Bertrand Arthur William Russell (nato a Trellech il 18 maggio 1872 e deceduto ad 87 anni a Penrhyndeudraeth, il 2 febbraio 1970) è stato un filosofo, logico, matematico ed attivista gallese; famoso ed autorevole esponente del Continua a leggere
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Età ed origine del mondo, della vita e dell’uomo sulla Terra
La formazione della Terra e la contemporanea formazione del Sole e degli altri corpi del sistema solare ebbe origine dalla contrazione di una nebulosa di polvere interstellare. La nebulosa diede luogo ad un disco protoplanetario con il Sole al suo centro ed i pianeti in formazione per accrescimento di materiale, in orbita intorno. L’età della terra è stata stabilita in 4,5 miliardi di anni (4 540 000 000 anni), corrispondenti approssimativamente ad un terzo dell’età dell’universo.
Origine del sistema solare
Il sistema solare (inclusa la Terra) si formò a partire da una grande nube in rotazione di polveri e gas interstellari, chiamata nebulosa solare, che era in orbita attorno al centro della nostra Galassia. Era composta di idrogeno ed elio, prodottisi dal Big Bang avvenuto 13,7 miliardi di anni fa, ma anche da materiali più pesanti emessi dalle supernove. Circa 4,6 miliardi di anni fa, la nebulosa solare cominciò a contrarsi, probabilmente a causa dell’onda d’urto provocata dall’esplosione di una supernova vicina. Una tale onda di shock avrebbe impartito alla nebulosa una certa velocità angolare. Quando la nebulosa cominciò ad accelerare la sua rotazione, la gravità e l’inerzia l’appiattirono in un disco protoplanetario orientato perpendicolarmente al suo asse di rotazione. La maggior parte della massa, per effetto dell’attrazione gravitazionale, si concentrò al centro e cominciò a riscaldarsi, ma piccole perturbazioni dovute a collisioni ed al momento angolare di altri grandi detriti crearono i punti di accrescimento in cui cominciarono a formarsi i protopianeti, cioè oggetti dalle dimensioni superiori a svariati chilometri.
Formazione dei protopianeti
L’accumulo di materiale, l’aumento della velocità di rotazione e la pressione della forza di gravità crearono un enorme aumento dell’energia cinetica, e quindi del calore interno al centro. L’impossibilità di trasferire quell’energia all’esterno attraverso altri processi che avrebbero permesso una riduzione della temperatura, ebbe come risultato un enorme riscaldamento del centro del disco che alla fine portò ad attivare la fusione nucleare dell’idrogeno in elio, e quindi, dopo la contrazione dei gas, si innescò una stella T Tauri che divenne il nostro Sole. Nel frattempo, dato che la gravità costringeva la materia a condensarsi intorno ad oggetti in orbita al di fuori dell’attrazione del nuovo sole, le particelle di polvere e il resto del disco protoplanetario cominciarono a separarsi in anelli. Successivamente i frammenti più grandi collisero l’uno con l’altro e formarono oggetti sempre più grandi, fino a diventare infine protopianeti. Tra questi ultimi un agglomerato di materia si trovava approssimativamente a 150 milioni di chilometri dal centro: la futura Terra. Simulazioni al computer hanno dimostrato che pianeti con distanze uguali a quelle dei pianeti interni del nostro sistema possono formarsi da un disco protoplanetario come quello presente attorno ad altre stelle nell’universo, dando così luogo a pianeti extraterrestri noti come esopianeti.
