Oggetto transizionale in bambini ed in età adulta: quali sono e loro significato

MEDICINA ONLINE OGGETTO TRANSIZIONALE COPERTA DI LINUS ADULTA BAMBINO ADULTI.jpgCom’è noto, buona parte del tempo del neonato è speso per dormire, infatti ad ogni poppata segue un periodo di sonno. Le cose cambiano man mano che il bambino cresce (e con lui il suo sistema nervoso). Il tempo di veglia aumenta progressivamente. Questo tempo varia da bambino a bambino e non è di nessuna utilità fare forzature. L’unica cosa utile è verificare l’eventuale insorgenza di qualche problema, spesso segnalata dal pianto. In questi casi l’adulto interviene fornendo al piccolo dei ninnoli con cui distrarsi, oppure cullandolo cantando una canzoncina. I ninnoli, ovvero gli oggetti (orsacchiotti, bambole, stoffe, etc) che vengono usati sono chiamati transizionali (termine coniato da Donald Woods Winnicott). Questi oggetti, che ricordano la mamma o la figura di attaccamento, rappresentano per il neonato un valore particolare perché per lui è la prima cosa che possiede. Questo oggetto, importante per lo sviluppo, rappresenta anche il primo contatto con la realtà.

Dormire significa separazione

Crescendo, il bambino dorme meno e mostra sempre maggiore interesse per il mondo che lo circonda. Questo interesse lo porta ad avere meno desiderio di dormire. Anche se ai genitori potrebbe non essere comodo, in realtà evidenzia che la crescita sta procedendo bene  e quindi se ne dovrebbero compiacere. Tuttavia alcuni conflitti divengono necessari. Andare a letto diviene sempre più difficile e sorgono i primi capricci. Quando gli  adulti impongono le ninne, il piccolo si sente allontanato dal mondo relazionale. L’andare a dormire si associa con una crescita di ansia: il bambino, costretto ad andare a letto potrebbe avvertire la paura della separazione, cioè la paura che il rapporto con il mondo possa cessare.  Dormendo tutto scompare e quindi anche l’oggetto del proprio amore. Il bambino crescendo non si addormenta da solo : il sonno deve essere indotto attraverso atti preparativi graduali che possono favorire il suo rilassamento. Ecco quindi che si raccontano storie, oppure si cantano ninne nanne, il tutto in un ambiente adatto. In tutto questo, il bambino comincia a crearsi un rituale, propedeutico al sonno e se questo non accade, lui non si sente rassicurato. Abbandonarsi al sonno – un momento in cui siamo inermi – nei bambini così come per l’adulto, implica un atto di fiducia verso il mondo e le persone che ci circondano. Per il bambino, nel rituale c’è sempre quello di affidarsi ai famosi oggetti citati sopra (transazionali) che essendo stati caricati affettivamente hanno il potere quasi magico di facilitare il sonno e la fiducia verso l’ambiente circostante (anche se non è la propria cameretta).

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L’oggetto che compensa la perdita

L’oggetto che il bimbo stringe a se quando sta per addormentarsi, allontana la paura della separazione dal mondo relazionale. Quindi la distruttività di una separazione o di una perdita che si teme possa avvenire addormentandosi, viene compensata e risolta tramite l’oggetto che rimane stretto a se. Questi oggetti transizionali quindi, hanno un significato fondante per lo sviluppo psico affettivo e sociale del bambino, al punto che difficilmente ce se ne separa dal momento che diviene anche la prima esperienza di qualcosa che non è l’IO. Questo oggetto fa quindi da ponte tra oggetto (che ancora non viene percepito come esterno) e soggetto. In questa fase (parliamo di un bimbo tra i 6 mesi e i due anni) si esperisce una presenza esterna (la realtà) come sconosciuta o estranea  che però tangibilmente, giorno dopo giorno, si sente di riuscire ad afferrarne sempre maggiori dettagli. Di pari passo man mano che si comincia a percepire se stessi (l’io), si allenta la totale dipendenza dalla mamma.

L’oggetto transizionale è un ponte tra dentro e fuori

Winnicott, il quale faceva parte della società psicoanalitica britannica, parte ovviamente da Freud. Il punto cardine è la fantasia, con cui gli esseri umani cercano di compensare una realtà frustrante e alla perenne ricerca di una sintesi tra realtà interna ed esterna. Lavorando su queste due realtà , Winnicott sosteneva che l’uomo utilizza oggetti esterni (transazionali) rappresentandoli come ponte tra il dentro e il fuori. Nel dentro, quindi nel soggetto con la propria realtà psichica; nel fuori e quindi nell’oggetto esterno ovvero nella realtà esterna. La mamma deve quindi inserirsi in questa dinamica al fine di autonomizzare il piccolo cercando di inserire una distanza che gradualmente cresce permettendo una lenta ma inesorabile separazione associata ad un aumento della fiducia verso la realtà esterna. Fallire in questo delicatissimo processo, vorrebbe dire condannare il bambino ad una simbiosi da cui difficilmente potrà dar luogo ad una identità separata. L’oggetto transizionale diviene quindi il ponte che gli permette il processo di differenziazione e quindi indipendenza dalla madre. Grazie a questa declinazione si può aggiungere che la cultura e il gioco non sono illusioni ma momenti di crescita. L’orsacchiotto quindi non è un mero oggetto, ma caricato dell’affettività citata sopra diviene un possesso. Si possiede un qualcosa che non è me, che non sta dentro me e che, fungendo da ponte, lega il fuori con il dentro, il me e il non me. Quindi l’oggetto transizionale non è un oggetto interno, ma neanche un oggetto esterno: allora cos’è? E’ una transizione tra i due.

