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Stadiazione e classificazione TNM: cancro curabile o terminale?
Quando si scopre un cancro, è fondamentale intervenire rapidamente asportando chirurgicamente quanto più tessuto maligno sia possibile, anche a costo di amputare parti del corpo importanti, demolendo ad esempio parzialmente o totalmente tiroide, fegato, pancreas, polmone, mammella e retto. Diagnosticare e rimuovere un cancro al più presto è importante perché permette di evitare che il tessuto tumorale diventi troppo grande e che le sue cellule arrivino a colonizzare altri organi tramite la diffusione metastatica. I tumori maligni, infatti, non sono formazioni statiche, bensì dinamiche, che cambiano nel tempo.
Il tumore progredisce
Nelle fasi iniziali un cancro è generalmente di dimensioni più ridotte, è più localizzato, non ha ancora colonizzato altri organi; nelle fasi successive esso si ingrandisce e colonizza gli organi vicini: intervenire nelle fasi iniziali o nelle fasi tardive della progressione cancerosa, può letteralmente fare la differenza tra la vita e la morte del paziente. Per questo, quando viene diagnosticato un cancro, diventa per il medico molto importante il capire in quale fase della malattia si trova il tumore maligno. Ciò avviene soprattutto alla diagnostica per immagini: una RX, una TAC, una risonanza magnetica, permettono di capire lo stadio della malattia; leggi anche: Differenze tra risonanza magnetica, TAC, PET, MOC, radiografia, ecografia ed endoscopia
La classificazione TNM
Tutte le indagini volte a capire in quale stadio si trova il tumore, convergono nella “classificazione TNM“, cioè un sistema di classificazione dei tumori internazionale, a partire dal quale si può velocemente intuire “a che punto” della sua progressione si trova la neoplasia. Ogni tumore viene classificato attraverso questa sigla, che ne riassume le caratteristiche principali, contribuendo a determinare la stadiazione, da cui deriveranno, insieme con altri fattori, le scelte terapeutiche (farmaci, chirurgia, terapie palliative) e la prognosi (probabilità di guarigione o morte) associata. A partire dalla conoscenza dei parametri della classificazione TNM, si può ricavare lo stadio in cui si trova il tumore maligno, cioè l’estensione della malattia e quindi la sua gravità.
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I parametri della classificazione TNM
Per qualsiasi tipo di tumore esistono quattro stadi, a cui va aggiunto lo stadio 0 in cui si ha un carcinoma in situ, cioè un tumore non invasivo che non ha infiltrato altri organi ed è quindi di solito facilmente curabile).
I quattro stadi sono indicati con numeri da 1 a 4, in ordine crescente di gravità; tale divisione, a partire dalla classificazione TNM, varia a seconda della sede del tumore primario (ad esempio il T2N0M0 fa parte del secondo stadio nel tumore al seno e del primo nel tumore polmonare), ma in genere le differenze non sono molto significative.
- Il parametro T può essere 1, 2, 3, 4 a seconda della grandezza del tumore (1 piccola, 4 grande). Può inoltre essere “is” ovvero “in situ”. Il T4 in genere è tale non solo per la dimensione, ma anche per l’infiltrazione di organi vitali adiacenti (pericardio, esofago, trachea, ecc.).
- Il parametro N indica lo stato dei linfonodi vicini al tumore, se è 0 sono del tutto indenni, altrimenti può valere 1, 2, 3 con gravità via via crescente. Il coinvolgimento linfonodale è molto importante per capire la gravità del tumore.
- Il parametro M indica la presenza di metastasi a distanza, esso può valere solo 0 (nessuna metastasi) o 1 (presenza di metastasi). La presenza di metastasi è un fattore prognostico molto importante per capire la gravità del tumore.
- Un parametro rappresentato da una “x” (ad esempio, T2N1Mx) indica che non si conosce l’esatta estensione a distanza della malattia per il quale sono necessari ulteriori esami di approfondimento (ad esempio: PET, TAC, RMN, scintigrafia ossea, ecografia, radiografie…).
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Valutazione del grading
In alcune neoplasie (per esempio nei sarcomi dei tessuti molli) nella stadiazione rientra anche la valutazione del grading. Il grado di aggressività del tumore o grado di differenziazione cellulare della neoplasia (grading) è indicato con (G), che va da 1 a 4. (Va tenuto presente che le cellule “sane” sono quelle completamente differenziate ossia quelle che si sono sviluppate fino ad arrivare ad avere le caratteristiche per svolgere perfettamente le funzioni per le quali sono state destinate.