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Dopo il Big Bang
La Terra si formò 10 miliardi di anni dopo il Big Bang, il fenomeno che avrebbe dato origine all’universo a partire da una “singolarità gravitazionale” costituita da un punto di infinita densità che si sarebbe espanso autogenerandosi. Il calore generato dagli impatti e dalla contrazione indicano che la Terra si trovava in uno stato fuso, durante il quale ebbe luogo una differenziazione in strati, in cui si formarono un nucleo interno di elementi pesanti avvolto da un mantello ed una proto-crosta formati da elementi leggeri. Fu in questo periodo che si formò la Luna, probabilmente a causa di un impatto gigante tra la Terra ed un planetoide in formazione. La Terra si raffreddò progressivamente e acquisì una crosta solida in cui presero forma i primi continenti. Un continuo bombardamento di meteoriti e comete di ghiaccio rifornì la Terra di un’enorme quantità di acqua che creò gli oceani, mentre l’attività vulcanica ed il vapore acqueo crearono una primitiva atmosfera, inizialmente priva di ossigeno. I continenti galleggiavano sul mantello fluido del pianeta e attraverso la tettonica a zolle si unirono in supercontinenti, che in seguito si separarono di nuovo in un processo che si è ripetuto molte volte durante i quattro miliardi e mezzo di anni.
L’origine della vita sulla Terra
Diverse ipotesi sono state fatte dall’uomo sull’origine della vita sulla Terra, alcune hanno carattere più filosofico, altre più religioso, altre ancora scientifico. Secondo una tesi accreditata, l’inizio della vita si determino a partire da reazioni chimiche spontanee che portarono alla formazione di molecole organiche, le quali interagirono per formare strutture ancora più elaborate e complesse, ed infine diedero luogo a molecole che erano in grado di riprodurre copie di sé stesse. Questa abilità diede una spinta notevole all’evoluzione e portò alla creazione della vita. All’inizio la vita cominciò sotto forma di organismi monocellulari, ma in seguito si sviluppò la pluricellularità, e quindi un processo evolutivo superiore quale la fotosintesi, che fornì di ossigeno l’atmosfera e portò alla creazione di uno strato di ozono. Le forme di vita si differenziarono in molte specie e divennero sempre più avanzate, colonizzando la terraferma e occupando gradualmente tutti gli habitat della Terra. Glaciazioni, eruzioni vulcaniche, e impatti meteoritici causarono molte estinzioni di massa, ma le specie rimanenti si svilupparono in nuove forme e ricrearono sempre una nuova biosfera.
Origine dell’uomo sulla Terra
L’origine degli esseri umani, secondo alcune teorie, si verificò circa 6 milioni di anni fa, grazie ad una differenziazione del ramo evolutivo dei primati che portò allo sviluppo dell’uomo moderno. Poco dopo la separazione tra i due tipi di animale, per ragioni ancora oggi in discussione, le scimmie di un ramo svilupparono l’abilità di camminare eretti, caratteristica che contraddistingue ancora oggi l’essere umano. All’incirca nello stesso periodo l’altro ramo si suddivise nella specie progenitrice degli scimpanzé comuni ed in quella dei bonobo. Le dimensioni del cervello del tipo di scimmia separata dalle altre aumentarono rapidamente, e circa 2 milioni di anni fa, apparvero i primi animali classificabili nel genere Homo. L’abilità di camminare eretti, la caratteristica del pollice opponibile e lo sviluppo dei sistemi comunicativi furono fattori cruciali.
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L’invenzione del fuoco e della lingua
L’abilità di controllare il fuoco comparve probabilmente con l’Homo erectus almeno 790.000 anni fa ma – secondo alcuni – forse già 1,5 milioni di anni fa. Inoltre è stato suggerito che l’uso e la scoperta del fuoco può risalire addirittura a prima dell’Homo erectus. È possibile che il fuoco fosse stato usato già nel primo paleolitico dall’ominide Homo habilis e/o da australopitechi robusti come il Paranthropus. Più difficile è stabilire l’origine della lingua; non è chiaro se l’Homo erectus fosse già in grado di parlare o se questa capacità non si fosse sviluppata almeno fino all’Homo sapiens. Aumentando il cervello di dimensioni, i bambini venivano partoriti prima che il cranio divenisse troppo largo per passare attraverso il bacino. Come risultato, mostravano una neuroplasticità maggiore, e perciò una capacità superiore di imparare, ma anche un periodo di dipendenza dalle cure parentali maggiore. Le abilità sociali divennero più complesse, il linguaggio più avanzato e gli strumenti più elaborati. Ciò contribuì ad una cooperazione di livello superiore e ad un continuo sviluppo cerebrale.