Gli oggetti transizionali negli adulti

L’oggetto transizionale può a volte venir preso come un oggetto feticistico e rimanere vivo nella vita sessuale adulta. Ci troviamo di fronte ad un oggetto che è stato troppo investito e non è stato quindi posto nel mondo dei ricordi ma viene utilizzato come un sistema per negare eventuali vissuti di perdita o di separazione o di entrambi. Alcuni esempi tipici usati dagli adulti li possiamo trovare ad esempio nella sigaretta, come sostituto del ciuccio, nel toccarsi i propri capelli quando questo gesto lo faceva la nostra mamma per rassicurarci e farci addormentare, oppure nel bere la birra dalla bottiglia, ottima riproduzione del biberon. Questi solo quelli classici ma basta vedere il comportamento degli altri e focalizzarsi su quelli ripetitivi (toccarsi il lobo, il naso, il nodo della cravatta, la testa, etc) per rendersene conto. Oggi, grazie alla nostra modernissima era tecnologica, i bambini che una volta giocavano nel cortile, si relegano in cameretta e passano il loro tempo tra pc, video gioco e ipod anche perché i genitori si sono allontanati da loro. Il cellulare diviene la nuova “coperta di linus” che permette di relazionarsi con amici lontani (e non quelli del vecchio cortile che ahimè non esiste più) ma anche per evitare il controllo dei genitori e degli adulti in genere. La “coperta di linus” può infine anche essere legata alla dipendenza affettiva. Stare con una persona anche se non amata né desiderata, può essere una valida variante. Quella persona diviene un oggetto transizionale e non un partner.

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Bimbi sempre più digitali: bravi col pc ma non sanno nuotare né andare in bicicletta

MEDICINA ONLINE HIKIKOMORI DIPENDENZA INTERNET GIOVANI BAMBINI PC COMPUTER INTERNET WEB MASTURBAZIONE COMPULSIVASempre più “tecnologici” ma meno inclini al movimento e alla vita all’aria aperta. È questo il profilo dei bambini di oggi, realizzato da Avg, azienda informatica specializzata in software di protezione, secondo cui i piccoli sono molto più bravi ad usare il pc e oggetti affini che ad andare in bicicletta. Il triste scenario emerge da un sondaggio svolto dalla società su 2200 mamme con bimbi di età compresa tra i 2 e i 5 anni, residenti in 10 Paesi diversi, Italia compresa. Confrontando le abitudini dei piccoli emerge che il 58% di essi, prevedibilmente, è in grado di utilizzare il computer per giocare. Tuttavia, è inferiore la percentuale di chi invece sa andare in bicicletta (52%). Inoltre, a conferma della tendenza, dei bambini tra i 2 e i 5 anni il 19% sa giocare con uno smartphone mentre solo il 9% sa allacciarsi le scarpe da solo. Allo stesso modo, il 25% sa aprire un browser e navigare ma solo il 20% sa nuotare.

Poche sono le differenze legate al sesso. Qualcosa cambia invece da stato a stato. Ad esempio, i bambini italiani sono più bravi col cellulare, mentre quelli inglesi con i videogiochi e i francesi col computer. Lo studio ha riguardato anche le mamme e ha registrato come le più giovani, rispetto alle over 35, sono meno propense a insegnare concrete abilità manuali ai loro figli, come scrivere il proprio nome. Meno pazienza o meno tempo? Il rischio è quello di invertire le tappe della crescita dei bambini. “Ci sono tre compiti fondamentali che un bambino deve svolgere nei primi 5-6 anni di vita: imparare a muoversi, socializzare e imparare a parlare – ha detto Anna Oliverio Ferraris, professore ordinario di psicologia dello sviluppo all’Università La Sapienza di Roma -. Se lo si avvicina troppo precocemente al mondo virtuale rischia di non avere completato questa crescita”.

Genitori avvertiti. Ok alla tecnologia, ma non dimentichiamo di portare i nostro pargoli a fare una bella passeggiata in bici.

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Epilessia infantile: come comportarsi col proprio figlio?

Dott. Loiacono Emilio Alessio Medico Chirurgo Medicina Chirurgia Estetica Roma Cavitazione Pressoterapia  Massaggio Linfodrenante Dietologo Cellulite Dieta Sessuologia Sex PSA Pene Laser Filler Rughe Botulino BAMBINI TABLET SCRIVERE DIFFICOLTACon alcune semplici misure di sicurezza il bambino affetto da epilessia è in grado di vivere una vita assolutamente normale e compiere le stesse attività dei suoi coetanei, come giocare, fare sport ed in generale di dedicarsi a tutte quelle attività adatte alla sua fascia d’età.

