Glossodinia, sindrome della bocca che brucia: sintomi e cure

MEDICINA ONLINE LINGUA BOCCA FRENULO ANATOMIA FISIOLOGIA ORAL TONGUE LABBRA LEPORINO GENGIVE DENTI MANDIBOLA MASCELLA PAPILLE GUSTATIVE GUSTO CIBO FONAZIONE GLOSSODINIA PALATO SCHISILa glossodinia, conosciuta anche nelle varianti di sindrome della bocca bruciante, sindrome della bocca che brucia, sindrome della bocca urente, è una condizione patologica per la quale si riscontra un dolore intenso, simile a quello provocato da un’ustione, a livello del cavo orale. Le parti colpite possono essere o la lingua, le labbra, gengive, guancia, palato o l’intera bocca.

Epidemiologia

La sindrome interessa prevalentemente le donne, ed insorge tra un’età compresa tra i 50 ed i 70 anni.

Cause

La patologia ha un’eziologia non chiara e le aree colpite non presentano particolari segnali che possano favorirne una diagnosi. La sindrome solo raramente è correlata ad altre patologie dermatologiche, come la candidosi o problemi odontoiatrici, o ad altri fattori come il diabete, e viene spesso imputata ad un disordine di origine psichico come ansietà e depressione.

Trattamento

Il trattamento è ovviamente determinato dalla causa che ha determinato il problema a monte. Se l’eziologia viene riferita al campo della psichiatria, una terapia efficace potrebbe essere quella con vari farmaci come benzodiazepine, antidepressivi triciclici e anticonvulsivanti.

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Farmaci antipsicotici: differenza tra neurolettici tipici ed atipici

MEDICINA ONLINE FARMACO FARMACIA PHARMACIST PHOTO PIC IMAGE PHOTO PICTURE HI RES COMPRESSE INIEZIONE SUPPOSTA PER OS SANGUE INTRAMUSCOLO CUORE PRESSIONE DIABETE CURA TERAPIA FARMACOLOGICA EFFETTI COLLATERALI CONTROfarmaci neurolettici (anche chiamati “antipsicotici“) sono un gruppo di psicofarmaci che agiscono su precisi target neurotrasmettitoriali (principalmente utilizzati tipicamente per il trattamento delle psicosi, schizofrenia, disturbo bipolare e nel disturbo depressivo cronico. Non sono indicati per il trattamento dell’insonnia in quanto non vi sono evidenze cliniche a favore del loro impiego. I farmaci neuroletti vengono classicamente divisi in due categorie, neurolettici tipici ed atipici:

Neurolettici tipici

hanno una affinità pressoché selettiva verso i recettori dopaminergici, in particolare sul sottotipo D2, su cui agiscono come potenti antagonisti. Essendo molto attivi in tal senso e poco selettivi per le diverse aree cerebrali, mostrano una elevata incidenza di effetti collaterali di tipo extrapiramidale. Data la loro efficacia sono spesso preferiti nella gestione delle crisi acute.

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Neurolettici atipici

Gli aticipici sono sviluppati in modo da migliorare il profilo di effetti collaterali perché esercitano sia un antagonismo verso i recettori dopaminergici, in particolare i D2 per i quali mostrano una affinità minore rispetto ai neurolettici tipici, sia un antagonismo verso alcuni recettori serotoninergici, in particolare i sottotipi 5HT2A e 5HT2C. Quest’ultime attività si ipotizza possano migliorare sia i sintomi della malattia (nella schizofrenia sembra coinvolta anche un’alterazione dell’attività serotoninergica) che diminuire l’incidenza di effetti collaterali extrapiramidali per modulazione indiretta del tono dopaminergico. Non tutti condividono pienamente questo meccanismo d’azione, dato che la modulazione di altri target neuronali (ad esempio il recettore GHB nelle benzammidi sostituite) o enzimatici (come l’inibizione della Amminoacido Ossidasi da parte del Risperidone) sembrano contribuire all’effetto complessivo. Inoltre molti presentano una distribuzione preferenziale proprio nelle aree coinvolte nella genesi del disturbo, migliorando quindi ulteriormente il profilo di effetti collaterali. Sono perciò preferiti, rispetto ai tipici, nelle terapie di mantenimento anche se alcuni studi sembrano indicare una efficacia leggermente minore.

