Mark Sloan e il recupero fittizio: il mistero del cervello pochi attimi prima di morire

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma MARK SLOAN RECUPERO FITTIZIO LUCIDITA TERMINALE Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata.pngNella seconda emozionante puntata della nona stagione di Grey’s Anatomy Ricordando il passato“, il chirurgo Mark Sloan, dopo i profondi traumi riportati in un incidente aereo, alcuni minuti prima di entrare nel coma che lo condurrà alla morte trenta giorni dopo, torna straordinariamente lucido per un breve periodo che viene chiamato “recupero fittizio”.

Esiste davvero?

Un mio paziente, appassionato come me di questa serie tv – mi ha chiesto se l’episodio fosse scientificamente corretto oppure fosse solo una invenzione di Shonda Rhimes, la sceneggiatrice di Grey’s Anatomy. Pur con la dovuta drammatizzazione ed il pathos che da sempre caratterizza questa serie televisiva, bisogna dire che questo tipo di recupero è in effetti presente in molti malati terminali, nei minuti che precedono la morte. Persone colpite da schizofrenia, morbo di Alzheimer ed altre condizioni patologiche che causano grave menomazione del funzionamento mentale, sono – a volte – inspiegabilmente in grado di recuperare ricordi e lucidità poco prima della morte. In quei momenti, le loro menti sembrano tornare straordinariamente in una forma completa e coerente, anche se i loro cervelli risultano ugualmente deteriorati e danneggiati. Questi pazienti che magari da anni non sono in grado di ricordare nemmeno i loro nomi, possono improvvisamente riconoscere i loro familiari ed avere normali conversazioni con loro su passato, presente e futuro. Nessuno sa con esattezza come questo fenomeno – chiamato “lucidità terminale” – possa accadere. A tal proposito, il Dr.Scott Haig scrisse in un articolo per il ‘Time Magazine’, di un giovane paziente di nome David, al quale un tumore aveva distrutto il cervello, pur non impedendogli di trovare momenti di lucidità prima della morte.

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La storia di David

David aveva smesso di parlare e muoversi nelle settimane precedenti la sua morte, e dalla RM era risultato che non era rimasto quasi più nulla del suo cervello. Malgrado ciò, la notte stessa in cui David morì, trascorse circa cinque minuti di piena consapevolezza per dire addio alla sua famiglia. “Non era il cervello di David che si era svegliato per dire addio”, ha detto il dottor Haig. “Il suo cervello era già andato distrutto. Le metastasi tumorali non si limitano ad occupare spazio e premere sui tessuti sani lasciando intatto il cervello, in realtà, esse lo sostituiscono… In pratica, il cervello non esiste più. Ciò che svegliò il mio paziente fu semplicemente la sua mente che aveva trovato la strada attraverso un cervello non più funzionante: l’atto finale di un padre per confortare la sua famiglia“.

Mente e cervello

Per il Dr. Haig, è chiaro che la mente esiste separatamente dal cervello, ma altri studiosi guardano a possibili ragioni fisiologiche per spiegare la lucidità terminale. I diversi stati fisiologici di persone che soffrono di lucidità terminale, suggeriscono che non vi sia un unico meccanismo responsabile di tale fenomeno, secondo quanto affermato dai ricercatori della University of Virginia e dell’Università d’Islanda, che hanno pubblicato il documento “Terminal Lucidity: A Review and a Case Collection,” (Archives of Gerontology and Geriatrics) nel 2012. “Allo stato attuale, riteniamo che non sia possibile individuare meccanismi definitivi per spiegare la lucidità terminale”, hanno scritto i ricercatori Michael Nahm, Bruce Greyson ed Emily Williams Kelly, tutti della University of Virginia, e il Dr. Elendur Haraldsson dell’Università d’Islanda. “Infatti, la lucidità terminale in differenti disturbi mentali potrebbe derivare da processi diversi, a seconda della eziologia delle diverse malattie. Ad esempio, la cachessia (debolezza e deperimento del corpo) in pazienti affetti da malattie croniche, potrebbe plausibilmente provocare contrazione del tessuto cerebrale, alleviando la pressione esercitata da lesioni intracraniche che occupano spazio, permettendo così il ritorno fugace di qualche funzione cerebrale”.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
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Articolazione del ginocchio: com’è fatta, quali sono le patologie, i sintomi e gli esami da fare

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Il ginocchio è un’articolazione che unisce la coscia e la gamba, le quali, insieme al piede, compongono l’arto inferiore. Il ginocchio è composto in realtà da due articolazioni: una tra femore e tibia, e l’altra tra femore e rotula. L’incavo posteriore è chiamato cavità poplitea. Il ginocchio consente movimenti in flessione ed estensione.

