuroni non riescono più a comunicare tra loro in maniera efficiente perché i neuromediatori che consentono il passaggio dello stimolo tra i neuroni sono ridotti e/o è alterata la sensibilità dei rispettivi recettori. È così che compaiono i sintomi dei disturbi dell’umore. Nel caso si sviluppi la malattia, queste alterazioni tendono a stabilizzarsi e richiedono, perciò, un intervento terapeutico per essere riportate al normale funzionamento. Se è l’alterazione dei neuromediatori, ed in particolare di Noradrenalina, Serotonina e Dopamina, alla base dell’alterato funzionamento del sistema limbico e quindi del disturbo dell’umore, è ipotizzabile che normalizzando questi neuromediatori si possa ripristinare il funzionamento del sistema e riportare così l’umore al suo normale equilibrio.

Farmaci antidepressivi: quali i rischi?

Gli antidepressivi comportano – in varia misura – effetti indesiderati e rischi: in linea generale, la tollerabilità e la sicurezza di questi farmaci sono molto migliorate passando da quelli di prima generazione a quelli ad attività selettiva su specifici neuromediatori.

  1. Gli I-MAO comportano interazioni anche gravi se assunti assieme a determinati farmaci o alimenti; questo li rende farmaci da usare con molta cautela ed in pazienti che garantiscano (magari anche con l’aiuto dei familiari) il massimo rispetto delle regole alimentari e/o terapeutiche.
  2. I TCA sono farmaci gravati da numerosi effetti indesiderati, generalmente sgradevoli ma non pericolosi; gli elementi più critici, nel trattamento normale, sono rappresentati dal glaucoma ad angolo chiuso, dall’ipertrofia prostatica, dall’infarto miocardico recente e dai disturbi della conduzione cardiaca che possono aggravarsi provocando situazioni di rischio. I problemi maggiori sono legati all’overdose (accidentale o a scopo suicidario), che può risultare letale, ed all’associazione con gli I-MAO.
  3. Gli Antidepressivi Atipici si pongono, in generale, un gradino al di sopra rispetto ai TCA per tollerabilità e sicurezza (con le dovute eccezioni, danno meno effetti indesiderati e sono meno pericolosi anche nell’overdose (ma sono, forse, anche un po’ meno efficaci) e mantengono l’incompatibilità con gli I-MAO.
  4. Gli inibitori selettivi del reuptake sono molto più sicuri in caso di overdose, ma rimane la possibilità di effetti negativi, come la sindrome serotoninergica (una condizione tossica iperserotoninergica, la cui causa più comune è l’interazione tra agenti serotoninergici, come gli SSRI ed i TCA, e gli I-MAO).
  5. Degli SSRI (e di alcuni di essi in particolare) si è parlato, anche del tutto recentemente, come di farmaci potenzialmente capaci di indurre il suicidio in alcuni casi specifici. Generalmente, i principali effetti collaterali indotti dagli inibitori selettivi del riassorbimento della serotonina sono: nausea, diarrea, agitazione, ansia, insonnia e disfunzioni della sfera sessuale.

Test di autovalutazione della depressione

Per una valutazione iniziale, potete eseguire un test per valutare in modo autonomo la possibile presenza di una depressione, fermo restando che la diagnosi vera e propria spetta solo al medico. Per fare il test, scarica questo pdf e segui le istruzioni: test-di-autovalutazione-della-depressione-zung

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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