Una margherita la calpesterebbe chiunque

Due fiori margherite viste da vicinoUna margherita la calpesterebbe chiunque, una rosa no. Ma io continuo comunque a preferire le margherite

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
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Perché si dice “in bocca al lupo”?

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO CHIRURGO ANIMALI NATURA LUPO NEVE FREDDOGli esami sono sempre più vicini ed all’università l’espressione “in bocca al lupo” si sente a ripetizione, seguita ovviamente dalla molto superstiziosa risposta “crepi il lupo”. Ma vi siete mai chiesti il motivo di questo detto così diffuso e – soprattutto – ma che male vi avrà mai fatto questo povero lupo per auguragli ogni volta la morte?

“In bocca al lupo” nei vocabolari

L’origine del detto, come spesso avviene in questi casi, non è assolutamente certa. La causa più intuitiva del detto è che “essere nella bocca di un lupo” è un fatto pericoloso, palese metafora di “essere in mezzo ai guai“. La morte del lupo in questo senso rappresenterebbe simbolicamente la cessazione di tutte le difficoltà ed il ritorno ad una condizione di serenità. A supporto di ciò l’edizione del 1691 del Vocabolario degli Accademici della Crusca,  riporta l’espressione andare in bocca al lupo con il significato di “andare nel potére del nimico”. L’espressione significherebbe quindi “finire nelle mani del nemico” e quindi “andare incontro a grave pericolo“, questa spiegazione compare anche in altri dizionari successivi, come ad esempio il Vocabolario dell’uso toscano di Pietro Fanfani del 1863.

Il caro lupo

La spiegazione che invece vi voglio dare oggi – anche se qualcuno dice che è una bufala (ma come si fa a parlare di bufala quando siamo di fronte ad interpretazioni di un detto popolare il cui vero significato si è perso nei secoli) – è molto più “emozionante”! Per istinto il lupo sposta i propri cuccioli in bocca, soprattutto quando avverte un pericolo vicino. I piccoli tenuti dunque dalla mamma lupo in quel modo così delicato ma nel contempo saldo, sono protetti al massimo. Ecco perché augurare a qualcuno di trovarsi tra le fauci di questo splendido animale è un modo per auspicargli di essere protetto e guidato proprio dallo spirito forte e maestoso del lupo. Allora cosa rispondere ad un amico che vi dice “in bocca al lupo”? Rispondetegli “lunga vita al lupo” oppure un semplice “grazie”. Immaginate la faccia stupita del vostro amico nel ricevere una risposta così inconsueta!

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E’ vero che ogni popolo ha il suo odore caratteristico?

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO CHIRURGO BAMBINO DI COLORE NERO AFROAMERICANO MELATONINA FELICE SORRISO RELAXQuante volte ci siamo ritrovati vicino ad una persona indiana, filippina, africana (o di qualsiasi altra etnia) e abbiamo notato che il suo odore era completamente diverso dal proprio? E quante volte ci siamo chiesti se tutto ciò era solo derivato da una sorta di “razzismo olfattivo” o se davvero quell’odore era effettivamente diverso? Ebbene si: ogni etnia ha un proprio odore dovuto alle diverse condizioni ambientali e culturali del luogo in cui vive.

Sudore

Le diverse popolazioni non differiscono nel numero o nella conformazione delle ghiandole sudoripare, da cui deriva l’odore del corpo, ma nella quantità del sudore: per esempio nei climi caldi servono secrezioni più abbondanti per raffreddare la temperatura corporea e proteggere la pelle dai raggi solari: ciò porta una persona di colore ad avere un odore molto intenso. Quando si cambia il luogo in cui si vive, le caratteristiche del sudore (quantità, composizione ecc.) si adattano subito alle nuove condizioni ambientali, senza differenze tra stranieri e autoctoni: chi vive in montagna può avere un odore diverso da chi sta al mare. Infine, con il sudore si eliminano sostanze di scarto dell’organismo, perciò le sue caratteristiche dipendono anche da ciò che viene introdotto nel corpo con l’alimentazione. Non in tutte le culture l’odore del corpo è considerato sgradevole e viene coperto con profumi.

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La dieta vegana fa bene o male all’ambiente?

