Inserzione del pensiero: quando quello che pensi proviene da un altro

MEDICINA ONLINE CERVELLO TELENCEFALO MEMORIA EMOZIONI CARATTERE ORMONI EPILESSIA STRESS RABBIA PAURA FOBIA SONNAMBULO ATTACCHI PANICO ANSIA VERTIGINE LIPOTIMIA IPOCONDRIA PSICOLOGIA PSICOSOMATICA PSICHIATRIA CLAUSTROFOBIAIn medicina, o più precisamente in psichiatria, con “delirio di inserzione del pensiero” ci si riferisce alla convinzione assoluta, da parte del paziente, che i pensieri nella sua testa non siano i propri, ma provengano da un’altra persona che si sia “inserita” nella propria testa. Questa “altra persona” quindi esercita una condizione di controllo più o meno elevata sul paziente e può determinare alcune, se non tutte, sue azioni. Non è quasi mai possibile convincere il paziente che il suo delirio sia errato e che lui sia malato. Il delirio di inserzione del pensiero è uno dei sintomi più frequenti nella schizofrenia, ma può essere presente anche in altre patologie di interesse neurologico e psichiatrico. Il delirio di inserzione del pensiero, insieme a quello di “trasmissione del pensiero” e del “furto del pensiero“, appartiene alla categoria dei “deliri da influenzamento“);

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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Elettroshock oggi in Italia: effetti collaterali, a cosa serve, come funziona

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Immagine tratta dal film “A beautiful mind”

Con “elettroshock“, anche chiamata “terapia elettroconvulsivante” o “TEC” si intende una tecnica terapeutica basata sul provocare convulsioni nel paziente grazie alla somministrazione ed al passaggio di una corrente elettrica attraverso il cervello. Viene effettuato applicando alle tempie del paziente due elettrodi collegati ad un generatore di corrente. Le mandibole del paziente vengono bloccate, e viene applicata una corrente per un periodo di tempo di pochi secondi. Il passaggio della corrente attraverso il cervello provoca immediatamente un intenso attacco convulsivo, identico ad un grave attacco di epilessia, che dura più o meno 30 secondi. L’effetto terapeutico è dovuto alla crisi convulsiva, il passaggio di corrente elettrica è solamente il metodo più sicuro per ottenere le convulsioni: la corrente elettrica in sé non ha infatti alcun effetto terapeutico.

Storia dell’elettroshock

La TEC ha origini italiane: fu sviluppata e introdotta negli anni trenta dai neurologi italiani Ugo Cerletti e Lucio Bini. Come molte altre terapie psichiatriche, nella fase iniziale l’elettroshock è stato usato in maniera grossolana, francamente pericolosa e talora utilizzata più per controllare i pazienti scomodi che per ragioni effettivamente terapeutiche. Ma dai tempi di Cerletti e Bini, la metodologia dell’ECT (per usare l’acronimo inglese di “electroconvulsant therapy”) si è evoluta e perfezionata ed oggi la pratica psichiatrica effettua quella che viene chiamata terapia elettroconvulsivante unilaterale“, così detta perché coinvolge solamente uno degli emisferi cerebrali.

Elettroshock quanto dura il trattamento?

La durata della cura è variabile; generalmente il ciclo terapeutico comprende da sei a dodici trattamenti somministrati al ritmo di tre volte a settimana. Secondo studi le sedute devono essere separate da almeno un giorno.

Elettroshock: come funziona?

Il meccanismo di azione dell’elettroshock non è attualmente del tutto chiaro, ma diverse ricerche hanno dimostrato che la ripetuta applicazione del trattamento influisce su due livelli:

  • modulazione dei neurotrasmettitori: la TEC sembra sensibilizzare due sottotipi di recettori per la serotonina (5-HT), aumentando la trasmissione del segnale. Inoltre la TEC riduce l’efficacia della norepinefrina e della dopamina inibendo gli auto-recettori rispettivamente nel locus coeruleus e nella substantia nigra, causando il rilassamento di molti pazienti;
  • modulazione dei circuiti nervosi: la TEC sembrerebbe intervenire nel riassestamento degli assoni che modifica l’architettura dei circuiti nervosi riportandola ad uno stato precedente ossia annullando le modifiche intervenute nel corso dei mesi precedenti al trattamento (e quindi ad eventuali eventi traumatici subiti).

Elettroshock: a cosa serve ed in quali patologie viene usata?

L’elettroshock è una terapia medica che attualmente viene usata per curare svariate patologie psichiatriche gravi, prevalentemente nel trattamento della depressione grave cronica, in particolare nelle forme complicate da psicosi. Può essere impiegata anche in casi di depressione grave in cui la terapia con antidepressivi ripetuta e/o la psicoterapia non si sono rivelati efficaci, nei casi in cui queste terapie siano inapplicabili o quando il tempo a disposizione è limitato (per esempio nei casi di tendenze suicide). La TEC laddove possibile è utilizzata in un caso come presidio di urgenza: nella sindrome neurolettica maligna (overdose di psicofarmaci neurolettici) qualora la gravità ne costituisca un pericolo di morte, l’applicazione immediata della TEC ha mostrato scongiurare questo rischio. Altre indicazioni specifiche si hanno nei casi di depressione associata a malattie o gravidanza, in cui la somministrazione di antidepressivi può essere rischiosa per la madre o per lo sviluppo del feto. In questi casi, dopo avere attentamente valutato il rapporto costo/benefici, alcuni psichiatri ritengono la terapia elettroconvulsivante la soluzione migliore per la depressione grave. In alcuni casi la TEC è anche usata per trattare le fasi maniacali del disturbo bipolare e condizioni non comuni di catatonia.

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L’elettroshock funziona davvero?

L’effettiva utilità e opportunità di questa tecnica è tutt’oggi molto dibattuta: alcune tipologie di pazienti presentano oggettivi miglioramenti in seguito al trattamento, in altri casi la TEC ha creato effetti indesiderati nei pazienti cui è stata somministrata. Il dizionario medico Larousse nell’edizione del 1974 riporta: «la maggior parte degli psichiatri pensano che nessuna terapia ha ancora dato in psichiatria risultati comparabili alla TEC». La terapia ha comunemente una fama negativa, a causa sia dell’abuso e della pratica aggressiva che se ne è fatta in taluni casi, sia della presentazione che ne è stata a volte data in letteratura e cinematografia.

