Questa non è una pipa: differenza tra oggetto reale e la sua rappresentazione

MEDICINA ONLINE La Trahison des images Ceci n'est pas une pipe QUESTA NON E UNA PIPA pittore surrealista belga René Magritte ARTE PITTURA OLIO TELA QUADRO.jpg

E se ti dicessi che questa… non è una pipa?

L’immagine che vedete in alto raffigura un dipinto chiamato “La Trahison des images” (cioè “Il tradimento delle immagini”) realizzato nel 1929 dal celebre pittore surrealista belga René Magritte, attualmente conservato nel Los Angeles County Museum of Art.

Questa non è una pipa

L’opera raffigura ovviamente una pipa dipinta su uno sfondo monocromo, seguita da una didascalia in un corsivo manierato ed elegante che afferma: «Ceci n’est pas une pipe», in italiano: «Questa non è una pipa». Una didascalia semplice, eppure straordinariamente efficace nel trasmettere all’osservatore il messaggio dell’autore: quella che vedete è una pipa, ma… non è una pipa. Non si tratta cioè di una pipa reale, bensì di una sua immagine dipinta e con ciò Magritte mira a mettere in risalto la differenza di tangibilità e consistenza che il mondo della realtà ha con quello dei segni e della rappresentazione, sconvolgendo l’osservatore con una frase solo in apparenza banale ed invitandolo alla riflessione sulla complessità del linguaggio, parlato e dipinto.

Chi potrebbe fumarla?

In effetti, malgrado alla domanda «che cos’è?» si risponda «una pipa», l’oggetto reale e la sua raffigurazione hanno proprietà e funzioni spiccatamente differenti. Questa dicotomia è stata sottolineata dallo stesso Magritte, che a proposito della sua celebre opera, ha affermato: «Chi oserebbe pretendere che l’immagine di una pipa è una pipa? Chi potrebbe fumare la pipa del mio quadro? Nessuno. Quindi, non è una pipa».
Un riferimento a La Trahison des images è contenuto sulla maglietta della protagonista di “Colpa delle stelle” (The Fault in Our Stars), meraviglioso film drammatico del 2014 diretto da Josh Boone con Shailene Woodley ed Ansel Elgort, adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di John Green.

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Sindrome di Stendhal in psicologia, musica e film

MEDICINA ONLINE UOMO VITRUVIANO DI LEONARDO ARTE ANIMALE UOMO DIFFERENZA FILOSOFIA RELIGIONE SCIENZACon “Sindrome di Stendhal” (in lingua inglese Stendhal’s syndrome, hyperkulturemia, o Florence syndrome) in psicologia e medicina ci si riferisce ad un insieme di segni e sintomi che una persona può improvvisamente sviluppare quando guarda un’opera d’arte, ad esempio un dipinto od una statua, che la emoziona particolarmente. I sintomi sono principalmente ansia fisica ed emotiva, tachicardia, capogiro, vertigini, senso dissociativo, confusione, allucinazioni, fino addirittura lo svenimento. Le cause di tale sondrome non sono ancora del tutto chiare. La Sindrome di Stendhal viene anche chiamata “Sindrome di Firenze” proprio perché, in virtù della elevatissima quantità di splendide opere d’arte da essa possedute, spesso la sindrome si verifica proprio nella famosa città toscana ed i primi casi studiati furono proprio dei turisti in visita a Firenze.

Sindrome di Stendhal: i sintomi

La Sindrome di Stendhal si manifesta con tre differenti tipologie di disturbo. La prima tipologia è quella identificabile con crisi di panico ed ansia somatizzata, dove i soggetti accusano improvvisamente palpitazioni, difficoltà respiratorie, malessere al torace, la sensazione di essere sul punto di svenire e conseguentemente lo sviluppo di un vago senso di irrealtà. Tali condizioni portano ad avvertire un improvviso bisogno “di casa”, di tornare nella propria terra, di parlare la propria lingua. Le altre due tipologie sono invece più serie. Una riguarda prevalentemente i disturbi dell’affettività, e si manifesta con stati di depressione – crisi di pianto, immotivati sensi di colpa, senso di angoscia …- o all’opposto con stati di sovraeccitazione – euforia, esaltazione, assenza di autocritica… -; l’altra riguarda i disturbi del pensiero, con alterata percezione di suoni e colori e senso persecutorio dell’ambiente circostante: a differenza della altre due tipologie, questa si manifesta frequentemente in persone con precedenti di scompenso psicologico, che, tuttavia, si trovavano prima della partenza in uno stato di benessere.

