Tumore del colon retto con metastasi: chirurgia, chemioterapia e terapie biologiche

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Nel paziente metastatico, in casi selezionati, la chirurgia può ancora essere utilizzata a scopo curativo: ad esempio, se le metastasi sono in numero limitato e di ridotte dimensioni, possono essere asportabili chirurgicamente. Tuttavia bisogna chiarire che solo una piccola percentuale di pazienti con metastasi da tumore del colon retto può essere sottoposta a rimozione chirurgica delle metastasi, a causa di alcuni fattori che possono rendere l’intervento di esecuzione difficile o troppo rischiosa.

Tali fattori sono:

  • condizioni generali del paziente;
  • dimensioni delle metastasi;
  • quantità delle metastasi;
  • localizzazione delle metastasi.

Per facilitare la rimozione chirurgica delle metastasi, si ricorre ai così detti trattamenti neoadiuvanti. Essi hanno lo scopo di ridurre le dimensioni delle masse tumorali per rendere più facile la loro asportazione chirurgica.
Il termine “trattamento di conversione” indica invece un trattamento che rende (converte in) operabile una metastasi non sarebbe operabile. I trattamenti di conversione consistono spesso in una combinazione di chemioterapia a farmaci biologici.

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Metastasi sincrone e metacrone

Se al momento della diagnosi di tumore del colon retto, il tumore primitivo ha già  dato origine a metastasi queste ultime si definiscono metastasi sincrone. Se i medici che hanno in cura il soggetto esprimono una valutazione favorevole sia dal punto di vista medico che chirurgico, si può procedere all’asportazione del tumore primitivo e delle metastasi, scegliendo tra due possibili approcci:

  • effettuare un unico intervento;
  • procedere a più interventi chirurgici, eventualmente preceduti e/o seguiti da altri trattamenti che verranno descritti nei paragrafi successivi.

Anche in caso di diagnosi di metastasi metacrone, vale a dire sviluppatesi dopo la rimozione del tumore primitivo, si deciderà  se procedere con la rimozione delle metastasi stesse e quali ulteriori trattamenti adottare. Gli specialisti coinvolti valuteranno tutte le informazioni e i dati disponibili poiché la chirurgia delle metastasi, in alcuni casi selezionati, può rappresentare la cura definitiva del tumore del colon retto metastatico.

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Chemioterapia

Nei pazienti in fase metastatica in cui sia praticabile la rimozione chirurgica delle metastasi, la chemioterapia può eventualmente precedere l’intervento chirurgico per ridurre le dimensioni delle metastasi e consentire di effettuare un intervento meno esteso e aggressivo (chemioterapia neoadiuvante). Si pratica una chemioterapia di conversione quando le metastasi non sono operabili al momento della diagnosi, ma lo possono eventualmente diventare a fronte di adeguata riduzione delle dimensioni. In questi casi di solito la chemioterapia si associa farmaci biologici. Quando invece la malattia metastatica è in uno stadio così avanzato da non essere più operabile, la chemioterapia diventa una soluzione obbligata. In questo caso si parla di chemioterapia palliativa, che ha la importante finalità  di rallentare la progressione della malattia, alleviare i sintomi e migliorare la qualità  della vita.
I regimi chemioterapici più comunemente utilizzati nel trattamento del tumore del colon retto metastatico sono combinazioni di più farmaci che prevedono sostanzialmente l’utilizzo di irinotecan od oxaliplatino in associazione al 5-fluorouracile o suoi derivati. I nomi dei regimi più comuni sono FOLFIRI (e la sua variante XELIRI) e FOLFOX (e la sua variante XELOX). Tuttavia esistono anche trattamenti più semplici, a base di un solo chemioterapico (ad esempio il 5-fluorouracile o la capecitabina utilizzati singolarmente), così come esistono regimi ancora più complessi, che associano contemporaneamente al 5-fluorouracile sia irinotecan che oxaliplatino, quale il regime FOLFOXIRI.
Negli studi clinici le combinazioni di più chemioterapici hanno dimostrato di essere più efficaci rispetto agli stessi farmaci utilizzati singolarmente. Analogamente, ulteriori studi clinici hanno provato che nel cancro del colon retto l’aggiunta di terapie biologiche alla chemioterapia consente di ottenere migliori risultati rispetto alla chemioterapia sola. Tuttavia, non tutti i farmaci sono adatti per tutti i pazienti e, il compito di scegliere la miglior cura per ciascun paziente, spetta agli specialisti che l’hanno in trattamento.
Ricordiamo infine che la chemioterapia utilizza farmaci citotossici, ovvero tossici per le cellule. In genere il loro effetto è quello di bloccare la divisione delle cellule in rapida replicazione, senza però distinguere tra cellule sane e cellule malate. Infatti, una delle caratteristiche meglio conosciute delle cellule tumorali è la loro capacità di dividersi (e quindi di moltiplicarsi) più rapidamente rispetto alla maggior parte delle cellule sane, la qual cosa rende le cellule tumorali altamente sensibili ai farmaci chemioterapici che bloccano la divisione cellulare. Tuttavia, hanno la capacità di dividersi molto rapidamente anche alcune cellule sane che fanno parte di tessuti che devono continuamente rinnovarsi. E’ il caso delle cellule del midollo osseo che formano i globuli rossi e i globuli bianchi e le cellule dette delle membrane (“epiteli”) che rivestono le superfici interne di organi che entrano in contatto con “materiali” provenienti dall’ambiente esterno all’organismo, come le vie aeree e il tubo digerente.
La maggior parte dei chemioterapici, interferendo con la divisione cellulare, uccide le cellule tumorali e qualche cellula sana che si divide rapidamente: per questo motivo molti farmaci chemioterapici danno come effetto collaterale, ad esempio, anemia e ulcere nella bocca e in gola.
Le moderne terapie biologiche vengono oggi sempre più associate alla chemioterapia per aumentarne l’efficacia e ridurne gli effetti collaterali.