Tecnica terapeutica

Per indurre le convulsioni viene fatta passare per una frazione di secondo una corrente elettrica continua (tipicamente 0,9 Ampere) attraverso il cervello per mezzo di due elettrodi applicati in specifici punti della testa, previa apposizione di un gel, una pasta o una soluzione salina per evitare bruciature della pelle. La TEC bilaterale è più efficace di quella unipolare. Poiché nelle moderne apparecchiature viene somministrata la corrente continua, la tensione varia fino a un massimo che tipicamente è di 450 volt, ma solitamente si colloca a valori pari a circa la metà. Il dizionario medico Larousse riporta i valori sperimentati e utilizzati da Cerletti: 125-135 volt, 0,3-0,6 ampere, per 1/10 di secondo; specifica anche che la crisi si ottiene anche con soli 60 volt (assenza epilettica o infra-crisi); più è alto il voltaggio, più la crisi è intensa, e con essa l’effetto terapeutico. Gli apparecchi usati prendono il nome di “apparecchio di Lapipe e Rondepierre” e “apparecchio di Delmas-Marsalet”. Spesso le macchine sono programmabili in joule, in modo che il neurologo possa somministrare la minima energia possibile, riducendo la durata dello shock. Il manifestarsi delle convulsioni viene constatato con un monitoraggio elettroencefalografico (non sempre lo stato convulsivo si presenta con manifestazioni fisiche). Le convulsioni indotte dalla corrente elettrica, se non modificate tramite adeguamento del voltaggio, sono più intense di quelle prodotte durante una crisi epilettica. L’induzione di adeguate convulsioni generalizzate è necessaria per produrre l’effetto terapeutico.

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Cosa succede al termine del trattamento?

Terminate le convulsioni si ha un periodo di tempo durante il quale l’attività corticale è sospesa e il tracciato elettroencefalografico è piatto. Alcuni psichiatri oppositori della TEC affermano che questa fase equivalga alla morte cerebrale e sia causa di danno cellulare, tuttavia non esistono prove certe al riguardo. Al risveglio i pazienti non hanno alcun ricordo delle convulsioni e dei momenti precedenti la sessione, anche se si sentono stanchi e senza forze. Alcuni medici hanno paragonato la TEC e il meccanismo terapeutico che offre al reset dei computer.

Elettroshock: rischi ed effetti collaterali

I rischi maggiori presentati dalla TEC sono quelli dovuti all’anestesia generale, che viene somministrata a chi vi viene sottoposto. Non ci sono altri gravi rischi che ne precludano l’uso. I principali effetti collaterali sono confusione e perdita della memoria degli eventi prossimi al periodo del trattamento. Entrambi gli effetti scompaiono generalmente nell’arco di un’ora dal risveglio. Un effetto indesiderato minore è il dolore muscolare sofferto al risveglio a causa dei rilassanti muscolari. Gli effetti persistenti sulla memoria sono variabili. Tipicamente, nel trattamento bilaterale, con gli elettrodi posti cioè ai due lati del cranio, si può avere una parziale perdita di memoria per gli eventi accaduti nel periodo delle sessioni terapeutiche e nei sei mesi precedenti, con difficoltà a memorizzare nuove informazioni per un periodo di due mesi dopo il trattamento. Alcuni studi di neuropsicopatologia hanno mostrato un ritorno alla normalità delle capacità di memorizzazione ed apprendimento dopo diversi mesi, sebbene l’entità del danno alla memoria ed il recupero sia molto variabile da individuo ad individuo. I timori che la TEC possa indurre danni cerebrali strutturali non trovano conferma in decenni di ricerche effettuate sia sugli esseri umani sia su animali. Altri studi al contrario suggeriscono che il trattamento TEC a lungo termine sembra proteggere il cervello dagli effetti dannosi della depressione. La TEC incrementa l’espressione di fattori neurotrofici cerebrali nel sistema limbico, stimolando la crescita e proteggendo i neuroni dall’atrofizzazione indotta dalla depressione.

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Elettroshock oggi in Italia e secondo la legge italiana

L’elettroshock viene attualmente usata in Italia, anche se in casi selezionati. Nel nostro Paese la TEC deve essere somministrata in condizioni controllate e da personale specializzato, come prescritto da diverse legislazioni relative alla salute mentale. In Italia il riferimento principale è la circolare del Ministero della Salute del 15 febbraio 1999. La circolare stabilisce che la TEC deve essere somministrata esclusivamente nei casi di “episodi depressivi gravi con sintomi psicotici e rallentamento psicomotorio“, dopo avere ottenuto il consenso informato scritto del paziente, al quale devono essere esposti i rischi ed i benefici del trattamento e le possibili alternative.

In Italia tale orientamento è stato ulteriormente statuito dalla Regione Piemonte con la Legge Regionale 14/2002:

Art. 1. La Regione Piemonte, ai sensi degli articoli 2, 4 e 6 dello Statuto, persegue la finalita’ di: 
a) indirizzare e guidare lo sviluppo sociale del Piemonte verso obbiettivi di progresso civile e democratico; 
b) organizzare gli strumenti più efficaci per un preciso intervento a tutela della salute dei cittadini.

Art. 2. La Regione Piemonte, per le finalita’ di cui all’articolo 1, aderisce ai deliberati delle Nazioni Unite, del Consiglio d’Europa e alle disposizioni della Repubblica italiana in materia di diritti umani.

Art. 3. 1. Nella Regione Piemonte la terapia elettroconvulsivante (T.E.C.) puo’ essere praticata solo quando il paziente esprime un consenso libero, consapevole, attuale e manifesto. A tal fine occorre che lo psichiatra interessato fornisca, sia oralmente che in forma scritta, oltre che ai vantaggi attesi, esaurienti informazioni in ordine agli effetti collaterali eventuali, ai possibili trattamenti alternativi ed alle modalita’ di somministrazione. L’assenso del paziente deve essere scritto ed allegato alla cartella clinica e va ripetuto ad ogni applicazione. 
2. Nei casi in cui esista una limitazione della capacita’ del paziente nel comprendere l’informazione e nell’esprimere il consenso, si applica la vigente normativa civilistica in tema di capacita’ di agire delle persone.

Art. 4. 1. E’ fatto divieto di utilizzare in tutte le strutture regionali la T.E.C. sui bambini e gli anziani. Per le donne in gravidanza viene posto il medesimo divieto a meno che l’applicazione della T.E.C. venga espressamente richiesta dalla paziente e autorizzata anche dal coniuge e dai familiari diretti della paziente, secondo le modalita’ espresse dall’articolo 3. Viene fatto divieto di utilizzare in tutte le strutture regionali la lobotomia prefrontale e trasorbitale, ed altri simili interventi di psicochirurgia.

Art. 5. E’ eliminato ogni riferimento che possa contemplare una responsabilita’ professionale del medico che decida di non ricorrere alla T.E.C., alla lobotomia prefrontale e transorbitale e ad altri simili interventi di psicochirurgia, salvo rispondere dei propri atti nei termini previsti dalla normativa sulla responsabilita’ professionale.

Art. 6. Tutte le T.E.C. sono corredate da dati analitici che permettano di avviare rigorosi studi clinici. I pazienti vengono sottoposti a verifiche e controlli sanitari generali periodici per un lungo periodo di tempo successivo allo shock. A tal fine l’Assessorato regionale alla sanita’ mettera’ in atto procedure di valutazione e revisione periodica delle applicazioni della T.E.C. su scala regionale attraverso una Commissione composta da professionisti esterni e rappresentanti locali, professionalmente qualificati, delle associazioni di settore.

