Clistere: quanto tempo va trattenuto affinché agisca?

MEDICINA ONLINE DIARREA VIAGGIATORE VACANZA VIAGGIO CIBO ESOTICO INFEZIONI CIBI CONTAMINATI ACQUA INTESTINO DOLORE FECI LIQUIDEIl clistere è una tecnica che permette l’iniezione di un liquido nell’ano con lo scopo principale di stimolare l’evacuazione, ma anche utile in caso di irregolarità intestinali e irritazioni della mucosa intestinale, preparazione ad intervento chirurgico o procedura d’indagine, fecalomi.

Quanto tempo va trattenuto affinché agisca?

Il clistere evacuativo fa effetto in tempi molto variabili, che dipendono ovviamente dalla variabilità individuale, dalla patologia/condizione del paziente e dalla tipologia di liquido usato. Il clistere può fare effetto dopo alcuni secondi come anche trenta minuti dopo aver tolto la sonda, anche se generalmente tende a fare effetto entro circa 5 minuti. Ricordiamo che dopo aver tolto la sonda dall’ano, il soggetto dovrà rimanere disteso per almeno 10-15 minuti, per rendere efficace il clistere, in alcuni casi più gravi, i tempi si allungano fino anche a mezz’ora.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
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Diarrea del viaggiatore: consigli per prevenirla e curarla

MEDICINA ONLINE DIARREA VIAGGIATORE VACANZA VIAGGIO CIBO ESOTICO INFEZIONI CIBI CONTAMINATI ACQUA INTESTINO DOLORE FECI LIQUIDE.jpgLa diarrea del viaggiatore è un disturbo frequente durante i viaggi all’estero, specialmente se si raggiungono destinazioni con standard igienico-sanitari più bassi rispetto al Paese di origine. Il disturbo causa scariche diarroiche liquide accompagnate da odore sgradevole e talvolta stanchezza e vomito. La diarrea del viaggiatore dura dai 3 ai 5 giorni a meno che non si cronicizzi, e fa la sua comparsa, in via generale, nei primi tempi del soggiorno. Le modalità di contagio sono molteplici: dall’ingerimento di alimenti contaminati all’utilizzo di biancheria, asciugamani e stoviglie infette. Per abbattere il rischio la prevenzione è fondamentale: potenziare le difese immunitarie e rispettare alcune regole d’igiene alimentare e personale. L’acqua, per esempio, è ad altissimo rischio di contaminazione, va quindi purificata con disinfettanti appositi, il cibo non va consumato crudo, le mani vanno lavate accuratamente ricorrendo a gel disinfettanti.

Cause
La diarrea del viaggiatore è dovuta al contatto con microrganismi di varia tipologia, ma il ceppo maggiormente coinvolto è quello del batterio Escherichia Coli, implicato nel 50% dei casi. Il contagio avviene solitamente per ingerimento di alimenti e liquidi contaminati o per contatto con panni, asciugamani, stoviglie non adeguatamente pulite. Le difese immunitarie del viaggiatore proveniente da Paesi ad alto tenore igienico si trovano spiazzate di fronte a questi microrganismi sconosciuti e non riescono, quindi, a organizzarsi tempestivamente per proteggere l’organismo. Ma ci sono altri fattori che concorrono alla comparsa della diarrea: dallo stress dovuto al jet-lag ai cambiamenti climatici, dall’altitudine al mutamento improvviso delle abitudini alimentari.

Sintomi
Se nei primi giorni le scariche diarroiche risultano acquose e particolarmente violente, col passare del tempo diminuiscono d’intensità e frequenza. In alcuni casi sono accompagnate da crampi addominali, vomito, senso di stanchezza, meteorismo, sensazione di zolfo in bocca, febbre più o meno elevata. I sintomi, se trattati tempestivamente, non si protraggono oltre la settimana, a meno che il disturbo non si cronicizzi.

Rimedi
In caso di diarrea del viaggiatore il primo consiglio è di reidratarsi bevendo molta acqua: il disturbo, infatti, comporta ingenti perdite di liquidi, che vanno reintegrati immediatamente per non compromettere le funzionalità organiche. Ma ciò non basta; è necessario integrare l’acqua con sali minerali per ripristinare l’equilibrio idrosalino e assumere simbiotici a base di fibra prebiotica e fermenti lattici vivi per ripristinare la microflora intestinale.

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Quanto è lungo l’intestino in adulto e neonato (tenue e crasso)

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  • L’intestino tenue è il tratto iniziale più lungo, misura infatti 6,5 metri circa. Il duodeno è lungo circa 25 cm (10 pollici); il digiuno è lungo circa 2,5 m (8 piedi) e l’ileo è lungo circa 3,6 m. (12 piedi).
  • L’intestino crasso costituisce l’ultima parte dell’apparato digestivo e misura mediamente 170 cm, con una superficie che varia da 640 a 1615 cm2 e un calibro che è di circa 7 cm a livello del cieco, 4,5 cm a livello del colon, aumenta in prossimità del retto per poi diminuire fino ai 2 cm dell’ano

L’intestino crasso è collegato a quello tenue dall’ileo (ultima parte dell’intestino tenue) e dal cieco (prima parte dell’intestino crasso) e, in esso, avviene l’ultima fase del processo digestivo che dura in tutto 32 ore.

Le dimensioni variano molto in base al sesso ed alle caratteristiche individuali: la normale lunghezza dell’intestino tenue varia da circa 3 a 7,2 m nella donna e da 4,8 a 7,8 m nell’uomo.