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO VERDURA CIBO VEGETALI DIETA DIMAGRIRE CUCINA (3)

“Con una dieta vegana si potrebbe risparmiare circa una tonnellata e mezzo di CO₂ a persona all’anno”. Lo sostiene la Vegan Society. Il dato è ricondotto a studi dell’Università di Chicago e viene inserito in un confronto con altri settori, sottolineando che l’allevamento animale genererebbe un impatto climatico persino superiore a quello dei trasporti. Questo tipo di affermazione si inserisce nel più ampio dibattito sull’impatto ambientale dell’alimentazione, un campo che negli ultimi due decenni ha ricevuto crescente attenzione da parte della comunità scientifica e delle istituzioni internazionali.

Prima di assumere il valore di 1,5 tonnellate come conclusione definitiva, è fondamentale definire alcuni concetti chiave. Quando si parla di emissioni si utilizza il termine “gas serra” per riferirsi non solo all’anidride carbonica, ma anche al metano e al protossido di azoto, che vengono convertiti in valori comparabili attraverso l’unità CO₂ equivalente. Inoltre, per stimare l’impatto di una dieta non basta considerare il cibo in sé, ma anche i confini del sistema analizzato: produzione agricola, trasformazione, trasporto, distribuzione e gestione dei rifiuti possono modificare significativamente le stime.

Il messaggio centrale dell’articolo è che la sostituzione degli alimenti animali con equivalenti vegetali determinerebbe un risparmio netto di emissioni su scala individuale. Nei capitoli successivi occorre comprendere se tale cifra sia realistica, in quali condizioni lo sia e quali limiti metodologici possono modificarne l’interpretazione.

Evidenze scientifiche, limiti e variabilità

Una delle fonti più citate nel dibattito è il rapporto FAO del 2006 “Livestock’s Long Shadow”, che stimava nel settore zootecnico circa il 18 per cento delle emissioni antropogeniche di gas serra a livello globale. Questo dato ebbe un impatto notevole sul discorso pubblico, anche perché risultava superiore a quello attribuito al settore dei trasporti. Studi successivi hanno però rivisto queste percentuali, spesso ridimensionandole intorno al 14–15 per cento, a seconda della metodologia adottata e del perimetro di analisi. Ciò dimostra quanto il risultato dipenda dalle assunzioni di partenza e dai criteri di calcolo.

La letteratura comparativa sulle diverse diete mostra che regimi a prevalenza vegetale comportano riduzioni sostanziali delle emissioni pro capite. Analisi condotte su ampi campioni in Europa e Nord America hanno documentato come vegetariani e vegani abbiano un’impronta carbonica inferiore del 25–50 per cento rispetto agli onnivori, con valori assoluti che in alcuni casi raggiungono proprio la riduzione di 1–1,5 tonnellate di CO₂ equivalente per anno. Lo studio di Poore e Nemecek pubblicato su Science nel 2018 rappresenta una delle sintesi più complete, dimostrando che la produzione di carne e latticini è mediamente molto più impattante rispetto a legumi, cereali e ortaggi, pur con ampie differenze tra tipologie di allevamento e contesti produttivi.

Le differenze osservate sono dovute a molteplici fattori. Un sistema agricolo intensivo in Europa non è paragonabile a un sistema estensivo in Sud America legato alla deforestazione. L’efficienza tecnologica, la gestione dei fertilizzanti, l’origine geografica dei prodotti, la stagionalità e persino lo spreco alimentare influenzano il bilancio finale. Inoltre la sostituzione di alimenti non è mai puramente quantitativa: eliminare la carne e introdurre legumi o cereali implica variazioni di apporto calorico e proteico che incidono sui calcoli finali. In definitiva, il valore di 1,5 tonnellate rappresenta un ordine di grandezza plausibile in condizioni ottimali, ma non è applicabile in modo uniforme a tutte le popolazioni e a tutti i sistemi produttivi.

Implicazioni, prospettive e raccomandazioni

Il significato di questa stima è importante perché consente di comunicare al grande pubblico l’idea che le scelte individuali possano avere un impatto ambientale non marginale. In termini aggregati, se intere popolazioni riducessero significativamente il consumo di carne e derivati animali, il risparmio complessivo di emissioni sarebbe paragonabile a quello ottenibile da politiche energetiche di vasta portata. Tuttavia presentare un valore unico come se fosse valido ovunque e comunque rischia di semplificare eccessivamente una questione complessa.

