I 10 calciatori italiani più pagati al mondo

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO CHIRURGO CALCIO SPORT STADIOIl mercato è appena cominciato, o comunque nel pieno di trattative, più o meno realistiche e destinate ad andare in porto, possono come visto nascere da un momento all’altro. Per questo stilare classifiche relative agli acquisti più onerosi o ai giocatori che guadagnano di più è assai rischioso, perché si tratta di graduatorie soggette a continue variazioni. Visto il momento del calcio italiano, non inteso come squadre di club, ma come giocatori nazionali, ci si può però addentrare nella hit delle stelle del pallone più pagate. Sì, perché come ha insegnato la nazionale, all’orizzonte non ci sono campioni nostrani destinati a essere oggetto delle attenzioni delle grandi d’Europa e quei pochi (Bonucci) sono blindati dall’unica squadra che può permettersi di farlo. E anche perché… il mercato cinese ha chiuso, poco dopo il colpo da maestro riuscito a Pellè. Scopriamo allora la classifica dei Paperoni azzurri.

10. Riccardo Montolivo
​Per alcuni tifosi la sua permanenza in rossonero e le cifre del suo ingaggio sono il simbolo del decadimento milanista oltre che delle contraddizioni della società, decisa a tenere la barra dritta in tema di rinnovi agli over 30. E invece al capitano al momento senza portafoglio di trofei il conto in banca sorride grazie ai 3 milioni netti garantiti dal contratto appena firmato fino al 2019 in sostituzione di quello scaduto lo scorso 30 giugno e firmato 4 anni prima al momento del chiacchierato addio alla Fiorentina. Significativo il taglio all’ingaggio, nell’ordine del milione lordo, ma ancora insufficiente per permettere a Riccardo di entrare nel cuore dei tifosi nonostante sembri a questo punto più che probabile che la carriera dell’ex viola si concluderà proprio in rossonero.

9. Giorgio Chiellini
​Come Buffon, Marchisio e Bonucci, anche Giorgio è stato inserito nel clan degli “eletti”, coloro che hanno avuto il privilegio di veder celebrato il proprio rinnovo da 3,5 milioni da una conferenza stampa ad hoc alla firma del presidente Agnelli. Il centrale livornese è ormai un’istituzione in casa bianconera come confermato da quello che, siglato il, sembra essere stato un rinnovo a vita. Significative le cifre, considerando anche età e ruolo, ma la società più ricca e organizzata d’Italia sa valorizzare le proprie bandiere come pochi altri club (ma non ditelo a Del Piero…) e ha capito con bravura per tempo l’importanze che un’asse italiana può avere prima ancora a livello di equilibri di spogliatoio che di future vittorie.

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8. Leonardo Bonucci
​Questa sembra essere l’unica posizione della hit a rischio di cambiamento. Colpa del rendimento in continua ascesa di Kaiser Leo, ormai stella internazionale del mercato dei difensori. Nota la stima di Conte, pure Guardiola lo avrebbe voluto al Manchester City. Per quest’anno non se ne farà nulla, ma il contraltare espone la Juve al rischio di dover ritoccare in maniera significativa verso l’alto l’ingaggio del proprio leader difensivo, fissato a 3,5 milioni appena un anno fa dopo il rinnovo ufficializzato alla presenza del presidente Agnelli. Di fronte agli 8 milioni che aveva promesso il City c’è il rischio di dover quasi raddoppiare gli emolumenti.

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7. Gianluigi Buffon
​Con ogni probabilità, in attesa degli ultimi assalti alla Champions e del sogno del 5° Mondiale, Super Gigi un paio di “ultime cose” le ha fatte: difendere la porta dell’Italia in un Europeo e in precedenza, il, firmare l’ultimo contratto della carriera. Il rinnovo di Buffon con la Juventus ha esteso la scadenza del contratto del capitano bianconero al 30 giugno 2018, a 40 anni già compiuti, quando non dovrebbero esserci alternative al giorno dell’addio al calcio giocato. Meglio non pensarci, magari pensando alla quantità di motivazioni e obiettivi da dover provare a raggiungere, come pure al maxi ingaggio, per l’età, da 4 milioni, comunque tagliato del 20% rispetto a quanto guadagnato fino al semestre precedente.

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6. Marco Verratti
​C’era una volta un centrocampista di belle speranze, anzi già quasi certezze, che dopo aver portato in Serie A la squadra della propria città sotto la guida di Zdenek Zeman, volò in un top club europeo senza neppure aver mai disputato un minuto nel massimo campionato italiano. Il Paris Saint Germain battè la concorrenza di Juventus e Milan e con gli attuali chiari di luna non sembrano esserci margini per il grande ritorno, a meno di una follia dei bianconeri comunque non in questa sessione di mercato. Da Ancelotti a Blanc fino a Emery, infatti, Verrattì è e resterà una colonna di una squadra a caccia della consacrazione in Europa. E per riscattare una stagione tormentata dalla pubalgia che gli è costata un posto all’Europeo, Marco ha appena prolungato di un anno il contratto in scadenza nel 2019, passando da un ingaggio di 3,2 milioni a 4 netti. In fondo, neppure troppi considerando la crescita progressiva.