Sindrome di Stendhal: perché si chiama così?

Il nome di questa sindrome è attribuito allo scrittore francese Stendhal divenuto famoso nei primi del 1800, pseudonimo di Marie-Henri Beyle, che ne fu personalmente colpito durante il suo Grand Tour effettuato nel 1817, che svenne davanti alla Sibille del Volterrano nella cappella Nardini di Firenze. Lo scrittore ne diede una prima descrizione che riportò nel suo libro Roma, Napoli e Firenze: «Ero giunto a quel livello di emozione dove si incontrano le sensazioni celesti date dalle arti ed i sentimenti appassionati. Uscendo da Santa Croce, ebbi un battito del cuore, la vita per me si era inaridita, camminavo temendo di cadere.»

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Storia dello studio della Sindrome di Stendhal

Pur se descritto già nei primi del 1900, il disturbo venne individuato ed analizzato scientificamente per la prima volta solo nel 1977 dalla psichiatra fiorentina Graziella Magherini, che descrisse alcuni casi di turisti stranieri in visita a Firenze colpiti da episodi acuti di sofferenza psichica ad insorgenza improvvisa e di breve durata. Tali soggetti, quasi sempre maschi, di età compresa fra 25 e 40 anni e con un buon livello di istruzione scolastica, viaggiavano da soli, erano provenienti dall’Europa Occidentale o dal Nord-America e si mostravano molto interessati all’aspetto artistico del loro itinerario. L’esordio del disagio si presentò poco tempo dopo il loro arrivo a Firenze, e si verificò all’interno dei musei durante l’osservazione delle opere d’arte. I sintomi descritti all’esordio non furono ascrivibili ad uno specifico disturbo psichiatrico, bensì abbracciavano più aree della tradizionale psicopatologia, da quella psicotica a quella nevrotica/dissociativa. Dei 106 turisti descritti dalla Magherini, infatti, alcuni presentavano disturbi del contenuto e della forma del pensiero con intuizioni e percezioni deliranti associate a disturbi delle senso/percezioni con allucinazioni uditive, fenomeni illusionali e cenestofrenie; altri presentavano disturbi affettivi, con umore orientato in senso depressivo con contenuti olotimici di colpa e di rovina o, viceversa, in senso maniacale con euforia e manifestazioni di estasi. Altri ancora manifestavano sintomi riferibili agli attuali criteri diagnostici per il disturbo di panico, con crisi acute di ansia libera o situazionale.

La Sindrome di Stendhal: il film

“La sindrome di Stendhal” è anche un film thriller/horror – non troppo riuscito per la verità – del 1996, diretto da Dario Argento ed interpretato da Asia Argento, Paolo Bonacelli, Marco Leonardi, Thomas Kretschmann e Cinzia Monreale. Nel film Asia Argento interpreta una poliziotta che, sulle tracce di un serial killer., alla Galleria degli Uffizi sviene davanti a un’opera di Bruegel (Caduta di Icaro) in preda proprio alla Sindrome di Stendhal.

La Sindrome di Stendhal in musica

E’ relativamente recente, infine, la scoperta che anche la musica, di forte impatto psicologico ed emotivo, può essere causa di stati molto simili a deliri comuni e allucinazioni, la cui diagnosi è accostabile alla Sindrome di Stendhal.