Recentemente è stata proposta una nuova classe per raccogliere i farmaci come l’aripiprazolo che si comportano come agonisti parziali dei recettori dopaminergici piuttosto che come antagonisti puri, definendoli neurolettici di terza generazione. Nonostante l’incidenza di effetti collaterali extrapiramidali e discinesia tardiva sia più elevata tra gli antipsicotici di prima generazione, anche nelle altre classi possono comunemente verificarsi tali effetti collaterali.

Classificazione

  • Antipsicotici tipici o di prima generazione

    • butirrofenoni
      • Aloperidolo, molto potente ed efficace, associa all’effetto terapeutico un’alta incidenza di effetti collaterali extrapiramidali
      • Droperidolo
    • fenotiazine
      • Alifatiche
        • Clorpromazina
        • Prometiazina
        • Acepromazina, utilizzata in ambito veterinario
      • piperaziniche
        • Perfenazina
        • Porcloperazina
        • Tioproperazina
        • Trifluoperazina
      • Piperidiniche
    • Tioxanteni
      • Zuclopentixolo
      • Clopentixolo
      • Tioxitene
  • Antipsicotici atipici o di seconda generazione

    • Benzammidi sostituite
      • Amisulrpide, associa l’antagonismo D2 (a basse dosi preferenzialmente presinaptico), all’agonismo per il recettore GHB.
      • Sulpiride, simile al composto correlato amisulpride.
      • Tiapride, mostra affinità preferenziale per il sistema limbico rispetto a quello striatriale
      • Varelipride, utilizzata però in ambito veterinario.
    • Dibenzodiazepine
      • Quetiapina, ha struttura simil dibenzodiazepinica, è considerato quello a maggior potenziale sedativo.
      • Clozapina, considerato un farmaco di seconda linea per i potenziali effetti collaterali anche gravi.
      • Olanzapina
    • Scheletro simil Azapironi
      • Lurasidone
      • Risperidone
      • Paliperidone, principale metabolita del risperidone
      • Ziprasidone, causa un minore aumento di peso rispetto ad altri antipsicotici
      • Perospirone
  • Terza generazione

    • Aripiprazolo, agonista parziale dei recettori D2 e di alcuni sottotipi serotoninergici. La sua efficacia è ancora oggetto di approfondimento.

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Fluoxetina (Fluoxeren): lista degli effetti collaterali e diabete

MEDICINA ONLINE FARMACO FARMACIA PHARMACIST PHOTO PIC IMAGE PHOTO PICTURE HI RES COMPRESSE INIEZIONE SUPPOSTA PER OS SANGUE INTRAMUSCOLO CUORE PRESSIONE DIABETE CURA TERAPIA FARMACOLOGICA EFFETTI COLLATERALI CONTROFluoxetina cloridrato – comunemente fluoxetina – è un principio attivo appartenente alla classe degli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina usato, al pari degli altri SSRI, per il trattamento di disturbi psichiatrici come depressione maggiore, disturbi d’ansia (attacchi di panico, ansia generalizzata, disturbi ossessivi-compulsivi) e bulimia.

Effetti collaterali

Gli effetti collaterali più comuni (verificatesi in più del 5% dei pazienti che assumevano fluoxetina) sono:

  • Disturbi gastro intestinali (nausea, diarrea)
  • Sonnolenza o insonnia
  • Disfunzioni sessuali (diminuzione libido, anorgasmia)
  • Sintomi simil influenzali (riniti, faringiti, spossatezza, dolori muscolari)
  • Tremori, ansia, nervosismo
  • Sudorazione, vasodilatazione

Sono in genere autolimitanti, cioè tendono a presentarsi nei primi giorni di assunzione per poi sparire nel corso delle prime settimane di trattamento; gli effetti collaterali sulla sfera sessuale tendono invece a comparire nel corso delle prime settimane di trattamento e a persistere nel corso dell’assunzione (raramente può accadere che le disfunzioni sessuali persistano per un tempo indefinito, anche anni, dopo la sospensione del trattamento, tale sindrome prende il nome di Post-SSRI Sexual Dysfunction). Tra tutti gli SSRI, la fluoxetina è considerato il più attivante (è quello che causa il maggior tasso di nervosismo ed insonnia); è inoltre quello che causa il maggior tasso di reazioni cutanee (rash, prurito, dermatiti).