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5. Andrea Pirlo
​Non per soldi, ma per passione e volontà di scoprire nuove culture, fatto sta che nella classifica dei Paperoni d’Italia c’è anche il Maestro. Lasciata la Juventus con un anno di anticipo sulla scadenza del contratto, con annesso ingaggio da 5,4 milioni, il fuoriclasse bresciano ha optato a 37 anni per un pre-pensionamento dorato, accettando la proposta della neonata franchigia del New York Fc, affiliata al Manchester City. In una squadra non proprio piena di giovani, con tra gli altri Lampard e Villa, Pirlo ha faticato ad ambientarsi, riuscendo comunque a strappare un ingaggio di tutto rispetto, che insieme a una bacheca molto fornita può aiutare a dimenticare le delusioni tecniche della Grande Mela.

4. Mario Balotelli
​Classico caso di contratto da rivedere, pena il rischio di incontrare serie difficoltà nel proseguire la propria carriera ad alti livelli. Il peccato originale risale al tempo della seconda avventura inglese, quando nell’estate 2014, dopo il deludente Mondiale brasiliano, il Milan decide di accettare la proposta del Liverpool di Brendan Rodgers. Balo nella città dei Fab 4 con un ingaggio-shock da 6 milioni, ma purtroppo 4 diventerà anche il voto-medio delle poche e sofferte apparizioni con la maglia dei Reds. Tornato al Milan in prestito nella stagione successiva, caratterizzata da poche presenze e parecchi infortuni, ora il Liverpool lo ha riaccolto, ma solo per forza in attesa di smistarlo. Per rilanciarsi sembrano esserci solo due strade: accettare di ridursi l’ingaggio per ripartire da un club di seconda fascia oppure non tagliarsi gli emolumenti e sperare in una chiamata da paesi esotici. Ma il mercato cinese ha chiuso i battenti…

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3. Sebastian Giovinco
​A quasi 30 anni il pascià di Toronto non sembra disposto a rivedere la propria scelta di esiliarsi nella crescente Mls, maturata nel gennaio 2015 a costo di dire di no in maniera definitiva a quella Juventus nel quale è cresciuto e anche alle chances di essere convocato dal ct Conte per l’Europeo 2016. In effetti in Francia la Formica Atomica non ha messo piede, nonostante una prima stagione da favola con gol e il titolo di capocannoniere, comunque non sufficiente per spingere la propria squadra alle battute finali dei playoff. Di certo anche la componente economica ha avuto un peso nella scelta controcorrente di Seba, ora blindatissimo da un ingaggio di 6,3 milioni netti che sembra rendere impossibile la marcia di ritorno verso la Serie A.

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2. Daniele De Rossi
​Storia di 3 anni e mezzo fa. Sull’orlo di un clamoroso addio, richiesto al Manchester City da Roberto Mancini, Capitan Futuro sta per dire addio al proprio soprannome e alla squadra che ne ha scandito tutta la carriera. La proprietà americana, insediatasi da meno di un anno, ha sottovalutato quel contratto in scadenza così per evitare una cessione che avrebbe creato molto rumore è costretta di fatto a ricomprarsi De Rossi, che firma il classico contratto della vita: 6,5 milioni fino al 30 giugno 2017. Amore eterno alla causa giallorossa, ma davvero a peso d’oro, rispetto ai 3 milioni percepiti fino a quel momento.

1. Graziano Pellè
​A un anno dalla scadenza del contratto con il Southampton, che gli avrebbe riconosciuto 2,5 milioni netti (senza mai accettare di rivedere al rialzo l’ingaggio dopo le ottime prime due stagioni disputate con la maglia dei Saints), Graziano è stato folgorato… sulla via di Jinan. Lo Shandong, club pericolante nella massima divisione del campionato cinese, è andato oltre tutti i limiti di spesa toccati dal pur sempre più ricco torneo nazionale assicurando al centravanti della Nazionale un contratto di due anni e mezzo da 38 milioni di euro complessivi. I calcoli sul guadagno giornaliero, anzi all’ora, hanno subito invaso il web, di pari passo con le ironie e le perplessità di chi giudica fuori parametro certe cifre. Intanto Pellè incassa e impreca: se fosse andato dentro quel rigore…

Articolo di Davide Martini, trovato su: www.90min.com

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Giocare a calcio diminuisce il rischio di impotenza ed eiaculazione precoce

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO CHIRURGO CALCIO SPORTGiocare a pallone per 45 minuti due o tre volte a settimana riduce del 40% il rischio di disturbi sessuali come disfunzione erettile ed eiaculazione precoce. Lo dimostrano i dati della SIA (la Società Italiana di Andrologia) raccolti dal 1998 al 2010 relativamente a 15.000 ragazzi dai 18 ai 20 anni: la pratica del calcio si associa ad un minore rischio di disfunzioni sessuali. Gli effetti positivi si riscontrano anche negli adulti, anche over 65, che vedono aumentare fino al 18% la capacità cardio-respiratoria.

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Calcio di punizione a due in area di rigore: come funziona?