L’evoluzione dell’uomo
Una enorme spinta nelle capacità di sopravvivenza dell’uomo, derivarono certamente dalla capacità di rimanere per lunghi periodi in un dato territorio, sfruttando le risorse naturali che esso offriva, sviluppando l’agricoltura e iniziando ad allevare sistematicamente gli animali. Ciò migliorò le condizioni di vita e poterono formarsi società e civiltà definite in un dato territorio, con diverse caratteristiche culturali e religiose, fatto che portò alla formazione di vere e proprie città e successivamente di nazioni fatte di cittadini legati da identità culturale e religiose comuni. I primi umani che mostrarono una prova di spiritualità furono gli uomini di Neandertal (classificati generalmente come una specie separata senza discendenti sopravvissuti); essi seppellivano i propri morti, spesso apparentemente con cibo ed attrezzi. Ad ogni modo tracce di credenze più sofisticate, come le prime pitture rupestri di Cro-Magnon (con un significato probabilmente magico o religioso) non apparvero fino a 32.000 anni fa. I Cro-Magnon ci hanno lasciato inoltre statuette come la venere di Willendorf, probabilmente anch’essa con significato religioso. Circa 11.000 anni fa, l’Homo sapiens aveva già raggiunto la punta meridionale del Sud America, l’ultimo continente disabitato (ad eccezione dell’Antartide, che rimase inesplorata fino al 1820 d.C.). L’uso degli attrezzi e del linguaggio continuava a migliorare e le relazioni interpersonali diventavano sempre più complesse.
L’uomo “sapiente” e la somiglianza con le scimmie
Si ritiene che gli uomini anatomicamente moderni — Homo sapiens — si siano originati in un luogo non noto circa 200.000 anni fa o prima, molto probabilmente in Africa. La precisa datazione dei primi esemplari di sapiens è stata dai ricercatori negli anni spostata sempre più indietro nel tempo, anche grazie a ritrovamenti nei tufi vulcanici della valle del fiume Omo in Etiopia che sposterebbero ad oltre 200 mila anni fa la comparsa dell’Huomo sapiens. Per mezzo di tecniche basate sui rapporti isotopici dell’argon, alcuni reperti anatomicamente simili all’uomo moderno sono stati datati a 195 000 anni fa, con una incertezza di ± 5 000 anni. Nuovi ritrovamenti rinvenuti nel 2017 in Marocco sposterebbero l’origine dell’Homo sapiens a circa 300 000 anni fa. I parenti più stretti ancora viventi di Homo sapiens sono due specie di scimpanzé: il bonobo (Pan paniscus) e lo scimpanzé comune (Pan troglodytes). Il sequenziamento completo del genoma umano ha portato alla conclusione che dopo ben 6,5 milioni di anni di evoluzione separata, le differenze tra bonobo/scimpanzé ed umani sono geneticamente limitate: il 98,6% della sequenza di DNA è identica tra le due specie di scimpanzé e gli esseri umani.
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L’evoluzione umana
Nel corso della storia umana, l’Homo sapiens ha sviluppato società sempre più organizzate e complesse, caratterizzate e plasmate da eventi di varia natura: crisi alimentari, scoperte e rivoluzioni scientifiche e sociali, guerre, pandemie hanno spesso segnato i passaggi di questa evoluzione. Il progresso della civiltà umana, legato ad alcune scoperte chiave (come la scrittura, la scrittura a caratteri mobili, la trasmissione veloce a distanza delle informazioni ed i progressi sanitari), ha portato al prolungamento della speranza di vita e al miglioramento delle condizioni igienico sanitarie, al riconoscimento di diritti dell’uomo, alla maggior conoscenza delle risorse naturali de al miglioramento della qualità di vita generale, anche se a tutt’oggi in molte parti del mondo queste evoluzioni sono avvenute solo in parte o non sono ancora potute avvenire.