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Le terapie biologiche

La “nuova frontiera” della terapia nel tumore del colon retto, come in molti altri tipi di tumore solido, è rappresentata dai farmaci biologici (detti anche farmaci intelligenti, farmaci “mirati”, o biotecnologici), già utilizzati con successo in alcune altre patologie (ad es. tumore del polmone e della mammella). Sono molecole create in laboratorio per interagire con una precisa funzione della cellula cancerosa e non hanno effetti, o hanno effetti minimi, sulle cellule normali.
L’efficacia delle terapie biologiche non dipende dalla velocità della divisione cellulare: alcune modalità con cui le cellule tumorali del colon retto differiscono dalle sane, sono state scoperte negli ultimi anni, e questo ha permesso agli scienziati di mettere a punto farmaci che agiscono in maniera selettiva. Sono stati scoperti anche alcuni processi importanti per la sopravvivenza del tumore, e si è potuto sviluppare farmaci che li contrastano.
Gli effetti indesiderati più di frequente associati alla chemioterapia non sono presenti con i farmaci biologici, che risultano meglio tollerati, ma è bene specificare che i farmaci biologici, pur essendo mirati contro un preciso bersaglio caratteristico delle cellule tumorali, non sono del tutto privi di effetti collaterali.
I farmaci mirati attualmente impiegati nella pratica clinica per la terapia del tumore del colon retto appartengono alla categoria degli anticorpi monoclonali alla quale accenniamo brevemente qui, e per approfondimenti rimandiamo alla scheda ad essi dedicata.
Gli anticorpi monoclonali sono proteine, simili a quelle che produce l’organismo umano, in grado di interferire con meccanismi chiave della proliferazione cellulare importanti per la sopravvivenza del tumore.

  • Per esempio, gli anticorpi monoclonali rivolti contro il fattore di crescita epidermico (anti-EGFR) sono in grado di agire in modo mirato sui meccanismi che regolano la crescita del tumore. La loro efficacia in associazione alla chemioterapia standard nei tumori in fase avanzata è ormai dimostrata, e il loro uso si sta diffondendo nella comune pratica clinica (cetuximab e panitumumab).
  • Oltre agli anti-EGFR, altre terapie sono già  comunemente in uso con successo nel trattamento di diversi tipi di tumore, quali gli inibitori di VEGF (VEGF: fattore di crescita dell’endotelio vascolare) (bevacizumab), ed esistono anche alcune ulteriori opzioni ancora in fase sperimentale.

Al momento, gli anticorpi monoclonali non sono ancora un’alternativa completa alla chemioterapia, ma un complemento da utilizzarsi preferibilmente in combinazione ad essa.

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Tumore del colon retto: trattamento chirurgico, radioterapia e chemioterapia

Negli ultimi dieci anni, grazie alla disponibilità di programmi di prevenzione, procedure diagnostiche che consentono la diagnosi precoce. l’avvento di nuovi farmaci, nonché al perfezionarsi delle tecniche chirurgiche, i risultati del trattamento del tumore del colon retto sono migliorati significativamente e, di pari passo, è aumentata sensibilmente anche la sopravvivenza media del soggetti nei quali esso viene diagnosticato. I protocolli di trattamento del tumore del colon retto vengono stabiliti in base alla fase della malattia: iniziale o avanzata.

  • Il cancro del colon retto in fase iniziale è solitamente curabile con un intervento chirurgico e, nei casi nei quali il cancro è meno diffuso, l’intervento rappresenta la soluzione definitiva e non sono necessari altri trattamenti. A volte invece la terapia chirurgica è seguita da chemioterapia, così detta adiuvante, per evitare il rischio che alcune cellule tumorali rimaste dopo l’intervento formino un’altra lesione tumorale (recidiva tumorale).
  • Il tumore del colon in stadio avanzato è caratterizzato, al momento della prima diagnosi o in occasione di una recidiva, dalla presenza di metastasi ad un altro organo (solitamente il fegato), oppure è talmente esteso laddove si è sviluppato da rendere impossibile un intervento chirurgico curativo. I protocolli di trattamento del tumore in fase metastatica combinano quasi sempre più approcci:
  • chirurgia;
  • chemioterapia;
  • terapie biologiche;
  • radioterapia.

Il tumore del retto, a differenza di quello del colon che tende a metastatizzare a distanza, ha la tendenza, dopo resezione chirurgica curativa, a ripresentarsi nello stesso sito (recidiva locale).