- Il grado 1 (G1, tumore ben differenziato) si riferisce a neoplasie con cellule tumorali che hanno, all’esame microscopico, aspetto lievemente differente rispetto alle cellule normali dello stesso tessuto;
- Il grado 2 (G2, tumore moderatamente differenziato) è quello intermedio.
- Il grado 3 (G3, tumore scarsamente differenziato) si riferisce a cellule tumorali con aspetto altamente difforme da quelle dello stesso tessuto normale;
- Il grado 4 (G4, indifferenziato) si riferisce a cellule che hanno perso totalmente le caratteristiche del tessuto d’origine (anaplasia).
Il grading considera parametri ora citologici, ora istologici, ora entrambi a seconda dell’istogenesi del tumore. Esistono svariati sistemi di grading più o meno complessi, anche se per questioni di riproducibilità e standardizzazione, si sta cercando di adottare sistemi a classi dicotomiche (alto/basso), annullando così classi intermedie che sono fonte di variabilità e soggettività.
Esempio di classificazione
Ecco la classificazione in stadi nel caso del tumore polmonare maligno di tipo non-microcitoma:
Stadio | TNM |
Stadio 0 | Tis N0 M0 (tumore in situ) |
Stadio I | T1-2 N0 M0 |
Stadio II | T1-2 N1 M0 T3 N0 M0 |
Stadio III | T1-2 N2-3 M0 T3 N1-3 M0 T4 N0-3 M0 |
Stadio IV | T1-4 N0-3 M1 (qualunque caso in cui si abbiano metastasi a distanza) |
Stadio della malattia e prognosi
Abbiamo quindi capito quanto la conoscenza dello stadio della malattia sia importante per fornire al paziente delle cure il più possibile appropriate, oltre che per formulare una prognosi. Nello stadio 0 le percentuali di guarigione sono praticamente del 100%; gli stadi I e II sono considerati iniziali e la prognosi è, nella maggioranza dei casi, favorevole (soprattutto se non vi è coinvolgimento linfonodale); Nello stadio III è in genere utile associare alla chirurgia una terapia sistemica “adiuvante”; lo stadio IV viene considerato come malattia avanzata e la prognosi è spesso infausta in quanto guaribile solo in pochi tipi di neoplasia. In presenza di un tumore avanzato, soprattutto se metastatico, la terapia (tranne pochi tipi tumorali) non può avere l’ambizione dei guarire il paziente, ed è quindi palliativa, finalizzata cioè a prolungare la durata della vita, a mantenere o migliorare la qualità della vita, a limitare i sintomi (prevalentemente il dolore) nel paziente. Bisogna però tenere presente che queste sono solo indicazioni generali di massima, e che le cose variano da tumore a tumore. Ad esempio, le percentuali di guarigione di un cancro al testicolo avanzato sono superiori a quelle di un cancro al pancreas in fase iniziale: ogni tumore ha, in virtù di posizione, vascolarizzazione, citologia ed una moltitudine di altri fattori, capacità ed aggressività diverse dagli altri tumori.
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L’importanza della prevenzione e dello screening
Molti tumori maligni non danno sintomi se non nelle fasi terminali e vengono purtroppo scoperti solo quando sono talmente estesi che nessuna cura potrà impedire la morte del paziente, è il caso ad esempio di alcuni tipi di tumore del pancreas che, dopo la diagnosi, determinano spesso la morte in pochi mesi. Per questo motivo è importante prevenire i tumori (con dieta adeguata, attività fisica, eliminazione di fumo di sigaretta…) ma è anche vitale lo screening nei soggetti a rischio. Il termine “screening” indica una strategia di indagini diagnostiche in soggetti che, pur non avendo alcun sintomo, né segno clinico di malattia, hanno un’alta probabilità di averla. Per esempio una donna di 40 anni, con una madre che ha sofferto di cancro al seno, dovrebbe periodicamente effettuare palpazione al seno, unita ad ecografia mammaria e mammografia, anche se non ha alcun sintomo di tumore. In questo modo, un eventuale neoplasia, sarà scoperta nelle sue fasi più precoci, con stadiazione meno grave e – come avete intuito dalla lettura di questo articolo – più facilmente curabile. Ricordate: scoprire al più presto un tumore maligno, equivale ad avere molte più chance di sopravvivenza.