L’applicazione dello shock deve avvenire in narcosi e spasmolisi ossia su paziente incosciente per l’effetto di anestetici e trattato con rilassanti muscolari per controllare le contrazioni muscolari. Esistono casi in cui la validità del consenso informato è dubbia a causa dello stato mentale del paziente. Questi casi impongono gravi problemi decisionali, in cui contrastano tra loro la salute del paziente, la sua capacità decisionale, la responsabilità del medico e la relazione medico-paziente. La legislazione e la giurisprudenza delle diverse nazioni che si trovano ad affrontare il problema sono in progressiva evoluzione.

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Donnie Darko (2001): trama, recensione e spiegazione del film

MEDICINA ONLINE Donnie Darko film Richard Kelly Jake Gyllenhaal, Noah Wyle Drew Barrymore Patrick Swayze Holmes Osborne Drammatico, durata 108 min. - USA 2001 WALLPAPER HI RES PICTURE MOVIE PHOTODonnie Darko un film di Richard Kelly. Con Jake Gyllenhaal, Noah Wyle, Drew Barrymore, Patrick Swayze, Holmes Osborne. Drammatico, durata 108 min. – USA 2001

Trama senza spoiler

È il 2 ottobre 1988 e il motore di un aereo precipita sulla camera di Donnie, da allora la vita del ragazzo non sarà più la stessa: inizia a vedere Frank, il coniglio che lo ha salvato da morte certa, ma che gli ha anche vaticinato la fine del mondo. 28 giorni, 6 ore, 42 minuti e 12 secondi, questo è il tempo che rimane per cercare di bloccare la profezia.

Recenzione

Questo film può non piacere a tutti, ma – se sei una di quelle persone a cui piace – probabilmente non ti piace soltanto: lo ami. Lo ami e lo avrai visto tante e tante volte ed in ogni volta forse ti sembra di aver colto qualcosa e di aver capito qualcosa che non eri mai riuscito a capire prima. Alla mia forse quindicesima visione del film pensai questa cosa:

Se Dio esiste, è nascosto da qualche parte in questo film.

Si, a chiunque questa può sembrare semplicemente una affermazione un po’ bizzarra, ma per me è valida ancora oggi, a distanza di anni. Donnie Darko è un mistero che nessuno può cogliere a pieno. Ha una storia davvero travagliata. Uscì nelle sale dopo gli attentati alle Twin Towers dell’11 settembre e sparì ben presto dalla circolazione, anche a causa della scena in cui è coinvolto un aereo che perde un reattore. Ma il passaparola ha fatto resuscitare questo film, che ormai conta stuoli di aficionados… Lo stato di cult di cui gode Donnie Darko è dovuto al fatto che molti giovani si sono riconosciuti nel personaggio principale. E’ il medesimo flash autoterapeutico che ha reso immortali James Dean, Il giovane Holden e Arancia Meccanica. Per un adolescente, certo, non è difficile sentirsi vicino a Donnie: in fondo il ragazzo è sì “matto”, ma appare come un matto abbastanza innocuo – oltre che quasi casto. La sua ribellione, a fronte di genitori che riescono ad esserci simpatici nonostante un modo di vivere ordinario e borghese e che dimostrano di amare i loro figli, nasce dallo scombussolamento interiore e non da una riflessione metafisica e/o sul sociale.
Alcuni critici stranamente ritengono Donnie Darko un film che mostra la protesta giovanile contro il sistema scolastico e, più in generale, contro gli adulti, ma in realtà tale presunta rivolta si limita ai soliti gesti di bullismo in classe e nel cortile scolastico, oltre che alle atroci – e sterili – mascherate di Halloween. Insomma, il telaio portante è apparentemente quello di un film sui teenagers. Viene tracciata anche una originale storia d’amore e il rischio latente era quello di creare un’ennesima fiaba moderna, imperdonabilmente stupida per via di un romanticismo sciatto e rimasticato da ragazzini stelle-e-strisce; per fortuna però Richard Kelly ha voluto rendere omaggio a Philip K. Dick e il film, dopo essere scivolato sul paludoso sentiero dell’horror (tramite le allucinazioni del protagonista borderline), si risolve in un bel rebus fantascientifico. E’ proprio la struttura narrativa ad affascinarci maggiormente. Anche se è individuabile una storyline o trama che dir si voglia, Kelly mima le acrobazie fabulanti di un Kurt Vonnegut e la vicenda finisce per rivelarsi un serpente che si mangia la coda o, per usare un termine matematico, un nastro di Möbius. Non può essere altrimenti, d’altronde, quando viene affrontato il tema dei viaggi temporali, i quali, come si sa, comportano uno o più paradossi, costringendo perciò gli scrittori a inventarsi una logica alternativa.

A questo proposito, abbiamo il sospetto che l’autore (e regista) di Donnie Darko abbia attinto da un altro maestro della fantascienza, ovvero da Murray Leinster (vedi soprattutto la “trovata” dell’Universo Tangente), che di viaggi e paradossi temporali fu uno dei primi specialisti, tanto da fondare su di essi la propria carriera scribatoria.

La recitazione di Jake Gyllenhaal è indimenticabile. Come già successe per Anthony Perkins in Psycho, Jake “è” Donnie Darko. Impossibile ormai per chiunque immaginarsi qualcun altro nello stesso ruolo. La sua addirittura non è nemmeno più un’interpretazione nel senso di “abile prestazione istrionica”, bensì una vera e propria incarnazione.

A Donnie/Jake appare un inquietante coniglio che è il capovolgimento orrifico di Harvey, la creatura che accompagna il docile matto James Stew. Ricordate? Il titolo di quella pellicola in bianco-e-nero è proprio Harvey. Là il protagonista, Elwood, alias James Stewart, è quasi uno stinco di santo e, sebbene gli manchi qualche rotella, non è privo di una certa saggezza filosofica. Ecco uno dei suoi monologhi:

Harvey e io sediamo nei bar… prendiamo un bicchierino o due, facciamo suonare il juke box. E subito tutte le facce si girano verso di me, e sorridono, e dicono ‘non sappiamo come ti chiami amico, ma sembri un tipo simpatico’. Harvey e io ci accendiamo in quei momenti d’oro. Siamo entrati come estranei… e subito abbiamo degli amici! E loro si avvicinano, e siedono con noi, e parlano con noi. Parlano delle grandi cose terribili che hanno commesso, e delle grandi cose meravigliose che faranno. Delle loro speranze, dei loro rimpianti, dei loro amori, dei loro rancori. E tutto in larga scala, perché nessuno porta mai nulla di piccolo dentro un bar. E poi io presento loro Harvey… e lui è più grande e più straordinario di qualsiasi cosa loro possano mai mostrare a me. E quando se ne vanno, se ne vanno impressionati. Le stesse persone raramente ritornano; ma questa è invidia, caro mio. C’è una piccola dose d’invidia in ciascuno di noi.

Invece Frank, la creatura dalle fattezze di coniglio in Donnie Darko, è cattivo. E’  l’antagonista dell’eroe/antieroe del film, non il suo compagno buono e comprensibile. Per Donnie, alle prese con la pazzia intus et foris, non c’è spazio per i discorsi o i gesti buonisti. Il motore di jet è precipitato sul suo letto quando lui era assente e dunque si è potuto salvare. Almeno questo è quello che vede o crede di vedere lo spettatore.

