Differenza tra costola incrinata e rotta

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma DIFFERENZA COSTOLA INCRINATA ROTTA FRATTURATA Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano.jpgUna costola incrinata (incrinatura costale) o rotta (costa fratturata) è quasi sempre conseguenza di un trauma diretto alla gabbia toracica, come avviene nel caso di incidenti stradali, traumi sportivi (negli sport di contatto) o incidenti domestici (cadute ed urti contro spigoli dei mobili). Nel caso della costola incrinata perfino una tosse cronica può determinare la contusione; la rottura della costa si verifica spesso anche in persone anziane, specie se soffrono di osteoporosi. L’osteoporosi è una malattia sistemica dello scheletro, che provoca un forte indebolimento delle ossa. Tale indebolimento scaturisce dalla riduzione della massa ossea, che, a sua volta, è conseguenza del deterioramento della microarchitettura del tessuto osseo. Pertanto, le persone con osteoporosi sono più predisposte alle fratture, perché hanno ossa più fragili del normale. La frattura costale può essere anche causata da lesioni neoplastiche delle costole. Un tumore maligno, con origine in una costola, indebolisce quest’ultima, rendendola più fragile e particolarmente suscettibile alle fratture.

Differenze e gravità

L’incrinatura costale è un infortunio abbastanza comune, quasi sempre di modesta gravità, in cui la costa rimane integra e rimane nella sua sede naturale. Invece la frattura costale può, in alcuni casi, rappresentare una urgenza medica, dal momento che la costa si rompe (anche in più pezzi), può spostarsi dalla sua posizione naturale, lesionare la cute e può potenzialmente causare emorragie e determinare danni gravi gli organi interni, specie i polmoni. Se la frattura alle costole è multipla, può portare all’instaurarsi di una condizione medica potenzialmente mortale, identificata con il termine “volet costale”.  A tale proposito leggi anche: Frattura costale multipla, volet costale e pneumotorace

Sintomi e segni

In entrambi i casi il sintomo principale è il dolore, associato a gonfiore e formazione di un ematoma, tuttavia nel caso della costola incrinata essi sono generalmente di minore entità. Il dolore che caratterizza una costola incrinata ed una costola rotta tende a peggiorare in alcune particolari circostanze:

  • Quando il paziente respira profondamente.
  • Con la compressione della zona toracica infortunata.
  • Con i movimenti di torsione e piegatura del corpo.
  • Quando il paziente dorme dalla parte della zona traumatizzata.

Se, a causa di un dolore molto intenso, il paziente fatica a respirare in maniera normale, può sviluppare:

  • dispnea;
  • mal di testa;
  • vertigini;
  • giramenti di testa;
  • senso di stanchezza;
  • sonnolenza ricorrente;
  • ansia.

Leggi anche:  Caviglia slogata (distorsione) e gonfia: cosa fare? Fasciatura ed altri rimedi

Diagnosi

Nel dubbio se si tratti di costola incrinata, con microfratture o rotta, si procede con le indagini strumentali:

  • I raggi X. In genere, permettono di stabilire con facilità se una costola è solo incrinata oppure fratturata. Risultano poco chiari soltanto in presenza di fratture lievi, non nette.
  • La TAC. Fornisce una serie di immagini tridimensionali, che riproducono molto chiaramente l’anatomia interna del corpo.
    È molto utile per escludere la presenza di una frattura. Infatti, permette di valutare non solo le ossa della gabbia toracica, ma anche lo stato di salute dei vasi sanguigni toracici, dei polmoni e degli organi addominali che potrebbero essere stati lesionati in caso di frattura costale.
  • La risonanza magnetica nucleare (RMN). Come la TAC, è utile per valutare una vasta gamma di elementi: costole, vasi sanguigni passanti per il torace, polmoni e organi dell’addome.