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Ossa e superfici articolari

L’articolazione del ginocchio è un ginglimo angolare, con un grado di libertà consente quindi il movimento di flessione-estensione; Prevede un secondo grado di mobilità, la rotazione su asse longitudinale della gamba, che si verifica solo a ginocchio flesso. Sul piano frontale, grazie agli assi longitudinali del femore e della tibia, è possibile notare il comune fisiologico valgismo di circa 170°. Le ossa coinvolte nell’articolazione del ginocchio sono il femore, la rotula (o patella) e la tibia. La patella è il più grande osso sesamoide del corpo umano. È un osso piatto che possiede due superfici, una anteriore ed una posteriore, tre lati ed un apice diretto inferiormente ma la sua forma è molto variabile. La superficie anteriore è molto ricca di fori nutritizi (dove penetrano rami delle arterie genicolate e della ricorrente anteriore tibiale) ed appare scabra, con rilievi longitudinali che possono essere più o meno marcati a seconda dell’individuo e che sono le aree di inserzione del tendine del muscolo quadricipite femorale. Prossimalmente presenta un’area più liscia dove si inseriscono i muscoli vasto intermedio e retto del femore. Lungo i lati mediale e laterale si inseriscono rispettivamente il retinacolo patellare mediale e il retinacolo patellare laterale. La superficie posteriore è invece più liscia di quella anteriore. La porzione superiore è divisa longitudinalmente da un rilievo, detto spigolo, in due faccette articolari, con la laterale più estesa della mediale. Tramite le due faccette la patella si articola con la superficie patellare del femore. La porzione inferiore sino all’apice è invece molto scabra, qui infatti si inserisce il tendine patellare che la collega alla tibia. La patella è costituita da una lamina di osso compatto superficiale che ricopre una più spessa porzione trabecolare, con le trabecole parallele alla superficie dell’osso nella porzione anteriore, più raggiate in quella posteriore. La superficie articolare del femore è costituita dalla sua epifisi distale espansa. L’epifisi distale del femore è costituita dai due condili, mediale e laterale, che anteriormente si fondono per poi formare la diafisi, mentre posteriormente divergono lateralmente; lo spazio che ne deriva è la fossa intercondiloidea. Superiormente e lateralmente ad esso, ciascun condilo possiede il corrispondente epicondilo. La porzione superiore dell’epicondilo mediale forma una sporgenza detta tubercolo adduttorio, poiché vi si inserisce una parte del tendine del muscolo grande adduttore. La superficie dell’epifisi distale posteriore compresa tra le due linee sopracondiloidee (mediale e laterale), detta poplitea, è scabra appena superiormente ai condili. Scabra è anche la superficie anteriore dei condili e degli epicondili, ma è liscia posteriormente sui condili e nella fossa intercondiloidea. Anteriormente all’epifisi distale vi è un’area triangolare liscia, la superficie patellare che si articola con la patella; è concava trasversalmente e convessa verticalmente. La superficie articolare del femore, costituita dalla superficie inferiore dei due condili è liscia ed ha la forma di una “U” rovesciata, essa si articola con il piatto tibiale, cioè la superficie superiore dell’epifisi prossimale della tibia, mentre non prende contatto con il perone.

Capsula articolare

Come ogni diartrosi, il ginocchio è circondato da una capsula articolare, formata da membrane fibrose, separate da depositi di grasso. La capsula è costituita da una parte esterna e da una interna, che costituisce la membrana sinoviale, che delimita una cavità dove è presente liquido sinoviale. Anteriormente la membrana sinoviale è attaccata al margine delle cartilagini del femore e della tibia. Esistono altre capsule che non sono comunicanti con questa, presenti tra la cute e la patella.

Menischi

I dischi articolari del ginocchio sono chiamati menischi. I menischi sono costituiti da tessuto connettivo con fibre di collagene contenente cellule cartilaginee, hanno una forma appiattita e sono fusi lateralmente con la membrana sinoviale. Ne troviamo due: il menisco laterale e il menisco mediale, che sono uniti tra loro dal legamento trasverso del ginocchio posto anteriormente ad essi. Il menisco laterale ha una forma quasi circolare, mentre quello mediale è più grande ed ha una forma semilunare. Entrambi prendono inserzione sull’eminenza intercondiloidea della tibia. I menischi servono a proteggere le estremità delle ossa dallo sfregamento e ad assorbire gli urti. Possono venire danneggiati o strappati quando il ginocchio è sottoposto a una rotazione o piegamento forzato.

Legamenti

Molti legamenti circondano il ginocchio, essi hanno la funzione di tenere in sito il ginocchio e dare stabilità, limitando i movimenti e proteggendo la capsula articolare.

Intracapsulari

Il ginocchio è stabilizzato attraverso i legamenti crociati (anteriore e posteriore), che prendono inserzione sull’eminenza intercondiloidea e si incrociano a livello della fossa intercondiloidea,. Il legamento crociato anteriore si estende dal condilo laterale del femore all’area intercondilare anteriore. Questo legamento impedisce che la tibia sia spinta anteriormente rispetto al femore. Il legamento crociato posteriore si estende dal condilo mediale del femore all’area intercondilare posteriore. Questo legamento impedisce lo spostamento posteriore della tibia rispetto al femore. Il legamento traverso si estende dal menisco laterale al menisco mediale. Passa davanti ai menischi e li collega anteriormente. Nel 10% della popolazione è suddiviso in più legamenti. I legamenti meniscofemorali posteriori e anteriori si estendono dal corno posteriore del menisco laterale al condilo femorale mediale. Il legamento meniscofemorale posteriore è più comune; più raramente sono presenti entrambi i legamenti. Il legamento meniscotibiale (o coronarico) si estende dai margini inferiori dei mensichi alla periferia del plateau tibiale.