Epilessia e sport nei bambini

I genitori di soggetti epilettici spesso si preoccupano che l’esercizio o un’attività sportiva possa peggiorare le convulsioni dei propri figli, ma raramente questo scatena un episodio. Anzi, un’attività fisica regolare può migliorare il controllo degli episodi. Anche praticare sport sicuri può essere estremamente salutare per il benessere fisico, mentale ed emozionale. È sempre importante invece evitare traumi legati allo sport, perché possono aumentare il rischio di convulsioni.

Precauzioni

È importante assicurarsi che gli altri adulti che si prendono cura di vostro figlio (i parenti, le babysitter, gli insegnanti, gli allenatori, …) sappiano che vostro figlio ha l’epilessia, comprendano il disturbo e sappiano che cosa fare in caso di convulsioni. Date a vostro figlio tutto l’aiuto necessario, parlate apertamente dell’epilessia e rispondete con sincerità a tutte le domande. I bambini affetti da epilessia possono provare disagio per le convulsioni o temere di avere un attacco quando sono a scuola o con gli amici. Prendete in considerazione l’opportunità di portare vostro figlio da uno psichiatra infantile o da uno psicologo, se si trova a dover combattere contro queste ansie. Per prevenire le convulsioni, accertatevi inoltre che vostro figlio:

  • assuma il farmaco o i farmaci seguendo la prescrizione;
  • eviti di smettere di prendere il farmaco solo perché è da tanto tempo che non si verifica un attacco;
  • eviti le cause scatenanti (come ad esempio la febbre, la stanchezza o una notte insonne);
  • proceda regolarmente alle visite specialistiche programmate, anche se si sta rispondendo bene alla terapia.

Per gestire al meglio l’epilessia sono diversi i fattori importanti: è necessario alimentarsi e riposare correttamente e non essere stressati. Dovreste anche prendere altre precauzioni di buon senso, che vi permetteranno di controllare meglio la malattia di vostro figlio e non correre rischi inutili. Ad esempio:

  • i bambini più piccoli devono fare il bagno solo sotto sorveglianza di un adulto;
  • i bambini più grandi devono fare la doccia o il bagno soltanto quando c’è qualcuno in casa con loro, che possano intervenire in caso di attacco;
  • preferire la doccia al bagno;
  • nuotare o andare in bicicletta da soli non sono buone idee per i bambini malati di epilessia (però possono divertirsi in sicurezza, se svolgono queste attività insieme ad altre persone). Quando vanno in bici è necessario che indossino il casco.

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Differenze tra neonati allattati con latte materno ed artificiale

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1) I neonati allattati al seno prendono meno peso e mangiano più spesso. Quando si allatta al seno si ha l’impressione che il bambino abbia sempre fame e sia meno in carne di quello della nostra amica che allatta con il latte artificiale. Questo accade per varie ragioni. La prima è perché il latte materno è più leggero e digeribile per il neonato, l’assorbimento è migliore, quindi i tempi di svuotamento gastrico sono più veloci e la fame torna prima. Invece la composizione chimica del latte artificiale rimane un po’ più indigesta al neonato dando una sensazione di sazietà più lunga e facendogli accumulare più peso. Ma il peso non va confuso con la buona salute. La seconda ragione è che un neonato allattato al seno vive il momento del nutrimento come un momento di coccole e contatto con il seno materno, quindi a volte vorrà stare al seno non per fame, ma solo per avere quel tipo di legame con la mamma.

2) I neonati allattati al seno hanno difese immunitarie più alte. Rientra tra i maggiori benefici del latte materno, attraverso il quale passano gli anticorpi della mamma che lo proteggono dalle infezioni.

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3) I neonati allattati al seno sviluppano un apparato digerente più sano e soffrono meno di colichette, reflussi e stitichezza. Questo accade non solo perché il latte materno è l’unico alimento totalmente digeribile per il neonato, ma anche perché questi disturbi hanno una grossa componente psicosomatica, legata al distacco dal corpo materno. L’allattamento al seno attutisce questo trauma, regalando attimi di stretto contatto fisico con la mamma, di cui il neonato ha assolutamente bisogno nella esogestazione. Per evitare questa psicosomatica nei neonati allattati artificialmente è importante che le mamme li tengano comunque a stretto contatto pelle a pelle più volte al giorno.

4) I neonati allattati al seno hanno un minore rischio di sviluppare intolleranze e allergie alimentari dopo lo svezzamento proprio grazie al migliore sviluppo del loro apparato gastro intestinale.

5) I neonati allattati al seno sono più intelligenti. Ci sono alcuni studi che dimostrano come gli acidi grassi presenti solo nel latte materno avrebbero un ruolo fondamentale nell’ottimale sviluppo del cervello e del potenziale intellettivo, quindi come conseguenza un migliore sviluppo cognitivo. Senza escludere che questo possa essere determinato anche da un migliore legame con la madre che si instaura proprio attraverso questa pratica, rendendo i bambini più felici, quindi sereni e predisposti all’apprendimento.

