Aldo, Giovanni e Giacomo: genetica, Tafazzi e tafazzina

MEDICINA ONLINE TAFAZZI TRIO ALDO GIOVANNI E GIACOMO MASOCHISTA SOSPENSORIO TAFAZZINA DNA GENE TAFAZZISMONel nostro corpo è presente una proteina chiamata “tafazzina” il cui gene (gene TAZ) è sito sul cromosoma Xq28, cioè sul braccio lungo del cromosoma X, locus 28. Le proteine “tafazzine” hanno un importante ruolo nel mantenere l’equilibrio di membrana dei mitocondri, in particolar modo agendo sul lipide cardiolipina. Mutazioni del gene che produce la tafazzina – come la sostituzione di un singolo aminoacido – portano alla Sindrome di Barth, una patologia cardiaca, o ad altre patologie del cuore.

Ma qual è il legame tra questa proteina, ed il celebre – grandissimo – trio comico italiano composto da Aldo, Giovanni e Giacomo? Dovete sapere che la tafazzina è stata isolata nel 1996 dalla genetista italiana Silvia Bione e dai suoi collaboratori, dopo un lunghissimo e faticoso lavoro, ed è stata battezzata in questo modo a ricordare il personaggio di Tafazzi (nella foto in alto), simbolo del masochismo per la strenua volontà di trovarla da parte del gruppo dei ricercatori. Ricordiamo – per i pochi che non lo sapessero – che Tafazzi è un personaggio interpretato da Giacomo Poretti, componente appunto del trio Aldo, Giovanni e Giacomo, la cui caratteristica principale è il masochismo, in quanto – vestito in calzamaglia nera e sospensorio bianco – saltella colpendosi ripetutamente ed inspiegabilmente l’inguine con una bottiglia di plastica vuota, con un effetto davvero esilarante. Evidentemente alla ricercatrice ed ai suoi collaboratori non mancava il senso dell’umorismo!

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Cos’è un gene ed a che serve?

Dott. Loiacono Emilio Alessio Medico Chirurgo Medicina Chirurgia Estetica Plastica Cavitazione Peso Dietologo Roma Cellulite Sessuologia Ecografie DermatologiaSmettere fumare Obesità Cancerogeni Cancerogenesi e CancroI geni sono sequenze nucleotidiche situate in posizioni fisse e specifiche del cromosoma. Non sono altro che una serie di nucleotidi con una specifica sequenza che ha la funzione, mediante il successivo processo di TRASCRIZIONE E TRADUZIONE, a generare una proteina (e non solo, in realtà il prodotto può essere anche un tRNA o rRNa ad esempio).

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Differenza tra gene e allele

Dott. Loiacono Emilio Alessio Medico Chirurgo Medicina Chirurgia Estetica Plastica Cavitazione Peso Dietologo Roma Cellulite Sessuologia Ecografie DermatologiaSmettere fumare Obesità Cancerogeni Cancerogenesi e CancroI geni sono sequenze nucleotidiche situate in posizioni fisse e specifiche del cromosoma. Non sono altro che una serie di nucleotidi con una specifica sequenza che servirà poi, mediante il processo di TRASCRIZIONE E TRADUZIONE, a generare una proteina (e non solo, in realtà il prodotto può essere anche un tRNA o rRNa ad esempio).

Per ogni gene esistono alleli differenti. Considerando per semplicità un unico cromosoma , ad esempio il cromosoma 7 umano, se su questo cromosoma esiste un gene che codifica per una proteina, entrambi i cromosomi 7 avranno questo gene che codifica per quella proteina. La differenza sta nel fatto che ogni gene può però subire delle mutazioni nel corso dell’evoluzione. E quindi per via di mutazioni casuali in quel gene si possono generare ALLELI differenti, ovvero forme alternative di quel gene. Negli esempi di Mendel delle piante e dei fiori con colori o forme differenti, il motivo di tali differenze era dovuto ad alleli differenti di uno stesso gene: uno codifica per una proteina che ha un pigmento rosso e una che codifica per il colore bianco ad esempio. In realtà il motivo per cui un fiore è bianco in molti casi è dovuto ad una proteina non funzionale, che quindi non codifica per nessun pigmento e il risultato è un fiore bianco. E’ quindi da tenere presente che una mutazione in un gene può far si che si produca una proteina che esprime una caratteristica diversa o anche che esprime una proteina che non funziona più. Quindi ogni cellula porterà due geni dello stesso tipo, uno sul cromosoma paterno e uno materno, ma questi possono essere differenti perchè sono differenti le forme alleliche che portano il cromosoma materno e quello paterno. Un gene dobbiamo immaginarlo come una sequenza di nucleotidi.