Extracapsulari

Il legamento patellare unisce la patella alla tuberosità tibiale. Viene anche chiamato tendine patellare vista la mancanza di separazione tra il tendine quadricipite (che circonda la patella) e l’area che collega la patella alla tibia. Lateralmente e medialmente al legamento patellare, il retinacoli laterale e mediale connettono le fibre del muscolo vasto laterale e mediale alla tibia. Alcune fibre del tratto iliotibiale si irradiano nei retinacoli e ricevono fibre trasversali derivanti dall’epicondilo femorale mediale. I legamenti collaterali, (mediale o tibiale, e laterale o fibulare), si originano dagli epicondili femorali per poi prendere inserzione rispettivamente sulla tibia e sulla testa del perone.

Muscoli

I muscoli responsabili del movimento del ginocchio appartengono al compartimento anteriore, mediale o posteriore della coscia. In generale, i muscoli estensori appartengono al compartimento anteriore e i flessori al posteriore. Esistono due eccezioni: il gracile, un flessore, appartiene alla zona mediale e il sartorio, un flessore, all’anteriore.

Circolazione sanguigna

L’arteria femorale e l’arteria poplitea contribuiscono a formare la rete arteriosa che circonda l’articolazione del ginocchio. Esistono sei rami principali: due arterie genicolari superiori, due arterie genicolari inferiori, l’arteria genicolare discendente e il ramo ricorrente dell’arteria tibiale anteriore. Le arterie genicolari mediali penetrano nel ginocchio.

Funzione

L’articolazione del ginocchio permette movimenti di estensione e flessione della gamba rispetto alla coscia. I movimenti di rotazione sono limitati dalla presenza dei legamenti crociati e collaterali. Il ginocchio consente la flessione e l’estensione su un asse trasversale virtuale, nonché una leggera rotazione mediale e laterale attorno all’asse della gamba inferiore. Il giunto del ginocchio è mobile perché il femore e il menisco laterale si muovono sulla tibia durante la rotazione, mentre il femore ruota e scorre su entrambi i menischi durante la flessione e l’estensione. Il centro dell’asse trasversale dei movimenti di estensione e flessione si trova nell’incrocio tra i legamenti collaterali e i legamenti crociati. Il punto centrale si muove verso l’alto e all’indietro durante la flessione, mentre la distanza tra il centro e le superfici articolari del femore cambia con la diminuzione della curvatura dei condili femorali.

Le patologie

Diverse sono le patologie che coinvolgono l’articolazione del ginocchio. La più comune riguarda pazienti con età avanzata: l’artrosi è una malattia degenerativa cronica che coinvolge capsula, legamenti e cartilagine e porta ad una graduale usura dell’articolazione.

Ma le malattie del ginocchio sono diagnosticabili anche in pazienti giovani, come le lesioni meniscali o le rotture del legamento crociato anteriore, causate da traumi o da sforzi ripetuti anche di natura sportiva. Causa di dolore al ginocchio possono poi essere poi patologie da sovraccarico o post-traumatiche come borsiti o tendiniti.

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Lesioni meniscali

Le lesioni meniscali sono molto frequenti, avvengono o per trauma distorsivo del ginocchio o per usura cronica del menisco, sono più a rischio persone che “usano” molto le ginocchia: calciatori, pavimentatori, operai, pallavolisti eccetera.
Le lesioni del menisco si differenziano secondo la loro localizzazione, quindi sarà facile trovare uno di questi termini nel referto della vostra ecografia al ginocchio:

  • a “manico di secchio”: dal corpo del menisco si alza un frammento semilunare, derivante dall’aggravarsi di una lesione più piccola, e rischia di rimanere incastrato e causare un blocco.
  • longitudinale: lesione in senso longitudinale rispetto al corpo del menisco
  • trasversale: lesione in senso trasversale, quindi perpendicolare, rispetto al corpo del menisco.

Sintomi e segni

Il sintomo più tipico che allarma il paziente è il dolore (gonalgia). La sede del dolore dipende dalla struttura colpita dalla patologia e dal compartimento interessato. Nei pazienti anziani il dolore è tipicamente mediale, compartimento colpito più frequentemente dalle fasi iniziali dell’artrosi.

Le modalità di insorgenza variano a seconda della patologia che lo determinano. Il dolore a comparsa lenta con progressivo peggioramento in un paziente anziano fa sospettare l’insorgenza di una gonartrosi, il dolore acuto in un paziente giovane dopo trauma discorsivo o sforzo, fa sospettare l’insorgenza di una lesione meniscale. Il dolore causato dall’articolazione del ginocchio viene evocato dal carico (cammino) o dalla mobilizzazione passiva eseguita dall’esaminatore ai gradi massimi di articolarità.

Spesso il dolore può essere accompagnato dalla zoppia causata dal tentativo del paziente di ridurre al minimo il momento dell’appoggio dell’arto con ginocchio doloroso. Tale tentativo produce uno squilibrio nell’andatura per effetto della minore durata del passo con appoggio sull’arto “malato” rispetto al passo con appoggio sull’arto sano.

Altrettanto spesso il dolore può essere accompagnato da gonfiore. La tumefazione dell’articolazione, talvolta evidente alla semplice osservazione, è causato dall’aumento della quantità di liquido intrarticolare. Quando il liquido in eccesso è liquido sinoviale, come nel caso dell’infiammazione della parete interna della capsula (sinovite) la tumefazione viene definita idrartro. Tipica è la presenza di idrartro in caso di artrosi severa. Quando il liquido in eccesso contiene sangue, causato da una frattura o da una lesione legamentosa intrarticolare dopo un trauma, si parla di emartro.