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Quando scatta un calcio di punizione indiretto

La Regola 12 elenca i casi in questione che, ovviamente, valgono anche in area di rigore: gioco pericoloso; ostacolare la progressione di un avversario (senza contatto fisico); impedire al portiere di liberarsi del pallone. A queste infrazioni si aggiungono quelle commesse dal portiere: se mantiene il controllo del pallone tra le mani per più di sei secondi (s’intende per controllo anche tenere la sfera sulla mano aperta, farlo rimbalzare o lanciarlo in aria per rinviare); se, dopo essersi spossessato del pallone, lo tocca di nuovo con le mani prima che questo sia stato toccato da un altro calciatore; se tocca il pallone con le mani dopo che quest’ultimo è stato calciato volontariamente verso di lui da un compagno; se tocca il pallone con le mani dopo che lo ha ricevuto direttamente da una rimessa laterale eseguita da un compagno.

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Milan-Inter: il caso Donnarumma-Eder

Il caso di domenica scorsa nel derby della Madonnina è stato insolito perché il portiere rossonero prima di toccare il pallone con le mani dopo il retropassaggio di Alex, aveva svirgolato il pallone. Un episodio simile era accaduto in un Parma-Juventus con protagonista Buffon e anche in quell’occasione l’arbitro non colse l’irregolarità. A livello regolamentare, però, non esistendo una specifica antecedente al 2015, è stata colta l’occasione per aggiungere una postilla che si trova al punto 58 della “Guida Pratica”: un calciatore passa volontariamente con i piedi il pallone verso il proprio portiere, che tenta di calciarlo. Il tiro però risulta maldestro e il pallone si alza in verticale. Così, per evitare che se ne impossessi un avversario, il portiere tocca il pallone con le mani. Esattamente la foto dell’intervento di Donnarumma. Provvedimento? Calcio di punizione indiretto.

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Altre situazioni particolari

Altri casi particolari meritano attenzione: se un portiere, nella propria area di rigore, ha il pallone tra le mani e poi lo lascia cadere a terra, per poi controllarlo coi piedi, uscire dall’area e dopo decidere di tornare dentro la stessa area raccogliendolo con le mani, scatta il medesimo provvedimento. Infine, se un calciatore nega un’evidente opportunità di segnare una rete giocando in modo pericoloso, l’arbitro dovrà espellere il calciatore: cartellino rosso e punizione a due, una vera rarità.

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Inter-Lazio: punto di battuta e barriera

Riguardo al punto di battuta (e qui vige la Regola 13) Inter-Lazio dello scorso dicembre ci ha insegnato qualcosa: la barriera, normalmente a 9,15 metri, dovrà essere posizionata tra i pali difesi dal portiere (contrariamente a quanto accaduto al Meazza) se il calcio di punizione indiretto viene concesso all’interno dell’area di porta. Il punto di battuta sarà sulla linea di porta nel punto più vicino a quello dell’infrazione. In quella circostanza Berisha aveva intercettato con le mani un retropassaggio di Radu per evitare un calcio d’angolo. E se l’arbitro dimentica di alzare il braccio e il pallone viene calciato direttamente in porta? Il gol non sarà valido e il calcio di punizione indiretto dovrà essere ripetuto.

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Vincere un campionato con una punizione a due

Una punizione a due è passata alla storia in Germania. Siamo nel 2001 e lo Schalke 04, che ha condotto a lungo il campionato prima di cadere alla penultima giornata a Stoccarda con un gol all’ultimo minuto, vede materializzarsi il miracolo: sconfiggere l’Unterhaching e sperare nella contemporanea sconfitta del Bayern in trasferta contro l’Amburgo, così da vincere il titolo per la differenza reti. Il successo in Bundes è atteso dal 1958 e al Parkstadion, nell’ultima gara prima di inaugurare l’Arena AufSchalke, il team di Gelsenkirchen vince 5-3. Intanto, il Bayern Monaco viene trafitto al 90’ da una rete di Barbarez di testa.

FONTE

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Cos’è la mineralometria ossea computerizzata (MOC), a cosa serve, come si interpretano i risultati?

Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Estetico Medicina Estetica Roma MOC DEXA MINEROLOMETRIA OSSEA COMPUTERIZZATA DIAGNOSI HDRadiofrequenza Cavitazione Cellulite Pulsata Peeling Pressoterapia Linfodrenante Tecarterapia Dietologo DermatologiaL’osteoporosi è una condizione in cui il nostro scheletro è soggetto a perdita di massa ossea ed è causata da vari fattori che possono essere di tipo nutrizionale, metabolici o patologici. In seguito alla diminuzione di densità delle ossa ed alle modificazioni della loro microarchitettura, lo scheletro di un soggetto affetto da osteoporosi è soggetto ad un maggiore rischio di fratture. Quando si parla di osteoporosi non si può non parlare della MOC, acronimo che sta ad indicare “mineralometria ossea computerizzata“, ecco oggi una serie di domande e risposte utili per chi deve sottoporsi a questo tipo di indagine.

Che cos’è la Mineralometria Ossea Computerizzata (MOC)?

La mineralometria ossea computerizzata (da cui l’acronimo “MOC”) è una tecnica diagnostica utilizzata per valutare la mineralizzazione delle ossa: misurando la densità della massa ossea, può rilevare la degenerazione dell’osso.

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A cosa serve la MOC?

La MOC si esegue per prevenire, diagnosticare e controllare l’evoluzione dell’osteoporosi.

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Come ci si prepara alla MOC?