Le implicazioni pratiche non riguardano soltanto il clima. L’adozione di una dieta vegana richiede attenzione nutrizionale, ad esempio per garantire un adeguato apporto di vitamina B12, ferro e proteine di qualità, aspetti che devono essere affrontati con educazione sanitaria e con il supporto di professionisti. Esistono inoltre barriere culturali ed economiche che rendono difficile una transizione radicale, soprattutto in contesti dove la carne ha un forte valore identitario o dove i prodotti vegetali ad alto contenuto proteico non sono facilmente accessibili.

Dal punto di vista della ricerca è fondamentale sviluppare studi più localizzati, capaci di valutare l’impatto delle diete nelle specifiche filiere agricole di ciascun Paese. Politiche pubbliche mirate potrebbero incoraggiare una riduzione graduale del consumo di carne, promuovere sistemi di allevamento più efficienti e valorizzare pratiche agricole sostenibili. Allo stesso tempo è importante monitorare i risultati reali di tali interventi e non solo basarsi su stime teoriche.

In conclusione, l’affermazione che una dieta vegana possa ridurre di circa una tonnellata e mezzo le emissioni annuali di una persona trova fondamento in diversi studi, ma va letta con cautela e contestualizzata. È più corretto considerarla una stima di potenziale beneficio, utile per orientare le scelte collettive e individuali, piuttosto che un valore fisso e universale.

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I costumi da bagno contengono sostanze tossiche?

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO DONNA MARE COSTUME ABBRONZATURA ESTATE CALDO SPIAGGIA BAGNO SOLE VACANZESecondo uno studio di Greenpeace in Germania, alcuni costumi da bagno conterrebbero talune sostanze chimiche pericolose. Particolarmente sconvolgente è che le sostanze non sono state rilevate solo negli articoli di basso livello, ma anche nei prodotti di produttori rinomati. Lo studio presentato ad Amburgo ha verificato la presenza di per-e polyfluorinated (PFC) e alchilfenoli etossilati. In più della metà dei campioni è stato trovato PFC e anche quattro dei cinque campioni contenevano alchil-fenoli etossilati. Il PFC secondo quanto rilevato da Greenpeace può compromettere la riproduzione e disturbare il sistema immunitario ed endocrino.

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Attenzione ai mozziconi di sigaretta: contengono gas tossici e polonio radioattivo

MEDICINA ONLINE FUMO FUMARE SIGARETTE SMETTERE MARIJUANA DROGA DHT DIPENDENZA MALE TUMORE CANCRO POLMONI TOSSICODIPENDENZA NICOTINA CANCEROGENO GRASSO METABOLISMO DIMAGRIRE INGRASSAREFin da piccolo sono sempre stato abituato dai miei genitori al rispetto per la natura e per l’ambiente. Ancora oggi faccio assiduamente la raccolta differenziata e sono un grande promotore delle energie rinnovabili. Eppure per tanti anni, da fumatore, ho inquinato il mondo senza neanche rendermene conto buttando a terra i mozziconi delle sigarette. Ho iniziato a fumare al penultimo anno di liceo. Voi neanche potete immaginare quante sigarette spente ho buttato sul marciapiede davanti al glorioso liceo classico Giulio Cesare di Roma (si, proprio quello che ha frequentato Venditti ed a cui ha dedicato la canzone omonima!). Poi all’università sono diventato più maturo: le sigarette spente finivano negli appositi posaceneri inseriti nei cestini dell’immondizia di Roma. Negli ultimi tempi, prima di smettere, sono andato oltre: ho iniziato a fare la raccolta differenziata del pacchetto (dividevo carta e plastica) e non uscivo di casa senza aver con me una specie di piccolo contenitore sigillato dove buttavo i mozziconi.