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Chirurgia del tumore primitivo
La terapia dal cancro del colon retto in fase iniziale consiste nell’asportazione chirurgica del tratto intestinale interessato dal tumore. A differenza di quanto accadeva in passato, oggi, la chirurgia è molto più “conservativa”, vale a dire che tende a mantenere il più possibile intatta la funzione intestinale, e ha maggiori probabilità  di successo, grazie al fatto che la diagnosi è effettuata più precocemente. Circa l’80% dei pazienti con cancro del colon-retto si presenta alla diagnosi con malattia completamente operabile. Il trattamento chirurgico diventa meno conservativo e più aggressivo se il soggetto è ad alto rischio di recidiva. Il tumore primario viene rimosso insieme ai linfonodi che “vigilano” sul segmento di intestino colpito dal tumore, in quanto di deve valutare la presenza di cellule tumorali al loro interno. Nella figura in basso è riportato un esempio di tumore del colon (disegno a sinistra) e di tumore del retto (disegno a destra). La parte colorata di violetto in ciascun disegno è il tratto di intestino da rimuovere insieme ai relativi linfonodi, tramite intervento chirurgico. A volte, se la parte asportata è particolarmente estesa, vi è necessità  di un intervento ricostruttivo, con il quale si cerca di ottimizzare la funzione intestinale, nonostante l’assenza del tratto asportato.

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Insieme al tumore, devono essere rimossi chirurgicamente i linfonodi associati e gli organi o tessuti adiacenti L’intervento chirurgico rappresenta un momento particolarmente delicato.

Complicazioni, impossibilità di intervento e recidive
L’asportazione chirurgica di un tumore intestinale può purtroppo comportare varie complicazioni, fra le più frequenti quelle di tipo infettivo. Nel colon e nel retto c’è normalmente un gran numero di batteri. Tali batteri, che nell’intestino non creano danni ma anzi contribuiscono al suo funzionamento, se raggiungono altre parti dell’organismo possono dare luogo ad infezioni (sepsi). Dato che la resezione di tratti dell’intestino espone a questo rischio, per prevenire questa complicanza, prima dell’intervento si somministrano antibiotici. Anche se nell’80% dei pazienti non metastatici la chirurgia appare definitiva, l’intervento chirurgico non sempre rappresenta la soluzione del problema. Infatti, in alcuni casi la rimozione totale del tumore non risulta possibile a causa della sua posizione, inoltre, se dopo l’intervento rimangono alcune cellule cancerose che causano una ripresa di malattia a distanza di tempo, si deve ricorrere ad ulteriori trattamenti, solitamente necessari per circa quasi la metà dei pazienti operati.

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Chirurgia palliativa nei pazienti terminali
La chirurgia del tumore primitivo, può essere effettuata anche con finalità  differenti dalla cura. In presenza di malattia metastatica molto progredita, senza speranza di cura, la rimozione chirurgica del tumore primitivo può essere effettuata lo stesso a scopo palliativo, cioè per alleviare i sintomi e prevenire o risolvere eventuali ostruzioni intestinali dovute alla sporgenza del cancro all’interno del lume. In tal modo si cerca di rendere la vita del paziente terminale, il più possibile dignitosa e meno dura da sopportare. Alcuni pazienti tuttavia, potrebbero non essere nelle condizioni adatte per affrontare un intervento chirurgico e le sue possibili complicanze, e quindi per essi purtroppo non è possibile adottare questa soluzione.

Mortalità
Per quanto riguarda la mortalità, nel 2002 in Italia si sono verificati 10.526 decessi per tumore del colon retto fra i maschi e 9.529 fra le donne.

Radioterapia
E’ più frequente l’utilizzo di radioterapia nel tumore del retto, piuttosto che del colon in cui se ne fa un limitato uso palliativo. Nel carcinoma del retto, le principali indicazioni all’impiego sono:

  • Trattamento neoadiuvante, per ridurre le dimensioni del tumore in stadio avanzato allo scopo di operarlo. L’intervento chirurgico avrà  finalità  curative.
  • Radioterapia adiuvante: per ridurre il rischio di recidiva locale e quindi prolungare la sopravvivenza dopo intervento chirurgico, eventualmente in associazione a chemioterapia,
  • Trattamento palliativo: per alleviare i sintomi in caso di recidiva di cancro del retto senza metastasi, ma non operabile.

Chemioterapia
La cura del cancro del colon-retto si può avvalere della chemioterapia già  a partire dallo stadio III, in associazione all’intervento chirurgico. In questo caso viene praticata, dopo l’intervento chirurgico, una chemioterapia adiuvante che ha lo scopo di diminuire il rischio di recidiva.

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Differenza tra colite ulcerosa, muco-membranosa, da fermentazione e da putrefazione

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma DIFFERENZA TRA INTESTINO TENUE E CRASSO Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata Macchie Capillari Ano PeneLe coliti sono processi infiammatori dell’intestino colon e si distinguono principalmente in colite da fermentazione, colite da putrefazione, colite mucomembranosa, colite ulcerosa, coliti infettive, coliti parassitarie. Le infettive possono essere causate da bacilli del tifo, del paratifo, della dissenteria, da salmonelle e da altri germi. Le parassitarie da amebe e altri microrganismi.

COLITE DA FERMENTAZIONE
È caratterizzata dall’evacuazione, 3-4 volte al giorno, di feci diarroiche abbondanti, spumose, giallo-oro, di odore acre. Altri sintomi sono espulsione di gas inodore, specie durante la notte, coliche intestinali dolorose permanenti o parossistiche, digestione difficile, diminuzione dell’appetito, depressione dello stato generale. La palpazione del colon è più o meno dolorosa. A provocare la colite da fermentazione, la cui origine è poco conosciuta, contribuisce un’alimentazione troppo ricca in idrati di carbonio e in cellulosa negli individui nei quali la digestione di queste sostanze determina un’acidità anormale che irrita la mucosa del colon. La colite da fermentazione, generalmente è benigna e che regredisce verso la cinquantina, è soggetta a ricadute frequenti, spesso in seguito a sregolatezze alimentari e a strapazzi fisici e mentali.