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Nel neonato l’intestino tenue misura circa 2 metri, mentre il crasso circa 64 cm

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Feci pastose e maleodoranti: malassorbimento e cattiva digestione

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Quale contenitore sterile usare per l’esame delle feci?
In caso di un eventuale esame delle feci, per raccogliere e conservare correttamente il campione di feci da inviare in laboratorio, è necessario usare un contenitore sterile apposito, dotato di spatolina. Il prodotto di maggior qualità, che ci sentiamo di consigliare per raccogliere e conservare le feci, è il seguente: http://amzn.to/2C5kKig

Sintomi e segni

I sintomi del malassorbimento sono causati dagli effetti delle sostanze osmoticamente attive nel tratto GASTRO INTESTINALE o dai deficit nutrizionali che si sviluppano. Alcune cause di malassorbimento hanno dei quadri clinici specifici. La dermatite erpetiforme si associa spesso a un’enteropatia simil-celiaca di grado lieve; la cirrosi biliare e il cancro del pancreas causano l’ittero; l’ischemia mesenterica causa l’angina abdominis; la pancreatite cronica causa un fastidioso dolore addominale epigastrico e la sindrome di Zollinger-Ellison causa una grave e persistente dispepsia ulcerosa. Il malassorbimento causa perdita di peso, glossite, spasmi carpo-podalici, assenza di riflessi tendinei, ecchimosi cutanee, flatulenza, distensione addominale, meteorismo e senso di fastidio legato all’aumento della massa intestinale e alla produzione di gas. I sintomi di un deficit di lattasi includono una diarrea esplosiva con meteorismo addominale e presenza di gas dopo l’ingestione di latte. Il deficit di lipasi pancreatiche si manifesta con delle feci grasse, contenenti i grassi, indigeriti, assunti con la dieta (trigliceridi). A volte si ha steatorrea, con feci chiare, soffici, pastose e maleodoranti che aderiscono ai lati del water o che galleggiano e sono mandate via con difficoltà. La steatorrea si verifica più frequentemente nella malattia celiaca o nella sprue tropicale. Può essere presente anche in caso di feci che sembrano relativamente normali. Il deficit nutrizionale secondario si verifica in proporzione alla gravità della malattia primaria e all’area del tratto GASTRO INTESTINALE interessata. Molti pazienti affetti da malassorbimento sono anemici, di solito, a causa del deficit di ferro (anemia microcitica) e di acido folico (anemia megaloblastica). Il deficit di ferro si verifica usualmente nella malattia celiaca e nei pazienti gastrectomizzati. Il malassorbimento dei folati, si verifica nonostante la dieta adeguata, soprattutto nella malattia celiaca e nella sprue tropicale. Nella sindrome dell’ansa cieca, così come molti anni dopo un’estesa resezione della parte distale del tenue o dello stomaco, si può avere un deficit di vitamina B12. Tuttavia, la classica resezione di 50 cm dell’ileo terminale per una malattia di Crohn ileocecale, raramente conduce a un significativo deficit di B12. Il deficit di Ca è comune, in parte dovuto a un deficit di vitamina D con alterato assorbimento e in parte al legame del Ca con gli acidi grassi non assorbiti. Questa carenza può causare dolore osseo e tetania. Il rachitismo infantile è raro, ma nella forma grave della malattia celiaca dell’adulto si può verificare l’osteomalacia. Un deficit di tiamina (vitamina B1) può causare delle parestesie (come il deficit di vitamina B12), mentre il malassorbimento della vitamina K (principalmente liposolubile) può condurre a un’ipoprotrombinemia con la tendenza all’ecchimosi e al facile sanguinamento. Un grave deficit di riboflavina (vitamina B2) può causare un’infiammazione della lingua e una stomatite angolare, mentre i deficit di vitamine A, di vitamina C e di niacina raramente causano problemi clinici. Un malassorbimento proteico può portare a un edema ipoproteico, solitamente a carico degli arti inferiori. Una disidratazione, una perdita di potassio e una debolezza muscolare possono far seguito a una diarrea profusa. La malnutrizione può essere responsabile anche di deficit endocrini secondari; per esempio, l’amenorrea primaria o secondaria costituisce un’importante manifestazione della malattia celiaca nelle giovani donne.

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Diagnosi

I sintomi e i segni conducono al sospetto diagnostico di malassorbimento. Qualunque combinazione di calo ponderale, diarrea e anemia deve far nascere il sospetto di un malassorbimento. Gli studi di laboratorio confermano la diagnosi. La misurazione diretta dei grassi fecali è il test più affidabile per la diagnosi definitiva. La steatorrea rappresenta un’evidenza assoluta di malassorbimento, ma non è sempre presente. Per un adulto che segue una normale dieta occidentale, con un’assunzione giornaliera di grassi pari a 50-150 g, una perdita di grassi fecali > 17 g/die non è normale. L’accuratezza nella raccolta delle feci è importante. È possibile ed è vantaggioso effettuare gli studi dei grassi fecali ambulatorialmente; solitamente una raccolta di 3-4 gg è adeguata. L’ispezione delle feci e l’esame microscopico sono anch’essi di grande valore. Il tipico aspetto delle feci, descritto sopra, è inconfondibile. La presenza di frammenti di cibo indigerito suggerisce o l’estrema ipermotilità intestinale o un intestino corto (p. es., una fistola gastrocolica). Le feci grasse in un paziente itterico indirizzano verso una cirrosi biliare primitiva o un cancro del pancreas. L’esame microscopico che evidenzia la presenza di particelle di grasso e di fibre carnee indigerite, suggerisce un’insufficienza pancreatica. La microscopia permette di identificare le uova o i parassiti. La colorazione di Sudan III di uno striscio di feci è un test di screening relativamente semplice e diretto, anche se non quantitativo, per il grasso fecale.