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C’è acqua su Marte? No: la NASA si è sbagliata
Le caratteristiche striature scure osservate nel 2015 fa sulla superficie di Marte e ritenute la prova regina della presenza di acqua allo stato liquido sarebbero in realtà dei semplici flussi di sabbia, che scendono da pendii ripidi. Lo ha determinato un team di ricerca dell’Università dell’Arizona di Tucson, Stati Uniti, smontando una delle scoperte più affascinanti della NASA degli ultimi anni. Secondo i ricercatori, coordinati dal professor Alfred McEwen, responsabile della potente fotocamera Imaging Science Experiment (HiRISE) equipaggiata sulla sonda Mars Reconnaissance Orbiter (MRO), è possibile che comunque una minima presenza di acqua possa sussistere, ma sarebbe insufficiente a sostenere anche la vita di microorganismi. Insomma, Marte sarebbe ancora più secco e desertico di quanto immaginassimo.
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Pendenze limitate
Per giungere a questa conclusione, McEwen e colleghi hanno studiato a fondo oltre 151 striature scure in dieci siti dislocati tra i poli e l’equatore del Pianeta rosso, ambitissima tappa dell’esplorazione umana nello spazio. Dall’analisi delle immagini raccolte dall’HiRISE e dalle ricostruzioni tridimensionali al computer è emerso che queste strisce, tecnicamente conosciute col nome di “Linee di Pendenza Ricorrenti” (RSL), sono quasi tutte limitate a pendenze di 27 gradi. Se fossero state composte da acqua, avrebbero dovuto estendersi a pendenze molto meno ripide, inoltre il loro “angolo di riposo dinamico”, ovvero il modo in cui si arrestano, è del tutto simile a quello dei flussi di sabbia sulla Terra, ad esempio sulle dune.
Il modo attendibile? Andare li
Nonostante queste evidenze, la natura delle striature scure resta controversa; sono infatti stagionali, inoltre i sensori di vari strumenti hanno chiaramente individuato la presenza di sali idrati, che hanno molecole d’acqua nella loro struttura chimica. Secondo i ricercatori potrebbe trattarsi della semplice reazione tra il flusso di sabbia e l’atmosfera marziana, che stagionalmente potrebbe rilasciare vapore acqueo e influenzare l’idratazione dei granuli. Di conseguenza verrebbe condizionata anche la colorazione (più chiara o più scura) e l’espansione dei flussi, ma si tratta solo di congetture. Per gli scienziati della NASA non si possono comunque trarre conclusioni definitive, e l’unico modo per sapere cosa sono esattamente queste striature è recarsi in loco e verificare. Secondo le previsioni del fondatore di SpaceX, Elon Musk, il primo uomo su Marte potrebbe mettere piede attorno al 2024, ma per la NASA si dovrà attendere almeno il 2035 o giù di lì, visti i numerosi limiti tecnici ancora oggi irrisolti. I dettagli della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Nature Geoscience.
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Ecco perché amo la medicina e la scienza
18 novembre 2016: i gemelli Anias e Jadon McDonald (di 13 mesi) vengono separati al Montefiore Medical Center nel Bronx. L’operazione è iniziata nella mattina di giovedì 17 novembre ed è terminata il giorno dopo nel pomeriggio. La separazione ha richiesto circa 16 ore, a cui si sono sommate altre ore per ricostruire le parti mancanti della testa perse nella separazione. A distanza di quattro mesi i bimbi stanno bene e godono di perfetta salute.
Ecco perché amo la medicina e la scienza: sono in grado di ridare una vita normale a due sfortunati piccoli bimbi.