COLITE DA PUTREFAZIONE
La diarrea è spesso alternata da stitichezza, le feci sono pastose, poco abbondanti, bruno scure, lisce e brillanti, fetide; emissioni di gas fetide ma poco abbondanti. I dolori sono minori che nella colite da fermentazione; la parte destra dell’addome è spesso dolente alla palpazione. I sintomi generali sono, nel complesso, eguali a quelli della colite da fermentazione. La colite da putrefazione può essere dovuta a un’alimentazione troppo ricca di alimenti putrescibili (come uova, carne, ecc.), essere secondaria a fermentazione esagerata, oppure derivare da una lesione organica del colon, specie nell’individuo anziano. È una malattia benigna, ma spesso ribelle alle cure e soggetta a ricadute.

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COLITE MUCO-MEMBRANOSA
Detta anche iperstenia intestinale o distonia addominale digestiva, è una malattia cronica del colon, caratterizzata da dolori addominali ed eliminazione di feci ricoperte di muco che talora hanno l’aspetto di membrane. Il primo sintomo è una stitichezza cronica in individui che, anche se evacuano ogni giorno, hanno feci frammentate e dure. Alla stitichezza subentrano crisi di diarree caratterizzate dalla emissione di feci ricoperte da muco. Questi episodi acuti sono accompagnati da dolori addominali i quali, a seconda del lo stato psichico individuale, possono variare da semplici malesseri a coliche parossistiche. Sul lato sinistro dell’addome, il colon si rivela alla palpazione come un cordone duro e alquanto dolente. La colite muco-membranosa, più frequente nelle donne, è di origine essenzialmente psichica e si riscontra negli individui ipersensibili, ansiosi, nevrotici. All’insorgenza della malattia, le cui crisi sono spesso in connessione con crisi psichiche, contribuiscono l’abuso di lassativi o di clisteri e qualche volta l’ulcera gastroduodenale e la calcolosi biliare o renale.

COLITE ULCEROSA
Detta anche retto-colite emorragica, è una infiammazione cronica del colon che alterna fasi acute con fasi di remissione. Nella maggior parte dei casi inizia nell’intestino retto e progredisce fino al ceco. Di solito comincia a manifestarsi nella forma acuta con evacuazioni numerose (fino a 20 al giorno) di cui solo una o due contengono materiale fecale, le altre sono emorragiche e in seguito diventano purulente per tornare emorragiche nella fase di remissione. Talvolta questa sindrome dissenterica è accompagnata da dolori addominali e tensione anale dolorosa. Sintomi generali sono depressione dello stato generale, diminuzione dell’appetito, dimagramento, talvolta febbre scarsa o, al contrario, che supera i 38°-39° ed è indice di gravità. La malattia evolve per crisi successive: le fasi acute durano da qualche settimana a qualche mese, poi le evacuazioni diventano normali ma la mucosa del colon resta fragile e sanguina al minimo contatto. La fase remissiva può durare settimane, mesi, talvolta anni, oppure le crisi possono diventare sempre più frequenti e ravvicinate e portare alla forma cronica. Le cause della colite ulcerosa, che è più frequente fra i 20 e i 40 anni, sono sconosciute. Vi contribuiscono, a quanto sembra, dei fattori psichici, cioè traumi e conflitti mentali in individui ansiosi, emotivamente o affettivamente immaturi.

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Carboidrati, proteine e grassi: come vengono assorbiti nell’intestino?

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma DIFFERENZA TRA INTESTINO TENUE E CRASSO Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata Macchie Capillari Ano PeneLa superficie assorbente dell’intestino è straordinariamente estesa, lunga oltre 4 metri, al sollevamento delle pliche della sua mucosa di rivestimento è ulteriormente accresciuta nella sua superficie ed ulteriormente ancora per la presenza dei villi intestinali visibili alla microscopia (2×10 elevato 9). La superficie di assorbimento di questa area è aumentata di circa il 600% dai villi, i quali sono proiezioni a forma di dito che rivestono le pareti dell’intestino tenue. Ogni villo contiene un vaso linfatico circondato da una rete di capillari, e nella sua superficie rivolta verso la cavità intestinale è provvisto di un orletto a spazzola, formato da minuscole estroflessioni cilindriche dette microvilli.
L’attività motoria dell’intestino favorisce i processi dell’assorbimento . Le sostanze nutritive raggiungono il circolo attraverso il sistema venoso portale, in cui si gettano i capillari intestinali, o attraverso i linfatici intestinali, verso cui confluiscono i vasi chiliferi. I nutrienti assorbiti attraverso i vasi linfatici, cioè grassi, piccole quantità di fosfolipidi e colesterolo, passano appunto nel sistema linfatico. Circa il 90% dei grassi è complessivamente assorbito attraverso il sistema linfatico. Tale sistema può essere considerato come una via di connessione tra il sangue e i tessuti, attraverso la quale avviene il trasporto alle cellule di quella parte di nutrienti non solubile in mezzo acquoso.