I test dell’assorbimento sono utili per definire la lesione (per l’assorbimento del lattoso, v. oltre Intolleranza ai carboidrati). Il test di assorbimento del d-xiloso è una misura indiretta, ma relativamente specifica, dell’assorbimento della parte prossimale del piccolo intestino. I reperti alterati sono comuni nella malattia digiunale primitiva, ma raramente lo sono nelle altre cause. Al paziente a digiuno vengono somministrati 5 g di d-xiloso PO e poi vengono raccolte le urine per le successive 5 h. Questo dosaggio è leggermente meno sensibile rispetto a una somministrazione maggiore (25 g), ma non provoca nausea o diarrea. Se il flusso urinario è adeguato e la filtrazione glomerulare è normale, una quantità < 1,2 g di d-xiloso nelle urine raccolte per 5 h è considerata alterata, mentre 1,2-1,4 g sono considerati valori al limite della norma. Anche se il test è molto popolare nella pratica pediatrica, la raccolta completa delle urine nei bambini piccoli è difficile e molti ricercatori preferiscono misurare i livelli ematici. Tuttavia, la misurazione dei livelli ematici è meno attendibile perché i livelli normali e quelli anormali si sovrappongono in maniera importante a meno che la dose di d-xiloso non sia di 0,5 g/kg.

Il malassorbimento del ferro, solitamente, può essere sospettato in un paziente che segue una dieta adeguata e che non ha una perdita cronica di sangue o non è affetto da talassemia, ma presenta un deficit di ferro, indicato da una bassa ferritina sierica e da una bassa sideremia. All’esame del midollo osseo si possono osservare delle ridotte riserve di ferro.

L’assorbimento di acido folico è anormale se, in un paziente che assume una dieta adeguata e non consuma una quantità eccessiva di alcol, viene riscontrato un basso livello di folati nel siero o nei GR.

L’assorbimento della vitamina B12 è alterato nei casi in cui la concentrazione sierica di vitamina B12 è bassa. Poiché i depositi sono abbondanti, un basso livello indica una condizione cronica. Il test di Schilling è utile per accertare la causa del malassorbimento. La ridotta escrezione urinaria (< 5%) della vitamina B12 radiomarcata indica il malassorbimento. Se l’escrezione torna a valori normali (> 9%) quando viene somministrato il fattore intrinseco legato alla vitamina B12 radiomarcata, il malassorbimento è causato da un deficit di attività del fattore intrinseco (spesso, una vera anemia perniciosa). Quando la somministrazione del fattore intrinseco non corregge l’escrezione, devono essere sospettate una pancreatite cronica, i farmaci (p. es., l’acido aminosalicilico) o una malattia del piccolo intestino (p. es., le anse cieche, i diverticoli digiunali e la malattia ileale).

La deconiugazione dei sali biliari da parte dei batteri intestinali, che si verifica nei disordini del piccolo intestino che causano una stasi e una crescita batterica (p. es., le anse cieche, i diverticoli e la sclerodermia), può essere valutata con il breath test con l’acido glicolico con C 14. Il test, di solito, non è necessario, è costoso e spesso non è disponibile.

Le rx possono essere aspecifiche o diagnostiche. Un esame dell’apparato digerente superiore, seguito da un esame del piccolo intestino, può mostrare una dilatazione delle anse intestinali con un assottigliamento delle pliche mucose (che indicano una sprue celiaca) o un loro ispessimento (che indica la malattia di Whipple) e una frammentazione irregolare della colonna di bario, ma questi aspetti suggeriscono solo un malassorbimento. I reperti diagnostici sono rappresentati dalla presenza di fistole, di anse cieche o di varie anastomosi intestinali; di una diverticolosi digiunale; e aspetti della mucosa suggestivi di un linfoma intestinale, di una sclerodermia o di una malattia di Crohn. L’esame rx diretto dell’addome può evidenziare delle calcificazioni pancreatiche, che sono un segno di pancreatite cronica. Anche la CPRE può essere utile nell’identificare un’insufficienza pancreatica cronica, ma di solito è sufficiente la calcificazione pancreatica.

La biopsia del piccolo intestino a livello digiunale è una procedura di routine che permette contemporaneamente dei prelievi di succo digiunale per un esame microbiologico della flora intestinale. Le biopsie endoscopiche sono anch’esse utili, ma devono essere eseguite oltre la seconda porzione del duodeno. Il prelievo mucoso può essere esaminato macroscopicamente con una lente di ingrandimento o con un microscopio dissettore o con la microscopia ottica o elettronica e gli omogenati tissutali possono essere analizzati per la loro attività enzimatica. Le diagnosi specifiche includono la malattia di Whipple, il linfosarcoma, la linfangectasia intestinale e la giardiasi (in cui si può notare il trofozoita strettamente adeso alla superficie villosa). L’istologia digiunale (atrofia dei villi) si presenta alterata anche nella malattia celiaca, nella sprue tropicale e nella dermatite erpetiforme.

Sono utilizzati due test della funzione pancreatica che richiedono entrambi l’intubazione duodenale: il test di Lundh, in cui la secrezione pancreatica viene stimolata indirettamente mediante l’assunzione orale di un pasto apposito, misura i livelli della lipasi nell’aspirato duodenale. La secrezione pancreatica può essere stimolata anche direttamente da un’iniezione di secretina EV. Il test alla bentiromide è stato, invece, introdotto per valutare la funzione pancreatica, ma la sua accuratezza e la sua utilità devono essere ancora definite. Il test è basato sulla scissione del peptide sintetico bentiromide, da parte dell’enzima pancreatico chimotripsina. La molecola dell’acido para-amminobenzoico è assorbita ed escreta nelle urine. L’accuratezza dipende dal normale svuotamento gastrico, dal normale assorbimento e da una normale funzione renale; alcuni farmaci (p. es., i sulfamidici e l’acetaminofene) possono provocare dei falsi risultati.

Di test speciali possono essere utili per fare la diagnosi delle cause meno comuni di malassorbimento, come i livelli della gastrina sierica e la secrezione gastrica acida nella sindrome di Zollinger-Ellison, la concentrazione del Cl nel sudore nella fibrosi cistica, l’elettroforesi delle lipoproteine nella abetalipoproteinemia e il cortisolo plasmatico nella malattia di Addison.