Per approfondire: Anias e Jadon McDonald: gli ex gemelli siamesi ora stanno bene
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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine
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Differenza tra satellite artificiale scientifico ed applicativo
Un “satellite artificiale” è un oggetto costruito dall’uomo, orbitante intorno ad un corpo celeste che sono stati posti volutamente nell’orbita desiderata con mezzi tecnologici (ad esempio razzi vettori) e con varie finalità a supporto di necessità umane (servizi o indagini/monitoraggio scientifico-ambientali).
I satelliti artificiali possono essere principalmente di due tipi:
- satelliti scientifici, destinati alla ricerca pura nel campo dell’astronomia o della geofisica, es. Telescopio Spaziale Hubble o Lageos;
- satelliti applicativi, destinati a scopi militari o ad usi commerciali civili.
I satelliti applicativi si possono ulteriormente suddividere in:
- satelliti per telecomunicazioni, apparecchiature costruite dall’uomo per le telecomunicazioni, es. i Satelliti COSPAS-SARSAT; spesso sono posizionati in un’orbita geostazionaria intorno alla Terra e in numero tale da formare una rete satellitare;
- satelliti meteorologici, posizionati sia in orbita geostazionaria (es. METEOSAT) sia in orbita polare (es. satelliti NOAA);
- satelliti per telerilevamento, costruiti per il telerilevamento, la cartografia e l’osservazione sistematica della superficie terrestre (es. satelliti Landsat, QuickBird, Envisat, IKONOS o RapidEye);
- satelliti per la navigazione, come quelli della rete GPS (Global positioning system);
- satelliti militari sia a scopo offensivo che difensivo, es. la rete di satelliti di monitoraggio nucleare Vela o lo statunitense Geosat;
- stazioni orbitanti, es. Stazione Spaziale Internazionale, Skylab, Mir;
sonde spaziali in modo improprio, perché in genere le sonde non orbitano attorno ad un altro corpo.
Inoltre i satelliti artificiali sono caratterizzati in base all’orbita che percorrono. Le orbite principali sono: orbita polare, orbita equatoriale, orbita geostazionaria, orbita terrestre bassa, orbita terrestre media.
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Alan Turing, il padre dell’informatica e dell’intelligenza artificiale
Il mio mito è Alan Turing. Alan Mathison Turing nacque a Londra 23 giugno 1912. Da studente era decisamente poco appassionato a materie come la letteratura, il latino e la religione: ad esse preferiva letture riguardanti la Teoria della Relatività, i calcoli astronomici, la chimica o il gioco degli scacchi. Nel 1931 fu ammesso al King’s College dell’Università di Cambridge dove fu allievo di Ludwig Wittgenstein e dove approfondì i suoi studi sulla meccanica quantistica, la logica e la teoria della probabilità (dimostrò autonomamente il teorema centrale del limite, già dimostrato nel 1922 dal matematico Lindeberg).
Nel 1934 si laureò con il massimo dei voti e nel 1936 vinse il premio Smith (assegnato ai due migliori studenti ricercatori in Fisica e Matematica presso l’Università di Cambridge). Nello stesso anno si trasferì alla prestigiosa Princeton University dove studiò per due anni, ottenendo infine un Ph.D. In quegli anni pubblicò l’articolo “On computable Numbers, with an application to the Entscheidungsproblem” nel quale descriveva, per la prima volta, quella che sarebbe poi stata definita la “macchina di Turing”. Nel 1940, a 28 anni, era già a capo del gruppo di ricercatori impegnati nella decrittazione delle macchine usate dalla marina tedesca durante la Seconda Guerra Mondiale, fra le quali Enigma.
Il 31 marzo 1952 Alan Turing fu arrestato per omosessualità, che all’epoca era considerata reato, e portato in tribunale, dove a sua difesa disse semplicemente che «non scorgeva niente di male nelle sue azioni». Condannato per omosessualità, fu costretto a scegliere tra una pena detentiva a due anni di carcere o la castrazione chimica mediante assunzione di estrogeni. Per non finire in prigione, lo scienziato optò per la seconda alternativa. Per oltre un anno si sottopose a trattamenti che provocarono in lui un calo della libido e lo sviluppo del seno (ginecomastia). La depressione legata al trattamento e all’umiliazione subita fu il motivo determinante che lo condusse, il 7 giugno 1954, al suicidio.