Più rara è la comparsa di rigidità, spesso dovuta al consumo severo della superficie articolare ed a comparsa di calcificazioni che diminuiscono l’escursione articolare.

Il blocco articolare è invece una limitazione articolare che consente pochi gradi di escursione articolare, spesso accompagnati da intenso dolore. Il blocco ha sempre una causa meccanica, più frequentemente è causata da un frammento di menisco rotto che si interpone tra le due superfici articolari impedendone lo scivolamento l’una sull’altra.

L’instabilità definisce un cedimento dell’articolazione durante il carico. Può essere causata nei pazienti anziani dalla degenerazione dei legamenti collaterali e dal consumo dell’osso femorale o tibiale o nei pazienti giovani nella lesione del legamento crociato anteriore.

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Gli esami

Nella maggior parte dei casi è il medico di famiglia che prescrive l’esecuzione di una radiografia standard in proiezione antero-posteriore e laterale del ginocchio affetto che lo aiuta a formulare la diagnosi. La proiezione assiale di rotula (tangenziale a ginocchio flesso) mette in rilievo anomalie ossee dell’articolazione femoro-rotulea.

La radiografia del ginocchio visualizza le parti ossee (chiare, cioè radiopache), permette quindi di valutare la forma del femore, della tibia e della rotula, l’assenza di fenomeni patologici come le calcificazioni o le lesioni litiche (consumo dell’osso). Permette inoltre di valutare l’ampiezza dello spazio articolare cioè lo spessore delle cartilagini femorale e tibiale che essendo radiotrasparenti (scure) sono identificabili nello “spazio vuoto” tra i condili femorali ed il piatto tibiale.

La TC (o TAC) è utile nel caso si vogliano approfondire le indagini per quanto riguarda il versante osseo, meniscale o legamentoso

La risonanza magnetica serve a valutare la presenza di sofferenza ossea (es. sofferenza dell’osso del piatto tibiale o dei condili femorali in fase iniziale, non visibili alla radiografia), di lesioni del menisco laterale o mediale, di lesioni dei legamenti crociati o collaterali o di problemi dei tessuti molli circostanti (es. borsiti, cisti,..).

L’ecografia muscolo tendinea è una metodica non invasiva e assolutamente non dannosa per l’organismo (relativamente economica in relazione al suo impatto sui costi sociali) che utilizza ultrasuoni ovvero onde sonore ad alta frequenza per studiare i fasci muscolari, i tendini e le neoformazioni dei tessuti molli come le cisti e i lipomi. È un esame che spesso riesce ad offrire informazioni preliminari sulle cause possibili del dolore articolare. I vantaggi dell’ecografia sono che è un esame indolore, rapido (l’esame dura 10-15 minuti), economico, permette una visione in tempo reale anche con l’articolazione in movimento (impossibile con altre metodiche), può essere eseguito anche se il paziente è portatore di pacemaker e non espone il soggetto a radiazioni. Per quel che riguarda il ginocchio, l’ecografia è utile per:

  • lo studio dei tendini e delle loro lesioni;
  • lo studio delle lesioni muscolari;
  • lo studio delle cisti tendinee e articolari;
  • lo studio preliminare delle neoformazioni del sotto cute;
  • lo studio delle fasce muscolari e delle borse sierose.

I migliori prodotti per la cura delle ossa e dei dolori articolari

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Giovane preso a pugni, perde i sensi e quando si sveglia succede una cosa incredibile!

Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Jason PadgetPUGNI GENIO MATEMATICA Dieta Chirurgia Medicina Estetica Roma Cavitazione Pressoterapia Grasso Linfodrenante Dietologo Cellulite Calorie Peso Pancia Sessuologia Pene Laser Filler Ruga BotulinoJason Padgett, che vedete sorridente nella foto qui sopra, era una persona che amava divertirsi. Gonfiare i bicipiti, scolpirsi i capelli col gel, fare tardi nei bar. Poi improvvisamente tutto è cambiato. Nella mente di questo trentunenne americano allergico ai libri si è acceso un sesto senso per la matematica. E’ diventato una sorta di “idiota sapiente” anche se, visto che lui “savant” non ci è nato, ma ci è diventato, sarebbe più corretto parlare di “sindrome del savantismo acquisito“. In letteratura scientifica sono davvero pochi i casi come quello di Jason: si calcola che in tutto il mondo esistano solo circa 40 persone che sono state colpite da tale particolarissima sindrome. Nel caso di Jason il verbo colpire è particolarmente azzeccato: l’evento che lo ha trasformato è stata una serie di pugni alla testa sferrati da un paio di sconosciuti in un locale notturno. Il ragazzo è caduto a terra, ha perso i sensi e quando si è ripreso ogni cosa aveva iniziato a splendere di una luce strana.

Il libro

L’incredibile storia del body-builder tramutato in cervellone viene raccontata in un libro appena pubblicato oltreoceano. Titolo: «Struck by genius», che è come dire fulminato dal genio. Sottotitolo: «Come un trauma cerebrale mi ha reso un prodigio della matematica». Lo firma lo stesso Padgett insieme a Maureen Seaberg, la scrittrice che lo ha convinto a sottoporsi ai test medici che hanno confermato le sue nuove capacità. Ma è possibile che la nostra testa sia come uno di quei vecchi apparecchi elettronici che funzionavano meglio dopo aver preso una botta?
Quel che sappiamo è che Padgett ha abbandonato il college perché non gli piaceva studiare ma era tutt’altro che stupido. Prima dell’aggressione di 12 anni fa era esibizionista, socievole e spensierato. Dopo è diventato introverso e fobico, ossessionato dai germi. Ma gli è successo anche qualcosa di straordinario. I suoi sensi si sono fusi. I movimenti sono diventati fotogrammi e tracce luminose colorate. Oggi vede poligoni ovunque. La panna versata nel caffè del mattino disegna una spirale. Le foglie degli alberi sono teoremi di Pitagora. La luce riflessa è un inno al pi greco.