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Cura e trattamento

Cure e trattamenti dipendono, ovviamente, dalle cause responsabili di malassorbimento. Possono essere richieste specifiche integrazioni alimentari per colmare deficit nutrizionali, che nei nei casi più gravi andranno eseguite per via venosa (nutrizione parenterale); in presenza di deficit enzimatici può essere utile la supplementazione di enzimi digestivi animali (pancreatina) o vegetali (bromelina e papaina); diete di esclusione possono essere utili in presenza di intolleranze alimentari e celiachia (evitando, ad esempio, gli alimenti che contengono glutine); l’uso di antibiotici da un lato e probiotici dall’altro può essere utile per ripristinare il normale equilibrio della flora batterica intestinale nelle sindromi da malassorbimento dovute o associate a disbiosi.

E’ necessario quindi identificare le cause ed eliminare gli agenti scatenanti, oltre a seguire un regime alimentare sano accompagnato da integratori. Nei casi connessi all’uso di farmaci per il trattamento del cancro, a disfunzioni del pancreas e a particolari problemi conseguenti a interventi chirurgici allo stomaco o all’intestino è necessario un attento consulto medico.

Coloro che soffrono di malassorbimento hanno bisogno di più sostanze nutritive del normale per porre rimedio al problema. Gli elementi nutritivi vengono assimilati più facilmente in forma di iniezioni, polveri, liquidi e pasticche sublinguali. L’organismo di molti pazienti non è in grado di scomporre gli integratori in pillole; talvolta le pillole vengono eliminate attraverso le feci. Si dovrebbero evitare le pastiglie voluminose e dure e a rilascio prolungato. È essenziale una correzione della dieta e un programma depurativo che aiuti a guarire e depurare il colon.

A dispetto della correttezza della dieta o del numero di integratori presi, se accusate alcuni dei disturbi intestinali descritti precedentemente potreste soffrire di carenze nutritive. La sostanza fecale che rimane nell’intestino a causa della stitichezza si decompone e libera delle tossine e dei gas velenosi che entrano nel circolo sanguigno. Queste tossine danneggiano i tessuti e gli organi. Il sangue intossicato non è in grado di eliminare le cellule morte e i rifiuti, causando affaticamento, mal di testa, nervosismo e insonnia.

Il malassorbimento può provocare un invecchiamento precoce. È inoltre un fattore significativo nel processo complessivo dell’invecchiamento e può essere il motivo per cui alcune persone invecchiano più rapidamente di altre. Con gli anni il tratto intestinale si altera e il suo rivestimento si copre di dura sostanza fecale e di muco, che rendono difficile l’assorbimento degli elementi nutritivi. Per mantenersi giovane il corpo ha bisogno di sostanze nutritive. La cattiva assimilazione è una delle ragioni per cui gli anziani hanno bisogno di una maggiore quantità di elementi nutritivi.

Se il cambiamento di dieta e l’assunzione di corretti integratori non migliorano il vostro stato di salute nel giro di alcuni mesi, è possibile che abbiate problemi di malassorbimento. Coloro che soffrono di cattiva assimilazione hanno bisogno che gli integratori assunti eludano il più possibile il tratto intestinale, permettendo così di ricavare i necessari elementi nutritivi e di ritornare in salute. Si dovrebbero prendere integratori nelle forme sopra menzionate. Le pillole dure o le tavolette a rilascio prolungato dovrebbero essere evitate.

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SUGGERIMENTI

Si dovrebbero seguire i seguenti consigli dietetici per un periodo di trenta giorni, in modo da fornire al colon la possibilità di guarire e di eliminare dalle sue pareti il materiale indurito e il muco. Dopo trenta giorni potete reintrodurre nella dieta gli alimenti eliminati; non fatelo tuttavia troppo velocemente. Reinserite gradatamente piccole quantità di questi alimenti.
La dieta dovrebbe includere riso integrale ben cotto, escludendo però il riso bianco. Mangiate molta frutta, ma limitate il consumo di agrumi. Anche la farina d’avena, i vegetali cotti a vapore e il miglio dovrebbero far parte della dieta. Non consumate prodotti derivati dal grano fino a guarigione avvenuta. Mangiate pesce bianco ai ferri, a vapore o al forno tre volte alla settimana, ma eliminate dalla dieta i frutti di mare.
Bevete da sei a otto bicchieri di liquidi, includendo acqua di qualità, spremute e tisane alle ERBE (vedi: vi si trovano indicazioni su quelle che favoriscono la guarigione del colon). Per dolcificare usate malto d’orzo, una piccola quantità di miele e noci e latte di soia.
Evitate burro e margarina, alimenti fritti e tutti i tipi di oli e di grassi. Questi alimenti aggravano i problemi di malassorbimento rivestendo lo stomaco e l’intestino tenue e impedendo il passaggio degli elementi nutritivi. Si dovrebbero inoltre evitare gli alimenti che favoriscono la secrezione di muco da parte delle membrane, poiché anch’essi interferiscono con il processo di assimilazione. Tra questi alimenti troviamo i prodotti caseari, gli alimenti trattati e gli alimenti istantanei, la maggior parte dei quali contenuti in scatole e lattine.
La carne è difficile da digerire ed è acidogena. Evitate i prodotti contenenti caffeina come il tè, il caffè, le bevande tipo Coca-Cola e il cioccolato; i “cibi spazzatura” come le patatine in sacchetti e le caramelle; i prodotti contenenti zucchero, sale, MSG (glutammato di sodio) e conservanti.

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Stitichezza o stipsi acuta e cronica: terapie farmacologiche

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma STITICHEZZA STIPSI ACUTA CRONICA FARMACI TERAPIE Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata.jpgI farmaci usati nel trattamento della stipsi sono diversi: antrachinoni, lassativi di volume, emollienti/lubrificanti, anticolinesterasici (o para-simpaticomimetici), lassativi salini.