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La scoperta (2017): trama, recensione e spiegazione del film

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Probabilmente è ancora presto per parlare di un vero e proprio “filone”, ma è indubbio che ultimamente la fantascienza indie americana sia caratterizzata da precise idee ricorrenti e da una matrice comune, che restituisce alla science fiction la sua dimensione più psicologica e anti-spettacolare: un assunto speculativo di natura fantascientifica genera un dramma, e questo avviene perché tale assunto rispecchia ansie e timori del nostro presente. Questo film conferma l’interesse di Netflix per queste tendenze off-Hollywood, e incarna molti tòpoi della sci-fi indipendente americana, a partire dall’ossessione di indagare il sovrasensibile – ed eventualmente giustificarlo – attraverso la scienza. Lo abbiamo già visto nell’interessante “I, Origins” e nella serie The OA, ma qui il discorso si fa ancor più radicale.

Trama senza spoiler

Al centro della trama c’è lo scienziato Thomas Harbor (un Robert Redford ancora in forma), che dimostra l’esistenza dell’aldilà grazie a una macchina che cattura la lunghezza delle onde cerebrali a livello subatomico, osservandone l’abbandono del corpo durante la morte. Oltre la vita ci sarebbe quindi un altro piano dell’esistenza (il paradiso?) e questa consapevolezza scatena un’ondata di suicidi da parte di uomini e donne che non vedono l’ora di raggiungere questo secondo livello di esistenza. Addirittura una malattia terminale diventa una buona notizia, perché l’aldilà ci attende dopo il nostro ultimo battito cardiaco. Il figlio maggiore di Thomas, il neurochirurgo Will (Jason Segel), non approva gli studi del genitore, che nel frattempo ha fondato un istituto per accogliere ed assistere gli aspiranti suicidi. Will, in visita da suo padre e da suo fratello Toby (Jesse Plemons), s’imbatte nella tormentata Isla (Rooney Mara), e la salva da un tentato suicidio nelle acque dell’oceano. Fra di loro nasce una complessa storia d’amore, mentre Thomas sperimenta un dispositivo che registra l’esperienza dei defunti nell’aldilà, e dovrebbe quindi mostrare ciò che vedono dopo la morte. Quello che il dispositivo permetterà di vedere, lascerà il neurochirurgo senza parole.

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Fantascienza, non religione

Il paradosso di esplorare l’ultraterreno con metodi scientifici può sembrare moralmente ambiguo (quante volte la pseudo-scienza ha tentato di giustificare antiche superstizioni?), ma il regista Charlie McDowell e il co-sceneggiatore Justin Lader hanno l’accortezza – dal mio punto di vista quasi essenziale in un film di questo tipo – di escludere ogni sfumatura divina, affidandosi esclusivamente alle speculazioni della scienza/fantascienza: non si parla infatti di un aldilà religioso, ma di un secondo livello di percezione delle cose da parte del nostro sistema nervoso. Niente angeli, luci in fondo al tunnel o santi ad aspettarci dall’altra parte, ma solo un secondo piano di realtà…

ATTENZIONE SPOILER

…una realtà alternativa che gioca con il concetto dei loop temporali e con le infinite diramazioni dei mondi paralleli. Il film ci dice che nel cosiddetto “paradiso” ogni individuo genera, laicamente, il proprio aldilà, basato sui rimpianti della sua vita passata e sul desiderio che ognuno ha, di poter correggere gli errori fatti in vita. L’idea è molto incisiva, anche perché insiste su risvolti fantascientifici più che sovrannaturali, senza propinarci una razionalizzazione di principi religiosi preesistenti.