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Trama di Donnie Darko (SPOILER)

Il personaggio che dà il titolo al film, un adolescente americano con problemi psichiatrici, durante un attacco di sonnambulismo che lo porta fuori di casa si imbatte in Frank, un coniglio gigante che gli predice la fine del mondo. E’ la notte del 2 ottobre 1988. In tivù viene trasmesso il duello elettorale dei due candidati alla Casa Bianca: il repubblicano George Bush senior e il democratico Michael Dukakis. Quella stessa notte avviene uno stranissimo incidente: il motore di un aereo precipita dai cieli sulla villetta dei Darko, distruggendo la camera di Donnie, che naturalmente non era a letto. Da questi due singolari episodi (il motore che precipita e l’incontro col coniglio) prende le mosse una vicenda che non fa che complicarsi passo dopo passo; tra le altre cose Donnie s’innamora, scopre che l’anziana vicina un po’ fuori di testa ha scritto un libro sui viaggi nel tempo, allaga e vandalizza la scuola e brucia la casa di un apprezzato guru locale. Intanto, la sua schizofrenia dilaga: i suoi occhi riescono a vedere fasci trasparenti simili a lunghi lombrichi che escono dal plesso solare delle persone (i famosi wormholes), proprio come aveva predetto Mother Death (il cui nome è stato tradotto in italiano con “Nonna Morte“), un’eccentrica scrittrice ora vecchissima e semidemente, autrice del testo The Philosophy of Time Travel. La vecchia conosce bene tali prodigi. Anzi, a quanto pare, solo la pazzia consente di poter viaggiare nel tempo. La psichiatra del ragazzo è sempre più preoccupata,ma non riesce ad avvertire i genitori che lasciano Donnie in casa con la sorella la notte di Halloween. I due organizzano una festa che culmina con la morte di Gretchen, la ragazza di Donnie, investita da tale Frank, un ragazzo in costume da coniglio, che Donnie uccide con un colpo di pistola. Mentre albeggia, Donnie porta il cadavere di Gretchen sulla collina e osserva il cielo, in cui un vortice si va formando e in cui vola l’aereo che riporta la madre e la sorellina a casa. Improvvisamente, dal velivolo si stacca un motore, che precipita sulla cittadina di Middlesex e sulla casa dei Darko… uccidendo Donnie nel suo letto, ventotto giorni prima. Ma ritorniamo a questa inquietante frase:

Il mondo finirà tra 28 giorni, 6 ore, 42 minuti e 12 secondi

Questo l’inquietante avvertimento del coniglio. Quando Donnie si risveglia dopo aver ricevuto la previsione, scopre che la sua camera è stata devastata da un motore di aereo caduto letteralmente dal cielo. Si, ma da dove (o da quando?) arriva questo motore?

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Universo Primario e Tangente

“Alcuni nascono con la tragedia nel sangue” dice a un certo punto Gretchen, la ragazza di Donnie… Donnie Darko fa a lungo la spaccata tra horror e science fiction. Come detto, non si può non pensare a Philip K. Dick, il romanziere americano che così bene ha saputo descrivere la schizofrenia. Similmente a Dick, Richard Kelly rende “reali” le allucinazioni per poi coniugarle alla teoria della relatività (che, fino a prova contraria, è scaturita dalla mente di uno scienziato, non da quella di un appassionato di fenomeni paranormali). L’autore del film ci suggerisce che esista un Universo Primario e uno Tangente. Quando da quest’ultimo fuoriesce un artefatto (in questo caso, la turbina di un grosso velivolo), è come se si scoperchiasse il vaso di Pandora: la linea di confine spaziotemporale si spezza, le dimensioni a noi note non combaciano più… in pratica, la follia si fa normalità.
Il protagonista compie degli atti vandalici ma è, in fondo, una vittima innocente: non si può imputare a lui, difatti, la circostanza dello squilibrio chimico che avviene nel suo cervello. E, forse, il tunnel dentro cui lo ha spinto la malattia, dove il tempo si ripete uguale all’infinito e ogni cosa è già predestinata e ritorna, è l’unico luogo in cui si può arrivare veramente a comprendere la quintessenza delle cose del mondo.

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Accenni e allusioni “colte”

Oltre al richiamo al coniglio Harvey (che è una reprise di quello di Alice in Wonderland), il film è pieno di citazioni, associazioni di idee e microeventi che legano l’ieri all’oggi, un’opera letteraria e/o cinematografica all’altra. Così, uno dei personaggi è rappresentato da una vecchia pazza che risponde al nome di Roberta Sparrow. Ne abbiamo già accennato nella “Sinossi”: la Sparrow, detta “Mother Death”, è la fittizia autrice di un libro sui viaggi nel tempo.
Nel corso della campagna di pubblicità per il rilancio di Donnie Darko, deciso a distanza di un paio di anni dall’esordio fallimentare, qualcuno della produzione ha addirittura scritto il libro della Sparrow. Un altro libro, stavolta reale, di cui si parla nel film e che qualcuno vocifera sia stato tra le massime fonti d’ispirazioni di Anthony Burgess per il suo Arancia a orologeria (Arancia meccanica), è The Destructors, di Graham Green. La storia di The Destructors si svolge a Londra durante la Seconda Guerra Mondiale e tratta dell’impatto socio-psicologico che il conflitto armato ha su un gruppo di adolescenti, che scaricano le loro frustrazioni trasformandosi in vandali…

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Il sequel: S. Darko

Nel 2009, quindi 8 anni dopo il primo film, esce la “continuazione” di Donnie Darko. Il titolo è S. Darko. Nathan Atkins ne è l’autore. Ed è bravo nel suo mestiere, bisogna dirlo. Il primo film mai realizzato nato dalla sua penna è stato uno short dal titolo Cultivation (del 2003) che, guarda caso, parla di un mondo magico parallelo. Dunque, è lo sceneggiatore più qualificato per un sequel di Donnie Darko.
In S. Darko, sono trascorsi sette anni dalla morte di Donnie (7: cifra carica di significati…). Samantha, la sorellina del defunto (al suo nome si riferisce la S. del titolo), è intanto cresciuta. Ha 17 anni e, insieme al suo amico Corey, si mette in viaggio per una vacanza da trascorrere a Los Angeles. Durante il tragitto, entrambi vengono tormentati da strane visioni… Tornano qui gli wormholes o buchi di tempo.
S. Darko è stato scritto seguendo le direttive di Richard Kelly, ma questi si è dissociato dal film e la regia è stata affidata a Chris Fisher.
Impossibile dire se l’operazione-sequel sia riuscita. Diciamo semplicemente che si tratta di un  film diverso anche se bisogna ricordare al lettore che sia la critica sia il pubblico lo abbiano giudicato decisamente un brutto film. A me decisamente non ha fatto impazzire, anche perché scatta in automatico un (impietoso) paragone col primo film, paragone che – neanche a dirlo – vede il seguito pesantemente distrutto.