Tutti gli altri nutrienti, (amminoacidi e zuccheri) che sono assorbiti attraverso i capillari sanguigni, si riversano nella vena porta e sono trasportati direttamente al fegato. Il fegato trattiene parte dei nutrienti per le sue necessità (per es: la vitamina B12, indispensabile per formare i globuli rossi) e, tramite il circolo sanguigno, ridistribuisce i restanti, non modificati o dopo averli parzialmente rielaborati per via enzimatica, alle cellule degli altri distretti dell’organismo.

Alcune sostanze, invece, passano attraverso la membrana intestinale per semplice diffusione, e ciò può avvenire solo quando si trovano nell’intestino in concentrazione più elevata che nel plasma, mentre in caso contrario il passaggio avviene per trasporto attivo, un processo che richiede energia. Questo meccanismo, sostanzialmente simile per tutti i nutrienti, avviene a opera di un componente – di regola una proteina localizzata sulla membrana plasmatica delle cellule – che si carica del nutriente e gli consente di viaggiare contro un gradiente di concentrazione, cioè di passare da un’area dove si trova in minore concentrazione, a un’altra dov’è in concentrazione maggiore.

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Tutti i carboidrati sono assorbiti, nella forma delle loro unità costitutive, nella porzione superiore dell’intestino tenue (duodeno e digiuno). Perciò, l’amido, che è un polimero fatto da tante unità di glucosio, deve, prima dell’assorbimento, essere demolito a glucosio; il saccarosio a glucosio e fruttosio; il lattosio a galattosio e glucosio. Molte persone sane, sia adulti sia bambini, hanno intolleranza al lattosio: ciò dipende dal fatto che il loro organismo è incapace di scindere questa sostanza nelle sue unità costitutive, le sole che possono essere assorbite e quindi fungere da nutrienti. Questa intolleranza solitamente è di carattere ereditario, ma può anche essere acquisita, e si manifesta con dolori addominali, diarrea e flatulenza. Essa è poco diffusa tra gli Europei ma è molto ricorrente nelle popolazioni di colore. Fra gli afroamericani, sia dell’America del Nord sia dell’Africa, raggiunge punte del 77%, e quindi non sembra che possa essere semplicemente legata all’abitudine o meno di consumare latte, che negli Stati Uniti è molto diffusa da lunghissimo tempo.

Il processo di assorbimento dei grassi, più complesso, richiede la formazione di aggregati micellari tra i prodotti della loro digestione e i sali biliari che, una volta entrati nelle cellule della parete intestinale, vengono scissi: i sali biliari sono riversati nella cavità intestinale per riprendere il loro ruolo, mentre la componente grassa è trasferita nei vasi linfatici sotto forma di piccolissimi globi detti chilomicroni. I chilomicroni dai vasi linfatici sono poi riversati nella circolazione sanguigna e distribuiti ai vari distretti dell’organismo.

Le proteine, una volta demolite nelle loro unità costitutive (gli aminoacidi), passano nelle cellule della parete intestinale – mediante trasporto attivo – e da lì, attraverso la vena porta, sono convogliate al fegato. Può accadere che piccolissime quantità di proteine siano assorbite così come sono: quando ciò si verifica, il nostro organismo si trova a essere sensibilizzato alle proteine. Ecco perché una successiva introduzione di quelle stesse proteine provoca manifestazioni come asma, eruzioni cutanee e tutta quella serie di altri malesseri conosciuti come allergie.

Le vitamine, invece, non hanno bisogno di essere trasformate. Il loro assorbimento avviene nel digiuno, il tratto intestinale che si trova immediatamente sotto il duodeno. La vitamina B12, a differenza delle altre, è assorbita nel tratto successivo (ileo).

I sali minerali, a quanto risulta, vengono assorbiti lungo tutte le sezioni dell’intestino tenue, mediante meccanismi differenziati per ogni tipo di sale minerale. In particolare, l’assorbimento del ferro e del calcio avviene grazie a uno specifico meccanismo di controllo – ovviamente diverso per ognuno dei due nutrienti in questione – che regola la quantità assorbita a seconda dello specifico bisogno che l’organismo ha di quel nutriente in un determinato momento.

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Come vengono utilizzati i nutrienti

Al termine dei processi di digestione e assorbimento il nostro organismo viene a essere “invaso” da una varietà di sostanze chimiche, che abitualmente comprende tutti i nutrienti che gli sono necessari. Queste sostanze entrano a far parte di un insieme definito pool (ammasso) metabolico. Il pool metabolico, distribuito in tutto l’organismo, non comprende solo le sostanze chimiche che provengono dalla digestione, ma anche quelle (del tutto uguali) che derivano dagli incessanti processi metabolici dell’organismo.

Per esempio, il nutriente chiamato glucosio, proveniente dalla demolizione dell’amido contenuto in alimenti come pane e pasta, è perfettamente uguale al glucosio che proviene dall’attività metabolica del fegato, quindi costituisce con esso un unico pool. Da questo pool comune le cellule prelevano i nutrienti necessari, indipendentemente dalla loro origine. Le cellule del nostro organismo, sebbene siano molto differenziate come strutture e funzioni, e quindi come esigenze nutrizionali e capacità metaboliche, hanno meccanismi operativi di base sostanzialmente identici.

Ciò significa che tutte le cellule:

  • convertono nello stesso modo l’energia chimica contenuta nei nutrienti in energia utilizzabile per compiere lavoro;
  • sintetizzano nello stesso modo le proprie strutture fondamentali a partire dai nutrienti semplici (assimilazione).

di conseguenza, si rinnovano e si duplicano attraverso un’identica successione di eventi.