FINE SPOILER

L’approccio intimista e le implicazioni romantiche, tipici di molta sci-fi indipendente, focalizzano l’attenzione sulla vicenda privata più che sullo scenario globale, mediamente trascurato se si escludono gli sporadici accenni ai suicidi di massa. Certo, rispetto al precedente “The One I Love” manca l’analisi entomologica del rapporto amoroso, qui ritratto senza particolari giustificazioni, soprattutto se consideriamo l’atteggiamento contraddittorio di Isla. Anche diversi snodi narrativi appaiono inverosimili, eppure il finale riesce a giustificarne l’assurdità per mezzo di un “ribaltamento” piuttosto canonico, seppure inaspettato: la sovrapposizione di piani alternativi stravolge il punto di vista sulla vicenda, ma risulta un po’ frettoloso e didascalico, relegato ai minuti conclusivi senza il supporto di un climax adeguato. È qui che “La scoperta” rivela il suo lato più fragile: McDowell sembra compiacersi dei principali cliché del cinema indie, e li nutre con dialoghi sussurrati, tecnologia retro-futuristica e un personaggio femminile che risponde a tutti i requisiti della categoria, con la sua personalità sfuggente e provocatoria. La rappresentazione dei tòpoi in una realtà parallela potrebbe denudarne l’artificiosità, ma questa lettura metanarrativa non regge alla prova dell’epilogo, dove il regista prende chiaramente sul serio gli strascichi emotivi della storia. Così, persino il brusco taglio di montaggio sul nero dei titoli di coda (altrove molto suggestivo: si pensi a Donnie Darko), appare qui un semplice manierismo, sin troppo prevedibile per coinvolgere davvero. Restano l’ottima idea del ragionare su quello che accadrebbe scoprendo con sicurezza che la morte non è la fine, e la sobrietà della messinscena, tutta concepita per sottrazione, ma l’impressione di assistere a un bigino della fantascienza indie è piuttosto forte. A conti fatti però a me è piaciuto, da vedere almeno una volta (o anche due per capirlo meglio!) specie se siete appassionati di fantascienza umana, quella senza esplosioni o alieni che invadono la terra, ma con una sfumatura di mondi paralleli per certi versi in stile “Moon“, che in un film di fantascienza non è mai fuori posto.

Spiegazione del finale (ovviamente spoiler)

Il protagonista, il neurologo Will, è già morto quando la storia inizia. Tutto quello che accade durante la narrazione del film non è reale, bensì è semplicemente una delle molte realtà alternative in cui è entrata la mente di Will dopo la sua morte.

La vita è un sogno dal quale ci si sveglia morendo

Virginia Woolf

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Differenza tra metafora, metonimia, sineddoche e personificazione con esempi

MEDICINA ONLINE STUDIO STUDIARE LIBRO LEGGERE LETTURA BIBLIOTECA BIBLIOGRA LIBRERIA QUI INTELLIGENTE NERD SECCHIONE ESAMI 30 LODE UNIVERSITA SCUOLA COMPITO VERIFICA INTERROGAZIONE ORALE SCRITTO Library PICTURE HD WALLPAPERMetafora
La metafora è una figura retorica che consiste nel sostituire una parola con un’altra per rafforzare il concetto. E’ un paragone che avviene tra due elementi introdotti da un nesso (come, così,tal, ecc..). La metafora è un paragone tra due realtà lontane che hanno però un elemento in comune.

Esempi

  • Invece di dire Achille è forte e invincibile possiamo dire Achille è un leone;
  • Invece di dire Il mio amore per te è enorme, usando una metafora possiamo dire Il mio amore per te è un mare;
  • Invece di dire Angela ha i capelli biondi può  possiamo dire Angela ha i capelli d’oro.

Metonimia
La metonimia (pronunciabile tanto metonimìa, alla greca, quanto metonìmia, alla latina; il termine deriva dal greco μετωνυμία metōnymía, composto da μετά metà “attraverso/oltre” e ὄνομα ònoma “nome”, con significato “scambio di nome”) è una figura retorica che consiste nella sostituzione di un termine con un altro che ha con il primo una relazione di vicinanza, attuando una sorta di trasferimento di significato. La metonimia è una figura retorica del tutto paragonabile alla sineddoche; risulta perciò molto spesso arduo distinguerle. Nella metonimia la relazione è di tipo qualitativo, nella sineddoche di tipo quantitativo (la parte per il tutto, il genere per la specie, il singolare per il plurale).