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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine
Differenza tra tumore e tessuto normale con esempi di tumori benigni e maligni
Tessuto normale
Nei tessuti sani sono presenti cellule, come quella che vedete raffigurata nel disegno in alto, che si replicano in modo organizzato, secondo un preciso schema di stimoli che portano alla mitosi, cioè il processo grazie al quale da una singola cellula si formano due cellule figlie. Tali stimoli sono attentamente regolati dall’organismo, in modo da evitare che i tessuti possano letteralmente espandersi all’infinito. Le cellule possono certamente aumentare di numero (iperplasia) o in dimensione (ipertrofia), ma sempre in un modo “deciso” dall’organismo e seguendo precise regole che ne evitino una proliferazione incontrollata. Per approfondire, leggi anche:
- Riproduzione cellulare e ciclo cellulare
- Mitosi: spiegazione delle quattro fasi
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- Differenza tra ipertrofia ed iperplasia con esempi
Tumore
In caso di “tumore” (dal latino tumor, “rigonfiamento”) siamo invece di fronte ad una cellula danneggiata nelle sue “istruzioni genetiche” che inizia a replicarsi in modo incontrollato e che persiste in questo stato di anche dopo la cessazione degli stimoli che hanno indotto inizialmente la replicazione. La cellula danneggiata dà origine ad una enorme quantità di cellule figlie che a loro volta si replicheranno in modo incontrollato. Il risultato sarà una massa di tessuto anormale che cresce in modo scoordinato ed indeterminato che prende il nome di “tumore” (o di “neoplasia“, i due termini sono sinonimi). Il tumore può essere “benigno” e permanere nel sito dove ha originato, sotto forma di tumore primario, oppure può essere “maligno” ed avere quindi la capacità di colonizzare altri organi e tessuti (metastasi). Il tumore maligno è denominato anche “cancro“.
Leggi anche: Cosa sono le metastasi? Tutti i tumori danno metastasi?
Esempi di tumori benigni
Esempi di tumori benigni sono (tra parentesi il tessuto da cui originano):
- angioma o emangioma (vasi sanguigni);
- fibroma (tessuto connettivo);
- papilloma (epitelio di rivestimento);
- adenoma (epitelio ghiandolare);
- lipoma (tessuto adiposo);
- condroma (cartilagine);
- leiomioma (tessuto muscolare liscio);
- rabdomioma (muscolo striato);
- meningioma (meningi);
- neurocitoma (neuroni);
- glioma (glia, cellule non neuronali del sistema nervoso).
Esempi di tumori maligni (cancro)
Esempi di tumori maligni sono (tra parentesi il tessuto da cui originano):
- angiosarcoma (vasi sanguigni);
- fibrosarcoma (tessuto connettivo);
- carcinoma (epitelio di rivestimento);
- adenocarcinoma (epitelio ghiandolare);
- liposarcoma (tessuto adiposo);
- condrosarcoma (cartilagine);
- leiomiosarcoma (tessuto muscolare liscio);
- rabdomiosarcoma (muscolo striato);
- meningioma maligno (meningi);
- neuroblastoma (neuroni);
- melanoma (melanociti presenti nella pelle);
- glioblastoma (glia, cellule non neuronali del sistema nervoso);
- Linfoma Mieloma (linea ematopoietica linfoide);
- Leucemia mieloide (linea ematopoietica mieloide);
- seminoma (cellule germinali del testicolo).
Organi frequentemente colpiti da tumori maligni, sono la mammella, i polmoni, il pancreas, il colon e la prostata.
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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine
Differenza tra distorsione, lussazione, sublussazione e strappo muscolare
Distorsioni, lussazioni, sublussazioni e strappi muscolari possono verificarsi frequentemente in seguito a cadute o movimenti sbagliati – lo sa bene chi pratica assiduamente attività sportiva – tuttavia sono patologie diverse tra loro. Cerchiamo di capire cosa sono e quali fattori li differenziano, con parole semplici ed in maniera sintetica.
Cos’è una distorsione?