La MOC non richiede particolare preparazione. E’ necessario, prima dell’esame, togliere dal proprio corpo eventuali oggetti metallici.

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Quali pazienti possono sottoporsi alla MOC?

L’esame può essere eseguito a qualsiasi età.

Quali sono le controindicazioni alla MOC?

La controindicazione alla MOC è la gravidanza.

Come si svolge la visita con MOC?

Il paziente deve sdraiarsi sul lettino densitometrico appoggiando le gambe su di un apposito sostegno.

Quanto dura una MOC?

L’esame dura al massimo 10 minuti.

La MOC è dolorosa?

La MOC non è invasiva e non è dolorosa.

La MOC è pericolosa?

No, l’esposizione alle radiazioni è molto bassa.

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Come si interpretano i risultati della MOC?

Il termine T-score indica la differenza, espressa in numero di deviazioni standard, tra il valore individuale che viene registrato e quello medio di una donna di circa 25/30 anni sana.

  • un T-score maggiore o uguale a -1 DS indica osso normale;
  • un T-score compreso tra -1 e -2,5 DS indica osteopenia;
  • un T-score minore di -2,5 DS indica osteoporosi.

Un T-score uguale a 0 indica che il soggetto esaminato presenta una densità ossea uguale a quella media di una donna sana di circa 25/30 anni. Più il valore è basso rispetto allo zero, maggiore sarà la gravità dell’osteoporosi. Ad esempio:

  • un T-score di -3 DS indica osteoporosi;
  • un T-score di -3,5 DS indica una osteoporosi più grave;
  • un T-score di -4 DS indica una osteoporosi ancora più grave.

Un T-score superiore a 0 indica che il paziente ha una densità ossea migliore di una donna sana di circa 30 anni.

Lo Z-score segnala invece la differenza tra il valore osservato e quello di una popolazione sana di riferimento composta da soggetti dello stesso sesso e della stessa età ed etnia dell’individuo in esame.

Quando usare il T-score e quando lo Z-score?

Il T-score andrebbe usato come riferimento per donne oltre i 30 anni, soprattutto se in post menopausa, e uomini oltre i 50 anni. Per tutti gli altri casi andrebbe valutato l’uso dello Z-score, soprattutto per bambini, adolescenti e giovani adulti maschi. In parole semplici:

  • il valore della densità ossea ottenuti da una DEXA in un paziente donna ultratrentenne o donna nel periodo post menopausale o uomo di oltre 50 anni, viene messo a paragone con quello di una donna di circa 30 anni (T-score);
  • il valore della densità ossea ottenuti da una DEXA in un paziente che non rientra nelle precedenti classi, viene messo a paragone con quello di un soggetto di pari età, sesso ed etnia (Z-score).

A titolo di esempio un bambino di 7 anni afroamericano o scandinavo userà i valori di riferimento diversi da quelli di una bambina di 10 anni asiatica o sudamericana. Per capire l’importanza di usare lo Z-score al posto del T-score in questo caso, si pensi al rischio che si avrebbe paragonando il risultato della MOC di un bambino di 9 anni a quello della donna di 30 anni, ovvero quello che accadrebbe usando il T-score: al bimbo verrebbe diagnosticata l’osteoporosi nonostante abbia una normale una densità per la sua età.

I migliori prodotti per la cura delle ossa e dei dolori articolari

Qui di seguito trovate una lista di prodotti di varie marche per il benessere di ossa, legamenti, cartilagini e tendini e la cura dei dolori articolari:

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Palloni ovali e caviglie slogate

Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Estetico Medicina Estetica Roma PALLONI OVALI E CAVIGLIE SLOGATE Pallone Calcio Amore Radiofrequenza Rughe Cavitazione Cellulite Pulsata Pressoterapia Linfodrenante Mappatura Nei Dietologo DermatologiaQuando ero piccolo si giocava a calcio per strada (fermi tutti, passa una macchina, gioco fermo!), oppure nei parchi (erba alta che neanche nella jungla). Porta ottenuta abbinando un albero con zaini Invicta e felpe varie (che si riempivano inesorabilmente di polvere) con larghezza misurata coi passi o addirittura ad occhio (ovviamente le due porte avevano larghezze diverse ed una delle due squadre era inevitabilmente avvantaggiata). Quando la palla rotolava “sopra” la cartella/palo, si litigava per mezz’ora: era palo? Era fuori? Era palo interno/gol? L’altezza della porta era variabile visto l’assenza della traversa: si andava sulla fiducia ma poi si litigava su gol/non gol. Falli e rigori erano giudicati un po’ come veniva, cioè a casaccio. Fallo laterale inesistente, calci d’angolo battuti un po’ dove capitava. Fuori gioco? Ma quando mai!
Ginocchia sanguinanti ma si continuava a giocare lo stesso, rischio frattura scomposta tibia+perone sempre in agguato. Difensori che volevano segnare gol alla Van Basten ma erano giocatori ritenuti scarsi e venivano appunto relegati in difesa, scaricavano la frustrazione puntando i piedi diritto sugli stinchi degli attaccanti avversari. Ferite importanti. Sangue. Aver più paura di chiamare i propri genitori che il 118. A fine giornata vinceva la squadra che aveva meno feriti e più sopravvissuti, in stile partita a calcio di Fantozzi tra scapoli ed ammogliati. Il mattino dopo, a scuola, i lividi erano insostituibili medaglie al valore.
Nessuno voleva andare in porta, si faceva a turno, si cambiava ad ogni gol subìto e c’era chi si faceva segnare apposta, per abbandonare i pali e tornare a fare il trequartista. Erano tutti attaccanti, nessuno voleva essere il Maldini della situazione, tutti Diego Armando Maradona, nessuno che passa mai la palla. Si segna, si irride l’avversario con la faccia di Leonida che ha appena ucciso un migliaio di persiani alle Termopili, fosse anche il proprio compagno di banco che il giorno prima ti aveva passato tutto il compito di matematica.
Quando si organizzava la solenne partita, 45 minuti prima del fischio di inizio mancava sempre qualcuno per un impegno urgente, e giù di telefonate per cercare un tizio qualsiasi, disponibile da sostituire al volo. Si trovava il sostituto, ma era un pirlone alla Iturbe e nessuno lo voleva con se: giocherà il primo tempo con una squadra ed il secondo con l’altra, a mo’ di handicap, tornerà a casa abbattuto più di Fedez ad un concerto di Eminem.
Si giocava con impegno, erano tutte partite di coppa (del nonno, si lo so: battuta banale) dei campioni, tanto che a volte tutti si dimenticavano il punteggio, ed i più furbi provavano ad aggiungere uno o due gol alla propria squadra. I più fortunati avevano la maglietta di Giannini della Roma, o di Signori della Lazio, o di Hugo Sánchez del grande Real Madrid, tutti gli altri il tutone della Standa e le scarpe Superga bianche tarocche comprate alla bancarella del mercato o ereditate dal fratello più grande (una taglia più grandi fisso).
Il primo tempo finiva quando veniva sete e si correva tutti alla fontanella, chi arriva prima beve per primo. Il secondo tempo finiva quando tuo padre ti veniva a prelevare perché non avevi ancora finito i compiti per il giorno dopo, se non volevi ti prendeva per l’orecchio e ti portava via così, come un trolley all’aeroporto. Non ci facevi una gran bella figura.
Giocavi meglio quando le compagne di classe venivano a vedere la partita: se poi c’era la ragazza che ti piaceva diventavi all’istante Gianluca Vialli, solo più basso ma con più capelli. Le ragazze dopo cinque minuti si stufavano e se ne andavano e tu non te ne accorgevi e continuavi a giocare col boost inserito che manco Batistuta. Poi te ne accorgevi e acquisivi l’espressione di chi continua a parlare al telefono e si accorge che era caduta la linea dieci minuti prima.
Il solito esibizionista provava sempre a fare giocate impossibili che quando riuscivano diventavano leggendarie e si tramandavano a scuola alle matricole. Sempre lo stesso esibizionista era solito tirare super-pallonate, il pallone finiva lontano e nessuno voleva andare a raccattarlo, quando andava bene si faceva a turno. A volte finiva sotto le macchine, dietro le ruote, ci si sdraiava per terra per recuperalo e si continuava a giocare con la polvere negli occhi ed il grasso dell’automobile sulle calze e sulle caviglie. Quando la palla finiva su un balcone? Ci si attaccava al citofono e se nessuno rispondeva ci si attaccava a… un’altra cosa: fine anticipata della partita e si ritorna domani per riprendersi il pallone, che era quello buono e non il “super santos” da cinquemilalire che va a vento. Finestra rotta da una pallonata: fine ancora più anticipata e super-fuga dalle proprie responsabilità, di corsa, trasformarsi da Del Piero a Mennea e fare il nuovo record del mondo dei 200 metri piani, ma correndo con la sensazione di essere un gran fantasista.
Era sempre difficile, all’inizio della partita, ricordarsi chi erano i tuoi compagni di squadra e chi gli avversari: a quelli dell’altra squadra in possesso di palla si gridava sempre “passala a me” contando sul fatto che si confondevano e te la passavano pensando tu fossi un compagno. La paura di essere l’ultima scelta quando i “capitani” sceglievano a turno i componenti del proprio team. I capitani erano quelli che avevano più successo con le ragazze. Il proprio migliore amico diventava il più acerrimo avversario quando capitava con l’altra squadra. Se il pallone buono di pelle era il tuo, sceglievi tu chi giocava ed eri il re della partita.
Si giocava fino ad il pomeriggio tardi, quando d’inverno è buio pesto e non si vede più se quello è il pallone o una grossa pietra finita nel “campo di gioco”. Si giocava al buio della poca luce dei lampioni mezzi rotti della fredda periferia di Roma. Si giocava col gelo che, finché non ti riscaldavi un po’, stordisce e ti entra nella testa e nelle ginocchia. Si giocava quando pioveva, almeno finché le gocce non diventavano proiettili, nella tempesta ti sentivi eroico come Zola che segna il gol decisivo all’Inghilterra nel freddo gelido di quel 1997. Litigate interminabili per chi doveva tirare il rigore. Cani che interrompevano il match facendo roboanti irruzioni di campo. Partita maschi contro femmine? No mischiamo le squadre che sono sbilanciate! Quando avevi la palla al piede e correvi in porta partendo dalla tua difesa, il campo diventava lunghissimo ed in salita che in confronto quelli di Holly e Benji erano una passeggiata di salute. Tiravi come se volessi buttare giù un panzer tedesco della Seconda Guerra Mondiale. Segnavi ed esultavi come Zoff l’11 luglio dell’82.
Palloni che finiscono sulle cacche dei cani e se ne accorgeva il primo che la prendeva di testa. Palloni che rimbalzano poco perché sempre troppo sgonfi, “ti avevo detto di andarlo a gonfiare al distributore di benzina”. Palloni sempre troppo duri, che a prenderli di testa si rischiava il trauma dell’osso frontale del cranio. Palloni comprati con la colletta di 15 persone e poi si fa la conta per chi lo tiene a casa propria. Pallone nuovo, regalo di Natale, quello di cuoio cucito a mano e lo stemma del Barcellona, così bello che dici ai tuoi amici di calciarlo piano che hai paura di rovinarlo. Palloni ovali, che ci si può giocare a rugby. Palloni super tele, super economici, più leggeri di una piuma, arriva il vento e se lo porta via, difficili da controllare che manco Shevchenko o il Totti di dieci anni fa ce la potevano fare. Palloni che finiscono in mezzo alla strada e “stai attento che passano le macchine”. Palloni calciati con così tanta forza che bucano la rete che neanche Oliver Hutton. Ah no, la rete era già bucata prima, bisognava rammendarla. Palloni bucati, inservibili, sepolti in cantina perché ti dispiace buttarli perché ci hai giocato quella famosa partita in cui hai conosciuto la tua futura moglie.
“Domani abbiamo l’orale di maturità!” “Ma che ti frega, giochiamo ancora un po’”. Mamme in ansia. Mamme affacciate alla finestra. Quante “finali di coppa del mondo” interrotte da “Ninoooo è pronta la cena”. E la paura di tirare il calcio di rigore lasciava il posto ai rigatoni al sugo e basilico. Mangiare come un matto grazie alle due ore di corsa forsennata appena fatta ed al metabolismo ancora lungi dall’abbandonarti.