Esempi
Esistono numerosi tipi di modalità di sostituzione, per esempio:

  • l’autore per l’opera (“mi piace leggere Dante” / le opere di Dante, “ascolto Mozart” / le opere di Mozart.)
  • la causa per l’effetto (“ha una buona penna” / egli sa scrivere bene)
  • il contenente per il contenuto (“bere un bicchiere” / il vino del bicchiere)
  • l’astratto per il concreto (“confidare nell’amicizia” / negli amici)
  • il concreto per l’astratto (“ascoltare il proprio cuore” / i propri sentimenti, “ha gli strumenti” / ha le capacità)
  • la materia per l’oggetto (“ammiro i marmi del Partenone” / ammiro le statue del Partenone)
  • la sede o l’odonimo per l’istituzione (“notizie da Montecitorio” / notizie provenienti dalla camera dei deputati): si parla in questo caso di “metonimia topografica”[2]

In tutti questi casi il termine usato indica comunque il concetto da esprimere malgrado la mancanza del termine proprio, in quanto tra le due parole c’è una connessione diretta o indiretta.

Sineddoche
La sineddoche consiste nella sostituzione di un termine con un altro che ha con il primo una relazione di carattere quantitativo (la parte per il tutto o viceversa, il singolare per il plurale o viceversa – se si basa sulla quantità delle cose oggetto della sineddoche; il genere per la specie o viceversa, dunque la somiglianza – se invece si basa sulla qualità delle cose oggetto della sineddoche). La sineddoche è una figura retorica simile alla metonimia (a volte risulta arduo distinguerle). La metonimia, però, si basa su una relazione di carattere qualitativo, e non quantitativo, tra i due termini.

Esempi
Si ha una sineddoche quando si indica:

  • la parte per il tutto: “tetti” al posto di “case”, “scafo” al posto di “nave”, “Inghilterra” al posto di “Regno Unito”, “Olanda” al posto di “Paesi Bassi”, “inglese” al posto di “britannico”, “Monte Carlo” al posto di “Monaco”,
  • il tutto per la parte: “America” al posto di “Stati Uniti d’America”, “americano” al posto di “statunitense”, cappotto di “renna”, ovvero fatto con la pelle della renna;
  • il genere per la specie: “il felino” per “il gatto”, “la belva lo azzannò” per “il leone lo azzannò”;
  • la specie per il genere: “i grandi gatti” (big cats) per i felini come il leone o la tigre;
  • il singolare per il plurale: “l’italiano” all’estero per “gli italiani” all’estero;
  • il numero determinato per l’indeterminato (“mille” saluti per “molti” saluti);
  • il numero indeterminato per il determinato: il libro ebbe “innumerevoli” ristampe.

Personificazione
La personificazione è una figura retorica che consiste nell’attribuzione di comportamenti, pensieri, tratti (anche psicologici e comportamentali) umani a qualcosa che umano non è. Oggetto di personificazione può ben essere un oggetto inanimato, un animale, ma anche un concetto astratto, come la pace, la giustizia, la vendetta ecc.

Esempi

  • Zacinto o materna mia terra;
  • Voi, grandi boschi,[…] urlate come l’organo.

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Quali sono le sette meraviglie del mondo?

MEDICINA ONLINE COSA SONO QUALI SONO SETTE 7 MERAVIGLIE DEL MONDO ANTICOLe sette meraviglie del mondo sono le strutture e opere architettoniche, artistiche e storiche che i Greci e i Romani ritennero i più belli e straordinari artifici dell’intera umanità.

Anche se erano stati compilati altri elenchi più antichi, la lista canonica deve risalire al III secolo a.C., poiché comprende il Faro di Alessandria, costruito tra il 300 a.C. e il 280 a.C., e il Colosso di Rodi, crollato per un terremoto nel 226 a.C. Tutte costruite più di 2.000 anni fa, furono contemporaneamente visibili solo nel periodo fra il 250 a.C. e il 226 a.C.; successivamente andarono via via distrutte per cause diverse; solo l’imponente Piramide di Cheope, la più antica di tutte, sopravvive ancora oggi. Esse erano situate in Egitto (2), Grecia (2), Asia Minore (nell’attuale Turchia) (2) e Mesopotamia (nell’attuale Iraq).