Leggi anche: Ernia del disco e mal di schiena: sintomi, diagnosi e cura

Trattamento

Nel caso di costola incrinata il trattamento prevede

  • riposo;
  • applicazione di ghiaccio sulla zona dolorante per almeno 15-20 minuti 3-4 volte al giorno;
  • respirare profondamente o eseguire un colpo di tosse controllato almeno una o due volte ogni ora. Serve a ridurre il rischio di polmoniti e infezioni polmonari.
  • assunzione di farmaci antidolorifici (aspirina e ibuprofene).

Nel caso di costola fratturata può invece rendersi necessario un intervento chirurgico.

Cosa NON fare in entrambi i casi

  • Non avvolgere il torace con bendaggi. In caso contrario, c’è il rischio di rendere ancora più difficile la respirazione profonda.
  • Non fumare.
  • Non eseguire movimenti improvvisi o sollevare pesi.

Per approfondire, leggi gli articoli relativi alle due patologie:

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
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Gabbia toracica: dove si trova, a che serve e da cosa è composta

MEDICINA ONLINE MUSCOLI DEL TORACE ANATOMIA FUNZIONI INTRINSECI ESTRINSECI DIFFERENZE COSTE COSTOLE PETTORALI TRASVERSO DIAFRAMMA SUCCLAVIO DENTATO TRAPEZIO SCAPOLA ROMBOIDE DORSALE INTERCOSTALILa gabbia toracica (a volte chiamata anche “cassa toracica“; in inglese ” thoracic cage” o “rib cage“) è una struttura anatomica ossea molto importante del corpo umano, con compiti sia strutturali che funzionali essenziali per l’organismo.

Dove si trova la gabbia toracica?

La gabbia toracica si trova nella metà superiore del corpo umano, tra collo e diaframma.

Da quali ossa e cartilagini è costituita?

La gabbia toracica è costituita dalle cartilagini costali, dallo sterno, dalle coste e dalle vertebre toraciche, così suddivise:

  • posteriormente, 12 vertebre (vertebre toraciche);
  • latero-anteriormente, 12 paia di costole (o coste);
  • anteriormente, le cartilagini costali e un osso chiamato sterno.

Ogni paio di costole origina da una delle 12 vertebre posteriori, facenti parte della gabbia toracica.  Nella parte anteriore, le coste terminano con le cartilagini costali; queste ultime rappresentano il punto d’unione con lo sterno solo per le prime 7 paia di coste superiori. Infatti, dall’ottavo al decimo paio, le singole costole si uniscono (sempre tramite cartilagine) alla costa superiore (quindi le ottave alle settime, le none alle ottave ecc); mentre dal decimo al dodicesimo paio, sono libere.
Tra le costole ci sono numerosi muscoli, noti come muscoli intercostali. I muscoli intercostali consentono alla gabbia toracica di espandersi durante gli atti respiratori; pertanto giocano un ruolo fondamentale per l’introduzione dell’aria nei polmoni.

Leggi anche: Differenza tra costola incrinata e rotta

Costole vere, spurie, fluttuanti

Le prime sette coste dall’alto verso il basso, sono dette costole vere e si uniscono direttamente allo sterno,l’ottava, la nona e la decima sono coste spurie (o false) , raggiungono lo sterno tramite la cartilagine che va prima a formare un tratto comune e poi a legarsi allo sterno, mentre le ultime due paia non sono unite allo sterno, per tale motivo sono dette fluttuanti.

Leggi anche: Frattura costale multipla, volet costale e pneumotorace

A che serve la gabbia toracica?

La gabbia toracica ha principalmente compito strutturale e funzionale alla respirazione, inoltre protegge meccanicamente organi interni importanti come cuore e polmoni, ma non solo: in essa sono anche contenute le porzioni toraciche dell’esofago, della trachea e dell’aorta. La gabbia toracica inoltre affianca il diaframma nel partecipare ai movimenti respiratori: traumi alla gabbia toracica possono rendere difficoltosa o addirittura impedire la normale respirazione.