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Differenze tra bambini nati con cesareo e quelli con parto naturale

MEDICINA ONLINE VAGINA DONNA BACIO SESSULITA GRAVIDANZA INCINTA PARTO NATURALE CESAREO SESSO COPPIA AMORE TRISTE GAY OMOSESSUAANSIA DA PRESTAZIONE IMPOTENZA DISFUNZIONE ERETTILE FRIGIDA PAURA FOBIA TRADIMENTO RAPPORTO AMISe un bambino nasce da cesareo c’è stato motivo di pensare che nel corso del parto ci sarebbe stata un’elevata possibilità di riscontrare problemi. Infatti la prima indicazione al parto cesareo è la rilevazione di sofferenza fetale mediante la mancanza di movimenti fetali attivi percepiti dalla mamma, in corrispondenza di conferme del sospetto diagnostico da parte delle indagini strumentale, come il riscontro di alterazioni cardiotocografiche importanti o risultati ecografici che mettono in evidenza una situazione fortemente a rischio. Dunque, non è corretto pensare che i bambini nati da cesareo siano necessariamente meno sani dei bambini nati da parto naturale, perché la scelta dell’uno o dell’altro viene fatta solo in corrispondenza alla presenza o assenza di complicazioni. C’è da dire, anche, che esiste un vantaggio non trascurabile, che è il motivo per cui le ostetriche, principali sostenitrici del parto naturale in quanto sono specialiste in materia di fisiologia, con l’aiuto degli altri operatori sanitari coinvolti nella gravidanza e il parto, stanno battendosi in maniera sempre più convinta affinché non ci siano cesarei inutili, dando la possibilità sia alla mamma che al bambino di trarre tutti i benefici di un parto naturale.

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Chi nasce da parto naturale raggiunge, innanzitutto, una maturità che fisiologicamente e in maniera quasi automatica porta all’inizio delle contrazioni che conducono, a loro volta pian piano, al travaglio attivo e poi al parto. Il cesareo, a meno che non sia dovuto all’insorgenza di sofferenza fetale nel corso del travaglio, generalmente viene eseguito secondo tempi prestabiliti (cesareo elettivi) e sicuramente viene meno il rispetto dei tempi fisiologici in cui deve avvenire la nascita del bambino. Inoltre, i bambini nati da cesareo presentano una costituzione del microbioma differente rispetto a chi nasce da parto naturale. Il microbioma è l’insieme dei miliardi di batteri che vivono nel nostro organismo e che sono fondamentali per la difesa di quest’ultimo. Sono diverse le ricerche scientifiche che evidenziano come il parto naturale insieme al contatto immediato con la madre subito dopo la nascita e all’allattamento al seno, diano al bambino maggiori possibilità di sviluppare un sistema immunitario sano, ed efficiente. È chiaro dunque che dover fare a meno di determinati passaggi naturali a cominciare dalla nascita, fino all’attaccamento al seno materno il più precocemente possibile, lascia il sistema immunitario del bambino nato con cesareo, debole e compromesso rispetto ad un bambino nato da parto naturale. In questi due casi, come detto prima, il microbiota intestinale sviluppato dal bambino nato da cesareo risulta diverso diverso da quello di un bambino nato mediante parto naturale, ed il motivo è essenzialmente il mancato contatto con il microbiota vaginale.

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Di conseguenza i bambini nati da cesareo hanno un sistema immunitario differente nella sua composizione, e ciò li rende più suscettibili ad alcuni agenti patogeni, e considerando anche il fatto che un sistema immunitario è una barriera considerata tanto forte ed invalicabile, quanto il numero di patogeni con cui è venuto a contatto, possiamo capire quanto questo mancato contatto con i batteri vaginali alla nascita e la mancata colonizzazione da parte dei batteri materni durante il contatto immediato dopo il parto con la pelle ed il seno materno (cosa che durante il parto cesareo non avviene) differenzi sostanzialmente l’efficienza del sistema immunitario dei bambini a seconda della modalità di nascita con cui vengono al mondo. Ecco il motivo per cui, i bambini nati da cesareo così come quelli allattati artificialmente sono maggiormente portati ad essere soggetti allergici o intolleranti ad alcune sostanze, ed è molto più frequente che soffrano di patologie o alterazioni di funzionalità a livello gastrointestinale. È importante precisare che questo non significa che chi nasce da cesareo non è un bambino sano, semplicemente avrà un sistema immunitario meno efficiente.

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Ma partendo dalla premessa fatta prima e considerando il fatto che il parto cesareo viene praticato solo nel caso in cui il bambino o la mamma sono a rischio della propria vita è meglio accettare di avere un deficit di questo tipo piuttosto che problemi ben più gravi. E’ proprio per questo che gli operatori sanitari devono impegnarsi a far riconoscere di nuovo tutta la fisiologia della gravidanza e del parto, evitando di sostituire una nascita naturale con un taglio cesareo che si potrebbe tranquillamente non fare. Questa eccessiva medicalizzazione rischia di non far conoscere alle donne quanto sia importante un parto naturale per loro e per il proprio bambino. Rivolgersi a un’ostetrica per prepararsi al parto mediante i corsi di accompagnamento alla nascita favorisce la conoscenza e la consapevolezza delle proprie capacità e della corretta gestione del travaglio e del parto. È bene informarsi consultando l’ostetrica, in modo tale da poter vivere questo momento attivamente, partecipando in maniera naturale e consapevole al parto, e compiendo il primo grande gesto di una mamma, che consiste nell’aiutare il proprio bambino a nascere.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
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Tagliarsi e sentirsi meglio: come vincere l’autolesionismo