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Diabete

La somministrazione di un SSRI può influenzare il controllo glicemico. L’aumento del tono serotoninergico indotto dall’antidepressivo, infatti, sembrerebbe aumentare la secrezione e la sensibilità all’insulina. Con fluoxetina si è osservata ipoglicemia durante la terapia e iperglicemia alla sospensione del trattamento. Il dosaggio dei farmaci antidiabetici — ipoglicemizzanti orali e insulina — potrebbe, quindi, richiedere un aggiustamento.

Iponatriemia

Gli SSRI possono indurre iponatriemia (valore medio di 120 mmoli/L) con un aumento del rischio di 3,5 volte. Nella maggior parte dei pazienti tale effetto si manifesta durante il primo mese di terapia; il rischio è maggiore nelle donne anziane e nei pazienti in terapia con diuretici. L’iponatriemia si manifesta con confusione, convulsioni, senso di fatica, delirio, sincope, sonnolenza, agitazione, vertigini, allucinazione e, più raramente, con aggressività, disturbi della personalità e depersonalizzazione. La comparsa di sintomi neuropsichiatrici durante il primo mese di trattamento deve di conseguenza suggerire la misurazione degli elettroliti serici.

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Fluoxetina (Fluoxeren): meccanismo d’azione del farmaco

MEDICINA ONLINE FARMACO FARMACIA PHARMACIST PHOTO PIC IMAGE PHOTO PICTURE HI RES COMPRESSE INIEZIONE SUPPOSTA PER OS SANGUE INTRAMUSCOLO CUORE PRESSIONE DIABETE CURA TERAPIA FARMACOLOGICA EFFETTI COLLATERALI CONTROFluoxetina cloridrato – comunemente fluoxetina – è un principio attivo appartenente alla classe degli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina usato, al pari degli altri SSRI, per il trattamento di disturbi psichiatrici come depressione maggiore, disturbi d’ansia (attacchi di panico, ansia generalizzata, disturbi ossessivi-compulsivi) e bulimia; può però essere utilizzato offlabel anche per altre patologie come il disturbo disforico premestruale, ed eiaculazione precoce solo per citarne alcune.

Meccanismo d’azione

La fluoxetina è in grado di legare e bloccare l’attività del trasportatore della serotonina, senza evidenziare, a dosi terapeutiche, affinità significative per quelli della noradrenalina e della dopamina. Ciò porta ad un incremento delle concentrazioni di serotonina nel vallo sinaptico. Fluoxetina, ad alte dosi (60-80 mg) mostra una non trascurabile affinità per il recettore della serotonina 5HT2C, ciò potrebbe contribuire a rafforzarne gli effetti terapeutici.

La fluoxetina (e il suo metabolita nor-fluoxetina) si sono inoltre dimostrati in grado di aumentare le concentrazioni cerebrali di Allopregnenolone, un potente agonista dei recettori GABA-A (noti per mediare effetti ansiolitici). Entrambi si sono poi mostrati in grado di agire, alla stessa maniera, su questo stesso recettore; ciò potrebbe mediare parte degli effetti teraputici della fluoxetina.

Inoltre la Fluoxetina agisce come agonista del recettore σ1 con una potenza maggiore di quella del citalopram ma inferiore a quella della Fluvoxamina. Tuttavia la rilevanza clinica di questa proprietà non è chiara.

Fluoxetina agisce poi da bloccante del canale anoctamina 1, un canale del cloro attivato dal calcio. Altri canali ionici, come il recettore nicotnico per l’acetilcolina e il recettore della serotonina 5HT3 sono inibiti a concentrazioni terapeutiche dalla fluoxetina.

Fluoxetina inibisce inoltre la sfiengomielinasi acida, un regolatore chiave della concentrazione di cerammidi.