La distorsione è una lesione della capsula e dei legamenti, a volte con lacerazione, ma senza rottura; provoca una fuoriuscita di sangue nella sede articolare per cui si verifica gonfiore e tumefazione. Ci può essere anche dolore intenso e il movimento è bloccato. Interessa di solito la caviglia, il ginocchio e il polso, è favorita da un tono muscolare insufficiente ed è provocata da un movimento brusco che sposta l’articolazione portando temporaneamente i capi articolari al di là dei limiti fisiologici. E’ più frequente negli adulti che nei bambini e la sua gravità è estremamente variabile in quanto può comportare danni di varia entità alle componenti dell’articolazione: capsula, legamenti, tendini e menisco. La distorsione a carico della caviglia può portare a distorsioni recidivanti anche per tutta la vita, a causa di disfunzioni permanenti e mancanza di risposta muscolo-tendinea. In caso di distorsione è necessario mettere l’arto in posizione sollevata, applicare una borsa del ghiaccio e rivolgersi al medico, anche per escludere la presenza di fratture.
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Terapia delle distorsioni
Nella maggior parte dei casi, per risolvere una distorsione, basta riposo e fasciatura seguite a riabilitazione con esercizi e mezzi fisici (magnetoterapia, ultrasuoni…); per alcune distorsioni più gravi si ricorre ad immobilizzare con un’ingessatura come per le fratture, ma raramente si ricorre all’intervento chirurgico per ricostruire i legamenti lesionati, per evitare esiti permanenti o complicazioni come l’artrosi.
Cos’è una lussazione?
Quando la perdita di contatto dei due capi è permanente si parla di lussazione; questa è frequente a livello della spalla e comporta la fuoriuscita della testa dell’omero dalla cavità in cui è alloggiato (cavità glenoide). Comporta lacerazioni più o meno gravi della capsula articolare e dei legamenti. Il dolore può essere più o meno intenso e aumenta tentando il movimento. Può essere causata da un trauma a livello di uno dei due capi articolari o a distanza, con un meccanismo in cui l’arto agisce da leva. La lussazione può essere associata a frattura. Può interessare il gomito, il collo del piede o il ginocchio. Si deve intervenire sollevando l’arto e applicando un impacco freddo. Ci si deve sempre rivolgere a un medico tempestivamente per evitare complicazioni.
Leggi anche: Sindrome del piriforme: sintomi, esercizi, cura e recupero
Differenza tra lussazione e sublussazione
La lussazione è detta completa quando la perdita dei rapporti fra le due superfici articolari è totale; si parla invece di sublussazione (o lussazione incompleta) quando invece resta un contatto parziale tra le due superfici.
Differenza principale tra distorsione e lussazione
Mentre la distorsione consiste in una temporanea modificazione dell’articolazione che non comporta una perdita di contatto permanente tra le superfici articolari; nella lussazione invece si verifica perdita permanente completa o incompleta dei rapporti tra le due superfici articolari.
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Cos’è uno strappo muscolare?
Lo strappo muscolare è la rottura di fibre del muscolo per eccessiva sollecitazione: torsione violenta, sforzo eccessivo, stiramento. Il dolore tende ad aumentare con il passare delle ore e limita il movimento; si possono anche verificare gonfiore ed ematoma. Se ad essere colpito è un arto, questo va sollevato e mantenuto fermo, si deve applicare una borsa del ghiaccio. Il medico darà le indicazioni necessarie su eventuali terapie. Per prevenire gli strappi muscolari è bene effettuare sempre un buon riscaldamento prima dell’attività fisica.
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Differenza tra tumore benigno, maligno, neoplasia, cancro e metastasi
Cancro e tumore sono usati spesso come sinonimi, ma non sono due parole necessariamente equivalenti. Il discorso si complica con l’aggiunta di una Continua a leggere
Una malattia che sembrava scomparsa sta raggiungendo picchi allarmanti in Italia: come difendersi?
Le malattie dei secoli scorsi erano causate soprattutto dalla scarsa igiene personale e degli agglomerati urbani; basti pensare che solo fino ad alcuni decenni fa, in Italia gli scarichi delle fogne erano quasi sempre alla luce del sole, malsane, malcostruite ed in balia della colonizzazione di topi ed animali delle fogne. Ora per fortuna le cose, nel nostro Paese, le cose sono cambiate e moltissime patologie infettive del passato sono state virtualmente azzerate. Ma è davvero così per tutte le malattie? Alcune malattie stanno tornando ad essere diffuse: torna infatti la sifilide (vedi foto in alto) e non è sola: con lei anche le infezioni da clamidia e la gonorrea. Sono le tre malattie a trasmissione sessuale che stanno raggiungendo negli ultimi mesi – in Italia ed in Europa – picchi allarmanti. Secondo l’ultimo rapporto dell’European center for diseases control and prevention, al primo posto, in Europa, sono appena balzate le infezioni da clamidia, infezioni batteriche spesso subdole che, quando trascurate, possono perfino portare all’infertilità. Con il termine infezioni da clamidia si indicano una varietà di patologie causate nell’uomo da un batterio gram-negativo, Chlamydia trachomatis. Si tratta di varie infezioni tra cui il linfogranuloma venereo, la malattia infiammatoria pelvica e il tracoma. Anche le altre due, in particolare la sifilide, sono in rapida ascesa. E sono i giovani tra i 15 e i 24 anni la categoria più a rischio. I casi di sifilide in Europa sono circa ventimila, ben il 9% in più rispetto all’anno precedente. In questo caso, però, la maggior parte dei pazienti aveva più di 25 anni.