MEDICINA ONLINE TAGLIARSI CUTTING ADOLESCENTE AUTOLESIONISMO FERITA TAGLIO POLSO SANGUE MALE DOLORE MORTE MORIRE AIUTO.jpgIl termine “autolesionismo” deriva dall’unione di due parole: “auto” che significa “sé stesso” e “ledere” che vuol dire “danneggiare”. Chi compie un “atto di autolesionismo” quindi compie un gesto che ha l’obiettivo di danneggiare il proprio corpo, come ad esempio procurandosi volontariamente una ferita o una lesione. L’autolesionista non ha in genere l’obiettivo reale di suicidarsi, bensì solo quello di creare un danno a sé stesso, tuttavia non è raro che un atto lesivo porti alla morte, ad esempio perché ha determinato una grave emorragia (come succede quando si lesiona una arteria). Le lesioni sono rappresentate non solo da “tagli”, ma anche con altri metodi, come morsi, bruciature, percosse, provocazione volontaria di fratture e vomito. Se gli atti di autolesionismo diventano frequenti e pericolosi, l’autolesionismo configura un vero e proprio disturbo di interesse psichiatrico.

Quali sono i soggetti più a rischio?

A soffrire prevalentemente di autolesionismo sono gli adolescenti, specie di sesso femminile perché – secondo alcuni – la scelta di farsi del male più è legata a motivi socio-culturali in base ai quali le donne sarebbero educate alla repressione di ogni forma di sfogo fisico e secondo cui gli uomini, invece, sarebbero più naturalmente propensi a dare sfogo ai propri istinti, anche violenti. Questa spiegazione sarebbe comunque, per molti ricercatori, non esatta. Secondo alcuni studi l’età in cui si manifestano con maggiore frequenza episodi di ritorsione fisica verso sé stessi è quella tra le medie e l’inizio del liceo, quindi tra gli 11 ed i 15 anni, età in cui le ragazze si trovano ad affrontare tutta una serie di cambiamenti sociali e fisici, quindi sono quindi più sensibili e vulnerabili, soprattutto nella fase delle prime “cotte” adolescenziali. Superata questa critica fascia di età, i tentativi di autolesionismo diminuiscono drasticamente. Nonostante siano diffusi più tra le femmine, anche i maschi possono compiere atti di autolesionismo, specie nella fascia di età tra i 12 ed i 16 anni.

Quali sono le cause?

Non è semplice trovare delle cause specifiche per un problema così complesso. Probabilmente si tratta di un insieme di motivi legati tipicamente a:

  • situazioni di bullismo di cui chi si autolesiona è vittima (a scuola o in altre attività con i coetanei),
  • delusione amorosa,
  • sensazione di essere meno capaci di altri,
  • percezione distorta del proprio corpo (ci si vede grassi quando non lo si è),
  • problemi familiari,
  • sensazione di inutilità,
  • necessità di sentirsi “vivi”,
  • voglia di stupire gli altri o di sfidare le regole,
  • patologie psichiatriche come depressione e disturbi di personalità,
  • cattiva condotta scolastica,
  • sensazione di essere rifiutato o emarginato dagli altri,
  • il non accettare i propri difetti estetici,
  • incapacità di gestire le difficili emozioni tipiche dell’adolescenza,
  • seguire la moda “emo”,
  • di scarsa autostima.

Una delle cause può essere lo stress post traumatico: si tratta di una condizione in cui il soggetto colpito soffre di una serie di disturbi psicologici, a seguito di esperienze traumatiche vissute durante l’infanzia, l’adolescenza o nell’età adulta come l’aver subito violenze sessuali, maltrattamenti fisici, incidenti stradali o calamità naturali. L’individuo in questi casi può sentirsi in colpa per quanto accaduto e avverte il bisogno di punirsi per qualche comportamento, azione o semplicemente pensiero. In alcuni casi risulta essere semplicemente un modo per attirare l’attenzione su di sé, quando l’adolescente è, o pensa di essere, poco importante per amici e famigliari oppure quando ha un disagio interiore ed è convinto che nessuno se ne accorga.

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Capire che un adolescente è un autolesionista

Spesso è difficile per amici e famigliari capire che un giovane sia un autolesionista, anche se alcuni segni possono effettivamente indicarlo, come:

  • improvvisi cambi dell’umore,
  • picchi di rabbia,
  • tendenza all’isolamento,
  • possesso di oggetti taglienti inappropriati,
  • ferite o lividi inspiegabili,
  • abiti lunghi anche quando fa caldo (per coprire i segni delle lesioni).

Come vincere il desiderio di autolesionismo

Il primo fondamentale passo da compiere per sconfiggere l’autolesionismo è ammettere di esserne affetti e già questo è purtroppo un gesto molto difficile da compiere. Può essere di aiuto cercare dei gruppi di sostegno, anche online, dedicati proprio a chi soffre di questo disturbo. Capire di non essere da soli infatti è già molto importante e parlare con chi ha affrontato lo stesso percorso e provato le stesse sensazioni può essere un utile supporto per trovare la forza di ammettere e condividere il proprio problema anche con la famiglia e gli amici. Lo psicoterapeuta ed il neuropsichiatra infantile possono fare molto per aiutare il giovane.