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Citalopram (Elopram): uso in gravidanza ed allattamento

MEDICINA ONLINE GRAVIDANZA INCINTA DIABETE GESTAZIONALE FETO PARTO CESAREO DIETA FIBRA GRASSI ZUCCHERI PROTEINE GONFIORE ADDOMINALE MANGIARE CIBO PRANZO DIMAGRIRE PANCIA PESO INTESTINO DIGESTIONE STOMACO CALORIE METABOLISMOIl citalopram è una molecola della famiglia degli SSRI (selective serotonin reuptake inhibitors) utilizzata per il trattamento della depressione maggiore e dei disturbi d’ansia (attacchi di panico, ansia generalizzata, disturbo ossessivo compulsivo). Al pari di altri SSRI ha anche utilizzi off-label come per il trattamento del disturbo disforico premestruale, neuropatia diabetica e dismorfofobia, per citarne alcuni.

Gravidanza

Valutare attentamente il rapporto rischio/beneficio prima di somministrare citalopram in donne in gravidanza. La depressione può arrivare a colpire fino al 20% delle donne in stato di gravidanza ed è stata associata a ritardo di crescita uterina e a basso peso alla nascita. La depressione materna non trattata può inoltre alterare il rapporto madre-neonato (scarsa capacità genitoriale). Gli studi clinici relativi all’impiego degli SSRI (intesi come classe terapeutica) hanno evidenziato un basso rischio di anomalie congenite; l’analisi dei singoli farmaci ha evidenziato un correlazione con difetti cardiaci settali e omfalocele per sertralina e paroxetina. L’esposizione agli SSRI durante il terzo trimestre di gravidanza può provocare nel neonato la comparsa della sindrome da astinenza da SSRI e ipertensione polmonare persistente. I sintomi più frequenti relativi alla sindrome da astinenza includono: agitazione, irritabilità, ipo/ipertonia, iperriflessia, sonnolenza, problemi nella suzione, pianto persistente. Più raramente si sono manifestati ipoglicemia, difficoltà respiratoria, anomalie della termoregolazione, convulsioni. L’ipertensione polmonare persistente è una grave patologia che richiede terapia intensiva e che può indurre anomalie dello sviluppo neurologico e morte. L’incidenza è pari a 1/100 neonati esposti a SSRI nella seconda metà della gravidanza rispetto ad una incidenza di 1/1000 nati vivi nella popolazione generale. Probabilmente questa patologia è correlata ad effetti della serotonina sullo sviluppo cardiovascolare. Il passaggio transplacentare degli SSRI può provocare emorragie nel neonato. Non sono noti gli effetti dovuti all’esposizione in gravidanza agli SSRI sullo sviluppo neurocomportamentale dei bambini tuttavia ci sono evidenze di aumentato rischio di autismo ed aumentata probabilità di depressione in età adolescenziale. Nelle donne in gravidanza in terapia con SSRI si raccomanda un monitoraggio ecografico fetale alla 20ª settimana per evidenziare eventuali malformazioni fetali e il monitoraggio di segni e/o sintomi riconducibili a tossicità neontale (distress respiratorio, ittero, convulsioni, PPHN).

Allattamento

Sebbene nel latte materno la concentrazione di citalopram e dei suoi principali metaboliti, demetilcitalopram e didemetilcitalopram, sia risultata maggiore rispetto a quella ematica, la quantità di queste sostanze nel bambino allattato al seno è minima o inferiore al limite diagnostico. Nei trial clinici non sono stati evidenziati effetti tossici nel bambino allattato al seno.

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Attacchi di panico: cosa sono, come riconoscerli e curarli

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Sintomi

L’attacco di panico comporta l’insorgenza improvvisa dei sintomi sotto elencati:

  • tremori fini o grandi alle braccia e/o alle gambe;
  • oppressione o fastidio al petto;
  • sudorazione;
  • sensazione di soffocamento;
  • respiro corto o sensazione di asfissia o iperventilazione;
  • sensazioni di sbandamento, instabilità e svenimento;
  • palpitazioni o tachicardia sempre più forte;
  • paura di morire;
  • sensazioni di torpore o di formicolio;
  • paura di impazzire o di perdere il controllo;
  • nausea o disturbi addominali;
  • sensazioni di irrealtà, di stranezza, di distacco dall’ambiente e da sé stessi (derealizzazione e depersonalizzazione);
  • vampate o brividi;
  • forte aumento della pressione sanguigna (ipertensione) o, al contrario, rapido crollo (ipotensione);
  • paura di stare sempre peggio e di non riuscire a riprendersi;
  • sensazione di formicolio agli arti e alle mani (parestesia).