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Cos’è una costa? Differenza tra costole e coste

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma COSE COSTA DIFFERENZA COSTOLE COSTE Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgParlando con un paziente, mi è capitato di usare il termine “costa” e di notare come il mio interlocutore non avesse capito a quale parte del corpo mi stessi riferendo; tale evento mi fornisce l’occasione di chiarire il concetto.

Cos’è una costa?
In campo medico il termine “costa” è semplicemente sinonimo di “costola”, cioè una delle 24 ossa affusolate e ricurve della vostra cassa toracica.

Che differenza c’è tra una “costa” ed una “costola”?
Nessuna: come appena affermato, costa e costola sono sinonimi ed indicano la medesima cosa.

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Differenza tra distorsione, distrazione, strappo e contusione

MEDICINA ONLINE DIFFERENZA TRAUMA MUSCOLO OSSO FRATTURA LUSSAZIONE DISTORSIONE STRAPPO DISTRAZIONE  MOVIMENTO ROTTURA MUSCOLARE ATTIVITA FISICA SPORT MOVIMENTO GAMBA PIEDE GINNASTICA SCARPE CORRERE CRAMPI MIOCLONIE SPASMO.jpgLa “distorsione” è una lesione della capsula e dei legamenti, a volte  con lacerazione, ma senza rottura; provoca una fuoriuscita di sangue nella sede articolare per cui si verifica gonfiore e tumefazione. Ci può essere anche dolore intenso e il movimento è bloccato. Interessa di solito la caviglia, il ginocchio e il polso, è favorita da un tono muscolare insufficiente ed è provocata da un movimento brusco che sposta l’articolazione portando temporaneamente i capi articolari al di là dei limiti fisiologici. E’ più frequente negli adulti che nei bambini e la sua gravità è estremamente variabile  in quanto può comportare danni di varia entità alle componenti dell’articolazione: capsula, legamenti, tendini e menisco. La distorsione a carico della caviglia può portare a distorsioni recidivanti anche per tutta la vita, a causa di disfunzioni permanenti e mancanza di risposta muscolo-tendinea. In caso di distorsione è necessario mettere l’arto in posizione sollevata, applicare una borsa del ghiaccio e rivolgersi al medico, anche per escludere la presenza di fratture.

Lo “strappo muscolare” (anche chiamato “rottura muscolare”) è una lesione di uno o più fasci di fibre muscolari causata da uno stiramento improvviso che determina la rottura delle fibre del muscolo. Solitamente si manifesta a seguito di violente contrazioni o scatti improvvisi ed è molto frequente soprattutto fra coloro che praticano degli sport dove è richiesto un movimento muscolare di tipo esplosivo ad esempio nel calcio, nel body building, nelle gare di salto, ect. A volte invece colpisce le persone non allenate oppure coloro che non si sono sufficientemente riscaldati prima di affrontare un allenamento. Gli strappi muscolari interessano soprattutto i muscoli della coscia (flessori, adduttori, quadricipite) e della gamba (tricipite surale), mentre è più raro che colpiscano i muscoli addominali o dorsali. In generale però lo strappo muscolare può colpire qualsiasi muscolo del corpo. Il disturbo può coinvolgere un diverso numero di fibre muscolari e, sulla base al numero di fibre interessate,  sono stati individuati 3 gradi:

  • Strappo muscolare di primo grado: si manifesta quando si lesionano poche fibre muscolari;
  • Strappo muscolare di secondo grado: si manifesta quando si lesionano parecchie fibre a seguito di una contrazione muscolare;
  • Strappo muscolare di terzo grado: si manifesta quando si lesionano quasi tutte le fibre e si verifica anche una lacerazione muscolare.

Il termine “distrazione” è sinonimo di strappo muscolare.