Tra i testi conservati il più antico che nomina le sette meraviglie è una poesia di Antipatro di Sidone (Antologia greca, IX, 58) scritta intorno al 140 a.C. Alle sette meraviglie è dedicata l’opera intitolata De septem orbis spectaculis, erroneamente attribuita a Filone di Bisanzio ma molto più tarda (probabilmente del V secolo d.C.). Vengono anche chiamate le sette meraviglie classiche oppure le sette meraviglie antiche per distinguerle dalle sette meraviglie moderne proposte in tempi più recenti.

Le sette meraviglie antiche

  • La Piramide di Cheope a Giza (Egitto): la più antica fra le sette meraviglie e l’unica che sopravvive ancora oggi. Rappresenta la glorificazione delle imprese del faraone.
  • I Giardini pensili di Babilonia (Mesopotamia): dove si racconta che la regina Semiramide raccogliesse rose fresche durante tutto l’anno.
  • La Statua di Zeus a Olimpia (Grecia): grandiosa testimonianza di arte religiosa, opera dello scultore greco Fidia.
  • Il Tempio di Artemide a Efeso (Turchia).
  • Il Colosso di Rodi (Grecia): enorme statua bronzea situata nell’omonima isola.
  • Il Mausoleo di Alicarnasso (Turchia): monumentale tomba dove riposa il satrapo Mausolo, situata ad Alicarnasso.
  • Il Faro di Alessandria: (Egitto): costruzione che rischiarava la via ai mercanti che si approssimavano al porto.

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Ci sono persone alle quali semplicemente non piacete, qualsiasi cosa facciate

MEDICINA ONLINE ODIO CHI STA FERMO COME CORRERE JUDGE OTHER PEOPLE OPINIONS BULLISMO TRISTE LAVORO MOBBING GIUDICARE EMOZIONI VITA PERSONE FACEBOOK SOCIAL NETWORK HATERS HATE WALLPAPER PHOTO PICTURE HD HI RES“Che ci sono persone alle quali semplicemente non piacete, qualsiasi cosa facciate.
Che nonostante pensiate di essere furbi, non lo siete molto.
Che oltre il cinquanta per cento delle persone con una dipendenza da sostanza è contemporaneamente affetto da qualche altra forma di disturbo psichico.
Che il sonno può essere una forma di fuga emozionale e che, seppure con un certo sforzo, si può abusarne.
Che la privazione intenzionale del sonno può essere anch’essa una fuga dalla realtà di cui si può abusare.
Che non occorre amare qualcuno per imparare da lui/lei/esso.
Che la solitudine non è una funzione di isolamento.
Che la validità logica di un ragionamento non ne garantisce la verità.
Che le persone cattive non credono mai di essere cattive, ma piuttosto che lo siano tutti gli altri.
Che è possibile imparare cose preziose da una persona stupida.
Che è statisticamente più facile liberarsi di una dipendenza per le persone con un Qi basso che per quelle con un Qi più alto.
Che le attività noiose diventano perversamente molto meno noiose se ci si concentra molto su di esse.
Che se il numero sufficiente di persone beve caffè in una stanza silenziosa, è possibile sentire il rumore del vapore che si leva dalle tazze.
Che a volte agli essere umani basta restare seduti in un posto per provare dolore.
Che la vostra preoccupazione per ciò che gli altri pensano di voi scompare una volta che capite quanto di rado pensano a voi.
Che esiste una cosa come la cruda, incontaminata, immotivata gentilezza.
Che è possibile addormentarsi di botto durante un attacco d’ansia.
Che concentrarsi intensamente su qualcosa è un lavoro duro.
Che la dipendenza è un disagio o una malattia mentale o una condizione spirituale (quando si dice « poveri di spirito » ) o una forma di Disturbo Ossessivo-Compulsivo o un disturbo affettivo e del carattere.
Che la maggior parte delle persone con una dipendenza da sostanza è anche dipendente dal pensare, nel senso che ha un rapporto compulsivo e insano con il proprio pensiero.
Che è semplicemente più piacevole essere felici che incazzati.
Che le persone di cui avere più paura sono quelle che hanno più paura.
Che ci vuole grande coraggio per mostrarsi deboli.
Che gli effetti di troppe tazze di caffè non sono per niente piacevoli nè intossicanti.
Che praticamente tutti si masturbano. E tanto, a quanto pare.
Che il cliché « Non so chi sono » sfortunatamente si rivela più di un cliché.
Che gli altri, anche se sono stupidi, riescono spesso a vedere cose di voi che voi non riuscite a vedere.
Che è consentito volere.
Che tutti sono identici nella segreta tacita convinzione di essere, in fondo, diversi da tutti gli altri.
Che questo non è necessariamente perverso”.