Esistono meccanismi generali che regolano la corretta distribuzione e utilizzazione dei nutrienti nelle diverse cellule e che, pertanto, presiedono a quella che viene chiamata omeostasi dell’organismo.

L’omeostasi è una condizione interna di equilibrio che assicura il mantenimento della normale concentrazione dei componenti del pool metabolico nell’organismo e il ritorno a questo equilibrio quando viene turbato, il che accade a ogni pasto, con l’immissione di nuovi nutrienti.

L’omeostasi è mantenuta tramite il coordinamento delle attività metaboliche di tutte le cellule dell’organismo. Questo coordinamento è assicurato da due tipi di segnali costituiti da particolari sostanze elaborate dal sistema nervoso (neurotrasmettitori) e dalle ghiandole endocrine (ormoni).

I segnali emessi dal sistema nervoso raggiungono l’organo-bersaglio viaggiando attraverso un filamento (nervo), quindi con un meccanismo che consente una comunicazione riservata tra il sistema emittente (cellula nervosa) e quello ricevente (per esempio, il muscolo), come tra due persone che si parlano al telefono. Il repertorio di questi segnali è limitato perché limitato è il repertorio dei neurotrasmettitori.

Gli ormoni, cioè i segnali elaborati dalle ghiandole endocrine, comprendono un numero molto maggiore di specie chimiche, quindi molecole piccole e grandi, solubili nei grassi o nell’acqua. L’esempio più noto di ormone è l’insulina, che è una grossa molecola, solubile in acqua, elaborata dalle cellule di quella porzione del pancreas detto pancreas endocrino per distinguerlo dalla porzione (pancreas esocrino) che, come è stato detto, fabbrica gli enzimi della digestione intestinale. Anche questo tipo di segnale viene trasmesso da una cellula emittente a una ricevente, ma non attraverso una struttura ben definita (come il nervo nel precedente tipo di segnali) bensì attraverso la circolazione sanguigna. Perciò questi segnali arrivano a tutte le cellule dell’organismo; ma dato che sono segnali in codice, possono essere compresi, cioè trasformati in un’informazione utilizzabile, solo da quelle cellule specificatamente attrezzate a questo fine (anche in questo caso le strutture riceventi sono delle glicoproteine localizzate sulla membrana plasmatica delle cellule).

Se la trasmissione dei segnali del sistema nervoso può essere paragonata al telefono, quella ormonale ha delle analogie con le onde radio: le onde radio si diffondono dappertutto, ma soltanto gli strumenti opportunamente sintonizzati sono in grado di trasformarle in un linguaggio comprensibile.
Il sistema di segnali sopra descritto è il principale responsabile della regolazione del “traffico” di nutrienti tra i diversi organi e tessuti che costituiscono il nostro organismo, e della loro utilizzazione secondo le esigenze di ognuno di essi, che non sono le stesse.

Per esempio, il cervello e i globuli rossi utilizzano per i loro bisogni energetici il glucosio che deriva principalmente dal fegato, che è l’organo centrale delle trasformazioni che avvengono nel nostro organismo.
Il muscolo, invece, ha bisogno di glucosio solo nell’esercizio violento e di breve durata, mentre utilizza prevalentemente acidi grassi, provenienti dalle riserve di grassi dell’organismo, per il lavoro di lunga durata.
Il surplus di energia, in qualsiasi forma chimica venga introdotto con la dieta, è messo in riserva nel tessuto adiposo sotto forma di grassi.

Questa incessante ridistribuzione di nutrienti è fondamentale per il processo vero e proprio della nutrizione, che ha luogo continuamente nei miliardi di cellule che, associate in organi e tessuti, costituiscono il nostro organismo. Infatti, normalmente consumiamo i nostri pasti per poco più di un’ora su ventiquattro, assorbiamo i nutrienti provenienti dal processo della digestione lungo un periodo che va dalle sei alle otto ore, e invece dobbiamo utilizzare nutrienti per i differenti bisogni dell’organismo ventiquattro ore su ventiquattro. Tuttavia non è questa la maggior peculiarità del nostro organismo. Anche una macchina non utilizza sempre immediatamente il carburante, ma ha un serbatoio che consente un’autonomia più o meno lunga fra un rifornimento e l’altro.

Ciò che invece contraddistingue il nostro organismo è che i nutrienti, periodicamente immessi nell’organismo, non servono solo a fornire energia e a costituire riserve, ma anche a ricostruire quei pezzi della “macchina” continuamente usurati durante l’incessante svolgimento dei processi vitali.

Infatti, non è solo durante il processo di crescita che i nutrienti sono utilizzati, secondo un piano geneticamente prefissato, per la progressiva costruzione dell’organismo: “siamo quello che mangiamo” anche quando, raggiunte le dimensioni finali, il nostro organismo rimane apparentemente “stazionario”.

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Tumore del colon retto: diagnosi, metastasi, prognosi e stadiazione

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Il tumore del colon retto è la quarta neoplasia più frequente fra gli uomini (11,3% del totale dei tumori) e la terza più frequente fra le donne (11,5% del totale). Per quanto riguarda l’andamento nel tempo, accanto a una tendenza all’aumento dell’incidenza si osserva un calo progressivo della mortalità. Il rischio di sviluppare questo tipo di tumore aumenta con l’età. Circa il 90% delle persone con tumore del colon retto ha un’età superiore ai 50 anni, e l’incidenza della malattia raggiunge il suo picco intorno agli 80 anni. Tuttavia le persone con una predisposizione ereditaria possono sviluppare la malattia in età ben più giovane. Per quanto riguarda la mortalità, nel 2002 in Italia si sono verificati 10.526 decessi per tumore del colon retto fra i maschi e 9.529 fra le donne.