Frattali disegnati a mano

Jason ha la rarissima dote di saper disegnare a mano i frattali, affascinanti figure che restano uguali anche osservate con la lente di ingrandimento, perché si ripetono allo stesso modo su scale diverse. E per capire l’universo che gli si è spalancato davanti, alla fine si è messo a studiare fisica e matematica. A certificare la sua sindrome è arrivato Darold Treffert, il più grande specialista di quelli che nell’800 venivano chiamati “idiot savant”. Persone non istruite, spesso portatrici di qualche deficit intellettivo, e tuttavia capaci di eseguire calcoli difficilissimi o di ripetere interi libri al contrario. Secondo Treffert il savantismo può essere congenito o acquisito, si presenta più spesso nei maschi che nelle femmine, in una significativa minoranza delle persone affette da autismo e in una minima frazione di quelle colpite da danni cerebrali o ritardo mentale. Le loro abilità sono meccaniche ma ci sembrano eccezionali perché normalmente potrebbero essere inibite da altre funzioni superiori. Forse traumi e anomalie possono rendere queste informazioni di basso livello più accessibili, forse il resto del cervello si attiva di più per compensare il deficit. Quanto a Jason, i test hanno individuato un danno all’emisfero cerebrale destro e una super attivazione del lobo parietale sinistro. La sua nuova vita, come quella di altri illustri pazienti che hanno fatto la storia delle neuroscienze, rappresenta una finestra aperta sulla plasticità del cervello, sulle diverse forme di intelligenza, sul potenziale umano. Ma è presto per concludere che in tutti noi c’è un genio assopito pronto a svegliarsi. E comunque se c’è assomiglia più al protagonista di Rain Man o a Giovanni Pico della Mirandola che a Einstein.

Quella che potete vedere di seguito è una galleria con alcuni interessanti esempi di frattale “artistico”. Non li osservate troppo a lungo o rischiate di rimanere ipnotizzati!

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Ricordando Michael Schumacher

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Forza Schumi!

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Nuovo drammatico bollettino medico: Michael Schumacher ha lesioni gravi e diffuse al cervello

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO OSPEDALE ANAMNESI ESAME OBIETTIVO SEMEIOTICA FONENDOSCOPIO ESAME«Michael Schumacher ha lesioni gravi e diffuse al cervello». È questo l’ultimissimo drammatico bollettino medico diffuso alle 11 di questa mattina dall’ospedale universitario di Grenobles dove l’ex pilota è ricoverato da ieri. I medici che l’hanno in cura non vogliono però sbilanciarsi sulle possibilità di salvarsi e soprattutto di recuperare dalle lesioni neurologiche. «Lo seguiamo notte e giorno, lavoriamo ora per ora» hanno spiegato poco fa Stephan Chabardes, il chirurgo che l’ha operato, e Jean-François Payen, primario del reparto di rianimazione. Schumacher è caduto ieri mentre sciava fuori pista a Méribel, sulle Alpi francesi, quando ha battuto la testa contro una roccia. «Dalla gravità delle lesioni malgrado il casco abbiamo dedotto che l’impatto è stato molto violento», dicono i medici. Attendiamo ora il prossimo bollettino, anche se le condizioni attuali non promettono purtroppo nulla di buono.

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Schumacher operato al cervello e in coma: il grande campione di Formula 1 è in fin di vita

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO CHIRURGO OSPEDALE CHIRURGIA SALA OPERATORIA OPERAZIONE CHIRURGICAContrariamente a quanto inizialmente riferito ieri pomeriggio, le condizioni di Michael Schumacher sono critiche. Le agenzie di stampa, citando i media francesi, parlano di coma.

Secondo l’ospedale di Grenoble dove è stato ricoverato, dopo che sciando fuori pista a Méribel (stazione sciistica del comprensorio Les Trois Vallées) ha urtato una roccia con la testa, il sette volte campione di Formula 1 ha riportato un “grave trauma cranico con conseguente emorragia cerebrale e al momento la prognosi è riservata”. E’ quanto riferisce la Tv francese Bfm. Il 44enne pilota tedesco alle 11 del mattino di ieri 29 dicembre, si trovava in fuori pista a Méribel, dove possiede una casa, in compagnia del figlio 14enne quando ha urtato duramente contro una roccia e, nonostante portasse il casco, la sua testa ha subito un fortissimo trauma. Michael Schumacher rimane in condizioni disperate, da come si legge in un comunicato diffuso ieri sera dal centro ospedaliero universitario di Grenoble: “le condizioni di  Michael Schumacher sono estremamente critiche, al suo arrivo qui soffriva di un trauma cranico grave, con annesso coma, per il quale si è reso necessario un immediato intervento neurochirurgico”.