David Foster Wallace, (Ithaca, 21 febbraio 1962 – Claremont, 12 settembre 2008), scrittore e saggista statunitense.

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Differenza tra abbazia e monastero con esempi

MEDICINA ONLINE DIFFERENZA MONASTERO ABBAZIA ESEMPI.jpgUn monastero è un edificio comune dove vive una comunità di monaci o monache, sotto l’autorità di un abate o di una badessa. I monasteri non costituiscono un ordine religioso: ognuno di essi può essere una comunità a parte, oppure fare parte di confederazioni, con alcune funzioni di coordinamento e di mutuo aiuto. Il monastero è stato per molti secoli una piccola città, con la tendenza ad essere autosufficiente dal punto di vista economico. I monaci vivono una vita di preghiera e di lavoro, spesso manuale. Un esempio di monastero è quello dei Benedettini di San Nicolò l’Arena (il cui interno vedete nella foto in alto), è un complesso ecclesiastico del XVI secolo situato in piazza Dante nel centro storico di Catania, costituito da un importante edificio monastico benedettino e da una monumentale chiesa settecentesca.

L’abbazia è un particolare tipo di monastero; l’abbazia per il diritto canonico è un ente autonomo: il complesso abbaziale, gli edifici in cui essa vive ed i territori circostanti che rientrano sotto il suo controllo, possono essere considerati come una comunità religiosa. Le abbazie possono trovarsi o no all’interno di una diocesi: nel caso in cui non lo siano vengono denominate nullius dioecesis e di fatto assumono loro stesse il ruolo di diocesi. Quindi la differenza principale sta proprio nel fatto che l’Abbazia e il territorio circostante sono sotto il diretto controllo dell’Abate o della Badessa. Un esempio famoso è l’abbazia di Melk, una abbazia benedettina che si trova appunto nella città di Melk in Austria, uno dei più famosi siti monastici del mondo.

I monasteri possono anche diventare abbazia, ad esempio il monastero reale di Santa María de El Paular (Real Monasterio de Santa María de El Paular in spagnolo) a Rascafría (Madrid) fu per 450 anni un monastero certosino, a partire dalla fondazione nel 1390. Dal 1954 è un’abbazia benedettina e lo è anche oggi.

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Differenza tra morte corporale e secunda

MEDICINA ONLINE DIFFERENZA MORTE CORPORALE SECUNDA CANTICO CREATURE SANTO FRANCESCO ASSISI POESIA ITALIA 1224.jpg

Laudato si’ mi’ Signore per sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente pò skappare: guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali; beati quelli ke trovarà ne le tue santissime voluntati, ka la morte secunda no ‘l farrà male.

Nel Cantico delle creature di Francesco d’Assisi del 1224, qual è la differenza tra “morte corporale” e “morte secunda”?

  • la morte corporale è quella naturale, quella del corpo materiale, ma non dello spirito, che sopravvive;
  • la morte secunda è quella dello spirito peccatore, che non essendo meritevole non rinascerà nel giorno del giudizio finale. L’uomo giusto non deve temere la morte secunda, mentre ciò non avviene per il peccatore. La morte dell’anima è quindi corrispondente alla dannazione eterna.

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