Se pensate di soffrire di autolesionismo, è possibile mettere in atto già da subito alcuni comportamenti volti a tenere sotto controllo l’autolesionismo, come ad esempio:

  • Annotare tutte le volte in cui avverti il desiderio di autolesionismo. Il fattore scatenante è ciò che ti spinge a provare il desiderio di arrecare danno a te stesso o di metterti in una situazione di pericolo. Per individuare tutti i fattori scatenanti, annota in un quaderno l’episodio che ha preceduto l’ultimo atto di autolesionismo.
  • Fare una lista delle azioni alternative da compiere al posto di ferirsi, azioni da mettere in atto ogni volta si avverte lo stimolo a tagliarsi, bruciarsi o rompersi le ossa.
  • Impegnarsi a provare amore per sé stessi. Pensa a te stesso come a qualcuno che ami e di cui ti preoccupi, vulnerabile e meritevole di prendersi una pausa.
  • Chiamare un amico per fare due chiacchere, in modo da tenere lontano il pensiero di ferirsi, o semplicemente uscire di casa appena sorge il desiderio di farsi del male.
  • Curare il proprio benessere: dormi a sufficienza, dalle sette alle otto ore per notte in base alle tue necessità. Sforzati di avere uno schema orario il più possibile invariato. Alimentati in modo adeguato.
  • Liberarsi o rendere di difficile accesso gli strumenti che di solito si usano per ferirsi.
  • Avvertire altre persone: se pensi di stare per compiere gesti di autolesionismo ma sei ancora abbastanza “lucido”, avverti un amico o un parente che stai per farti del male. Se non hai nessuno da avvertire, contatta le forze dell’ordine.
  • Sostituire l’agente lesivo. Se proprio non riesci a controllarti, sostituisci il tuo atteggiamento autolesionista con delle esperienze in parte dolorose ma fondamentalmente non dannose. In questo modo, potrai “farti del male” anche se le tue azioni non sono effettivamente pericolose. Ad esempio, anziché ricadere in atteggiamenti più pericolosi, fai scivolare un cubetto di ghiaccio nella tua maglietta, mangia qualcosa di molto piccante o fai una doccia fredda.
  • Fare con regolarità una qualche attività sportiva che aiuti a ridurre lo stress, va bene anche lo yoga.
  • Dedicare ogni giorno un po’ di tempo ad un hobby o un attività che favorisca il rilassamento.

Per allontanarti dai sentimenti negativi, prova infine a vedere te stesso e la situazione che ti sta tormentando come se appartenessero ad un’altra persona. Puoi anche provare a pensare a te stesso in terza persona (ovvero, “questa persona non dovrebbe arrecarsi danno perché rischia di peggiorare le cose”). Da estraneo, forse riuscirai a vedere questi sentimenti forti come qualcosa che non ti appartiene al punto da renderli meno opprimenti.

Se siete genitori o amici di un autolesionista, è importante non reagire con disgusto ai suoi comportamenti, bensì cercare di comprendere i motivi che portano il giovane a comportarsi in questo modo, per affrontarli e risolverli a monte.

Se credi di soffrire di autolesionismo, prenota la tua visita e, grazie ad una serie di colloqui riservati, riuscirai a risolvere definitivamente il tuo problema.

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“Se lo fai ancora, mamma si arrabbia”: il senso di colpa nei bambini

Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo ARRABBIARSI MALE SALUTE CUORE INFARTO ICTUS Dieta Chirurgia Estetica Roma Cavitazione Pressoterapia Grasso Massaggio Linfodrenante Dietologo Cellulite Calorie Peso Sessuologia Pene HD Filler Rughe BotulinoQuesta frase è la tipica espressione utilizzata dai genitori quando il loro bambino sta facendo qualcosa che loro non condividono. Ma è anche la frase che i genitori solitamente utilizzano quando non hanno altre risorse da mettere in atto per gestire alcune situazioni che riguardano il comportamento dei propri figli. Frasi come questa, e più avanti proveremo ad metterne in evidenza altre, sono le tipiche espressioni che producono e in qualche modo instillano il senso di colpa nei propri figli.

Le origini del senso di colpa

Il meccanismo del senso di colpa funziona più o meno così: qualcuno, per es. un genitore, invia un messaggio, destinato a ricordarti che, facendo o non facendo, dicendo o non dicendo una certa cosa, sei stato cattivo. Tu rispondi a quel messaggio, naturalmente, deprimendoti e il meccanismo del senso di colpa ecco qui che si è attivat0. Il senso di colpa viene così a far parte della tua struttura emotiva. Ma come mai da bambini non si è riusciti a respingere i messaggi di colpa che ci sono stati inviati? Probabilmente perché i messaggi provenivano da chi ci stava particolarmente a cuore, come i nostri genitori e non si poteva deluderli. Se qualcuno ci sta veramente a cuore, lo dimostriamo sentendoci in colpa per le cose orribili che pensiamo  aver commesso. Il senso di colpa viene appreso in tenerissima età e persiste nell’adulto come modalità reattiva infantile. Le frasi che lo producono sono innumerevoli: hanno inciso nel bambino e questi, divenuto adulto, ancora se le porta dentro. Le implicazioni contenute in queste frasi possono quindi ancora ferire l’adulto che per esempio delude il capoufficio o persone nella quali egli ravvisi quasi dei genitori. Perciò sentirsi in colpa non significa soltanto crucciarsi per il passato; significa anche essere immobilizzati nel presente a cagione di un evento passato. Inutilmente infatti si continua a consumare energia nel presente, a sentirsi offesi, irritati, depressi per una cosa già successa.