Quando gettiamo un mozzicone a terra non ci sentiamo incivili. Diciamo “il mozzicone è piccolo, non fa un grosso danno”. Il problema è che a fumare nel mondo ci sono un miliardo e mezzo di fumatori, che ogni giorno bruciano mediamente dalle 10 alle 30 sigarette per uno! Ammettendo che ognuno di loro fumi un pacchetto di sigarette giornaliero, ci ritroviamo con 30 miliardi di mozziconi al giorno! Che significa quasi 11 mila miliardi di mozziconi all’anno! Essi creano una massa tanto inquinante e pericolosa per l’ambiente e per la salute quanto i rifiuti industriali, anzi forse di più visto che mentre lo smaltimento dei rifiuti industriali è regolamentato e sono smaltiti in posti adibiti, invece i mozziconi sono tranquillamente depositati lungo le nostre strade, le nostre spiagge, i nostri parchi e li rimangono a volte per mesi/anni!
Purtroppo, a giudicare soltanto dalla quantità che vediamo dispersa nelle nostre strade, sembrano essere molto rari quei fumatori che si preoccupano di gettare la cicca della sigaretta nei cestini. C’è addirittura chi non si fa scrupoli a gettarla nel mare: nel Mediterraneo, per esempio, rappresentano il 40% dei rifiuti (il 9,5% sono bottiglie di plastica, l’8,5% sacchetti di plastica, il 7,6% lattine di alluminio).

Acetato di cellulosa

Le cicche sono realizzate in acetato di cellulosa, sostanza difficilmente biodegradabile (più di un anno di tempo per essere biodegradate), persistente, e quindi causa e fonte di molti problemi ambientali. In Italia, vengono consumate 72 miliardi di sigarette all’anno, e molte cicche finiscono inevitabilmente nell’ambiente. L’acetato di cellulosa è discretamente fotodegradabile (da non confondere con la biodegradabilità). Così acqua, sole e variazioni termiche ne provocano lo sgretolamento e la dispersione nell’aria e nell’acqua. Tuttavia circa 12.240 tonnellate di acetato di cellulosa vengono ogni anno emesse nell’ambiente: davvero troppo.

Le sostanze tossiche rimangono nel filtro

I produttori di sigarette utilizzano una quantità enorme di additivi (che debbono essere non tossici) per imprimere al loro prodotto delle caratteristiche di unicità. Nessuno però conosce, al di fuori dei produttori, l’additivo utilizzato, ma è noto che dalla loro combustione derivano poi centinaia e centinaia di composti chimici, anche pericolosi. Lo zucchero per esempio, bruciando, aumenta la percentuale di catrame, il semplice caramello produce catecolo, un potente agente cangerogeno, l’acroleina, che deriva dalla combustione della glicerina, irrita e danneggia le cilia vibratili dei bronchi. Tutte queste sostanze sono contenute nel tabacco, ma anche nella carta vergata che rappresenta solo il 5% in peso della sigaretta.
Il filtro è realizzato con fibre di acetato di cellulosa, incollate da glicerolo triacetato. È una struttura dal nome improprio, poiché trattiene solo una parte minima dei prodotti della combustione, e non può essere diversamente, dato che le sostanze farmacologicamente attive sprigionate dalla combustione del tabacco debbono essere inalate. Tuttavia una parte delle oltre 4.000 sostanze tossiche rimangono nel filtro. Nei mozziconi, quindi, è possibile trovare moltissimi inquinanti: nicotina, benzene, gas tossici quali ammoniaca e acido cianidrico, composti radioattivi come polonio 210, e acetato di cellulosa, la materia plastica di cui è costituito il filtro.

Le ricerche che evidenziano il problema

Uno studio ENEA – AUSL di Bologna di qualche tempo fa mette proprio in evidenza il potenziale nocivo delle cicche di sigarette. Il lavoro valuta il carico inquinante delle cicche di sigaretta sul territorio italiano, argomento sul quale esiste un vuoto culturale e normativo. Sebbene il carico nocivo di ogni cicca sia basso (dell’ordine di milligrammi), il fattore che amplifica il problema è l’elevato numero di cicche prodotte.

La valutazione si basa su: il numero di fumatori (circa 13 milioni anche se altri studi indicano un numero molto più alto di fumatori), il numero medio di sigarette fumate da ciascuno (15 sigarette al giorno), i quantitativi di alcuni agenti chimici presenti in ogni cicca e il numero complessivo di cicche immesse in ambiente ogni anno (che come prima ricordato corrisponde a 72 miliardi di cicche/anno).