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Sindrome dell’occhio secco: lenti a contatto, vista appannata e bruciori
La sindrome dell’occhio secco (chiamata semplicemente “occhio secco” o anche “cheratocongiuntivite sicca”); in inglese “dry eye syndrome” o “keratoconjunctivitis sicca”) è una patologia oculare che consiste in una riduzione quantitativa e/o in un’alterazione qualitativa del film lacrimale, che principalmente ha una funzione umettante della superficie oculare. L’occhio secco può essere determinato o favorito dall’uso di lenti a contatto, dalla disfunzione della ghiandola di Meibomio, dalla gravidanza, dalla sindrome di Sjögren, dalla carenza di vitamina A, carenza di acidi grassi omega-3, dalla chirurgia LASIK e da alcuni farmaci come antistaminici, alcuni farmaci per la pressione sanguigna, terapia ormonale sostitutiva, e antidepressivi. Anche la congiuntivite cronica, come l’esposizione al fumo di tabacco o l’infezione, possono portare alla condizione. La diagnosi si basa principalmente sui sintomi e segni, quindi su anamnesi ed esame obiettivo, sebbene possano essere utilizzati numerosi altri test. Tale patologia può essere dannosa perché può provocare lesioni alle strutture esterne dell’occhio: il film lacrimale tende ad evaporare formando aree di secchezza (‘dry spot’), con conseguente esposizione alla disidratazione dell’epitelio corneale anteriore e della congiuntiva palpebrale. Il medico che si interessa di tale sindrome è l’oftalmologo (l’oculista).
Diffusione
La sindrome dell’occhio secco è molto comune: colpisce il 5-34% delle persone. Tra le persone anziane colpisce fino al 70%. In Cina colpisce circa il 17% delle persone. E’ relativamente comune negli Stati Uniti, specialmente nei pazienti più anziani. Nello specifico, le persone che hanno maggiori probabilità di essere colpite da secchezza oculare sono quelle di età pari o superiore a 40 anni. Il 10-20% degli adulti soffre di occhio secco. Circa 1-4 milioni di adulti (di età compresa tra 65 e 84 anni) negli Stati Uniti ne sono colpiti. E’ più frequente nel sesso femminile, in chi fa uso di lenti a contatto, negli anziani, in coloro che usano molto il videoterminale oppure sono esposti al sole e al vento. Inoltre, spesso è causa di patologie oculistiche, come la miopia.
Sintomi e segni
I sintomi e segni più comuni, sono:
- sensazione di corpo estraneo nell’occhio (in genere si avverte la presenza di sabbia nell’occhio);
- sensazione di affaticamento della vista;
- arrossamento oculare;
- dolore oculare;
- bruciore oculare;
- fotofobia (fastidio alla luce);
- momentaneo annebbiamento visivo.
Complicanze
Se la sindrome non viene curata, si può sviluppare un danno dell’epitelio corneale, fino alla comparsa di ulcere della cornea. Nei casi molto gravi, la vista potrebbe essere irrimidiabilmente compromessa.