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Spiegazione del film… forse

Come già per Mulholland Drive, e forse anche di più in questo caso, non esiste (è questo è il bello) un’interpretazione giusta o univoca, e lo scopo del film, e del regista, è proprio quello di lasciare all’immaginazione dello spettatore la possibilità di esplorare infinite strade e teorie; ma è anche vero che lo stesso Kelly più volte negli ultimi anni, sul sito web statunitense (altro puzzle misterioso e affascinante) come nel commento audio al dvd, fino ad arrivare al recentissimo Donnie Darko – The Director’s Cut, ha tentato di offrire al vasto pubblico di cultori del film una chiave di lettura tanto precisa quanto complessa.

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Sogno… o sono in un loop?

La forza del film non è in questa charada ma altrove; si può tentare, ad ogni modo, di dare un’interpretazione di questi fatti in modo da fare tornare i conti. In realtà le intepretazioni possono essere svariate, come del resto auspicato dallo stesso regista: una molto semplice vorrebbe Donnie in preda alle risa alla fine del film come al risveglio da un lungo ed intricato sogno… che però era il presagio della sua bizzarra morte. Un’altra, molto affascinante, vuole Donnie (e tutto il mondo) prigioniero di un loop temporale della durata di ventotto giorni, al termine dei quale si torna all’inizio: in questo senso il mondo sarebbe finito, perché intrappolato per sempre tra il 2 e il 31 ottobre. Donnie ne può uscire solo sacrificandosi: per “costringersi” a farlo creerà le visioni con Frank – la sua vittima e il suo Virgilio. Frank lo indurrà ad allagare la scuola perché questo renderà possibile l’incontro con Gretchen, nonché a bruciare la villa del guru Jim Cunningham: l’incendio fa sì infatti che si scopra che l’uomo è un pedofilo, e quindi la professoressa di educazione fisica della scuola, sua amica e ammiratrice, rinunci ad accompagnare il gruppo di danza della sorellina di Donnie per stargli vicino, così che la signora Darko sia costretta a sostituirla e a lasciare Donnie ed Elizabeth soli in casa e liberi di organizzare la festa di Halloween – con tutto ciò che ne consegue.

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Roberta Sparrow e la filosofia di Richard Kelly

Benché questa sembri una chiave di lettura pienamente convincente, ha ben poco a che vedere con quella proposta dall’autore, che ruota tutta intorno il libro scritto da Roberta Sparrow “La filosofia dei viaggi nel tempo“, che nella versione Director’s Cut è recitato quasi parola per parola e sparso in varie parti del film. Questo scritto, non c’è nemmeno bisogno di specificarlo, è assolutamente fittizio (anche se liberamente ispirato a teorie esistenti del famoso scienziato Stephen Hawking) e descrive come il tempo occasionalmente possa “corrompersi” per ragioni sconosciute e dare origine a realtà parallele, chiamate Universi Tangenti. Queste realtà altre sono delle dimensioni temporanee profondamente instabili, della durata di non più di qualche settimana e destinate quindi a collassare su sé stesse provocando la distruzione dell’esistenza. Allo stesso tempo, però, formano anche una sorta di vortice spazio-temporale che permette il viaggio nel tempo e che può ricondurre al punto di origine dell’Universo Tangente. Ne La filosofia dei viaggi nel tempo viene descritto tutto questo e altro: vi sono dettagli specifici su tutti gli elementi che concorrono alla “nascita” e alla “morte” di questo strano fenomeno, come per esempio l’Artefatto (The Artifact), il Ricettore Vivente (The Living Receiver), i Viventi Manipolati (The Manipulated Living) e i Morti Manipolati(The Manipulated Dead).
L’Artefatto è il segno della “nascita” di un Universo Tangente, è solitamente in metallo e la sua improvvisa apparizione non è spiegabile dal punto di vista razionale.
Il Ricettore Vivente è un normale essere umano scelto, non si sa per quale motivo, per riportare l’Artefatto nell’Universo Principale attraverso il vortice spazio-temporale che compare quando l’Universo Tangente sta per collassare. Per fare ciò il Ricettore Vivente ha il dono della telecinesi e vari altri poteri, ma è spesso tormentato da incubi e visioni per tutta la durata della vita dell’Universo Tangente. Naturalmente è Donnie il nostro Ricettore Vivente. Il tempo è stato corrotto dalla materializzazione inspiegabile del motore del jet (l’Artefatto) che cade su casa Darko, ed il nostro giovane eroe deve porvi rimedio prima che ciò causi la distruzione dell’universo. Il Morto Manipolato è ovviamente Frank: come spiega La filosofia dei viaggi nel tempo, chiunque muoia nell’Universo Tangente può tornare, con poteri anche superiori a quelli del Ricettore, ad aiutarlo nella sua impresa; ed è per farne la sua guida, infatti, che Donnie uccide Frank. Ogni accadimento, ogni gesto delle persone che gli sono accanto (i Viventi Manipolati) deve portare Donnie a completare la sua missione creando un motivo valido per l’apparizione del motore e permettendo così la chiusura indolore dell’Universo Tangente. Per ottenere questo risultato Donnie utilizza i poteri di cui è in possesso in quanto Ricettore e approfitta del varco che si crea mentre l’Universo Tangente agonizza per mandare il motore che si stacca dall’aeroplano su cui volano Rose e Samantha Darko indietro nel tempo fino alla notte di ventotto giorni prima, per cadere sulla villetta, uccidere Donnie e cancellare l’Universo Tangente.

Un sacrificio voluto

Ma davvero tutto è stato cancellato? Quello di Donnie è un sacrificio volontario? Kelly sembra suggerire che la risposta sia negativa alla prima di queste domande e positiva alla seconda: i volti dei vari personaggi che vediamo nella sequenza finale sembrano suggerire che essi in qualche modo ricordino quanto accaduto nell’Universo Tangente, e quindi probabilmente anche Donnie avesse percepito l’avvicinarsi del pericolo, scegliendo volontariamente di non evitare il proprio tragico destino. Per andare incontro a quel mistero che nessuna “guida alla comprensione” potrà mai provarsi ad interpretare.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
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Schizofrenia: cosa fare in caso di crisi? A chi chiedere aiuto?

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Che fare in caso di crisi?

Durante un episodio acuto, lo schizofrenico è spesso agitato, angosciato, in preda ad allucinazioni o a idee deliranti. Bisogna fare di tutto per evitare di agitarlo ulteriormente. Quindi è preferibile essere soli con lui, anche se ci sono persone in una stanza vicina, e provare a rassicurarlo parlandogli dolcemente nel modo più normale possibile. Meglio non toccarlo, fissarlo negli occhi o stargli troppo vicino, né bloccare le uscite, per evitare che si senta minacciato e per proteggere voi stessi. Occorre dimostrargli empatia, chiedendogli cosa c’è che non va o commentando ciò che sente (“Hai paura?”), senza moltiplicare le domande o fargli un discorso. Con formule più semplici, ripetute in modo identico, si rischia meno di destabilizzarlo. Occorre tentare poi di convincerlo ad andare all’ospedale o in un centro di accoglienza e di crisi (aperto 24 ore su 24), cosa che non è sempre facile. Tutto sarà più semplice se vi informerete prima presso i medici sul comportamento da adottare e le strutture di accoglienza vicine a voi.