I sintomi devono raggiungere il culmine in 10 minuti e di solito scompaiono nell’arco di alcuni minuti, lasciando scarsi elementi all’osservazione del medico, tranne la paura del soggetto di avere un altro terrificante attacco di panico. Sebbene spiacevoli (a volte in grado estremo), gli attacchi di panico non sono pericolosi. Gli attacchi di panico e il disturbo da attacchi di panico possono essere talmente gravi e dirompenti da provocare depressione. In altri casi, questi disturbi d’ansia e la depressione possono coesistere (comorbilità), oppure la depressione può insorgere per prima e i segni e sintomi dei disturbi d’ansia possono manifestarsi successivamente. Stabilire se questi attacchi siano talmente gravi da configurarsi come disturbo è una decisione che dipende da numerose variabili e i medici divergono nel porre la diagnosi. Se causano molta sofferenza, interferiscono con il funzionamento e non cessano spontaneamente entro pochi giorni, è presente un disturbo d’ansia che merita una terapia.

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Cause

Le cause dei disturbi d’ansia come gli attacchi di panico e il disturbo da attacchi di panico non sono completamente note, ma sono implicati fattori fisiologici e psicologici. Dal punto di vista fisiologico, tutti i pensieri e i sentimentipossono essere concepiti come risultanti da processi elettrochimici cerebrali; tuttavia ciò dice poco sulle complesse interazioni tra i più di 200 neurotrasmettitori e neuromodulatori del cervello, nonché sull’ansia e sullo stato di allarme normale e patologico. Dal punto di vista psicologico, gli attacchi di panico e il disturbo da attacchi di panico sono considerati una risposta ad agenti stressanti ambientali, come l’interruzione di una relazione significativa o l’esposizione a un disastro potenzialmente letale. Il sistema d’ansia di una persona di solito compie passaggi adeguati e impercettibili dal sonno, attraverso lo stato di allarme, sino all’ansia e alla paura. I disturbi d’ansia si manifestano quando il sistema d’ansia funziona in modo inadeguato oppure, a volte, quando è sopraffatto dagli eventi. I disturbi d’ansia possono essere dovuti a un disturbo fisico oppure all’uso di una sostanza legale o illecita. Per esempio, l’ipertiroidismo oppure l’uso di corticosteroidi o cannabinoidi possono produrre segni e sintomi identici a quelli di alcuni disturbi d’ansia primari.

Diagnosi

La diagnosi di uno specifico disturbo d’ansia si basa in larga parte sui suoi segni e sintomi caratteristici. Un’anamnesi familiare di disturbi d’ansia (eccetto il disturbo post-traumatico da stress) è d’aiuto, poiché molti pazienti sembrano ereditare una predisposizione agli stessi disturbi d’ansia da cui sono affetti i propri familiari, così come una vulnerabilità generale ad altri disturbi d’ansia. I disturbi d’ansia vanno distinti dall’ansia vera e propria che si manifesta in molti altri disturbi psichiatrici, poiché essi rispondono a trattamenti specifici differenti.