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Antrachinoni (o lassativi di contatto): agiscono aumentando la motilità intestinale, ma i loro effetti collaterali (crampi addominali) ne ostacolano l’impiego. Non sono raccomandati per la cura dell’ostruzione intestinale.

  • Bisacodile (es. Dulcolax, Stixenil, Alaxa): assumere per os 5-10 mg di farmaco la sera (effetto in 10-12 ore); in alternativa, assumere per via rettale 5 mg di farmaco alla mattina, sottoforma di supposte (effetto in 20-60 minuti)
  • Senna (es. Xprep, Agiolax, Pursennid, Falquilax): il farmaco esercita la propria attività terapeutica in 8-12 ore. Disponibile in polvere e solvente per soluzione orale, assumere uno o due cucchiaini di prodotto alla sera. Non superare la dose consigliata.
  • Docusato sodico (es. Macrolax, Sorbiclis): assumere per via orale max. 500 mg di farmaco al dì, preferibilmente in dosi frazionate.

Altri farmaci appartenenti a questa categoria possono essere costituiti da: olio di ricino, cascara, frangula, rabarbaro, aloe.

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Lassativi di volume: aumentando la massa fecale, i lassativi di volume favoriscono la peristalsi. È doveroso sapere che questi farmaci espletano la propria attività terapeutica dopo alcuni giorni di trattamento: l’effetto, pertanto, non è immediato. Sono indicati generalmente per i pazienti che non assumono fibre a sufficienza con l’alimentazione. I lassativi di volume devono sempre essere associati ad un’abbondante assunzione di liquidi, per evitare l’ostruzione intestinale.

  • Metilcellulosa: esercita la propria funzione anche come emolliente. Assumere il farmaco per la cura della stitichezza alla posologia di 2 tavolette da 1 grammo, con abbondante acqua, 6 volte al dì. Consultare il medico.
  • Gomma Sterculia (es. Normacol): assumere 2-4 bustine al dì, contenenti ognuna 6,1 grammi di gomma sterculia. Si raccomanda di assumere il prodotto con abbondante acqua per la cura di episodi saltuari di stitichezza.
  • Semi di Psillio (es. Fibrolax): si raccomanda di assumere il farmaco per via orale, alla posologia di 3,5 grammi dopo i pasti, 2-3 volte al dì, per 2-3 giorni. Assumere il prodotto per la cura della stitichezza con molta acqua, al fine di aumentare il contenuto fecale.

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Emollienti/lubrificanti: il capostipite di questa classe di farmaci è la paraffina liquida: gli attivi sono indicati in caso di emorroidi e ragadi nel contesto della stitichezza.

  • Paraffina liquida (es. Lacrilube, Paraf L BIN): la posologia indicativa è 10-30 ml, quando necessario.
  • Olio d’arachidi: formulato sottoforma di clismi, lubrifica ed ammorbidisce il contenuto intestinale (compatto), favorendo la motilità intestinale.
  • Glicerina (es. Supposte di Glicerina San Pellegrino): sottoforma di clismi, assumere 5,6 grammi di farmaco per via rettale; in alternativa, inserire una supposta da 2-3 grammi, al bisogno.

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Lassativi osmotici: attraverso un meccanismo osmotico, questi farmaci sono in grado di trattenere i liquidi nell’intestino, oppure agiscono modificando la distribuzione dei liquidi nella massa fecale:

  • Lattulosio (es. Duphalac, Epalfen, Normase): si raccomanda di iniziare la cura per la stitichezza con una posologia bassa (15 ml di soluzione al 62-74%), due volte al dì. La dose va modificata secondo la gravità della condizione.
  • Macrogol (es. Movicol, Isocolan, Selg Esse, Moviprep, Paxabel): la dose va stabilita in base al soggetto.

Anticolinesterasici (o para-simpaticomimetici): questi farmaci contro la stitichezza sono chiamati così perché aumentano l’attività del sistema parasimpatico nell’apparato digerente, favorendo di conseguenza la peristalsi. Non rappresentano i farmaci di prima linea per trattare la stitichezza, dato che comportano numerosi effetti collaterali di tipo gastro-intestinale.

  • Betanecolo(es. Myocholine): è un farmaco agonista colinergico utilizzato – seppur raramente – per svuotare la vescica, ed esercitare un blando effetto procinetico. In genere, viene assunto per via orale alla posologia di 10-50 mg tre volte al dì: la modalità di somministrazione va rispettata secondo le indicazioni del medico.
  • Neostigmina (es. Prostigmina): reperibile in fiale (1ml) per iniezione intramuscolare/endovenosa lenta o in compresse da assumere per bocca. La peristalsi intestinale è osservabile dopo 20-30 minuti dall’iniezione. Eventualmente, per facilitare il transito, è possibile applicare un clistere (150-200 ml al 15-20% di glicerina), dopo 30 minuti dall’iniezione.

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Lassativi salini: indicati per uso occasionale nel trattamento della stitichezza o prima di un intervento chirurgico a livello del colon (l’intestino dev’essere completamente pulito).

  • Fosfati (es. Sod Fos Sof Clisma, Sod Fos Zet Clisma): utilizzati per lo più prima di esami radiologici all’intestino o interventi chirurgici. La posologia va stabilita dal medico.
  • Idrossido di magnesio (ES. Magnesia, Maalox): sono impiegati quando è richiesto un rapido svuotamento dell’intestino. Assumere il farmaco preferibilmente al mattino: in genere è necessario un cucchiaino di prodotto con abbondante acqua (il farmaco è reperibile come polvere per sospensione orale da 90 grammi di attivo su 100 grammi di prodotto). L’uso smodato può dare coliche.
  • Sodio Citrato (es. Biochetasi, Novilax): per riequilibrare la motilità intestinale nel contesto della stitichezza, assumere due compresse effervescenti (425 mg di sodio citrato) tre volte al dì, con acqua.