La “contusione” infine  è un trauma prodotto da un urto con un corpo contundente, senza lacerazione della cute. Dopo il trauma sulla cute compare un’ecchimosi, una macchia inizialmente rossa e poi violacea che con il tempo assume una colorazione giallognola, prima di scomparire. È il risultato di una rottura di capillari che versano il sangue nei tessuti superficiali; se il travaso di sangue è più abbondante si ha invece un ematoma, più esteso, gonfio e scuro. In caso di ematomi ed ecchimosi è consigliabile applicare degli impacchi di ghiaccio per indurre una vasocostrizione ed eventualmente un bendaggio non stretto. Si possono inoltre applicare delle apposite pomate. Se la contusione non interessa zone a rischio, come ad esempio la testa o zone ove sono presenti organi interni, non c’è da preoccuparsi: ecchimosi ed ematomi regrediscono spontaneamente in poco tempo.

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Masturbarsi in gravidanza fa male al bambino?

MEDICINA ONLINE DONNA GRAVIDANZA INCINTA PANCIA ANATOMIA IMMAGINI FETO BAMBINO BIMBO POSIZIONE PODALICO ESERCIZI MANIPOLAZIONE GINECOLOGO OSTETRICOMasturbarsi in gravidanza è possibile, oppure è meglio evitarlo? Facciamo chiarezza su questo argomento, che rappresenta ancora un tabù per moltissime future mamme italiane.

Masturbazione “esterna”

Una masturbazione “esterna”, con stimolazione della vulva e del clitoride in particolare, tramite le dita (proprie o del/della partner) o con altri sex toys come vibratori da usare esternamente, non fa assolutamente male al bambino, in nessun momento della gravidanza. E’ necessario sempre riservare molta cura nell’igiene di dita e sex toys, anche se la stimolazione è esterna.

Masturbazione “interna”

Se è possibile ricorrere a una stimolazione esterna in qualunque stadio della gravidanza in totale sicurezza, lo stesso non si può dire in caso di stimolazione interna: in particolare mi riferisco alla stimolazione vaginale ed a quella anale. In questi casi bisogna infatti fare molta più attenzione, sia che si usino le dita, sia – a maggior ragione – nel caso si utilizzino dei sex toys, soprattutto se la masturbazione prevede che gli oggetti usati per masturbarsi penetrino profondamente nella vagina. Prese dall’eccitazione della masturbazione, si corre infatti il rischio di effettuare movimenti troppo intensi e profondi, che possono determinare pressione e traumi sul collo dell’utero: essi possono riflettersi sull’intero utero e quindi sul feto. Anche forti e brusche pressioni a livello dell’ano, possono riflettersi sull’addome e di conseguenza sul feto.

Come masturbarsi in sicurezza durante la gravidanza?

Masturbarsi in gravidanza è certamente consentito, ma bisogna ricordare di:

  • preferire una stimolazione clitoridea a quella vaginale e/o anale;
  • evitare movimenti troppo intensi, bruschi e profondi;
  • evitare l’uso di vibratori ed altri oggetti che possano penetrare nella profondità della vagina o dell’ano;
  • effettuare movimenti delicati;
  • lavare con molta cura dita, sex toys e altri oggetti prima e dopo ogni utilizzo, per scongiurare infezioni che possano trasmettersi per contiguità alla vagina, all’utero ed al feto.

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Splenectomia parziale e totale: perché si esegue e quali sono i rischi

DCIM100MEDIALa splenectomia parziale e totale è l’intervento chirurgico di rimozione della milza – attuata in parte o nella sua totalità – che si rende necessaria quando questo organo è oggetto di danni irreparabili o non è più funzionale per colpa di una grave patologia.La milza ricopre diverse funzioni:

  • combatte le infezioni, controllando la presenza di agenti patogeni in circolo (batteri e particelle estranee) e producendo anticorpi e globuli bianchi;
  • favorisce la maturazione dei globuli rossi (eritrociti);
  • ripulisce il sangue dai globuli rossi invecchiati (un globulo rosso ha una vita media di 120 giorni) o danneggiati;
  • è una riserva di ferro, di piastrine e di globuli bianchi.