Ad esempio possiamo avere lo stesso gene che ha due alleli che differiscono per un nucleotide: uno ha una guanina in posizione 7 e l’altro ha un’adenina. Ovviamente un gene ha una sequenza di molti più nucleotidi, ma non è raro che due alleli differiscano per un singolo nucleotide, e per quanto possa sembrare di non molta importanza una differenza cosi piccola in realtà molte malattie gravi (come l’anemia falciforme) sono dovute ad una singola sostituzione nucleotidica.

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Differenza tra allele dominante e recessivo

Gli alleli dominanti sono quelli che hanno la capacità di “mascherare” il contributo di un altro allele, che quindi viene detto recessivo. In genetica gli alleli dominati vengono identificati con una lettera maiuscola, mentre i recessivi con una lettera minuscola. Tutto vi apparirà molto semplice con questo esempio.

Immaginiamo che il colore di un fiore possa essere blu o bianco, e che il colore blu sia dato dall’allele A mentre il colore bianco dall’allele a. Dato che ogni allele è presente sempre in due copie avremo tre tipologie di combinazioni possibili:

  • AA;
  • Aa;
  • aa.

MEDICINA ONLINE DIFFERENZA ALLELE DOMINANTE RECESSIVO GENOTIPO FENOTIPO.jpg

Il genotipo AA porta ad un fenotipo blu, visto che entrambi gli alleli “sono” blu.

Il genotipo aa porta ad un fenotipo bianco, visto che entrambi gli alleli “sono” bianchi.

Il genotipo Aa porta ad un fenotipo blu, dal momento che l’allele A (blu) è dominante rispetto all’allele a (banco).

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Cosa sono gli alleli ed a che servono?

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In genetica si definiscono alleli le due o più forme alternative dello stesso gene che si trovano nella stessa posizione su ciascun cromosoma omologo (locus genico). Gli alleli controllano lo stesso carattere ma possono portare a prodotti quantitativamente o qualitativamente diversi. Ad esempio, nel caso di un fiore, si possono avere colori diversi in base alla quantità di pigmento prodotto dai rispettivi alleli. In un pathway del genere, per valutare il corretto fenotipo risultante, è bene tener conto della condizione di omozigosi o eterozigosi, in cui possono trovarsi gli alleli e dei loro rapporti di dominanza completa, dominanza incompleta o codominanza.

Leggi anche: Differenza tra dominanza semplice, incompleta e codominanza

Genotipo

Il genotipo di un individuo relativamente ad un gene è il corredo di alleli che egli si trova a possedere. Pertanto, in un organismo diploide, in cui sono presenti due copie di ogni cromosoma (i cosiddetti cromosomi omologhi), il genotipo è costituito da due alleli. Genotipi differenti possono originare anche fenotipi identici; il termine omozigote si riferisce a un gene in cui l’informazione riportata, che determina il fenotipo, dall’allele materno, è identica a quella paterna. Diversamente, negli eterozigoti, il contributo dell’allele materno e paterno è diverso. In tal caso la determinazione fenotipica è correlata ai concetti di dominanza e recessività genetica.

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Atrofia muscolare spinale: sintomi, trasmissione, tipi e cure

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma ATROFIA MUSCOLARE SPINALE SINTOMI CURE Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata Macchie Capillari Ano PeneL’Atrofia muscolare spinale (Spinal muscular atrophy  anche detta SMA) è una malattia neuromuscolare ereditaria, caratterizzata dalla progressiva degenerazione dei nuclei motori del tronco encefalico e dei motoneuroni delle corna anteriori del midollo spinale da cui partono i nervi diretti ai muscoli, e che trasmettono i segnali motori (vedi foto). Il risultato di questa degenerazione è un’importante debolezza muscolare da cui conseguono varie complicanze.

Qual è la causa dell’Atrofia muscolare spinale?
Questa patologia è provocata da un’aberrazione genica che colpisce una regione del cromosoma 5 e determina una produzione di livelli insufficienti di una proteina chiamata SMN (survival motor neuron).