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Stitichezza acuta e cronica: tipi, cause, trattamenti medici e rimedi

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma STITICHEZZA ACUTA CRONICA CURA SINTOMI Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgLa stitichezza è un disturbo frequente che consiste nella difficoltà – obiettivamente osservabile e/o soggettivamente percepita – nell’atto della defecazione, cioè l’insieme degli atti fisiologici, volontari ed involontari, che determinano l’espulsione delle feci, raccolte nell’intestino crasso, attraverso l’ano, necessario per svuotare in tutto od in parte l’intestino.
Solitamente la stipsi è anche caratterizzata dalla durezza e dalla secchezza delle feci, che ne rende difficile l’espulsione: questo stato delle feci può essere dovuto a eccessivo assorbimento di acqua da parte del colon e spesso specie nella stipsi cronica è legato a episodiche o ricorrenti coprostasi ma non è obbligatoriamente connesso a questa: il soggetto può infatti avvertire difficoltà ad evacuare a prescindere dalla lentezza del traffico fecale che caratterizza la coprostasi.

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Classificazione e fisiopatologia
La stipsi è il risultato di un’alterazione nella propulsione del bolo fecale e/o della evacuazione dello stesso. I disturbi della progressione possono essere correlati ad una ridotta massa fecale (diete incongrue, scarso introito di fibre, alterazioni elettrolitiche), ad affezioni organiche del colon che meccanicamente impediscono il passaggio del bolo fecale, oppure ad alterazioni funzionali intestinali, quali la stipsi cronica a lento transito o l’atonia coli. I disturbi della evacuazione sono anche correlabili ad alterazioni organiche della regione ano-rettale (ragadi, fistole, emorroidi, neoplasie ano-rettali, m. di Hirschsprung, tubercolosi intestinale) o ad alterazioni funzionali, quali la dischezia rettale o la sindrome del perineo discendente. La malattia celiaca può presentarsi con stipsi (i primi lavori inglesi sulla malattia celiaca evidenziarono che il sintomo più frequente di questa malattia era la stipsi e non la diarrea). Nei bambini una causa frequente di stipsi è l’intolleranza alimentare.
La stipsi (sia acuta che cronica) è in media connotata da difficoltà e dolori nel transito degli escrementi ed è usualmente accompagnata da scarsi stimoli all’evacuazione. La stitichezza dà sintomi locali, come modesti dolori locali o diffusi, che possono riacutizzarsi fino a diventare una colica, alcune volte possono portare a modificazioni dell’alvo con encopresi.
La stitichezza può influire sullo stato generale: mal di testa, cardiopalmo, insonnia, alitosi. Possono comparire difficoltà digestive e una diminuzione dell’appetito. Sono frequenti le dermatosi (orticaria, eczema, acne), causate probabilmente da autointossicazione dovuta all’assorbimento di sostanze che avrebbero dovuto essere eliminate, ma che invece permangono troppo a lungo nell’intestino.
Secondo recenti statistiche su un campione consistente di soggetti attenzionati il 40 % della popolazione mondiale soffre o ha sofferto di stipsi almeno una volta nella vita.
La stipsi può essere primitiva o secondaria. È secondaria se generata da fattori terzi, temporanei o stabili che siano. Ad es. febbre, farmaci, invalidità psicofisica, etc… La stipsi acuta (quindi temporanea e facilmente regredibile) è quasi sempre secondaria.

Stispi cronica
La Stipsi cronica va distinta dalla semplice stipsi generica (acuta o saltuaria), in quanto a differenza da quest’ultima costituisce una condizione a tutti gli effetti clinica e perché il trattamento iniziale di questa con modificazioni dietetiche, uso di fibre, tentativi di regolarizzare l’alvo e lo stile di vita non è sostenuto da solide evidenze cliniche ed è spesso causa di notevole frustrazione da parte dei pazienti. Costituisce infatti una falsa convinzione che questa condizione, anche nelle sue forme più severe, sia una variante fisiologica, più o meno mal sopportata, dello stato di salute e non una condizione clinica che, quando di grado severo, può essere incapacitante. La Stipsi cronica in media è autodiagnosticata dal paziente, talvolta incontrando difficoltà perché i non specialisti possono attribuirne i sintomi ad altre patologie o sindromi.

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Identificazione e classificazione
La stipsi cronica clinicamente è divisibile in:

  • stipsi silente
  • stipsi complicata
  • stipsi riferita

Inizialmente questa sarebbe stata definita dagli stessi pazienti, secondo criteri soggettivi, in termini di ridotta frequenza dell’alvo e disturbi addominali imputati ad una difficoltosa ed insufficiente evacuazione (stitichezza quantitativa). Alcuni studiosi indicarono il criterio di 3 evacuazioni per settimana (il 98° percentile della frequenza dell’alvo statisticamente riportata dalla popolazione adulta) come frequenza minima per non considerarsi affetti dal disturbo. Il punto è che evacuare ogni 2-3 giorni è potenzialmente ancora considerabile normale e il 60% di coloro che si definiscono stitici hanno un’attività apparentemente in termini di frequenza più regolare della norma (una volta al giorno), accusando i sintomi di una stitichezza fisiologica sulla base di un malessere esclusivamente soggettivo. Oggi si procede alla diagnosi in base ai Criteri di Roma III. Per esser definita cronica  la stipsi:

  • deve presentare almeno alcune caratteristiche (ad es. sforzo, sensazione di incompleto svuotamento, meno di 3 evacuazioni a settimana, …) negli ultimi 3 mesi con un esordio da almeno 6 mesi
  • le cosiddette “feci non formate” si presentano raramente senza lassativi
  • non deve rientrare nella diagnosi di Sindrome dell’intestino irritabile

Primitiva o secondaria
La stipsi cronica può essere primitiva o secondaria. E’ secondaria se generata da fattori terzi, ad es. farmaci, invalidità psicofisica, etc… cioè può essere secondaria a numerose condizioni morbose, nosologicamente determinate, in cui il sintomo è quindi ciò che si manifesta di una patologia organica gastrointestinale o extraintestinale. Nella maggior parte dei casi la stipsi cronica è primitiva o idiopatica, rappresenta cioè un’entità autonoma che, in assenza di lesioni organiche o biochimiche, è ricollegabile a patologia cosiddetta «funzionale» della motilità del viscere. Nella pratica clinica si distingue nelle forme di stipsi idiopatica:

  • la stipsi cronica idiopatica semplice, che risponde ai comuni trattamenti medici
  • la stipsi cronica idiopatica intrattabile, che non risponde ai comuni presidi terapeutici di tipo medico ed è suscettibile di approccio chirurgico.