Prima che l’ospedale di Grenoble diffondesse la sua breve nota, l’emittente RMC – citando fonti mediche dirette – aveva sostenuto via radio e sul proprio sito che le condizioni di ‘Schumi’ erano in peggioramento parlando appunto di “stato critico e di emorragia cerebrale in corso”. Da bravo ferrarista ora non mi resta che aspettare nuove notizie dal campione che tante volte mi ha fatto emozionare sulle piste di mezzo mondo. Forza Schumi!

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Fobie specifiche: quando un ragno o un ascensore ci mettono nel panico

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO UOMO TRISTE TRISTEZZA SUICIDIO DEPRESSIONE PAURA AIUTOIn psichiatria, con “fobie specifiche” (anche chiamate “fobie semplici“) si intende un gruppo variegato di patologie caratterizzate da una irrazionale e fortissima reazione di ansia, paura e di fuga che compare quando il soggetto è esposto (o sa che a breve sarà esposto) a specifici oggetti, fenomeni, animali, ambienti o situazioni reali o semplicemente immaginate o raccontate. Lo stato di estrema ansia generato da tale esposizione è assolutamente irragionevole e spropositato rispetto alla gravità e/o alla pericolosità dell’oggetto, del fenomeno, dell’animale o della situazione. Le fobie specifiche fanno parte del grande gruppo dei “disturbi d’ansia“, accomunati da uno stato mentale caratterizzato da diverse forme di paura e di ansia patologica che si accompagnano spesso a manifestazioni psicosomatiche e che creano notevole disagio all’individuo, andando ad interferire con la sua vita sociale, relazionale e/o professionale. I più comuni disturbi d’ansia sono il disturbo d’ansia generalizzato, il disturbo da attacchi di panico e le fobie. In alcuni casi un disturbo d’ansia può associarsi ad un disturbo dell’umore, come la depressione.

Definizione di fobia specifica nel DSM-5

Il DSM-5 (l’ultima e più aggiornata versione del Manuale statistico e diagnostico dei disturbi mentali) definisce la fobia specifica come una paura, spropositata rispetto alle comuni paure, che si manifesta in modo marcato e persistente in presenza di un oggetto o in relazione a specifiche situazioni.

Diffusione

L’incidenza delle fobie specifiche negli USA ed in Europa va dal 7 al 9%. L’età media di insorgenza è tra i 7 e gli 11 anni.

Cause e fattori di rischio

Le cause specifiche delle fobie specifiche e degli altri disturbi d’ansia, come avviene per numerose altre patologie di interesse psichiatrico, non sono ancora state comprese del tutto. Si ritiene che le fobie siano dovute ad una combinazione di fattori genetici, psicologici, fisici e ambientali. Alcune caratteristiche predisponenti (come la famigliarità con la malattia, cioè aver dei casi in famiglia di fobie o altro disturbo d’ansia) unite ad episodi particolarmente traumatici e stressanti (incontri ravvicinati con animali che si sono manifestati più aggressivi del solito, essere rimasti rinchiusi in spazi angusti e bui, lutti, licenziamenti, bullismo, abusi in tenera età, difficoltà economiche o famigliari, patologie croniche ed invalidanti, una diagnosi di malattia terminale…) possono innescare la fobia. Alcune patologie organiche, come l’ipertiroidismo o altri squilibri endocrini, sono note per causare sintomi di nervosismo cronico e di ansia, quindi potrebbero essere un fattore di rischio per i disturbi d’ansia in generale. Patologie psichiatriche (come la depressione) e neurologiche (soprattutto se croniche, invalidanti e/o incurabili) potrebbero rappresentare un altro fattore di rischio per i disturbi d’ansia in generale. La dipendenza da sostanze legali o illegali (alcol, caffeina, benzodiazepine, cannabis, cocaina, eroina ed altre sostanze psicotrope) e le dipendenze comportamentali (shopping compulsivodipendenza dal sessodisturbo da gioco d’azzardomasturbazione compulsivacleptomania, dipendenza da uso di doping, dipendenza dal lavoro, dipendenza dal cibo, piromaniadisturbo da interazione di più dipendenze…), potrebbero favorire o causare un disturbo d’ansia oppure aggravarne uno preesistente. Alcuni geni sembrerebbero essere collegati ad un maggior rischio di sviluppare i disturbi d’ansia. Alcuni farmaci antidepressivi (ad esempio gli SSRI), pur essendo spesso anche degli efficaci ansiolitici, possono causare in alcuni soggetti dei sintomi d’ansia che potrebbero essere confusi con un peggioramento della patologia iniziale. L’esposizione prolungata ad alcune sostanze chimiche, come i solventi industriali, possono favorire la comparsa di un disturbo d’ansia. Il mobbing ed il burn out sono possibili cause di un disturbo d’ansia. Un disturbo post-traumatico da stress), la dipendenza affettiva, la sindrome da abbandono, la dipendenza da un partner narcisista patologico, o la fine di una relazione possono innescare un disturbo d’ansia. Le “psico-tecnopatologie” (le malattie psicologiche causate da un abuso delle nuove tecnologie) come la dipendenza da smartphone, la dipendenza da notifiche, la dipendenza da internet e la dipendenza da social network possono causare o favorire una fobia o altro disturbo d’ansia.