Quel giorno moriva uno dei più brillanti scienziati, matematici e crittoanalisti della storia dell’umanità. E’ considerato il padre della moderna informatica e dell’intelligenza artificiale, dal momento che il suo lavoro negli anni ’30 e ’40 ebbero vasta influenza sullo sviluppo di queste branche della scienza, grazie alla sua formalizzazione dei concetti di algoritmo e calcolo mediante la macchina di Turing: senza tale macchina probabilmente oggi non esisterebbero né i computer né gli smartphone che avete ora davanti agli occhi. Gli studi di Turing furono vitali anche per decifrare i messaggi scambiati da diplomatici e militari delle Potenze dell’Asse, tali studi hanno accorciato di vari anni la fine della Seconda Guerra Mondiale e di conseguenza salvato milioni di vite umane.
Il 24 dicembre 2013 la regina Elisabetta II elargì la grazia postuma per Alan Turing. Quasi 60 anni dopo la sua morte. Alla vita di Turing è dedicato il bel film del 2014 “The Imitation Game” di Morten Tyldum, con protagonista Benedict Cumberbatch nei panni del matematico.
Il mio mito è Alan Turing, il padre della moderna informatica e l’uomo che ha contribuito a salvare milioni di vite nella Seconda Guerra Mondiale.
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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine
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Perché fumi? La risposta più diffusa è anche la più sbagliata
Se chiedi ad un fumatore: “Perché fumi quando sai che fumare e pericoloso?”, la risposta più sentita è: “Perché mi piace fumare“. Io stesso, quando fumavo, ne ero assolutamente certo: fumare mi piaceva e niente e nessuno mi avrebbe mai fatto cambiare idea. Sebbene il fumatore sia in buona fede e creda davvero che questa sia la pura verità, in realtà è una risposta totalmente sbagliata dal punto di vista scientifico. La realtà è che il fumo non è un vizio, bensì una tossicodipendenza, ed al fumatore non piace fumare, bensì fuma perché non gli piace provare i sintomi dell’astinenza da nicotina, causati dal fumo stesso. Un fumatore non ammetterà mai di essere caduto in un vero e proprio circolo vizioso per alcuni versi simile a quello in cui si trova un eroinomane, almeno finché non gli sarà chiaro il meccanismo della tossicodipendenza da nicotina.
La nicotina è una droga
L’errore di partenza è pensare che il fumo sia un vizio, una sorta di cattiva abitudine. Non è un errore di poco conto ed in Italia lo commettono ancora quasi tutti. In realtà fumare non è una cattiva abitudine. Una cattiva abitudine è mangiare ogni giorno cibi fritti ed ipercalorici. Una cattiva abitudine è gettare una cartaccia per strada e non nei cestini appositi. Fumare non è una cattiva abitudine, è una tossicodipendenza e la nicotina è una droga che dà forte assuefazione, al pari di cocaina o eroina. Dopo le prime sigarette fumate (in cui in effetti la nicotina determina sintomi piacevoli correlati al rilascio di dopamina) il neo-fumatore si ritrova gradatamente a vivere in un circolo vizioso che dura potenzialmente tutta la vita e di cui è all’oscuro, in cui non c’è più piacere reale, ma solo sollievo dai sintomi di astinenza scambiato per piacere:
- il fumatore, come tutti i tossicodipendenti, deve combattere sempre per mantenere una quantità minima di sostanza nel sangue, nel caso del fumatore è la nicotina;
- per mantenere questo livello di nicotina, fuma una sigaretta;
- appena la concentrazione di nicotina (immessa nel sangue con l’ultima sigaretta) si abbassa al di sotto del livello minimo, il fumatore sente una crisi di astinenza, esattamente come avviene in un eroinomane o un cocainomane;
- si sente in ansia, inquieto e di cattivo umore (lui non se ne rende conto, ma sono i sintomi da astinenza da nicotina);
- l’unico sollievo viene da un’ altra sigaretta, se la accende e cosi il fumatore si rifornisce di nicotina nel sangue, ripristinando quel livello minimo che gli permette di non sentire i sintomi dell’astinenza: quindi si sente meglio. Così lui crede di aver piacere nel fumare, ma la realtà è che fumando ha solo spento i brutti sintomi dell’astinenza causati dall’aver fumato la sigaretta precedente, in un circolo vizioso infinito.