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Come viene trasmessa dai genitori ai figli?
Nella sua forma più comune, l’Atrofia muscolare spinale è una malattia autosomica recessiva, ossia si può manifestare solo se il soggetto affetto eredita da entrambi i genitori mutazioni nel gene coinvolto nella patologia. Nel caso in cui entrambi i genitori siano portatori, la probabilità, per ogni concepimento, che la mutazione venga trasmessa da entrambi al nascituro, rendendolo affetto da SMA, è del 25%, cioè un caso su quattro. Esistono anche alcune forme estremamente rare di SMA che possono manifestarsi come forma mutante o autosomica dominante.

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Qual è il periodo di esordio dell’Atrofia muscolare spinale?
I sintomi dell’atrofia muscolare spinale possono esordire in momenti diversi della vita del paziente, in particolare durante l’infanzia o in età adulta, a seconda del tipo (vedi più avanti nell’articolo).

Quanto è diffusa l’Atrofia muscolare spinale?
Negli USA colpisce secondo vari studi da 1 su 6.000 a 1 su 20.000 neonati all’anno. L’atrofia muscolare spinale rappresenta il secondo disordine neuromuscolare più frequente in età pediatrica. L’incidenza complessiva di tutte le forme di SMA è attualmente stimata essere di 1/10000 nati vivi. La prevalenza delle forme di SMA tipo II e III è stimata essere compresa tra 40 casi/milione di bambini e 12 casi/milione nella popolazione generale. In Italia, tuttavia, esistono regioni dove la diffusione della malattia conosce punte massime e queste medie vengono totalmente stravolte. I pazienti richiedono spesso un approccio multidisciplinare a causa della complessità del quadro clinico.

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Quali sono i sintomi ed i segni dell’Atrofia muscolare spinale?
I sintomi e segni dell’Atrofia muscolare spinale sono molti; alcuni di essi sono tipici, ma non esclusivi, del Atrofia muscolare spinale.

  • Artrogriposi (rigidità articolare presente già alla nascita in diversi distretti anatomici);
  • astenia (mancanza di forza);
  • paralisi muscolare;
  • ipotrofia/atrofia muscolare;
  • crampi muscolari;
  • disfagia (difficoltà a deglutire ed al corretto transito del bolo nelle vie digestive superiori);
  • dispnea;
  • fascicolazione muscolare;
  • ipostenia;
  • ritardo di crescita;
  • scoliosi;
  • spasmi muscolari.

Quanti tipi esistono di Atrofia muscolare spinale?
La malattia può manifestarsi, in particolare, in tre forme principali:

1) Atrofia muscolare spinale di tipo I (malattia di Werdnig-Hoffmann): è la forma più grave; in questo caso, la malattia risulta sintomatica entro i primi 6 mesi di vita. I neonati affetti presentano ipotonia (frequentemente significativa fin dalla nascita), ritardo di sviluppo, iporeflessia, fascicolazioni linguali, marcate difficoltà di suzione e disturbi della deglutizione. La debolezza muscolare è quasi sempre simmetrica ed interessa prima gli arti prossimali, poi le estremità distali (mani e piedi). I pazienti con atrofia muscolare spinale di tipo I non sono in grado di sedere senza supporto e non raggiungono mai la deambulazione. Purtroppo un bambino affetto dal tipo I non è mai in grado neppure di reggere autonomamente la testa. Inoltre, durante il decorso della malattia, sono presenti segni gravi e progressivi di insufficienza respiratoria, la quale provoca il decesso tra il primo e il quarto anno di età. Può manifestarsi altresì una mancanza di movimenti fetali nei mesi finali di gravidanza (SMA zero)

2) Atrofia muscolare spinale di tipo II (forma intermedia): i sintomi si manifestano solitamente tra i 3 e i 15 mesi; alcuni bambini affetti acquisiscono la capacità di stare seduti, ma non riescono a camminare autonomamente. Questi pazienti presentano debolezza muscolare con flaccidità e fascicolazioni, mentre i riflessi osteotendinei sono assenti. Inoltre, possono svilupparsi disfagia e complicanze respiratorie. La progressione della malattia può arrestarsi, lasciando il bambino con una debolezza muscolare permanente e una grave scoliosi.

3) Atrofia muscolare spinale di tipo III (malattia di Wohlfart-Kugelberg-Welander): rappresenta la forma meno grave; si manifesta solitamente tra i 15 mesi e i 19 anni. I segni sono simili a quelli riscontabili nella forma di tipo I, ma la progressione è più lenta e l’aspettativa di vita è più lunga o addirittura normale (quest’ultima dipende dall’eventuale sviluppo di complicanze respiratorie). La perdita di forza simmetrica e l’atrofia progrediscono dalle regioni prossimali a quelle distali e sono più evidenti a livello degli arti inferiori, insorgendo a livello dei muscoli quadricipiti e dei flessori dell’anca. Le braccia vengono colpite più tardivamente.