Quando si esegue una splenectomia parziale o totale?
L’intervento di splenectomia viene messo in pratica alla comparsa di una delle seguenti condizioni o patologie:

  • Rottura della milza. Causata da un trauma addominale, provoca un’emorragia interna, che, se non viene bloccata, può portare alla morte. La splenectomia rappresenta, molto spesso, l’unica soluzione valida per interrompere la perdita di sangue.
    La splenomegalia, condizione patologica in cui la milza è ingrossata, è uno dei fattori favorenti la rottura della milza, in quanto quest’ultima è più esposta agli urti a causa delle notevoli dimensioni.
  • Malattie del sangue. Alcune gravi malattie del sangue, come l’anemia falciforme, la talassemia, la policitemia vera o la porporatrombocitopenica idiopatica, possono richiedere la splenectomia. La decisione di rimuovere la milza, tuttavia, viene presa solo dopo che tutti gli altri trattamenti possibili non sono andati a buon fine.
  • Tumori. Determinate neoplasie, come la leucemia linfatica cronica, il linfoma di Hodgkin, il linfoma non-Hodgkin o la leucemia a cellule capellute, possono interessare anche la milza, causandone un suo ingrossamento (splenomegalia). Come nel caso precedente, se tutti i trattamenti attuati per la cura della splenomegalia sono inefficaci, è necessario ricorrere alla splenectomia.
  • Infezioni. Alcuni agenti patogeni (virus, batteri e parassiti) possono infiammare la milza, provocando splenomegalia. Se le infezioni sono molto serie e i trattamenti sono inefficaci, il rimedio ultimo è rappresentato dall’asportazione dell’organo infiammato. Alcuni esempi di patogeni, che provocano splenomegalia (e che potenzialmente potrebbero richiedere splenectomia), sono il plasmodio della malaria (un parassita) ed il batterio della sifilide.
  • Cisti o tumori benigni. La milza può sviluppare delle cisti o dei tumori benigni, che ne alterano la normale anatomia. Se queste malformazioni sono di dimensioni elevate o se la loro completa rimozione chirurgica è impossibile, l’unico rimedio attuabile è la splenectomia.
  • Casi particolari. In rarissime occasioni, la milza può ingrossarsi senza un causa precisa, o meglio senza una causa documentabile attraverso i test diagnostici. In questi casi, impostare un terapia è difficile, perché non si sa quale sia il fattore scatenante. Pertanto, l’unico rimedio, per evitare le complicazioni della splenomegalia, è rappresentato dalla splenectomia.

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Rischi legati all’asportazione chirurgica parziale o totale della milzaGrazie ai progressi della medicina, la splenectomia è, ormai, un’operazione sicura. Tuttavia, la sua esecuzione, come quella di un qualsiasi altro intervento chirurgico, presenta dei potenziali rischi, che non vanno sottovalutati. Le quattro più importanti complicanze dell’asportazione della milza sono:

  • emorragie;
  • coaguli di sangue (trombi);
  • infezioni della ferita;
  • lesioni degli organi adiacenti (stomaco, pancreas e colon).

La milza è un organo indispensabile? Cosa succede quando viene asportata la milza?
A causa di tutte le funzioni elencate precedentemente, i pazienti che hanno subìto un intervento di asportazione della milza possono andare incontro ad alcune condizioni particolari. Per approfondire leggi: La milza è un organo indispensabile? Se viene asportata cosa può succedere?

Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo

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Differenza delle lesioni dei legamenti crociato anteriore e posteriore

MEDICINA ONLINE LESIONE LEGAMENTO CROCIATO ANTERIORE POSTERIORE DIFFERENZE LATERALE MEDIALE GINOCCHIO TENDINI MUSCOLI ORTOPEDIA ANATOMIA FUNZIONI GAMBA COSCIA MOVIMENTO.jpgIl legamento crociato anteriore (LCA) ed il legamento crociato posteriore uniscono il femore con la tibia. I legamenti crociati controllano i movimenti di traslazione antero-posteriore tra il femore e la tibia. Il LCA impedisce lo scivolamento in avanti della tibia rispetto al femore, mentre il legamento crociato posteriore (LCP) lo scivolamento indietro. Il LCA controlla anche la rotazione del ginocchio ed impedisce la sua sublussazione nei movimenti di rotazione della gamba.

Lesione del legamento crociato anteriore

La lesione del legamento crociato anteriore avviene quando il ginocchio viene forzato in rotazione od in iperestensione. La maggior parte delle lesioni è legata all’attività sportiva.

Nell’immediato il paziente:

  • avverte uno schiocco (crac) quando il legamento si rompe;
  • avverte dolore e deve abbandonare l’attività;
  • sviluppa una tumefazione entro poche ore dovuto al sanguinamento all’interno del ginocchio (può anche non essere presente);
  • sente il ginocchio instabile.

I sintomi della fase cronica sono: dolore, gonfiore e cedimento. Il dolore e il gonfiore solitamente si risolvono dopo due-quattro settimane, ma può persistere l’instabilità.
All’inizio, i sintomi possono essere avvertiti soltanto praticando attività sportiva ma in seguito si possono manifestare anche nelle attività quotidiane.
L’instabilità cronica può portare all’insorgenza di lesioni della cartilagine articolare ed all’instaurarsi precoce di artrosi per i movimenti anormali tra femore e tibia. Il LCA è dotato di una scarsa vascolarizzazione che ne impedisce la guarigione in caso di rottura. L’unica possibilità terapeutica è rappresentata quindi, in questo caso, dalla sua ricostruzione.

Lesione del legamento crociato posteriore

Il legamento crociato posteriore (LCP) agisce specularmene rispetto al legamento crociato anteriore e limita la traslazione posteriore della tibia. Questo legamento si lesiona generalmente per traumi ad energia, più frequenti incidenti stradali o per traumi a bassa energia, più frequenti negli sport. La lesione risultante si può classificare come isolata, quando riguarda solo legamento posteriore o combinata/associata quando si lesionano anche altre strutture capsulari e/o legamentose.

Le lesioni del legamento crociato posteriore sono di solito meglio tollerate rispetto a quelle del Legamento crociato anteriore, la rottura isolata del legamento posteriore non causa infatti fenomeni di instabilità articolare ma solo un a sintomatologia dolorosa di intensità variabile ed un’alterazione della normale motilità/meccanica articolare che si può produrre nel tempo in un aumentato rischio di alterazioni/usura/lesioni a carico della cartilagine articolare e dei menischi. Le lesioni associate o combinate di altri legamenti causano una a instabilità articolare che può essere presente anche nelle attività quotidiane.

La diagnosi di lesione/rottura del legamento crociato posteriore è basata sulla valutazione clinica mirata con test specifici integrato da esami strumentali come la RMN e la radiografie sotto stress. La RMN è di particolare utilità in fase acuta quando la valutazione clinica e più difficoltosa e può consentire nei casi cronici di valutare anche l’evoluzione della cicatrice del Legamento nelle lesioni incomplete, le radiografie sotto stress consentono di valutare e di misurare quanto la tibia si sposti posteriormente.

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Rottura della milza: cosa si prova e qual è la terapia?

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma ROTTURA DELLA MILZA PROVA TERAPIA SINTOMI Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari An Pene.jpgIn un precedente articolo, ci eravamo chiesti dove si trova, com’è fatta ed a cosa serve la milza, oggi invece cercheremo di capire quello che succede quando si verifica la “rottura della milza”.