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Frasi che producono senso di colpa

Vediamo alcune tipiche frasi che miranoad aiutare un figlio o una figlia a scegliere il senso di colpa come prezzo dell’appartenenza a quella famiglia:

  • Io mi sono sacrificato per te!: un genitore con essa ti richiama alla memoria tutte le volte che ha dovuto rinunciare alla propria felicità perché tu avessi una data cosa. E tu allora ti domandi come hai potuto essere tanto egoista dopo che ti era stato ricordato di quanto sei debitore.
  • Quindici ore di parto solo per metterti al mondo!: anche qui, ti senti colpevole per aver inflitto tanto dolore alla persona che conta di più, tua madre.
  • Sono rimasto con tua madre solo per amor tuo!: questa frase mira a farti sentire colpevole del brutto matrimonio di tuo padre.
  • Va bene, noi restiamo soli. Tu divertiti pure, come d’altronde hai sempre fatto. Non darti pensiero per noi…: frasi come queste servono ad ottenere che tu ti faccia vivo più spesso, che telefoni o che vai a trovare i tuoi con più regolarità.
  • Ci hai fatto fare una brutta figura! oppure Che penserà la gente di noi?”: forze esterne vengono chiamate in causa perché tu senta il rimorso di ciò che hai fatto e per impedirti di farlo ancora. Anche espressioni come Se ti bocciano ad un esame ci farai fare una pessima figura! potrebbero renderti quasi insopportabile la vita con te stesso dopo un esame andato male.
  • Mi farai morire! oppure Mi farai venire un infarto: in questo caso la malattia di uno dei genitori è una fabbrica che produce un senso di colpa di primissima qualità. Frasi così accollano la responsabilità  di praticamente tutte le malattie tipiche di chi sta invecchiando. Si ha bisogno di spalle ben salde per portare questo senso di colpa perché, potresti averlo tutta la vita e, se sei particolarmente vulnerabile, potresti addirittura sentirti colpevole della morte di uno dei tuoi genitori.
  • Dovresti vergognarti! Leggere riviste simili! Non dovrebbero nemmeno venirti certi pensieri! oppure Non ti stavi mica masturbando? Lo sai che non si fa, è male!: esempi tipici del senso di colpa instillato dai genitori relativamente al sesso.
  • Ti sei dimenticato di dire grazie! Vuoi proprio che i nostri amici pensino che io non ti ho insegnato nulla? oppure Metterti le dita nel naso davanti all’amico di papà! Mi hai messo in imbarazzo!: senso di colpa legato a comportamenti sociali. È possibile però insegnare ad un bambino a comportarsi in maniera accettabile senza instillargli alcun senso di colpa e spiegandogli invece i motivi per cui un dato comportamento è magari socialmente indesiderabile.

Il senso di colpa può alla lunga determinare alcuni disturbi di carattere psicologico come: indecisione, insicurezza, ipocondria e paure di diverso tipo, bassa stima di sé, enorme bisogno di essere considerati e amati.
Per risolvere i disagi psicologici collegati al senso di colpa è necessario certamente un lavoro su di sé, attraverso una psicoterapia mirata a conoscere i propri conflitti e a imparare a gestirli nel migliore dei modi attraverso lo sviluppo di nuove consapevolezze, nuove risorse e nuove competenze.

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Dislessia: i problemi più diffusi nella decodifica del testo e ripercussioni su scrittura ed apprendimento

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma SINDROME DI ASPERGER BAMBINI ADULTI SINTOMI CURE Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata Macchie CapillariPrima di iniziare la lettura, per meglio comprendere l’argomento, ti consiglio di leggere: Dislessia: cos’è, come riconoscerla, come affrontarla e superarla

Le caratteristiche più comuni relative alla decodifica della singola parola o del testo scritto nel bambino dislessico, sono le seguenti (possono non essere tutte presenti contemporaneamente):

  • Scarsa discriminazione di grafemi diversamente orientati nello spazio
    Il soggetto mostra chiare difficoltà nel discriminare grafemi uguali o simili, ma diversamente orientati. Egli, ad esempio, confonde la “p”, la “b”, la “d” e la “q”; la “u” e la “n”; la “a” e la “e”. Nello stampato minuscolo (con cui è scritta questa pagina e tutti i testi dei libri scolastici) sono molte le coppie di grafemi che differiscono rispetto al loro orientamento nello spazio, per cui le incertezze e le difficoltà di discriminazione possono rappresentare un impedimento alla lettura.
  • Scarsa discriminazione di grafemi che differiscono per piccoli particolari
    Il soggetto mostra difficoltà nel discriminare grafemi che presentano somiglianze. Egli, ad esempio, può confondere la “m” con la “n”; la “c” con la “e”; la “f” con la “t”; la “e” con la “a”… questo succede specialmente se si tratta di una scrittura in corsivo o in script.
  • Scarsa discriminazione di grafemi che corrispondono a fonemi sordi e fonemi sonori
    Il soggetto mostra difficoltà nel discriminare grafemi relativi a fonemi con somiglianze percettivo-uditive. L’alfabeto è composto di due gruppi di fonemi: i fonemi sordi e i fonemi sonori, che risultano somiglianti tra loro, per cui anche in questo caso l’incertezza percettiva può rappresentare un ostacolo alla lettura. Le coppie di fonemi simili sono le seguenti:
F V
T D
P B
C G
S sorda S sonora
  • Difficoltà di decodifica sequenziale
    Leggere nella lingua italiana richiede al lettore di procedere con lo sguardo in direzione sinistra-destra e dall’alto in basso; tale processo appare complesso per tutti gli individui nelle fasi iniziali di apprendimento della lettura ma, con l’affinarsi della tecnica, la difficoltà diminuisce gradualmente fino a scomparire. Nel soggetto dislessico, invece, talvolta ci troviamo di fronte a un ostacolo nella decodifica sequenziale, che può essere data da due fattori, spesso presenti contemporaneamente: i “saltelli” oculari citati nel primo paragrafo o la mancanza del concetto di orientamento (di sé, del grafema e della parola) nello spazio. Per cui si manifestano con elevata frequenza i seguenti errori:

    • Omissione di grafemi e di sillabe
      Il soggetto omette la lettura di parti della parola; può tralasciare la decodifica di consonanti (ad esempio può leggere “fote” anziché “fonte”; oppure “capo” anziché “campo”…) o di vocali (può leggere, ad esempio, “fume” anziché “fiume”; “puma” anziché piuma”…) e, spesso, anche di sillabe (può leggere “talo” anziché “tavolo”; “paro” anziché “papavero”…). In alcuni casi capita che questi soggetti leggano la prima parte della parola, mentre la seconda se la inventino o immaginino (vedi “Prevalenza della componente intuitiva”, subito sotto).
    • Salti di parole e salti da un rigo all’altro
      Il soggetto dislessico presenta evidenti difficoltà a procedere sul rigo e ad andare a capo, per cui sono frequenti anche “salti” di intere parole o di intere righe di lettura.
    • Inversioni di sillabe
      Spesso la sequenza dei grafemi viene invertita provocando errori particolari di decodifica della sillaba (il soggetto può, ad esempio, leggere “li” al posto di “il”; “la” al posto di “al”, “ni” al posto di “in”…) e della parola (può leggere, ad esempio, “talovo” al posto di “tavolo”…).
    • Aggiunte e ripetizioni
      La difficoltà a procedere con lo sguardo nella direzione sinistra-destra può dare origine anche a errori di decodifica caratterizzati dall’aggiunta di un grafema o di una sillaba (ad esempio “tavovolo” al posto di “tavolo”…).
  • Prevalenza della componente intuitiva
    Il soggetto che presenta chiare difficoltà di lettura privilegia, indubbiamente, l’uso del processo intuitivo rispetto a quello di decodifica. L’intuizione della parola scritta rappresenta un valido strumento ma, al tempo stesso, è fonte di errori, definiti di anticipazione. Non di rado, infatti, il soggetto esegue la decodifica della prima parte della parola, talvolta anche solo del primo grafema o della prima sillaba, e procede “intuendo”/“inventando” l’altra parte. La parola contenuta nel testo viene così a essere spesso trasformata in un’altra, il cui significato può essere affine ma anche completamente diverso.

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Possibili ripercussioni sulla scrittura
Difficoltà di copiatura dalla lavagna a causa della lenta o scorretta decodifica. Può inoltre essere causa di questo problema l’incapacità di decodificare la scrittura di un’altra persona, avendo già problemi con la propria. Molto spesso questo problema è correlato ad uno scorretto orientamento del grafema rispetto al senso di lettura/scrittura (scrivere le lettere partendo dal basso o da destra, leggere dall’alto al basso e da destra a sinistra).

Possibili ripercussioni sull’apprendimento logico-matematico
Il soggetto talvolta può presentare alcune difficoltà di decodifica del testo del problema e può presentare l’impedimento nella risoluzione di semplici problemi matematici che i non affetti di dislessia risolverebbero senza problema. Hanno quindi un apprendimento più lungo della norma. Possono presentarsi anche problemi di calcolo legati alla specularità del 2 e del 5 o del 6 e del 9.

Dislessia e difficoltà semplici della lettura
La dislessia si riconosce per la presenza di caratteristiche, più o meno presenti, sopra descritte, che impediscono o ostacolano fortemente il processo di decodifica. Le difficoltà semplici di lettura, invece, si riconoscono per la presenza di uno o di alcuni degli elementi di riconoscimento sopra descritti, ma gli ostacoli alla conquista di adeguate tecniche di lettura risultano superabili attraverso l’esercizio graduato, la proposta di attività coinvolgenti e stimolanti, la sollecitazione delle curiosità del soggetto, lo sviluppo di capacità di base talvolta non adeguatamente interiorizzate all’ingresso della scuola elementare. Le difficoltà semplici di lettura sono dovute, quasi sempre, a un ritardo maturazionale, a lievi difficoltà percettivo-motorie, a un inadeguato bagaglio di esperienze, a scarso investimento motivazionale, ma anche a errori didattico-pedagogici che i docenti compiono sia nelle prime proposte didattiche relative all’approccio alla lingua scritta sia, successivamente, negli itinerari di recupero conseguenti all’accertamento delle difficoltà stesse.

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