Terapia

Il disturbo deriva da una disfunzione che è al tempo stesso biologica e psicologica; la terapia farmacologica e quella comportamentale di solito aiutano a controllare i sintomi. Oltre alle informazioni circa il disturbo e il relativo trattamento, il medico può fornire una realistica speranza di miglioramento e un sostegno basato su un rapporto di fiducia con il paziente. La psicoterapia di sostegno è parte integrante del trattamento di tutti i disturbi d’ansia. La terapia individuale, di gruppo e familiare può aiutare a risolvere i problemi associati a un disturbo di lunga data. I farmaci e gli antidepressivi possono prevenire o ridurre di molto l’ansia anticipatoria, l’evitamento fobico e la frequenza e intensità degli attacchi di panico. Numerose classi di antidepressivi (i triciclici, gli inibitori delle monoaminossidasi e gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina SSRI) sono efficaci. Gli antidepressivi più recenti, come la mirtazapina, il nefazodone e la venlafaxina, fanno ben sperare per il trattamento del disturbo da attacchi di panico. Le benzodiazepine hanno un effetto più rapido degli antidepressivi, ma hanno maggiore probabilità di indurre dipendenza fisica ed effetti collaterali, come sonnolenza, atassia e problemi di memoria. Il trattamento farmacologico deve essere a lungo termine, perché quando i farmaci vengono sospesi, spesso gli attacchi di panico ricominciano. La terapia di esposizione, un tipo di terapia comportamentale in cui il paziente viene messo a confronto con ciò di cui ha paura, spesso aiuta a ridurre tale paura. Per esempio, ai pazienti che hanno paura di svenire viene chiesto di roteare su una sedia o di iperventilare fino a sentirsi svenire, per apprendere così che non perderanno i sensi quando avranno questo sintomo nel corso di un attacco di panico. Una respirazione lenta e superficiale (controllo respiratorio) aiuta a padroneggiare l’iperventilazione. Anche la psicoterapia cognitiva, in cui vengono trattati i pensieri distorti e le convinzioni erronee, può essere efficace.

Soffri di attacchi di panico? Prenota una visita con il nostro esperto che – in poche sedute – vi aiuterà a sentirvi meglio e diminuire al massimo gli attacchi.

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Ansia da prestazione sessuale: vincila con un sano egoismo

MEDICINA ONLINE SESSO ANALE ANO RETTO LUBRIFICANTE FECI PAURA CLISTERE COUPLE AMORE DONNA PENE EREZIONE IMPOTENZA DISFUNZIONE ERETTILE VAGINA SESSULITA SESSO COPPIA JEALOUS LOVE COUPLE FIn molti casi un’ansia da prestazione grave, di quelle che impediscono di vivere serenamente un rapporto sessuale e non permettono una normale erezione, è procurata nell’uomo (ma anche nella donna) dal pensiero ossessivo di non riuscire a far provare piacere sessuale al proprio o alla propria partner. Non “far godere” il compagno o la compagna, rappresenta una possibilità che viene vista come totale fallimento e ciò genere ansia.

Circolo vizioso

L’ansia generata dal timore di fallire è capace essa stessa di farci fallire “sotto le coperte”, in una sorta di “profezia che si auto-avvera” o, ancor meglio, di circolo vizioso: paura di fallire -> ansia -> fallimento -> maggior timore di fallire la volta successiva. Alla base di molte disfunzioni erettili di origine psicogena c’è proprio questo tipo di meccanismo, come anche in alcuni casi di eiaculazione precoce, di erezione tardiva o di mancato feeling di coppia. In caso di erezione debole, si può ricorrere ai farmaci come il Viagra, il Cialis o il Levitra, tuttavia, se il timore di fallire è fortemente radicato nella persona e soprattutto se al contempo è presente un complesso di inferiorità, può capitare che perfino l’uso dei farmaci non permetta una erezione adeguata o comunque un permetta di vivere un rapporto sessuale soddisfacente.

Cosa fare?

Sembra un consiglio banale o addirittura controproducente, tuttavia in alcuni casi è riuscito a migliorare la situazione: il paziente deve imparare ad essere “egoista“. Se una persona parte con l’idea che dovrà essere in grado di procurare necessariamente piacere nel partner, oltre a vivere il rapporto in modo ansioso (cosa che aumenta le possibilità di NON procurare piacere nel partner), rischia di dimenticarsi di provare lei stessa piacere. Comportandosi in modo innaturale, pensando ossessivamente a quello che il partner ricerca nel rapporto, avendo continuamente paura di fare il movimento sbagliato o che l’altro si stia annoiando, la persona apparirà come impacciata, distratta e poco coinvolta, fatto che di certo non ecciterà il partner. Se invece la persona riesce a concentrarsi in modo egoista sul proprio piacere, facendo quello che le va di fare per procurare piacere a sé stessa e non per procurare piacere al partner, state sicuri che quest’ultimo – vedendovi particolarmente coinvolti ed eccitati – si ecciterà a sua volta, il che ecciterà di più anche voi ed innescherà un circolo vizioso non più di ansia, ma di eccitazione. Comportarsi in modo egoista non però è certamente un invito a disinteressarsi completamente di rivolgere attenzioni anche ai bisogni del partner: è invece uno sprone a non disinteressarsi dei bisogni di sé stessi.