4) Atrofia muscolare spinale di tipo IV (età adulta): normalmente in questa forma di SMA i sintomi iniziano a manifestarsi dopo i trentacinque anni. Molto raramente l’Atrofia muscolare spinale si manifesta fra i diciotto e i trent’anni. La SMA adulta si caratterizza per un inizio insidioso e una lenta progressione. I muscoli bulbari, che si utilizzano per la deglutizione e per la funzione respiratoria, raramente vengono colpiti nel tipo IV.

Come si fa la diagnosi di Atrofia muscolare spinale?
La diagnosi si basa sulla valutazione clinica e può essere confermata dall’analisi genetica.

Quali cure esistono per l’Atrofia muscolare spinale?
Purtroppo, allo stato attuale della ricerca, non esiste una cura, anche se numerosi sono gli studi clinici che stanno cercando una soluzione definitiva. Sono in corso diversi trials con farmaci atti al potenziamento della forza muscolare che stanno avendo discreti risultati. In passato sono state già provate diverse terapie che prevedano la somministrazione di farmaci, ma studi approfonditi hanno dimostrato la non validità per le forme sia di tipo II che di tipo III. Sono state effettuate promettenti ricerche sull’uomo con l’uso della leuroprelina; inoltre due ricerche sperimentali su modelli in vitro ipotizzano l’uso della tetraciclina.
Il trattamento è di supporto e si basa su un approccio multidisciplinare finalizzato a migliorare la qualità della vita. Questo può prevedere fisioterapia, ventilazione assistita e gastrostomia. Talvolta è necessario ricorrere all’intervento chirurgico per eliminare una grave contrattura di uno o più muscoli.

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Qual è l’aspettativa di vita per i pazienti con Atrofia muscolare spinale?
La prognosi è strettamente correlata al tipo di Atrofia muscolare spinale.

  • La SMA I porta a decesso del paziente tra il primo ed il quarto anno di vita ma in rarissimi casi la malattia regredisce spontaneamente.
  • La SMA II riduce di qualche anno l’aspettativa di vita dei pazienti rispetto agli individui sani.
  • La SMA III e la SMA IV non riducono significativamente l’aspettativa di vita.

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Hai sempre voglia di viaggiare? Forse soffri della sindrome di Wanderlust

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO CHIRURGO AEREO AEROPORTO VIAGGIO VIAGGIARE BAGAGLISiete appena tornati da due settimane a New York e già state programmando un viaggio a Pechino? Avete appena pagato un biglietto per l’Indonesia e già vi state informando sui voli per il Messico? Vi sentite soffocare a stare sempre nello stesso posto ed avete una voglia irrefrenabile di viaggiare? Forse soffrite della sindrome di Wanderlust! Sembrerebbe la “malattia” più bella del mondo, ma non è esattamente così. Scopriamo di che si tratta.

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Il “gene del viaggio”

La parola tedesca “Wanderlust” (Wandern significa scalare e Lust vuole dire desiderio) può essere tradotta come “desiderio di vagabondare”. La sindrome di Wanderlust è appunto la condizione di chi non riesce a stare troppo fermo in un posto e ha una voglia fortissima di viaggiare. Ovviamente detta così, sembrerebbe che quasi tutti noi ne siamo affetti, dal momento che viaggiare è una cosa considerata piacevole da moltissimi individui, anche perché spesso l’idea di viaggio è associata al concetto di vacanza tanto caro a chi passa le giornate lavorando sodo. Chi soffre della sindrome di Wanderlust, tuttavia, ha qualcosa in più rispetto agli altri, ha il “gene di wanderlust“. Un recente studio, pubblicato sulla rivista Evolution and Human Behaviour, ha individuato una sorta di “gene del viaggio”, ribattezzato appunto gene di wanderlust. Si tratta del recettore dopamina D4, che sarebbe il diretto responsabile della passione e dell’amore per tutto ciò che è esotico e sconosciuto. Pare che questo recettore non sia presente in tutti gli essere umani, ma è nel DNA del 20% della popolazione mondiale.