Tenuto conto del potere filtrante dell’acetato di cellulosa del filtro è comunque possibile affermare che il carico nocivo immesso in ambiente con i mozziconi di sigaretta è alquanto rilevante.

  • Nicotina 324 tonnellate
  • Polonio 210 1872 milioni di Bq
  • Composti organici volatili 1800 tonnellate
  • Gas tossici 21,6 tonnellate
  • Catrame e condensato 1440 tonnellate
  • Acetato di cellulosa 12240 tonnellate

Lo studio sottolinea inoltre che non esistendo normative nazionali che ne limitino la dispersione in ambiente, ma solo singole iniziative da parte di alcuni comuni più attenti, la maggior parte delle cicche imbrattano il suolo o finiscono nelle fogne e nelle acque superficiali contaminandole. Da tutti questi fattori emerge la necessità di classificare le cicche come un rifiuto tossico per l’ambiente e trattarle come tale.

I comuni, gli amministratori locali, i datori di lavoro dovrebbero non solo emanare norme di comportamento, ma anche installare, come accade per altre tipologie di rifiuti, appositi raccoglitori per i mozziconi di sigaretta.

Il problema, è evidente, va affrontato da vari punti di vista, coinvolgendo diversi attori e notevoli risorse finanziarie. La sua risoluzione resta comunque legata intimamente al modo di agire dei fumatori: non basta ridurre il consumo di sigarette ma è necessaria l’adozione di comportamenti responsabili e rispettosi della propria e altrui salute.

Spiaggia, mare, ed il singolo mozzicone che uccide una tartaruga marina

È recente l’indagine dimostrativa promossa da Focus sull’impatto ambientale delle cicche di sigarette. Ogni metro quadro di spiaggia contiene in media 2 mozziconi, poi tappi di plastica, cannucce e stecchi di gelato. In media quindi sulle nostre spiagge vi sono 12.4 milioni di nuovi mozziconi di sigarette all’anno. Anche all’estero la situazione è analoga. Negli Stati Uniti e in Australia i mozziconi di sigarette sulle spiagge sono un problema. E quasi nessuna località, con rare eccezioni, è attrezzata per lo smaltimento dei mozziconi. E sono pochi gli stabilimenti che mettono a disposizione dei portacenere sotto gli ombrelloni.
Il passaggio dalle spiagge al mare è inevitabile. Per questo i composti tossici dei mozziconi di sigaretta entrano nella complessa rete alimentare del mare. La tossicità di un singolo mozzicone è paragonabile a quella di molti pesticidi, quindi la qualità dei corsi d’acqua e delle acque di balneazione ne risente notevolmente.
Attualmente stanno aumentano di numero anche i piccoli filtri usati per le sigarette “fai da te”, che sono più facilmente ingeriti da animali come pesci, uccelli e piccoli animali. Spesso tale ingestione provoca la morte di molti animali marini.
Sino ad ora solo l’Australia ha dato via a delle sperimentazione finalizzate alla raccolta dei mozziconi da parte del singolo fumatore, attraverso un portacenere portatile resistente al fuoco e riutilizzabile.
Nel resto del mondo non esiste nessuna norma che regolamenti lo smaltimento delle cicche di sigaretta e nessuna vera campagna di sensibilizzazione (esclusa quella di Marevivo, vedere sitografia), quindi è sicuramente utile, anzi necessario, formare i singoli fumatori, illustrare loro i problemi legati al pericolo del fumo e dei mozziconi che inconsapevolmente gettano in qualsiasi posto, munirli di portacenere portatili e attrezzare le aree per fumatori con portacenere ermetici, ed eventualmente smaltire i mozziconi allo stesso modo delle pile e comunque secondo procedimenti da studiare al fine di alleviare l’impatto ambientale dei mozziconi. Basterebbe aumentare di pochi centesimi il costo di un pacchetto di sigarette per mettere a punto dei piani efficaci di raccolta e smaltimento delle cicche.
Ricordiamo che un singolo mozzicone ingerito da una tartaruga marina può ucciderla in poco tempo.

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