Tornare a casa dopo aver perso e sentirsi come Roberto Baggio dopo quel rigore sbagliato.

Tornare a casa dopo aver vinto e sentirsi come Fabio Grosso dopo quel rigore dodici anni dopo…

Quando ero piccolo, la sera tornavo a casa con le caviglie slogate; ora i bambini al massimo tornano a casa con i pollici slogati.

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Samantha Cristoforetti e il vero simbolo del degrado italiano

Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Specialista in Medicina Estetica Roma SIMBOLO DEGRADO ITALIANO Samantha Cristoforetti Radiofrequenza Rughe Cavitazione Pulsata Peeling Pressoterapia Linfodrenante Mappatura Nevi Dietologo Dermatologia 1

Samantha ha raggiunto l’orbita da pochi secondi: il sorriso più bello è tra le stelle!

Una partita di calcio. Un derby, quindi sicuramente una gara particolarmente importante per i giocatori in campo e per i tifosi sfegatati, che sentono la stracittadina come qualcosa di fondamentale nelle loro vite. Ma sempre una partita di calcio. Come ce ne sono tante e come ce ne saranno tante in futuro. Ma cominciamo dal principio.

Erano quasi le dieci e Samantha stava per partire

Ieri sera torno a casa dal lavoro di fretta, erano le dieci meno dieci e alle 22 e 01 la nostra astronauta Samantha Cristoforetti (ne avevo parlato in questo articolo) doveva lasciare la Terra – prima donna italiana – per elevarsi a 400 km dal suolo, scrivere la storia e portare le italiane e l’Italia tra le stelle, sulla Stazione Spaziale Internazionale. La 37enne della provincia di Trento parla italiano, tedesco, inglese, francese e russo (le lingue che parla l’italiano medio, insomma); laureata a Monaco in ingegneria meccanica, pilota espertissimo, specializzata in Texas, selezionata per fare l’astronauta tra quasi 9000 candidati preparatissimi (super-genio tra i geni) ma rimanendo sempre estremamente umile: insomma l’esempio di quanto di buono può fare una persona col proprio corredo di neuroni quando ha volontà, dedizione, capacità e coraggio. Un esempio da mostrare nelle scuole elementari. Neanche mi levo la giacca e corro in salone. Accendere il pc richiederebbe troppo tempo e lo streaming mi farebbe osservare in leggera differita un evento che invece volevo vivere in diretta. Accendo la televisione nella sicurezza di trovare le immagini della nostra astronauta, non certo a reti unificate, ma almeno sul primo canale e metto su Rai Uno: c’è un film. Metto su Rai Due: c’è una replica di NCIS. Cambio su Rai Tre: c’è Report. Ma dove diavolo mandano la diretta? La mente mi ricorda che siamo nella nazione dell’ignobile servizio televisivo del TG4 dove “la sonda Philae vìola la nostra pura immagine natalizia di una cometa, trapanandola senza pietà”. Ma possibile che davvero nessuno ne parli in tv? Con un po’ di timore mi sposto su RaiNews24 dove effettivamente c’è una diretta dell’evento, anche se – sinceramente – i commentatori non mi sembrano molto all’altezza della situazione. Ma per fortuna parlano le immagini dalla cabina e l’emozione è fortissima: Samantha saluta in telecamera, sorride e controlla la strumentazione di bordo con la stessa naturalezza con la quale io metto le frecce sulla mia Polo ed il mio sistema nervoso centrale si riempie di scariche di orgoglio. Penso a quanto ha dovuto affrontare per essere fisicamente ed intellettualmente in grado di sostenere un viaggio nello spazio. Penso che non siamo più da tempo un Paese di poeti o santi, ma abbiamo ancora grandi navigatori. Penso a quando in una intervista disse che nel suo paese natio (Malé) c’è poco inquinamento luminoso e la sera da bambina guardava un cielo limpido e pieno di stelle e che da li è nata la sua passione per gli astri. Sorrido pensando: “fosse nata a Las Vegas, che lavoro farebbe ora?!”. Quella bimba diceva di voler andare sulla luna, da grande, circondata dai sorrisi degli adulti.
Partenza.
Emozioni indescrivibili.
La netta certezza di vivere attimi che ricorderò anche tra trent’anni.