Diagnosi del tumore del colon retto

I test diagnostici utilizzati specificatamente per il cancro del colon retto includono:

  • Colonscopia, l’esame di scelta
  • Rettosigmoidoscopia
  • Clisma opaco a doppio contrasto.

Ricerca di metastasi da tumore del colon retto

Le principali aree anatomiche che devono essere valutate per la ricerca di eventuali metastasi sono:

  • la rimanente parte di intestino crasso mediante le stesse indagini diagnostiche effettuate per scoprire il tumore primario;
  • gli organi adiacenti, quali la vescica, le ovaie nelle donne e la prostata nell’uomo
  • i linfonodi asportati chirurgicamente;
  • il fegato, i polmoni e le ossa mediante diagnostica per immagini (ecografia, TAC, risonanza magnetica).

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Stadiazione e prognosi del tumore del colon retto

Un tumore originale localizzato nell’ambito del tessuto o dell’organo dal quale si è sviluppato è detto “tumore primitivo”. Il termine “tumore primitivo del colon retto” indica un tumore che, essendosi sviluppato da uno dei tessuti del colon o del retto (quasi sempre dalla mucosa), si trova localizzato dove ha avuto origine. Quando il cancro si diffonde ad organi o tessuti diversi da quello nell’ambito del quale si è formato, si dice che da luogo a metastasi (o metastatizza o forma lesioni “secondarie” o “ripetitive”). Se un tumore del colon retto viene rilevato in tessuti od organi diversi si definisce: “cancro del colon retto metastatico” ed è una forma più grave di tumore. Le metastasi vengono denominate in base alla loro localizzazione: se si trovano nel fegato vengono chiamate “metastasi epatiche da cancro del colon retto“. Analogamente, ci si riferisce a metastasi presenti nei polmoni come “metastasi polmonari da cancro del colon retto”, ecc.
Il 25% dei pazienti a cui è diagnosticato il tumore del colon retto si trova già in fase metastatica. Invece, tra i pazienti con tumore del colon retto diagnosticato in fase di malattia localizzata, il 50% sviluppa metastasi nel periodo post-operatorio. La previsione dell’esito (prognosi) del cancro del colon retto dipende strettamente dal grado di invasione dei tessuti e degli organi posti nelle vicinanze del tumore, dalla presenza di eventuali metastasi ai linfonodi o ad altri organi e tessuti. La presenza di cellule tumorali nell’ambito dei linfonodi vuol dire che alcune cellule si sono diffuse al di fuori del tumore di origine. In alcuni casi l’invasione si ferma al linfonodo, in altri casi lo supera e raggiunge altre parti dell’organismo.
La conoscenza dello stadio della malattia è importante per fornire al paziente delle cure il più possibile appropriate, e per formulare una probabile prognosi.
Nel tumore (carcinoma) del colon sono identificabili quattro stadi:

  • Stadio 0: carcinoma in stadio molto precoce, localizzato alla mucosa, il tessuto che tappezza il lume del colon, senza invaderla in tutto il suo spessore;
  • Stadio I: il carcinoma invade tutto lo spessore della mucosa e raggiunge la membrana che la separa dagli strati più esterni;
  • Stadio II: il carcinoma si è diffuso agli strati di tessuto muscolare del colon;
  • Stadio III: il carcinoma si è diffuso ai linfonodi;
  • Stadio IV: il carcinoma si è diffuso ad altri organi (metastasi).

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Nel caso del tumore del colon, le metastasi si producono con maggiore frequenza nel fegato. Ciò avviene perché le cellule tumorali viaggiano nel sangue e dall’intestino al fegato c’è un’importante rete di vasi sanguigni, definito circolo portale, che normalmente serve a trasportare le sostanze che vengono assorbite dall’intestino, ma in presenza di un cancro può trasferire anche cellule tumorali. Queste si possono fermare nel fegato o dirigersi verso altre parti del corpo, sempre lungo il circolo sanguigno. In particolare, superato il fegato, il sangue va al cuore e poi è pompato ai polmoni, che rappresentano la localizzazione di metastasi da tumore del colon retto più comune dopo il fegato. Il sangue dai polmoni torna al cuore e poi è pompato al resto del corpo. Nella diffusione delle cellule tumorali intervengono vari fattori, fra i quali il tempo. Per questo motivo la diagnosi precoce ha un ruolo decisivo nel prevenire, o limitare, la diffusione e controlli ben programmati, dopo un trattamento iniziale, servono a curare tempestivamente le recidive.

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Tumore del colon retto: terapia personalizzata col test RAS

Work of scientists in the chemical laboratory.

La personalizzazione del trattamento per ciascun paziente con tumore del colon-retto con metastasi ha l’obiettivo di ottenere il massimo vantaggio, in termini di efficacia, dalla somministrazione dei farmaci a bersaglio. A tale scopo il medico che ha in cura il malato può richiedere un esame di laboratorio chiamato esame (test) del RAS. Questo esame definisce particolari caratteristiche genetiche delle cellule tumorali. Quando nelle cellule si verifica una variazione dei geni, si parla di mutazione. I geni indicati con l’acronimo RAS, includono il KRAS e il NRAS. I geni RAS funzionano come “interruttori” che attivano i meccanismi di crescita e replicazione delle cellule tumorali e possono essere nello stato normale (definito in inglese wild-type: “tipo selvaggio”) o mutato (alterato) . Il test RAS identifica i pazienti con tumore del colon-retto metastatico nei quali una particolare terapia biologica, con anticorpi monoclonali anti-EGFR, è più efficace in base alla presenza di geni RAS normali o mutati.