Dall’evento traumatico alla fobia specifica

La fobia specifica si sviluppa in genere a causa del fatto che il paziente, in un certo momento della sua vita, ha vissuto personalmente un evento altamente traumatico, come ad esempio essere attaccati da un cane. Si possono generare le fobie più stravaganti: una persona per esempio potrebbe aver per sempre paura del colore giallo perché ad esempio al momento dell’attacco da parte del cane si trovava di fronte ad una parete gialla. Anche il solo osservare un evento traumatico senza provarlo direttamente su di sé può generare una fobia specifica: se da bambini si è visto ad esempio un cane attaccare un altro bimbo, si può generare una fobia. Non necessariamente da adulta la persona ricorda quale sia stato l’evento specifico scatenante la sua fobia, se esso è avvenuto molti anni prima, magari in tenerissima età. L’associazione evento traumatico/fobia è ancora più forte se durante l’esperienza traumatica si ha sofferto degli spiacevoli sintomi di un attacco di panico.

Caratteristiche

La fobia specifica è caratterizzata da una irrazionale e fortissima reazione di ansia, paura e di fuga (“crisi fobica“) che compare quando il soggetto è esposto (o sa che a breve sarà esposto) a specifici oggetti, fenomeni, animali, ambienti o situazioni reali o semplicemente immaginate o raccontate (“stimoli fobici” o “stimoli fobigenici“, cioè capaci di scatenare la fobia). Lo stato di estrema ansia generato da tale esposizione è assolutamente irragionevole e spropositato rispetto alla gravità e/o alla pericolosità dell’oggetto, del fenomeno, dell’animale o della situazione.
Il soggetto che soffre di grave fobia arriva al punto di organizzare la propria vita sociale e professionale in modo di evitare accuratamente il contatto diretto con gli oggetti o le situazioni che gli generano la crisi fobica. Il soggetto che ne soffre talvolta non è in grado di rappresentarsi e immaginare le situazioni o le cose temute se non per pochi attimi e può temere anche di nominarle. La paura può essere attivata sia dalla presenza reale dell’oggetto o animale o situazione, che da semplici tracce che anticipano la sua presenza o anche solo da un racconto che lo cita o dalla sua presenza in un film.
Gli adulti con fobia nella maggioranza dei casi sono in grado di riconoscere che tali reazioni non hanno una base razionale e che sono totalmente spropositate, ma non sono comunque in grado di controllarle. Una fobia può essere capace di interferire fortemente con la qualità della vita di un soggetto, sia da un punto di vista sociale, relazionale o professionale. Pensiamo ad esempio ad un soggetto che ha la fobia per i gatti: una eventuale relazione amorosa con un partner che possiede un gatto, sarebbe fortemente penalizzata e ostacolata.
La gravità del disturbo e il suo impatto sul benessere e la qualità di vita di chi ne soffre dipendono non soltanto da quanto è intensa la crisi fobica quando si è al cospetto dell’oggetto fobigenico, ma anche dall’effettiva probabilità che la persona interessata ha di venire a contatto con tale oggetto. Una persona potrebbe ad esempio aver timore di prendere un aeroplano, ma tale fobia non creerà alcun problema in persone che non devono viaggiare in aereo per lavoro e che non siano particolarmente appassionate di turismo in luoghi lontani.

Sintomi e segni associati

Oltre alle caratteristiche della crisi fobica precedentemente elencate, tipicamente chi soffre di fobia specifica tende ad avere una serie di altri sintomi e segni, tra cui:

  • stato di maggiore attivazione fisiologica e costante agitazione;
  • palpitazioni;
  • tremori;
  • sudorazione;
  • insonnia;
  • sonnolenza;
  • tachicardia (aumento della frequenza cardiaca);
  • aritmie (vari tipi di alterazione del normale ritmo cardiaco);
  • tachipnea (aumento della frequenza respiratoria);
  • ipertensione arteriosa (aumento della pressione sanguigna arteriosa);
  • dispnea (difficoltà a respirare, “fame d’aria”);
  • nausea;
  • vomito;
  • diarrea;
  • dispepsia (cattiva digestione);
  • dolori al torace e/o all’addome;
  • cefalea;
  • scatti d’ira;
  • incubi;
  • astenia (stanchezza psico-fisica);
  • difficoltà a concentrarsi;
  • vuoti di memoria;
  • allerta cronica;
  • svenimenti se posti obbligatoriamente di fronte allo stimolo fobico e senza possibilità di fuga.

Continua la lettura con: Fobie specifiche: tipi, diagnosi, terapie, farmaci, psicoterapia

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Fobia sociale: aver paura del giudizio degli altri

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO DONNA TRISTE STANCA BIANCO E NERO DEPRESSIONE SUICIDIO DISTURBO PAURAEssere agitati e un po’ intimoriti quando si devono affrontare situazioni che espongono al giudizio di altre persone, come tenere una conferenza, intervenire in un dibattito, salire su un palcoscenico per recitare, danzare, cantare o suonare uno strumento musicale in pubblico è del tutto normale. Ma quando la preoccupazione e l’ansia per la situazione che si sta per affrontare è tale da suscitare desideri di fuga e da indurre a cercare scuse e stratagemmi per non trovarsi nuovamente nella stessa situazione, si è di fronte a una vera e propria patologia psichiatrica nota come “fobia sociale”. La fobia sociale è una condizione che, se non adeguatamente trattata, può interferire seriamente con le relazioni interpersonali, le prestazioni scolastiche e lavorative, determinando un significativo scadimento della qualità di vita. La fobia sociale può interessare chiunque, ma tende a insorgere più facilmente nell’infanzia/adolescenza. Le donne hanno maggiori probabilità di soffrirne rispetto agli uomini, ma questi ultimi tendono a sviluppare forme più gravi della malattia. Una volta instaurata, la fobia sociale non si risolve quasi mai spontaneamente, ma tende a mantenersi in modo cronico, peggiorando via via nel corso della vita. In genere, chi ne soffre è consapevole dell’insensatezza delle proprie reazioni emotive e comportamentali, soffrendo oltre che dei sintomi specifici anche di un notevole senso di colpa e inadeguatezza.