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La “sindrome del migrante”

Vari studi recenti sembrano poi curiosamente dimostrare come la maggior parte delle persone affette da questa sindrome, sia geograficamente collocabili in aree del mondo in cui storicamente i viaggi sono sempre stati necessari, come per esempio l’Africa. Come dire che il “gene del viaggio” appartenga soprattutto a popolazioni che durante la storia si sono spostate molto in varie arie geografiche per cercare zone più fertili e ricche di materie prime.

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Persone aperte alla novità ma forse insoddisfatte e compulsive

Secondo un altro studio finanziato dal National Geographic, l’identikit del wanderluster è ben caratterizzato: si tratta solitamente di una persona con le seguenti caratteristiche ricorrenti:

  • aperta mentalmente;
  • propensa ad affrontare rischi;
  • propensa a provare cibi nuovi;
  • elevata voglia di avere relazioni sociali nuove;
  • propensa a ricercare avventure sessuali con vari partner, anche sconosciuti.

Tuttavia, secondo l’esperienza professionale mia e del nostro Staff, spesso il wanderluster è tale anche per una sorta di una perenne insoddisfazione personale, come se cercasse in posti diversi quello che non riesce a trovare nel suo posto abituale (amicizie, partner, stimoli dall’esterno…). Chi ha un fortissimo desiderio a viaggiare, spesso soffre un disagio anche nel rapportarsi alle persone che abitualmente lo circondano, mentre il viaggio gli permette di scappare da quelle maschere che è costretto ad indossare ogni giorno per sentirsi a proprio agio con gli altri. Inoltre spesso la sindrome di Wanderlust può essere una manifestazione di una personalità ossessiva compulsiva dal momento che il soggetto può avvertire un bisogno compulsivo di cercare nuove mete di trasferta, di organizzare il viaggio e di viaggiare, bisogno che – se non appagato – può dargli anche estremo disagio e frustrazione. Per approfondire, leggi anche questo articolo sul disturbo ossessivo-compulsivo.

Viaggio nel pericolo

Il wanderluster tipo è una donna tra i 20 ed i 40 anni e può arrivare ad essere ossessionato dal controllare costantemente i prezzi dei voli ed eventuali offerte di viaggio. Nei casi più gravi può arrivare a spendere nei viaggi più soldi di quelle che sono le sue reali possibilità (assumendo dei connotati collegabili ai soggetti maniaco depressivi).
Altro dato interessante che sembra collocare questa sindrome in una dipendenza comportamentale, è che il wanderluster più “fissato” prova un forte fastidio se non può partire (ha una sorta di sintomi di astinenza) ed ha bisogno di “aumentare la dose” con il passare del tempo, cioè ha bisogno di visitare posti sempre più esotici per essere appagato dal viaggio: questo lo porta a visitare posti sempre meno usuali e, quindi, mediamente più pericolosi, mettendo a rischio la propria vita in viaggi sempre più singolari. Se vi ritrovate in questa descrizione, potrebbe essere utile un approccio psichiatrico e psicoterapico del problema.

Se sei appassionato di viaggi e vuoi qualche consiglio sul tuo prossimo itinerario, vi consiglio questo splendido libro curato dal National Geographic: https://amzn.to/3C8kLDv

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
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Scoperto il gene che ci fa innamorare

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO AMORE COPPIA SESSO SESSUALITA ABBRACCIO MATRIMONIO MASTURBAZIONE ORGASMO (9)Identificato il gene che ci rende fisionomisti: è l’elemento che codifica il recettore dell’ossitocina, il cosiddetto “ormone dell’amore”, che riveste un ruolo cruciale nel legame tra madre e figlio e nel rapporto di coppia. La scoperta è stata pubblicata sulla rivista Pnas dell’Accademia americana delle scienze ed ha sottolineato l’importanza del gene Oxtr nella creazione della memoria sociale. La ricerca, coordinata dall’University College di Londra, ha infatti indagato 198 famiglie britanniche e finlandesi in cui era stato individuato un bambino autistico. Ogni componente di queste famiglie è stato sottoposto all’analisi del Dna e ad una serie di test per verificare la sua capacità di riconoscere le persone dalla faccia. Dall’elaborazione dei dati è emerso che una singola variazione nel gene Oxtr è in grado di influenzare  in maniera consistente la capacità di riconoscere i volti. Il recettore dell’ossitocina aveva già dimostrato in passato di essere fondamentale per la formazione della memoria sociale nei roditori, dove il riconoscimento dei simili avviene attraverso l’olfatto e non la vista: questo fa dunque pensare che il gene abbia conservato la sua funzione durante l’evoluzione.

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