Caratteristiche e sintomi
Le dosi fecali sono scarse e spesso hanno un aspetto molto secco e duro; la defecazione non è mai completa. Come esame complementare si può usare la manometria colica delle 24 ore e clisma opaco ed eventualmente la defecografia. Può essere utile per monitorizzare nel tempo la consistenza delle feci e i miglioramenti ottenuti con la terapia l’uso della Bristol stool scale. Il quadro clinico della stipsi cronica non è però dato solo dalla frequenza e difficoltà con cui si va al bagno ma anche da una serie di sintomi spesso associati (ad es. gonfiore e dolore addominale) e dal come tutto questo interagisce con l’esistenza e la quotidianità psicosociale della persona.

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Terapie della stipsi
La diagnosi è multifattoriale e talvolta complessa, quindi le terapie possono variare. In media tra i farmaci utilizzati c’è in via preferenziale il macrogol, in via secondaria il prucalopride. Nei casi in cui la stipsi cronica sia effetto e parte della Sindrome dell’Intestino Irritabile negli ultimi anni è emerso che un notevole miglioramento sia dato dalle diete a basso contenuto di Fodmap. Per approfondire leggi: Stitichezza o stipsi acuta e cronica: terapie farmacologiche

Cause
La stipsi specie quella cronica essendo un sintomo e una sindrome può essere causata da numerosi fattori (di cui un tot sono di matrice ambientale psicologica e persino soggettiva) tra cui anche – ma assolutamente non per forza o solo – da coprostasi (movimento troppo lento del materiale digerito attraverso il colon, che determina una eccessiva quantità di acqua assorbita dall’intestino) che a sua volta può essere dovuta a molti fattori (insufficiente assunzione di liquidi, stati di decubito prolungato).

Cause primarie

Funzionali

  • idiopatica;
  • malattia di Hirschsprung;
  • pseudo-ostruzione intestinale;
  • malattia di Chagas;
  • miopatia congenita dello sfintere anale;
  • iperglanglionosi;
  • Iipogangliosi;
  • inertia coli;
  • anismo o dissinergia pelvica;

Ostruttive

  • Stenosi (derivate da malattie infiammatorie croniche intestinali, neoplasie o disfunzioni anatomiche)
  • Outlet obstruction (prolasso mucoso,sindrome del perineo discendente…)

Ginecologiche

  • Rettocele;
  • Rilassamento pelvico.

Cause secondarie

Malattie connettivali

  • Amiloidosi;
  • Sclerosi sistemica.

Malattie batteriche

  • Tubercolosi intestinale;

Stile di vita

  • Disidratazione;
  • Scarsa assunzione di fibre alimentari;
  • Sedentarietà;
  • Soppressione o posposizione volontaria della defecazione.

Farmaci

  • Antiacidi;
  • Anticolinergici;
  • Anticonvulsivanti o Antiepilettici;
  • Antidepressivi;
  • Antistaminici;
  • Antiparkinsoniani;
  • Antipsicotici;
  • Calcio-Antagonisti;
  • Calcio supplementi;
  • Diuretici;
  • Terapia marziale;
  • Lassativi per usi cronici (specie con gli stimolanti/irritanti p.e.: Antrachinonici);
  • Antinfiammatori FANS;
  • Oppiodi Maggiori;
  • Oppiodi minori;
  • Antitussigeni;
  • Codeino simili;

Malattie metaboliche

  • Diabete Mellito;
  • Avvelenamento da metalli pesanti;
  • Avvelenamento da mercurio
  • Ipercalcemia;
  • Ipokaliemia;
  • Ipotiroidismo;
  • Ipomagniesemia;
  • Porfiria;
  • Uremia.

Malattie neurologiche

  • Neuropatia autonomica;
  • Sclerosi multipla;
  • Neuropatie paraneoplastiche;
  • Morbo di Parkinson.

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Disturbi psichiatrici

  • Disturbi del comportamento alimentare;
  • Stress situazionale.

Rimedi
Nei casi di stipsi lieve e saltuaria (ed escludendo i casi in cui la stitichezza dipende da fattori patologici gravi) si indicano le seguenti misure:

  • Camminare di più o realizzare un’altra attività che ponga in movimento il corpo. Normalmente aiutano 20 minuti di movimento al giorno a ritmo accelerato e per tonificare la muscolatura addominale e stimolare quella intestinale; svolgere, lontano dai pasti, un’intensa attività fisica di tipo “cardio” è sicuramente un valido aiuto contro la stitichezza.
  • In determinati casi maggior quantità di fibre alimentari: legumi, verdura cotta e soprattutto cruda, cereali, e in generale tutti gli alimenti ricchi di fibre vegetali: psillio, crusca.
  • Assumere maggior quantità di liquidi: acqua (a digiuno), brodo, latte, succo di frutta.
  • Evitare invece di assumere fibre nei casi in cui la stipsi sia dovuta da patologie funzionali come morbo di Hirschsprung, da problemi motori come la pseudo ostruzione intestinale oppure da problemi anatomici come le stenosi.