Cause e fattori di rischio
I fattori ambientali, quali eccessiva ventilazione, ambiente secco, inquinamento, irritanti, attività prolungata ai videoterminali o con smartphone, possono provocare disturbi importanti di lacrimazione. Esistono inoltre fattori intrinseci generali, quali l’età avanzata, la presenza di malattie reumatiche o ormonali, e condizioni locali, quali le alterazioni delle ghiandole di Meibomio, alterazioni morfologiche e funzionali delle palpebre, che possono determinare disfunzioni anche gravi dello strato sottile di lacrime (film lacrimale) che riveste la superficie oculare. Inoltre le alterazioni lacrimali sono più frequenti nel sesso femminile e in corso di terapie sistemiche (antiipertensivi, antistaminici, psicofarmaci, prodotti ormonali) e locali (terapia per glaucoma). Le dislacrimie sono tutte le alterazioni della composizione del film lacrimale, che comportano in genere un aumento del tasso di evaporazione, mentre la riduzione del liquido lacrimale viene indicata col termine di ipolacrimia. Per comprendere la fisiopatologia di tali disturbi è bene accennare all’anatomia e alla fisiologia del sistema lacrimale. Le lacrime sono la sottile pellicola liquida in continuo ricambio che protegge la superficie oculare esposta. Prodotte dalle ghiandole lacrimali principali, situate in corrispondenza della parete supero-esterna dell’orbita, e dalle ghiandole lacrimari accessorie che si trovano nello stroma congiuntivale, vengono escrete tramite il dotto nasolacrimale nell’orofaringe. Il film lacrimale è composto da tre strati: uno strato acquoso intermedio, il più spesso, il cui compito più importante è quello di fornire ossigeno atmosferico all’epitelio corneale; uno strato esterno, di natura lipidica, che ha la funzione di ritardare l’evaporazione dello strato acquoso, di lubrificare le palpebre durante lo scorrimento del bulbo; uno strato mucoso profondo, che ha la capacità di trasformare l’epitelio corneale da idrofobo a idrofilo. La secrezione lacrimale ha una componente basale e riflessa. L’innervazione della ghiandola lacrimale principale è di natura parasimpatica; le afferenze periferiche sono mediate dalla branca oftalmica del trigemino. Le principali funzioni del film lacrimale interessanti questa relazione, sono quella metabolica, lubrificante e diottrica. Perché si abbia la sensazione di benessere bisogna che il sistema lacrimale sia in perfetto stato: qualsiasi alterazione provocherà discomfort oculare di varia entità. Il film lacrimale può essere alterato da fattori intrinseci o estrinseci, quindi ambientali. Essi agiscono in vario modo sulla stabilità del film lacrimale, provocando discomfort oculare con conseguente sintomatologia come bruciore, senso di corpo estraneo e lacrimazione. Questo circolo infiammatorio si autoalimenta.
Tra le cause ed i fattori di rischio di occhio secco, in sintesi ricordiamo:
- età avanzata (> 40 anni);
- sesso femminile;
- fumo di sigarette;
- inquinamento;
- lavori che espongono l’occhio a sostanze irritanti;
- neoplasie o asportazioni della ghiandola lacrimale principale;
- diminuzione della componente acquosa del film lacrimale, la più diffusa provocata da infiammazioni come la sindrome di Mikulicz, la sindrome di Sjögren o artrite reumatoide;
- diminuzione della produzione della componente mucosa del film lacrimale, dovuta ad alterazioni della congiuntiva risultato da malattie autoimmuni come la sindrome di Stevens-Johnson, sindrome di Sjögren, oppure in caso di ustioni, pemfigoide oculare, tipica nei paesi meno progrediti i casi di tracoma;
- farmaci (betabloccanti, antistaminici, antidepressivi…);
- uso eccessivo e improprio di lenti a contatto;
- alterazione della superficie della cornea, causate da cicatrici o distrofie;
- disfunzioni fisiologiche che patologiche di ghiandole di Meibonio e palpebre;
- alimentazione non corretta (soprattutto eccesso di cibi grassi e cibi spazzatura);
- deficit di vitamina A;
- carenza di acidi grassi omega-3;
- scarsa idratazione;
- sindrome da visione al computer (troppo tempo passato con gli occhi vicini ad uno schermo);
- frequente uso di smartphone e tablet;
- sindrome di discomfort oculare.