Leggi anche: Amare uno schizofrenico: come comportarsi con uno schizofrenico?

A chi chiedere aiuto in caso di crisi?

Al momento, non esiste una ricetta miracolosa per affrontare queste crisi, che fanno molta impressione sulla cerchia di familiari e amici, che spesso si trova particolarmente sola in questi momenti. Ottenere la visita di uno psichiatra a domicilio è, di regola, impossibile. I pompieri, cioè il SAMU, raramente accetteranno di spostarsi per queste persone agitate. Il medico curante o un’altra persona con cui il malato ha un rapporto di fiducia potranno essere un aiuto prezioso. Ma la polizia a volte è l’unica risorsa quando non è possibile alcuna comunicazione e la persona è violenta. È una soluzione traumatizzante, da non utilizzare se non in casi estremi. Eventualmente occorrerà ricorrere ad un ricovero o alla richiesta di un terzo (se il malato ha bisogno di cure e non è in stato di dare il suo consenso) o un ricovero d’ufficio (in caso di pericolo per l’ordine pubblico o per le persone). I servizi detti “del settore psichiatrico”, ovvero di accoglienza principalmente di pazienti che abitano in un determinato settore geografico sono suscettibili di ricevere in qualsiasi momento questi pazienti in crisi.

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Comportamento schizofrenico: come fare diagnosi di schizofrenia

MEDICINA ONLINE CERVELLO TELENCEFALO MEMORIA EMOZIONI CARATTERE ORMONI EPILESSIA STRESS RABBIA PAURA FOBIA SONNAMBULO ATTACCHI PANICO ANSIA VERTIGINE LIPOTIMIA IPOCONDRIA PSICOLOGIA DEPRESSIONE TRISTE STANCHEZZALa schizofrenia è una psicosi cronica caratterizzata dalla persistenza di sintomi di alterazione del pensiero, del comportamento e dell’affettività, da un decorso superiore ai sei mesi, con forte disadattamento della persona ovvero una gravità tale da limitare le normali attività di vita della persona.

Come si fa la diagnosi di schizofrenia?

Per la diagnosi di schizofrenia conta sia la natura sia la durata dei sintomi (sintomi che differiscono per durata caratterizzano ad esempio il disturbo schizofreniforme). I sintomi psicotici possono essere presenti in molti altri disturbi mentali, tra cui il disturbo bipolare, il disturbo borderline di personalità, le intossicazione da sostanze stupefacenti e la psicosi farmaco-indotta. Deliri (“non bizzarri”) sono presenti anche nel disturbo delirante e il ritiro sociale nella fobia sociale, nel disturbo evitante di personalità e nel disturbo schizotipico di personalità. La schizofrenia è in comorbilità con il disturbo ossessivo-compulsivo (OCD), molto più spesso di quanto potrebbe essere spiegato per puro caso, anche se può essere difficile distinguere le ossessioni che si verificano nelle OCD dalle illusioni della schizofrenia. Una ridotta percentuale delle persone che smettono di assumere benzodiazepine sperimenta una grave sindrome da astinenza protratta, che può assomigliare alla schizofrenia e che in seguito può essere diagnosticata erroneamente come tale. La schizofrenia viene diagnosticata in base a criteri del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, edito dall’American Psychiatric Association, giunto nel 2013 alla sua quinta edizione (DSM-5), o con quelli della International Statistical Classification of Diseases and Related Health Problems (ICD-10) dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Questi criteri utilizzano le esperienze auto-riferite dei pazienti e descrivono le anomalie nel comportamento; devono essere seguiti da una valutazione clinica da parte di un professionista della salute mentale. I sintomi associati alla schizofrenia devono verificarsi per un continuum e devono raggiungere una certa gravità, prima che una diagnosi possa essere formulata. Al 2009 non esiste un test diagnostico oggettivo. I criteri espressi nell’ICD-10 sono tipicamente utilizzati nei paesi europei, mentre quelli del DSM-5 sono adottati negli Stati Uniti e in varia misura in tutto il mondo e inoltre sono prevalenti negli studi di ricerca. I criteri dell’ICD-10 pongono maggiormente l’attenzione sui sintomi di Schneider di primo rango. Nella pratica, l’accordo tra i due sistemi è elevato.

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Secondo l’edizione riveduta del DSM-V, tre criteri diagnostici devono essere soddisfatti per una diagnosi di schizofrenia:

  • (A) Sintomi caratteristici: La presenza persistente di due o più dei sintomi che seguono, per un periodo significativo che si considera di almeno un mese (si osserva che la durata può essere inferiore se il sintomo recede a seguito di trattamento):
    • deliri;
    • allucinazioni;
    • disorganizzazione del discorso verbale (es: perdere il filo, incoerenza, divagazione e espressione troppo astratta);
    • grave disorganizzazione del comportamento (es. nel vestiario, nelle abitudini diurne, disturbi del sonno, disforia, piangere o ridere frequentemente e inappropriatamente), oppure stato gravemente catatonico;
    • presenza di sintomi negativi, cioè che trasmettono un forte senso di disinteresse, lontananza o assenza del soggetto: appiattimento affettivo (mancanza o forte diminuzione di risposte emozionali), alogia (assenza di discorso), avolizione (mancanza di motivazione), disturbi dell’attenzione e delle capacità intellettive, assenza di contatto visivo.
  • (B) Deficit o disfunzione sociale e/o occupazionale: Per un periodo di tempo significativo uno o più degli ambiti principali della vita del soggetto sono gravemente compromessi rispetto a prima della comparsa del disturbo (lavoro, relazioni interpersonali, cura del proprio corpo, alimentazione ecc.)
  • (C) Durata: persistenza dei sintomi “B” per almeno sei mesi, che includano almeno un mese di persistenza dei sintomi “A”.

È richiesto un solo sintomo del criterio A sé i deliri sono bizzarri, o se le allucinazioni consistono di una voce che continua a commentare il comportamento o i pensieri del soggetto, o di due o più voci che conversano tra loro. Esistono ulteriori criteri (D, E ed F) che servono per diagnosi differenziali o per escludere la schizofrenia nel caso in cui sia stato diagnosticato il disturbo schizoaffettivo o un disturbo dell’umore grave (come la depressione maggiore con manifestazioni psicotiche); oppure in caso di grave disturbo dell’età evolutiva, o disturbi neurologici dovuti a condizioni mediche generali, o i sintomi che siano effetto dell’uso di sostanze stupefacenti o farmaci. Un esame medico generale e neurologico può rendersi necessario per escludere patologie mediche che, raramente, possono produrre psicosi simili alla schizofrenia, come, ad esempio, disturbi metabolici, infezioni sistemiche, sifilide, infezione da HIV, epilessia o lesioni cerebrali. Le indagini non sono generalmente ripetute per le recidive, a meno che non vi sia una specifica indicazione medica o eventuali effetti indesiderati dovuti ai farmaci antipsicotici.