Se pensi di soffrire di disfunzione erettile da cause psicologiche o di ansia da prestazione, prenota la tua visita e, grazie ad una serie di colloqui riservati, ti aiuterò a risolvere il tuo problema.

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Ansia da prestazione nello studio e nel lavoro: come superare le tue paure

MEDICINA ONLINE TRISTE PAURA TRISTEZZA SAD TERRORE ANSIA PSICOLOGIA.jpgQuando si guarisce da un disagio psichico? Quando mettiamo da parte i modelli e le opinioni che abbiamo di noi stessi e impariamo ad accettare i lati di noi più fragili e deboli. la storia “clinica” di Vania è perfetta per comprendere come questo valga anche per l’ ansia, in particolar modo per l’ ansia da prestazione.

Con l’ansia, il corpo parla
“Mi chiamo Vania, ho 23 anni, sono una studentessa di economia e quest’anno dovrei cominciare l’ultimo anno. Le cose non stanno andando come vorrei: finora ho dato solo la metà degli esami che avrei dovuto, con una media che non mi soddisfa. Quello che mi fa più rabbia è che mi impegno, studio e ripeto sino alla nausea, vado dai tutor e mi dicono che sono da 30, poi il giorno dell’esame non riesco mai a dare il meglio. Durante gli esami è come se il mio stomaco fosse annodato e sudo freddo, dire che ho l’ansia è poco. Non capisco perché il mio corpo risponde così, non ne ho motivo visto che ogni volta vado agli esami molto preparata! Come se non bastasse, mi sento molto in ansia quando espongo un argomento di fronte al docente, dentro di me non mi sento mai abbastanza preparata, nonostante studi giorno e notte. Sto cominciando a sentirmi incapace e una nullità per questo. Che osa posso fare?”

Sentirsi incapaci genera ansia
La psicoterapeuta che legge il racconto decide di prenderla in cura e così un giorno Vania si presenta nel suo studio. È una bella ragazza, vestita con stile e con il trucco giusto, e per prima cosa afferma che nella vita fuori dall’università si sente a suo agio, la facoltà che ha scelto la soddisfa pienamente, il problema sorge solo agli esami. “Quello è l’unico contesto della mia vita in cui mi sento insicura, in ansia. Per il resto sono una ragazza estroversa, aperta alle novità, sono curiosa, viaggio spesso da sola. So che ho scelto la facoltà giusta”. Se tutto questo è vero, perché tanta ansia? Il suo racconto prosegue: “In questi giorni mi sono ricordata di come le scuole elementari e le medie siano state una tortura! I miei si erano trasferiti in Italia dalla Slovenia e io ho dovuto imparare in fretta l’italiano. Sia la maestra che la professoressa di italiano delle medie mi hanno spesso derisa dicendo che parlavo male l’italiano. Però con i miei compagni giocavo, scherzavo e tutti capivano le mie parole… Tutto questo mi ha fatto sentire sempre incapace e piena d’ ansia a scuola”.

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Superare il passato placa l’ansia
Ecco riemergere un demone che non l’ha mai abbandonata e che la blocca e la rende insicura e le produce ansia… Il compito della psicoterapia è far cessare la lotta interiore tra la parte debole e ferita dal passato (che voleva comprensibilmente scappar via e che per questo si presentava come ansia) e quella che vuole dimostrare di essere forte e nega cittadinanza alla prima. “Proviamo a guardare questa piccola Vania che si è sentita umiliata tante volte e che anche ora, agli esami, ha paura di fare brutta figura. E poi lasciamo emergere, magari anche cinque minuti prima dell’interrogazione, l’immagine della “Vania forte”, che è precisa e profonda in quello che ha studiato. Ora non deve scegliere tra le due, lasci che le due Vania diventino due lati di lei, nei vari momenti della giornata. Di fronte al professore però manderà la Vania sapiente! Pensa di potercela fare?”. “Vania, dopo questa seduta, interrompe la terapia, ma dopo tre mesi ricontatta la psicologa e ha una voce felice: “Dottoressa, ho superato due esami difficilissimi prendendo 30 e 29! Non so come ringraziarla, anzi è la “Vania debole” che la ringrazia!”