Sintomi emotivi e fisici

Sintomi EMOTIVI della Fobia sociale:

  • Intensa paura di interagire con persone estranee.
  • Nervosismo e apprensione verso situazioni in cui si può essere giudicati.
  • Senso di colpa per il proprio imbarazzo/timidezza.
  • Timore che gli altri si accorgano della propria paura. Impossibilità di controllare il terrore e l’ansia provata in contesti sociali.
  • Evitamento delle situazioni che causano disagio.
  • Interferenza della ansia provata con le attività quotidiane. Difficoltà a parlare in pubblico o con estranei.
  • Difficoltà a guardare negli occhi gli interlocutori.

Sintomi FISICI della Fobia sociale:

  • Rossori e vampate.
  • Tremori e movimenti involontari.
  • Accelerazione del battito cardiaco.
  • Difficoltà respiratorie.
  • Mal di stomaco.
  • Nausea.
  • Crampi intestinali e diarrea.
  • Alterazione del tono di voce.
  • Tensione muscolare.
  • Mani fredde e sudate.
  • Confusione mentale.

Quando sintomi di questo tipo si ripresentano costantemente con un’intensità tale da creare un significativo disagio, abbassare il benessere generale del paziente ed interferire con la sua vita sociale, relazione e/o professionale, è essenziale rivolgersi al medico e intraprendere un trattamento specifico.

Trattamento della Fobia sociale

Attenuare i sintomi della fobia sociale e recuperare una vita di relazione serena e soddisfacente è possibile grazie a interventi psicoterapici abbinati a una terapia farmacologica adeguata.

Terapia farmacologica della Fobia sociale

La terapia farmacologica della fobia sociale può avvalersi di diverse tipologie di farmaci. Di norma, quelli impiegati più frequentemente sono antidepressivi della classe degli inibitori del riassorbimento della serotonina (SSRI) e della noradrenalina (SNRI). Si tratta di farmaci utilizzati anche nel trattamento di altri disturbi d’ansia e dei disturbi dell’umore che risultano efficaci anche nella fobia sociale poiché i sistemi neurobiologici coinvolti in queste diverse problematiche sono in parte sovrapponibili. SSRI e SNRI si sono dimostrati efficaci nell’alleviare tutti i principali sintomi ansiosi, determinando un significativo miglioramento già dopo 2-4 settimane dall’inizio della terapia. Per trarne i massimi benefici è importante assumerli regolarmente, seguendo le indicazioni del medico rispetto a dosaggi e tempi di assunzione. In relazione alle specifiche caratteristiche del paziente e del disturbo presente, il medico potrà decidere di proporre il ricorso occasionale ad altre tipologie di farmaci: in particolare, tranquillanti come le benzodiazepine oppure beta-bloccanti (farmaci antipertensivi utilizzati in cardiologia, che nel paziente con fobia sociale aiutano a prevenire l’insorgenza di tachicardia, alterazioni della voce e tremori). Anche in questo caso, per assicurarsi un’azione ottimale è indispensabile seguire attentamente le indicazioni del medico e rispettare i dosaggi e i tempi di trattamento prescritti.

Approccio psicoterapico nella Fobia sociale

La tipologia di supporto psicologico più usata ed efficace per superare la fobia sociale è la terapia cognitivo-comportamentale, che aiuta ad analizzare razionalmente le situazioni che generano ansia e a smitizzarle, slegandole da emozioni e presagi negativi. Nei pazienti con forme lievi può essere l’unico intervento necessario; nei casi di ansia sociale moderata-severa aiuta a ottimizzare e consolidare l’azione della terapia farmacologica. Sul piano pratico, l’approccio comportamentale prevede che la persona affetta da fobia sociale, anziché evitarle, si esponga gradualmente alle situazioni che creano disagio ed, elaborandole in chiave positiva, riesca a gestire meglio e ad adattarsi progressivamente allo stress associato. Oltre che attraverso esperienze della vita reale, questo percorso può prevedere giochi di ruolo nel contesto di terapie di gruppo che facilitano l’analisi degli elementi critici di specifiche situazioni e il confronto con altre persone che vivono un problema analogo.

Interventi di supporto nella Fobia sociale

Seguire ritmi di vita regolari. Dormire un numero sufficiente di ore per notte. Alimentarsi in modo sano. Praticare un’attività fisica moderata ogni giorno. Dedicarsi ad attività rilassanti e piacevoli con persone con cui si sente a proprio agio. Frequentare corsi indirizzati a migliorare la comunicazione in pubblico. Assumere tutte le terapie prescritte dal medico con regolarità, ai dosaggi indicati. Evitare di bere alcolici e bevande a base di caffeina. Non fumare o cercare di ridurre il numero di sigarette abituali. Frequentare gruppi di auto-mutuo aiuto e condividere la propria esperienza con altre persone affette da un problema analogo.

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