Passare dalla felicità al disgusto

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RaiNews24 a pochi minuti dal lancio

Dopo qualche minuto il veicolo spaziale Sojuz TMA-15M raggiunge l’orbita. La nostra Samantha è nello spazio. Mi affaccio alla finestra, il cielo di Roma è senza nuvole e i sassolini nel cielo luminosi come se vivessi anche io a Malé. Mi immagino quella esile donna appassionata di speleologia, che galleggia sulla mia testa a 27 mila km/h e mi scappa una lacrima di gioia che neanche il giorno della mia laurea o il primo giorno da medico in sala operatoria ero così felice. Mi emoziono ora anche solo a ricordare il suo sorriso pochi secondi dopo aver raggiunto l’orbita. Passano pochi minuti e su RaiNews24 si mettono a parlare di altro (vedi foto illuminante in alto). Non mi aspettavo certo cinque ore di trasmissione, ma smettere di parlarne appena dieci minuti dopo aver raggiunto l’orbita mi sembrava un po’ poco. Mi ritrovo a pensare che Samantha è così oltre da far apparire la nostra classe dirigente, ancor più meschina e grottesca di quello che già è. Ho la complottistica paura che una tale mente sia volontariamente tenuta il più possibile nascosta al popolo.
Ho la radio vicino e mi sintonizzo subito su Radio Uno. Radiocronaca in diretta della partita di calcio Milan-Inter. E’ solo allora che – ancora con la lacrima di gioia che mi cola sul viso – realizzo che la prima radio d’Italia, quella per cui tutti noi paghiamo il canone, durante la partenza della prima donna italiana verso lo spazio, ha diffuso la radiocronaca di una partita di calcio. Un derby, quindi una partita sicuramente importante. Ma una partita di calcio come ce ne sono tante e ce ne saranno tante in futuro. Ma sarebbe stato lo stesso anche se fosse stata la finale della coppa del mondo. In quel momento, che siate d’accordo o no, Samantha stava facendo la storia, e non parlo solo della storia dell’astronomia italiana, parlo proprio della Storia italiana, quella che i nostri nipoti studieranno sui libri di storia. E la prima radio nazionale parlava di calcio. Ma chiariamolo bene: il punto non è neanche il calcio, poteva anche parlare di qualsiasi altra cosa. Il punto è la poca considerazione che viene data in Italia ad un evento scientifico storico. Se pensate che questo sia un post contro il calcio o contro chi ha la più che legittima passione per il calcio, credetemi: sono stato frainteso. Il degrado cui faccio riferimento nel titolo, non è il calcio. Il degrado è quanto la cultura, che in altri lidi sarebbe valorizzata fino a diventare primo motore economico di una nazione, venga in Italia mortificata, anzi POLVERIZZATA come i ruderi di Pompei dissolti in una criminale noncuranza. Non è paradossale che la nazione che possiede un patrimonio artistico e culturale sterminato come il nostro, sia in queste condizioni indegne?
In seguito mi hanno detto che la radiocronaca della partita è stata interrotta qualche minuto per collegarsi col lancio. Qualche minuto su due ore di gara? Ah bene, allora questo cambia tutto! Qualcuno mi ha detto: “Ma non è una cosa così importante, le cose importanti sono altre“. Sono ormai anni che va di moda il “benaltrismo” e sono anni che in Italia la ricerca scientifica è vista come una zavorra inutile da un popolo un tempo germoglio della cultura universale ed ora al primo posto al mondo per analfabetismo funzionale (dati Ocse, rapportoSkills outlook 2013). Io mi sono francamente stancato di dare sempre risposte che cadono come un sassolino in un burrone perciò ad uno che vi dice una cosa del genere – se non ci arriva da solo – è impossibile spiegare alcunché, quindi issate bandiera bianca sin da subito e fatelo rimanere della propria opinione: lui tornerà presto a parlare di belen rodriguez e voi risparmierete il vostro tempo per questioni più importanti come ad esempio discutere con chi ha la mente ancora feconda.