La terapia personalizzata: i biomarcatori RAS

La risposta dei singoli pazienti ai trattamenti antitumorali è variabile. Non tutti i pazienti hanno lo stesso beneficio dallo stesso farmaco. Questo avviene sia per la chemioterapia, che per le terapie biologiche a bersaglio molecolare. Tuttavia, la ricerca scientifica sta progressivamente evidenziando particolari caratteristiche, proprie del paziente o del tumore, che permettono di prevedere chi ha più probabilità di giovarsi di un determinato trattamento. Tali caratteristiche corrispondono a variabili di laboratorio definite “biomarcatori”. Grazie alle informazioni fornite dai biomarcatori, i medici sono in grado di personalizzare la terapia e di aumentare le probabilità  di successo, nei soggetti sensibili al trattamento. Per i pazienti con tumore del colon-retto metastatico i biomarcatori sono le mutazioni dei geni RAS (KRAS e NRAS).

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Il test RAS

Il test dei RAS solitamente non richiede procedure invasive aggiuntive, in quanto viene eseguito sui campioni di tessuto (biopsie) raccolti nel corso della valutazione della malattia. L’esame dei RAS, consistente in un’analisi di tipo genetico, viene eseguito su una piccola quantità di materiale bioptico prelevato dal tumore primario o dalle metastasi. Il risultato dell’esame dei RAS, normalmente disponibile in circa una decina di giorni, valuta i geni KRAS e NRAS, indicando se tali geni sono presenti allo stato normale (o wild-type) o mutato. Lo stato normale dei geni KRAS e NRAS indica che il paziente ha maggiori probabilità di rispondere a una terapia a base di anticorpi monoclonali anti-EGFR, mentre nei casi con geni KRAS e NRAS mutati la somministrazione del farmaco non è indicata perché non efficace.

I geni e le proteine RAS

KRAS e NRAS sono i nomi, sia dei geni RAS, che delle proteine che essi codificano. Le proteine RAS giocano un ruolo importante nel processo di crescita e moltiplicazione cellulare, infatti, agiscono come “interruttori” che servono ad “accendere”, a seguito della interazione fra EGF e recettore, la moltiplicazione cellulare. Nelle cellule normali e in quelle del tumore del colon-retto metastatico senza mutazioni dei geni RAS, tali interruttori si accendono e poi si spengono immediatamente, in un’alternanza che attiva o disattiva, appunto, la replicazione cellulare. Se uno dei geni RAS non è mutato, gli anticorpi che bloccano il recettore dell’EGF (anti-EGFR) si sono dimostrati un valido strumento terapeutico per contrastare il tumore del colon-retto metastatico. Se invece il gene RAS è mutato, cioè è modificato nella sua composizione, anche la proteina da esso prodotta sarà diversa, e si comporterà come un interruttore perennemente “acceso”, indipendentemente dagli stimoli esercitati dal fattore di crescita EGF. Le mutazioni dei geni RAS sono presenti circa nel 45% dei tumori del colon-retto metastatici.
I biomarcatori sono estremamente importanti nel trattamento dei tumori, in quanto aiutano i medici a scegliere i trattamenti che presumibilmente saranno più efficaci per ciascun paziente. In particolare l’esame di geni RAS si esegue nei laboratori di anatomia patologica e biologia molecolare dei principali ospedali italiani.

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Emette gas intestinali durante l’intervento chirurgico: i risultati sono disastrosi

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Colpa di un laser

L’incendio è scoppiato il 15 aprile al Tokyo Medical University Hospital, secondo il giornale Asahi Shimbun, nel momento in cui un medico stava utilizzando un laser sul collo dell’utero della donna. Il fuoco provocato dal contatto tra il laser ed il gas emesso dalla paziente, ha bruciato la maggior parte del corpo della donna, la vita e le gambe, secondo News.com.au. Secondo un rapporto sull’incidente, in sala operatoria non erano presenti materiali infiammabili durante l’intervento chirurgico e le attrezzature funzionavano normalmente. Quando il gas intestinale della paziente si è disperso nello spazio della camera (operatoria) si è acceso con l’irradiazione del laser, e la fiamma si è diffusa fino al telo chirurgico causando l’incendio.

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I dubbi

C’è qualcosa in questa storia che non quadra, secondo il chirurgo di Los Angeles dr. Michael Zadeh che, in una dichiarazione rilasciata alll’Huffington Post americano, ha detto: “Ho eseguito moltissimi interventi chirurgici al colon-retto e anali e questo non è mai accaduto. È necessaria una quantità superiore di metano nel colon per provocare delle lesioni così gravi”. Zadeh ha dichiarato che la quantità di gas rilasciata durante un peto si potrebbe incendiare quando fonti di calore come gas ed elettrocoagulazione sono utilizzate nelle vicinanze. Ma rimane comunque scettico. “Tutte le informazioni che ho sentito coinvolgono casi di occlusione intestinale dovuti all’accumulo di gas metano. Dubito che questo sia l’unico fattore determinante in questa storia” ha aggiunto il chirurgo.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
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