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Disturbo schizofreniforme ed evoluzione verso la schizofrenia

MEDICINA ONLINE TRISTE CERVELLO TELENCEFALO MEMORIA EMOZIONI CARATTERE ORMONI EPILESSIA STRESS RABBIA PAURA FOBIA SONNAMBULO ATTACCHI PANICO ANSIA VERTIGINE LIPOTIMIA IPOCONDRIA PSICOLOGIA DEPRESSIONE VERTIGINE DONNAIl disturbo schizofreniforme è un episodio acuto con insorgenza rapida. Sono assenti i criteri DSM IV per la schizofrenia B (deficit o disfunzione sociale e/o occupazionale) e C (persistenza dei sintomi “B” per almeno sei mesi, che includano almeno un mese di persistenza dei sintomi “A”). La durata dell’episodio supera il mese, ma è inferiore ai 6 mesi. Non c’è una grave disfunzione sociale e lavorativa, perché la durata del disturbo è ridotta.

Si può fare diagnosi solo a posteriori, cioè solo dopo la certezza che vi sia stata una remissione totale poiché la sintomatologia non differisce da quella di un episodio acuto di schizofrenia. Circa il 65% dei pazienti con disturbo schizofreniforme avranno un decorso che evolve verso la schizofrenia.

L’insorgenza acuta, la confusione o perplessità, il buon funzionamento sociale/lavorativo, il mancato appiattimento affettivo sono tutti segni prognostici favorevoli.

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Schizofrenia: come si cura

Cassazione conferma solo il medico può fare il dietologo no nutrizionista distista biologoLa schizofrenia è una psicosi cronica caratterizzata dalla persistenza di sintomi di alterazione del pensiero, del comportamento e dell’affettività, da un decorso superiore ai sei mesi, con forte disadattamento della persona ovvero una gravità tale da limitare le normali attività di vita della persona.

Trattamento

Il trattamento primario della schizofrenia prevede l’uso di farmaci antipsicotici, spesso in combinazione con un supporto psicologico e sociale. L’ospedalizzazione può essere necessaria solo per gravi episodi e può essere decisa volontariamente o, se la legislazione lo permette, contro la volontà del paziente. L’ospedalizzazione a lungo termine è rara, soprattutto dal 1950 in poi, anche se si verifica ancora. Le terapie di supporto comprendono i centri di accoglienza, le visite routinarie da parte di sanitari dedicati alla salute mentale della comunità, il sostenimento dell’occupazione e la creazione di gruppi di sostegno. Alcune evidenze indicano che un regolare esercizio fisico comporti un effetto positivo sulla salute fisica e mentale delle persone con schizofrenia, così come la pratica musicale. Le terapie del passato, come le applicazioni elettroconvulsivanti e l’insulinoterapia, non hanno mai dato risultati apprezzabili e sono sempre meno impiegate. La TEC (terapia elettroconvulsivante) è tuttavia ancora utilizzata nelle forme particolarmente resistenti ai farmaci, sebbene in condizioni molto più controllate di quanto non si facesse in passato.

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Trattamento farmacologico

Il trattamento psichiatrico di prima linea per la schizofrenia è l’assunzione di farmaci antipsicotici in grado di ridurre i sintomi positivi della psicosi in circa 7-14 giorni. Gli antipsicotici, tuttavia, non riescono a migliorare significativamente i sintomi negativi e la disfunzione cognitiva. L’uso a lungo termine riduce il rischio di recidiva. La scelta di quale antipsicotico utilizzare si basa sulla valutazione dei benefici, dei rischi e dei costi. Si può discernere su quale classe di antipsicotici sia migliore, differenziando tra tipici o atipici. Entrambi hanno uguale frequenza di ricadute quando vengono utilizzati a basse dosi. Vi è una buona risposta nel 40-50% dei casi, una risposta parziale nel 30-40%, e una resistenza al trattamento (fallimento della risposta in termini sintomatologici dopo sei settimane di trattamento con due o tre antipsicotici diversi) nel 20% delle persone. La clozapina è un farmaco efficace per coloro che rispondono poco agli altri preparati, ma presenta un effetto collaterale potenzialmente grave: l’agranulocitosi (ridotto numero di globuli bianchi) nel 1-4% dei casi. Gli antipsicotici tipici presentano effetti collaterali più spesso riguardanti il sistema extrapiramidale, mentre gli atipici sono associati a un più alto grado di rischio di sviluppare obesità, diabete e sindrome metabolica. Alcuni atipici, come la quetiapina e il risperidone sono associati a un più alto rischio di morte rispetto all’antipsicotico tipico perfenazina, mentre la clozapina è associata con il più basso rischio di decesso tra tutti. Non è chiaro se gli antipsicotici più recenti riducano le possibilità di sviluppare la sindrome neurolettica maligna, una malattia neurologica rara ma molto grave. Per gli individui che non sono disposti, o non sono in grado, di assumere regolarmente farmaci, possono essere utilizzate preparazioni di antipsicotici a lunga durata d’azione, al fine di ottenere il controllo dei sintomi. Essi riducono il rischio di recidiva in misura maggiore dei farmaci assunti per via orale. Se ciò viene utilizzato in combinazione con gli interventi psicosociali, può migliorare a lungo termine l’adesione al trattamento. Tra le terapie farmacologiche di supporto, recenti lavori scientifici confermano un ruolo per l’assunzione di acido folicocome precursore chiave per la sintesi dei principali mediatori chimici della patologia psichiatrica; nonché come modulatore delle anormalità nella trasmissione glutaminergica, e nelle frequenti alterazioni della funzione mitocondriale presenti in corso di schizofrenia. Infine, è notoriamente usato per la correzione dei deficit dei folatipresenti in corso di schizofrenia. Anche l’acetilcisteina è stata sperimentata con risultati preliminari promettenti. La sarcosina (un derivato amminoacidico) ed il Tofisopam (una benzodiazepina atipica) hanno mostrato in diversi studi un effetto positivo nei confronti dei sintomi della malattia, in particolare i negativi.

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Intervento psicosociale

Un certo numero di interventi psicosociali possono risultare utili nel trattamento della schizofrenia, tra cui: la terapia familiare, il trattamento assertivo della comunità, l’occupazione assistita, la psicoterapia cognitivo-comportamentale, interventi economici e psicosociali al fine di limitare l’uso di sostanze e per la gestione del peso. La terapia familiare o assertiva di comunità, che coinvolge l’intero sistema familiare dell’individuo, può ridurre le recidive e le ospedalizzazioni. Le prove che la terapia cognitivo-comportamentale sia efficace per prevenire le ricadute e ridurre i sintomi è minima. La teatroterapia e la terapia artistica non sono state ben studiate.