Essere un fumatore significa indossare un paio di scarpe strette tutto il giorno, solo per il piacere di provare la sera, nel togliersele. Non solo. Essere un fumatore è come essere un bravo equilibrista. E’ necessario per il fumatore mantenere sempre un livello di nicotina “normale” che gli impedisca di provare i sintomi dell’astinenza. E’ per questo che, come per tutte le tossicodipendenze, è difficile smettere. Spenta l’ultima sigaretta, dopo circa una mezz’ora, i livelli di nicotina nel sangue si abbassano al punto che si sente il “craving“, cioè l’astinenza che ci porta a desiderare fortemente di fumare di nuovo ed è a questo punto che ci sono due strade:
- accendersi una sigaretta, cioè spegnere i sintomi dell’astinenza creando i presupposti per nuovi sintomi di astinenza e continuare in questo circolo vizioso per tutta la vita;
- non accendersi una sigaretta, sentire per un certo periodo i sintomi dell’astinenza, ma – alla fine – uscire dal circolo vizioso e smettere di fumare.
La verità e che, questo “certo periodo“, per fortuna non dura per sempre. Dopo alcuni giorni dopo aver smesso, i sintomi fisici fastidiosi creati dall’astinenza, diminuiscono progressivamente d’intensità. Inizialmente l’ex fumatore pensa che vorrebbe fumare ogni cinque minuti, ma nei giorni successivi la voglia di fumare diminuisce e – dopo qualche mese – smette di pensarci. Tutto sta a resistere i primi giorni (di solito un paio di settimane) che sono quelli più duri e dove le ricadute sono più frequenti. Perché non provare? Resistete due settimane senza fumare, per liberarvi per sempre da questa tossicodipendenza che non vi fornisce alcun piacere reale, ma che vi ruba soldi, bellezza, salute ed 11 anni di vita. Così la prossima volta che vi chiederanno “perché fumi?”, voi potrete orgogliosamente rispondere “fumavo perché ero schiavo della nicotina, ma ora non lo sono più: ho smesso!”.
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Differenza tra orbita ed orbitale (in chimica ed astronomia)
In chimica, l’orbita è la traiettoria che, secondo la vecchia teoria dell’atomo di Bohr, un elettrone segue nella rotazione attorno al nucleo, attraversando una linea.
Un orbitale è invece una zona di spazio, quindi non più una linea, dove è altamente probabile che si trovi l’elettrone.
Si è dovuto introdurre il concetto di orbitale a causa del principio di indeterminazione di Heisenberg, secondo il quale non si può determinare contemporaneamente velocità e posizione di un elettrone, perché se ne altererebbe il moto. In chimica si distingue, in generale, tra orbitale atomico ed orbitale molecolare ma in fisica il concetto di orbitale viene usato per descrivere un qualsiasi insieme di autostati di un sistema. Un orbitale atomico può essere approssimato, per favorirne la visualizzazione, con quella regione di spazio attorno al nucleo atomico in cui la probabilità di trovare un elettrone è massima ed è delimitata da una superficie sulla quale il modulo dell’ampiezza della funzione d’onda è costante (generalmente normalizzata a uno).
In astronomia, un’orbita è la traiettoria di un corpo celeste, di un satellite artificiale o di un veicolo spaziale nello spazio, dove in genere è presente il campo gravitazionale generato da un altro corpo celeste.
Formalmente un orbitale è definito come la proiezione della funzione d’onda sulla base della posizione.
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