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Differenza tra stipsi, stitichezza e costipazione

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma DIFFERENZA STIPSI STITICHEZZA COSTIPAZIO Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgTempo fa un paziente mi ha fatto questa domanda:

Che differenza c’è tra stipsi, stitichezza e costipazione?

Nessuna richiesta è banale quando si tratta della nostra salute. La risposta a questa domanda è estremamente semplice: non esiste alcuna differenza tra stipsi, stitichezza e costipazione, sono tre sinonimi che indicano lo stesso identico disturbo consistente nella difficoltà nell’atto della defecazione, cioè l’insieme degli atti fisiologici, volontari ed involontari, che determinano l’espulsione delle feci, raccolte nell’intestino crasso, attraverso l’ano, necessario per svuotare in tutto od in parte l’intestino.

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Anticorpi monoclonali contro il tumore del colon retto metastatico

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma DIFFERENZE ANTICORPO AUTOANTICORPORiabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata Macchie Capillari Ano Pene
Cosa sono gli anticorpi monoclonali
La terapia delle forme avanzate del tumore del colon retto si avvale, oltre che degli strumenti tradizionali già descritti (chemioterapia, radioterapia, chirurgia), anche di anticorpi monoclonali che vengono associati alla chemioterapia per aumentarne l’efficacia.
Si tratta di anticorpi prodotti in laboratorio, in grado di interagire specificatamente con bersagli connessi al tumore. Citiamo in particolare gli anticorpi anti-EGFR (Epidermal Growth Factor Receptor: recettore del fattore di crescita epidermica) e anti-VEGF (Vascular Endothelial Growth Factor: fattore di crescita vascolare endoteliale), attualmente impiegati nella pratica clinica per la cura del tumore del colon retto, oltre che per altri tipi di tumore. Entrambe le tipologie di anticorpi agiscono contrastando l’effetto di particolari fattori di crescita. Vediamo ora cosa sono i fattori di crescita, e perché alcuni di essi rappresentano il bersaglio di farmaci impiegati per sconfiggere il tumore del colon retto.

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Fattori di crescita utilizzati come bersaglio dagli anticorpi monoclonali
I fattori di crescita, in generale, sono proteine utili, prodotte normalmente dal nostro corpo. I fattori di crescita si attaccano a specifici recettori presenti sulla superficie di determinate cellule e danno inizio ad un processo di crescita e moltiplicazione cellulare. Pensate a una sorta di meccanismo “chiave e serratura”: il fattore di crescita, è la “chiave” che entra in un recettore (serratura) e fa partire il processo. Il processo consiste in una catena di messaggi trasmessa all’interno della cellula, che produce, come effetto finale, la crescita e la moltiplicazione della cellula stessa. Il processo dura fin tanto che perdura il segnale di avvio, cioè l’interazione tra fattore di crescita e recettore.
Normalmente questo processo è attentamente controllato, cioè attivato ed interrotto opportunamente, in modo che le cellule si replichino solo quando serve. Se i perfetti meccanismi di controllo si alterano la cellula continua a moltiplicarsi in modo incontrollato e si può formare un tumore. Le terapie a bersaglio molecolare, e in particolare gli anticorpi monoclonali, agiscono nei casi in cui nella cellula tumorale determinati normali processi vanno fuori controllo e causano una eccessiva moltiplicazione cellulare o danno luogo a fenomeni che contribuiscono a mantenere vivo il tumore. Gli anticorpi monoclonali anti-EGFR ed anti-VEGF hanno come bersaglio molecolare differenti tipi di fattori di crescita che a loro volta stimolano la crescita di cellule diverse.

Anticorpi monoclonali anti-VEGF
La terapia anti-VEGF blocca il VEGF, un fattore di crescita che agisce principalmente stimolando la crescita delle cellule che costituiscono le pareti dei piccoli vasi sanguigni. I tumori necessitano di apporto sanguigno per continuare a crescere: alcune cellule tumorali producono direttamente VEGF o stimolano altre cellule a produrlo per promuovere la costruzione di nuovi vasi sanguigni che facciano arrivare il nutrimento al tumore. La terapia anti-VEGF pertanto, bloccando il VEGF, agisce limitando l’afflusso di sangue e sostanze nutrienti al tumore.

Anticorpi monoclonali anti-EGFR
La terapia anti-EGFR impedisce l’effetto incontrollato dell’EGF sulle cellule tumorali, attraverso il legame con il suo recettore. Il farmaco anti-EGFR compete con il mediatore “naturale” nel legarsi al recettore impedendo l’interazione fattore di crescita-recettore.
L’EGF è un importante fattore di crescita che, in condizioni normali, agisce stimolando la regolare moltiplicazione delle cellule epiteliali. Le cellule epiteliali rivestono le superfici esterne dell’organismo o le cavità  in contatto con sostanze provenienti dal mondo esterno (aria e cibo) come vie aeree e canale alimentare. Le cellule epiteliali hanno bisogno di dividersi molto rapidamente perché si consumano velocemente e necessitano di essere sostituite spesso.
Quando le cellule epiteliali intestinali del colon o del retto sono interessate da modificazioni patologiche delle loro funzioni che alterano il segnale di crescita e replicazione regolato da EGF, possono dare luogo a moltiplicazione incontrollata e quindi al tumore del colon retto. Gli anticorpi monoclonali anti-EGFR bloccano il segnale fuori controllo, danneggiano la cellula tumorale e contribuiscono così a fermare la crescita del tumore. Tale danno nei confronti della cellula tumorale si manifesta con il blocco della moltiplicazione cellulare e dei meccanismi di riparazione della cellula danneggiata. Inoltre vi è un effetto inibitorio della formazione di nuovi vasi sanguigni e della capacità  di migrazione cellulare con successiva formazione di metastasi.
Infine, alcuni farmaci anti-EGFR (i così detti IgG1) possono avere un meccanismo supplementare di attacco della cellula cancerosa che coinvolge il sistema immunitario.

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