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Prognosi

La schizofrenia è una condizione che comporta elevati costi sia umani, sia economici. La condizione si traduce in un’aspettativa di vita ridotta di 12-15 anni rispetto alla popolazione generale, soprattutto a causa della sua associazione con l’obesità, a stili di vita sedentari, al tabagismo e a un aumento del tasso di suicidi che, tuttavia, riveste un ruolo minore. Questa differenza nella speranza di vita è aumentata tra gli anni settanta e anni novanta, e tra gli anni 1990 ed il primo decennio del XXI secolo non è sostanzialmente cambiata neppure in un sistema sanitario con accesso aperto alle cure (come in Finlandia). La schizofrenia è una delle principali cause di disabilità, con la psicosi attiva classificata come la terza condizione più invalidante dopo la tetraplegia e la demenza e davanti alla paraplegia e alla cecità. Circa tre quarti delle persone con schizofrenia hanno disabilità in corso con recidive e 16,7 milioni di persone nel mondo sono considerate con disabilità moderata o grave a causa di questa condizione. Alcune persone guariscono completamente e altre riescono comunque a integrarsi bene nella società. La maggior parte delle persone affette da schizofrenia riescono a vivere in modo indipendente con il sostegno della comunità. Nelle persone con un primo episodio di psicosi, un buon risultato a lungo termine si verifica nel 42% dei casi, un risultato intermedio nel 35% e un risultato scarso nel 27%. Il decorso per la schizofrenia appare migliore nei paesi in via di sviluppo rispetto al mondo sviluppato. Queste conclusioni, tuttavia, sono state messe in discussione. Si riscontra un tasso di suicidi maggiore associato alla schizofrenia, ritenuto essere del 10%; tuttavia un’analisi più recente su studi e statistiche ha rivisto al ribasso la stima portandola al 4,9%. Più spesso i suicidi si verificano nel periodo successivo all’insorgenza della condizione o con il primo ricovero ospedaliero. Spesso (dal 20 a 40% dei casi) vi è almeno un tentativo di suicidio. Vi sono una serie di fattori di rischio, tra cui il sesso maschile, la depressione e un elevato quoziente d’intelligenza. In studi effettuati in tutto il mondo, si è rilevata una forte associazione tra il tabagismo e la schizofrenia. L’uso di sigarette è particolarmente elevata nei soggetti con diagnosi di schizofrenia, con stime che vanno dall’80% al 90% di fumatori abituali tra i pazienti schizofrenici, rispetto al 20% nella popolazione generale. Coloro che fumano tendono a farlo molto e in aggiunta fumano sigarette ad alto contenuto di nicotina. Alcune evidenze suggeriscono che la schizofrenia paranoide possa avere una prospettiva migliore rispetto agli altri tipi di schizofrenia per la vita indipendente e per la vita lavorativa.

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Come riconoscere uno schizofrenico: primi sintomi di schizofrenia

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Segni e sintomi iniziali e tardivi

In una persona con diagnosi di schizofrenia possono verificarsi allucinazioni uditive, deliri (generalmente di natura bizzarra o persecutoria), disordine nel pensiero e nel linguaggio. Queste ultime possono variare da perdita del filo logico di un discorso a frasi solo vagamente collegate nei casi più gravi. L’abbandono dalla vita sociale, la sciatteria nel vestire e nell’igiene personale, la perdita di motivazione e di giudizio sono tutti elementi comuni nella schizofrenia. Si osservano spesso difficoltà emotive, come la mancanza di reattività. Difficoltà nel lavoro, nella memoria a lungo termine, nell’attenzione e nella velocità di elaborazione anche delle pratiche comuni si verificano frequentemente. In alcuni casi non frequenti, la persona può smettere di parlare, rimanere immobile con strane posture o agitarsi senza uno scopo, tutti segni di catatonia. La tarda adolescenza e la prima età adulta sono i periodi in cui si manifestano i picchi d’insorgenza della schizofrenia, anni critici nello sviluppo sociale e professionale di un giovane adulto. Nel 40% degli uomini e nel 23% delle donne con diagnosi di schizofrenia, la condizione si è manifestata prima all’età di 19 anni. Per ridurre al minimo l’esacerbazione del quadro clinico, molto lavoro è stato fatto per identificare e trattare la fase prodromica (pre-insorgenza) della malattia, che può essere rilevata fino a 30 mesi prima della comparsa dei sintomi. Gli individui che incominciano a sviluppare la schizofrenia possono presentare, nella fase prodromica, sintomi psicotici transitori o auto-limitanti e non specifici, come ritiro sociale, irritabilità, disforia, e goffaggine.

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Classificazione standard

La classificazione tradizionale della schizofrenia considera quattro forme principali di schizofrenia: la “schizofrenia catatonica”; la “schizofrenia ebefrenica”; la “schizofrenia paranoide”, e la “schizofrenia semplice”. Il criterio DSM classifica cinque forme, indicate di seguito. È indicata a fianco la classificazione alfanumerica corrispondente nelle tabelle ICD-9 (a sinistra) e ICD-10 (a destra) dell’Organizzazione mondiale della sanità. Il criterio ICD-10 identifica invece 7 forme.

  • (295.2/F20.2) tipo catatonico: dove sono evidenti macroscopici disturbi psicomotori, come ad esempio lo stupore catatonico, rigidità o flessibilità anomale del tono muscolare
  • (295.1/F20.1) tipo disorganizzato (o ebefrenico): l’appiattimento affettivo (chiusura in sé, disinteresse ecc.) è presente insieme alla disorganizzazione del pensiero, eventuali disordini del comportamento
  • (295.3/F20.0) tipo paranoide: i sintomi principali sono idee fisse (deliri) che includono allucinazioni, ma possono essere assenti i disturbi/disorganizzazione del pensiero o comportamento e appiattimento affettivo. Esordio tardivo ma quasi sempre acuto.
  • (295.6/F20.5) tipo residuo: viene definita così una forma dove i sintomi positivi (psicotici ma non paranoidi) sono presenti ma hanno bassa intensità, mentre quelli negativi sono significativi. Spesso compare come esito di un disturbo psichico maggiore (es: episodio schizofrenico acuto, depressione maggiore)
  • (295.9/F20.3) tipo indifferenziato: presenza di sintomi positivi (psicosi) non strutturati secondo i criteri delle precedenti forme

I sintomi positivi e negativi

La schizofrenia è spesso descritta in termini di sintomi “positivi” e “negativi” (o deficit). I sintomi positivi sono quelli che non si verificano normalmente nelle persone sane, ma sono presenti nelle persone affette da schizofrenia. Possono includere deliri, pensieri disordinati e di parola e allucinazioni tattili, uditive, visive, olfattive e gustative, in genere considerate come manifestazioni di psicosi. Le allucinazioni sono in genere relative al contenuto del tema delirante. I sintomi positivi generalmente rispondono bene ai farmaci.

I sintomi negativi sono i deficit delle normali risposte emotive o di altri processi di pensiero. Questi rispondono meno bene ai farmaci. Essi solitamente comprendono una sfera affettiva piatta o poco accentuata, scarsità a provare emozioni, povertà del linguaggio (alogia), incapacità di provare piacere (anedonia), mancanza di desiderio di formare relazioni (asocialità) e la mancanza di motivazione (abulia). La ricerca suggerisce che i sintomi negativi contribuiscano maggiormente alla scarsa qualità di vita, alla disabilità funzionale e comportano un peso per gli altri più di quanto non facciano i sintomi positivi. Gli individui con importanti sintomi negativi spesso presentano una storia di scarso adattamento già prima della comparsa della malattia e la risposta alla terapia farmacologica è spesso limitata.

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