Un organo frequentemente sottoposti a traumi
La milza è un organo che si danneggia frequentemente in caso di traumi a livello toracico-addominale o per traumi in altri distretti che si o si ripercuotono indirettamente su di essa. Tra tutti, la milza è infatti l’organo interno più frequentemente leso nei traumi toraco-addominali, questo a causa:

  • della sua fragilità intrinseca;
  • della ricca vascolarizzazione;
  • della sua posizione;
  • della presenza di un lungo peduncolo vascolare (arteria e vena lienale);
  • della connessione ai vari legamenti che le trasmettono sollecitazioni provenienti da altri organi.

Quali sono le cause di rottura della milza?
Come abbiamo appena visto, la rottura della milza può essere causata da traumi violenti (come incidenti stradali, un pugno molto forte, un proiettile…). Tuttavia ci sono delle circostanze, non così rare, in cui la milza diviene particolarmente suscettibile alla rottura, anche a seguito di traumi modesti o insignificanti, come un colpo di tosse, uno starnuto, un conato di vomito, lo sforzo alla defecazione, od una palpazione troppo vigorosa dell’organo. In genere, il rischio di rotture spontanee o secondarie a traumi minimi è elevato in caso di splenomegalia (ingrossamento della milza), specie se severo. Ecco allora che la rottura della milza diviene più comune nel corso di alcune malattie, come la mononucleosi infettiva, la malaria, la schistosomiasi, la cirrosi, le anemie emolitiche (es. talassemia), il morbo di Gaucher, la sarcoidosi, la leucemia a cellule capellute, la leucemia cronica mielogenica, la leucemia cronica linfocitica ecc. Per questa ragione, in questi individui (per es. ai ragazzi affetti da mononucleosi infettiva) la pratica di sport di contatto o ad alto rischio di traumi è caldamente sconsigliata dai medici.

Leggi anche: La milza è un organo indispensabile? Se viene asportata cosa può succedere?

Cosa si prova in caso di rottura della milza?
In presenza di un trauma violento dell’addome il paziente lamenta un dolore intenso in questa regione (ipocondrio sinistro, quadrante supero-laterale sinistro dell’addome), che si irradia alla spalla omolaterale (sinistra) ed è aggravato dalla palpazione. Le pareti addominali appaiono ipercontratte e l’addome disteso per l’accumulo di sangue nella cavità addominale; inoltre, il sanguinamento interno porta gradualmente ad uno stato si shock emorragico, segnalato da sintomi come pallore, ansietà, tachicardia, stordimento e confusione. Non sempre, però, le manifestazioni cliniche della rottura splenica si instaurano così precocemente; l’emorragia, infatti, può non essere immediata ma verificarsi in un secondo tempo, con una latenza di qualche giorno dal trauma ed insorgenza tardiva dei disturbi, anche a distanza di 6-7 giorni dall’incidente. Naturalmente, la rottura della milza può essere isolata o associata a lesioni di altri organi, che complicano le manifestazioni cliniche e la prognosi; quando vi è associazione con lesioni di altri organi, la mortalità per rottura splenica è elevata (10-20%), mentre in caso di lesione isolata la mortalità si aggira al 4%.

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Come si fa diagnosi di rottura della milza?
I mezzi diagnostici essenziali sono la TAC e l’ecografia, che avvalorano il sospetto emerso dall’esame fisico del paziente; anche il lavaggio peritoneale ha un’importante utilità diagnostica (si introduce un piccolo catetere, un tubicino di plastica flessibile, nell’addome, per aspirare ed analizzare il liquido aspirato ricercando la presenza di sangue).

Emergenza medica o terapia conservativa
Le lesioni spleniche possono essere lievi o di grossa entità; a seconda della gravità della situazione le possibili terapie sono quella conservativa o quella chirurgica. A tal proposito leggi: Rottura della milza: terapia conservativa o chirurgica?

Per approfondire sulla terapia chirurgica che consiste nella rimozione della milza, leggi questo articolo: Splenectomia parziale e totale: perché si esegue e quali sono i rischi

Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo

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