Domanda ed offerta

E’ una vecchia legge e si coniuga così: il cittadino medio preferisce un derby o x factor ad un evento scientifico storico ed irripetibile (per qualcuno non così storico, per me si)? Ed ecco che la RAI, da educatore che era 50 anni fa, si trasforma in un venditore di tappeti dozzinali. Tutto questo immerso in un circolo vizioso che vede una platea sempre più anestetizzata ed ignorante, rincorsa da programmi sempre più scadenti che rendono il pubblico ancora più cafone, giorno dopo giorno, cronicamente ed inesorabilmente. Un vortice che ci porta sempre più giù, in una ignoranza che in Italia da decenni non conosce più confini né dignità, legittimata da una società che si auto-annienta premiando fenomeni da baraccone e persone ricolme di nulla, in una corsa esponenziale al ribasso dove se dici che preferisci un documentario sui delfini all’isola dei famosi, ti guardano come un EXTRATERRESTRE. Ti fanno sentire come un perdente. Ma, come dissi ai miei amici qualche tempo fa: in un mondo dove vince la prevaricazione, il latrocinio e la mediocrità, essere perdenti è il più grande degli onori, quindi siate orgogliosi di essere considerati degli sfigati in questo paese alla deriva. Un paese che premia la minetti con 200 mila euro per andare qualche giorno su un’isola a prendere il sole mentre un vigile del fuoco, che ogni giorno rischia la propria vita per salvare quella degli altri, deve lavorare quasi 20 anni per guadagnare la stessa cifra. Un pensiero “populista“? Forse si, ma a me questa cosa fa schifo lo stesso.
Vi chiedete se il problema riguarda solo la televisione? NO! Il problema è più profondo perché radicato in fondo alla nostra stessa arrivista italianità. Stesso discorso vale per i giornali di questa mattina, dove rende di più parlare di Hamilton che vince il mondiale di formula 1, che non delle conquiste di una brillante mente italiana che – partita da un paesino del nord – passerà i prossimi sei mesi su una stazione spaziale a fare ricerca scientifica. Quella stessa ricerca che permetterà – domani – di creare un nuovo laser per rimuovere un tumore maligno dal seno di vostra moglie lasciandole intatta la mammella o forse una stampante 3D che vi permetterà di costruirvi un ecografo da tenere in casa per prevenire l’infarto di vostro padre. E sento ancora persone dire che i soldi spesi nella ricerca sono soldi buttati. Quindi la prossima volta che venite in ospedale, la risonanza magnetica non ve la facciamo, che ne dite? Così avrete più tempo per scagliarvi davanti ad una scatola che vi vomiterà addosso le immagini del plastico della casa dell’ultima probabile madre assassina, di cui saprete presto ogni scabroso particolare privato, prima ancora che sia entrata in tribunale, in barba alla presunta innocenza.
Ieri sera, demoralizzato e dopo essere stato mio malgrado informato del risultato di una partita di calcio (anche piuttosto piatta, visto il risultato), non ho poi neanche controllato se almeno su Radio Due parlavano di Samantha. Con la lacrima ormai ghiacciata sulla guancia, ho acceso il pc. Per fortuna esiste internet e ho potuto continuare a vivere (sulle televisioni straniere) questo evento storico, evento che sarebbe dovuto andare in diretta su Rai Uno e contemporaneamente su Radio Uno come invece accade il febbraio di ogni benedetto anno, quando c’è Sanremo e salgono sul palco sempre gli stessi quattro cantanti. Lo ammetto: non sono un grandissimo appassionato di calcio (né di Sanremo), ma qui la mia passione non c’entra nulla. C’entra invece uno stato dove ormai la cultura ed un evento storico della scienza, vengono superati da un cantante mediocre, dalla replica di un film e da una banale partita di calcio.

Mi spiace, ma ho perso la speranza.

Termino con il mio status di ieri sera che racchiude – in una frase – tutta la mia disperazione:

La prima donna italiana va nello spazio e su radiouno va in onda la radiocronaca di milan-inter: questo è il vero simbolo dell’ormai irrecuperabile degrado italiano… Vai Samantha!

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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Un in bocca al lupo alla nazionale italiana di calcio impegnata in Brasile: forza ragazzi!

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO CHIRURGO CALCIO SPORT STADIODopo la vittoria della notte scorsa contro la nazionale inglese, ci auguriamo che la nostra squadra possa continuare a far bene: FORZA RAGAZZI!

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Josh Turnbull: ha solo 4 anni ed ha già segnato un gol col Chelsea

Sorridere fa bene alla salute e questo video, anche se è ormai un po’ datato (2013), sono sicuro che vi strapperà un sorriso!

L’Inghilterra è in delirio per la prodezza di un bimbo a Stamford Bridge. Inutile dire che questo bambino il calcio ce l’ha nel sangue e da grande darà del filo da torcere al suo papà. E’ Josh Turnbull, il figlioletto del portiere del Chelsea, Ross Turnbull (ora passato ai Doncaster Rovers), che segna indisturbato il suo primo gol davanti agli occhi di dei tifosi della curva Matthew Harding.

Mentre “i grandi” festeggiano la vittoria in Europa League contro l’Everton, il piccolo Josh, procede spedito verso la porta con il pallone incollato al piede: appena i tifosi capiscono le intenzioni del pupo, cominciano a incitarlo fino a esplodere in un’ovazione da finale dei Mondiali. Il bimbo appare stranito, ma poi alza le braccia in segno di trionfo: l’esultanza è da vero campione!

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