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Diagnosi
All’esame obiettivo oftalmologico, il medico rileva alterazioni della congiuntiva e del film lacrimale. Possono essere eseguiti test quantitativi e qualitativi:
- il test di Schirmer, che si esegue apponendo piccole strisce di carta assorbente sul margine palpebrale, permette di valutare la quantità delle lacrime prodotte in un dato periodo di tempo. Questo test è utile per determinare la gravità della condizione. Viene eseguito un test di Schirmer di cinque minuti con e senza anestesia utilizzando una carta da filtro Whatman n. 41 di 5 mm di larghezza per 35 mm di lunghezza. Per questo test, la bagnatura inferiore a 5 mm con o senza anestesia è considerata diagnostica per la secchezza oculare;
- se i risultati del test di Schirmer sono anormali, è possibile eseguire un test di Schirmer II per misurare la secrezione riflessa. In questo test, la mucosa nasale viene irritata con un applicatore con punta di cotone, dopodiché la produzione di lacrime viene misurata con una carta da filtro Whatman #41. Per questo test, una bagnatura inferiore a 15 mm dopo cinque minuti è considerata anormale;
- il but test, ovvero l’analisi della comparsa di rotture sulla superficie del film lacrimale colorato con fluorescenza, permette di avere una valutazione qualitativa del film lipidico superficiale;
- il test di analisi delle proteine lacrimali misura il lisozima contenuto nelle lacrime. In lacrime, il lisozima rappresenta circa il 20-40% del contenuto proteico totale;
- il test di analisi della lattoferrina fornisce una buona correlazione con altri test.
La presenza della molecola Ap4A, presente naturalmente nelle lacrime, è anormalmente elevata in diversi stati di secchezza oculare. Questa molecola può essere quantificata biochimicamente semplicemente prelevando un campione lacrimale con un semplice test di Schirmer. Utilizzando questa tecnica è possibile determinare le concentrazioni di Ap4A nelle lacrime dei pazienti e in tal modo diagnosticare oggettivamente se i campioni sono indicativi di secchezza oculare.
Il test di osmolarità lacrimale è stato proposto come test per l’occhio secco. L’osmolarità lacrimale può essere un metodo più sensibile per diagnosticare e classificare la gravità dell’occhio secco rispetto alla colorazione corneale e congiuntivale, all’analisi della comparsa di rotture sulla superficie del film lacrimale, al test di Schirmer ed alla classificazione delle ghiandole di Meibomio. Altri hanno recentemente messo in dubbio l’utilità dell’osmolarità lacrimale nel monitoraggio del trattamento dell’occhio secco.
Terapie
Il trattamento dipende dalla causa sottostante. Le lacrime artificiali sono di solito la prima linea di trattamento. Gli occhiali avvolgenti che si adattano al viso possono ridurre l’evaporazione delle lacrime. Un’opzione sono i tappi lacrimali che impediscono alle lacrime di defluire dalla superficie dell’occhio. La sindrome dell’occhio secco occasionalmente rende impossibile indossare le lenti a contatto. La terapia si basa essenzialmente su:
- ripristinare il film lacrimale con lubrificanti oculari (lacrime artificiali o gel umettanti);
- curare le patologie di base, se presenti (oculistiche e non oculistiche);
- modificare le terapie farmacologiche che possono favorire il problema;
- usare colliri a base di estratti di tamarindo;
- usare colliri a base di acido ialuronico;
- modificare di un eventuale stile di vita non corretto (alimentarsi bene, bere molta acqua ed eliminare il fumo di sigaretta).
E’ utile ridurre i fenomeni astenopeici, come ammiccare spesso, distogliere lo sguardo dagli oggetti vicini e rivolgerlo verso quelli lontani, fare piccole pause con regolarità, verificare l’illuminazione dell’ambiente, eliminare riflessi abbaglianti, regolare umidità e ventilazione.
Farmaci
Per quanto riguarda i farmaci nel caso si presenti anche la sindrome di Sjögren, sembra utile la somministrazione di pilocarpina cloridrato. In alcuni casi possono essere utilizzati ciclosporina o colliri steroidei.
Chirurgia
Nei casi più gravi di secchezza oculare, la tarsorrafia (detta anche blefarorrafia) può essere eseguita: le palpebre sono parzialmente cucite insieme. Ciò riduce la fessura palpebrale (separazione palpebrale), portando idealmente a una riduzione dell’evaporazione lacrimale.
Prognosi
L’occhio secco di solito è un problema cronico. La sua prognosi mostra una notevole variabilità, a seconda della gravità della condizione. La maggior parte delle persone ha casi da lievi a moderati e può essere trattata sintomaticamente con lubrificanti. Ciò fornisce un adeguato sollievo dai sintomi. Quando i sintomi della secchezza oculare sono gravi, possono interferire con la qualità della vita. Le persone a volte sentono la vista offuscata con l’uso o una grave irritazione al punto che hanno difficoltà a tenere gli occhi aperti o potrebbero non essere in grado di lavorare o guidare.
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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine
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