Accetta le tue contraddizioni e supererai l’ansia
La tecnica suggerita è finalizzata a far uscire da una situazione mentale bloccata e a far entrare, attraverso il mondo dell’immaginario, in una dimensione fuori dal tempo e dallo spazio, dove le energie possono trasformarsi e incontrare il loro opposto. Accade allora che accanto alla Vania che non sa parlare e che non sa muoversi, si affacci quella colta e sicura di sé, che realizza i suoi obiettivi. Accettare la loro compresenza, imparare a vivere la contraddizione ha permesso alla paziente di rompere finalmente le catene di quell’ansia paralizzante.

Sistemi per superare l’ansia da prestazione
L’ansia da prestazione lavorativa merita di essere trattata con il giusto impegno e con la massima attenzione: che si sia studenti universitari, dipendenti di un’agenzia di comunicazione o operai, muratori o manager, insegnanti o dirigenti, è importante non lasciarsi coinvolgere in modo eccessivo dal lavoro che si svolge. Un suggerimento è quello di cercare la collaborazione delle altre persone, cioè dei colleghi e del datore di lavoro, al fine di creare il migliore ambiente possibile e, al tempo stesso, verificare se l’assegnazione degli impegni sia stata effettuata nella maniera più corretta.

Importante ridurre l’ansia da prestazione lavorativa
Contrastare l’ansia da prestazione lavorativa vuol dire anche riacquistare – o acquistare – fiducia in sé stessi: per questo motivo, è importante concentrarsi sulle proprie potenzialità ed essere convinti delle proprie capacità. Ciò non vuol dire, d’altro canto, lasciarsi andare al cosiddetto ipercontrollo: insomma, cercare di avere il controllo su tutto è senza dubbio positivo dal punto di vista teorico, ma sul piano pratico impossibile e, proprio per questo dannoso. Visto che non si può monitorare tutto, è bene prendere atto del fatto che gli inconvenienti possono sempre accadere e che gli imprevisti sono una componente inevitabile nella vita di ognuno, ma soprattutto rendersi conto del fatto che tutto quello che accade sul posto di lavoro può dipendere anche dalle azioni di altre persone.
Chiaramente, tra le strategie finalizzate alla lotta all’ansia da prestazione lavorativa c’è quella di prendersi le dovute pause: sono sufficienti break di pochi minuti per ritrovare la fiducia smarrita, per rilassarsi, per evitare situazioni di difficoltà e di conseguenza per aumentare la produttività. Se è vero che questo tipo di ansia interessa in particolar modo i dirigenti che hanno grandi responsabilità sulle spalle, i leader, i business man e i manager che si sentono gratificati unicamente se viene riconosciuto il loro status prestigioso, è altrettanto vero che può colpire chiunque, senza distinzioni di ruolo, di età, di genere o di ambiente di lavoro.
Non di rado, per esempio, l’ansia da prestazione lavorativa è una costante che accompagna i freelance e i lavoratori autonomi, i quali – non dovendo attenersi a un orario di ufficio ben preciso – rischiano di assumersi più impegni di quanti siano effettivamente in grado di portare a termine, come se lavorassero a cottimo, per guadagnare di più. Ciò è sbagliato: ed ecco, dunque, che un ulteriore consiglio per combattere l’ansia da prestazione lavorativa è quello di non vivere – per nessun motivo – in funzione esclusiva del lavoro, ma cercare di spostare la propria attenzione e i propri pensieri su altro, che si tratti di interessi, di hobby o di relazioni personali.
Infine, un’ultima strategia che vale la pena di adottare per fare in modo che l’ansia da prestazione lavorativa non si impossessi di ogni pensiero è quella di relativizzare tutto: a meno che non si sia chirurghi o si svolgano professioni simili, nessuno al lavoro salva vite umane, e tutte le conseguenze degli eventi vanno ridimensionati. Anche le difficoltà sono positive, e gli sbagli vanno presi in considerazione come nuove opportunità.

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