Callo osseo e pseudoartrosi, quando la frattura non guarisce: cause, diagnosi e terapie

Dott. Loiacono Emilio Alessio Medico Chirurgo Medicina Chirurgia Estetica Plastica Cavitazione Dieta Peso Dietologo Nutrizionista Roma Cellulite Sessuologia Sesso Ecografie DermatologiaSmettere di fumare Frattura FumoQuando un osso subisce una frattura, in condizioni fisiologiche inizia un processo biologico di riparazione che con il tempo porta alla formazione del “callo osseo”. Il callo osseo è un tessuto di riparazione che viene creato grazie al processo di callogenesi  che solitamente si manifesta dopo tre settimane dall’evento traumatico che ha portato alla frattura. Il callo osseo salda i frammenti dell’osso fratturato e si modifica progressivamente modulandosi in risposta alle forze meccaniche esercitate su di esso, diventando sempre più resistente. Nelle settimane o nei mesi seguenti, il callo osseo ricostituisce l’integrità e le normali caratteristiche biomeccaniche del segmento scheletrico lesionato, tuttavia – se il processo di calcificazione subisce un condizionamento o un’interruzione tale da non consentire un consolidamento – è possibile che la frattura non guarisca correttamente. In tale evenienza si ha la formazione di un callo di tipo fibroso che comporta dolore e limitazione funzionale (pseudoartrosi) e, spesso, rende necessario intervenire chirurgicamente. In alcuni casi si può parlare di “ritardo di consolidazione” quando l’osso inizia a formare callo ma impiega più tempo del normale per ultimare la guarigione. La guarigione dell’osso può essere ostacolata da alcuni fattori di rischio preesistenti come ad esempio patologie metaboliche o fumo di sigaretta.

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Quali fattori possono condizionare la guarigione ossea?
L’osso guarisce quando la frattura è stabile e ha una vascolarizzazione sufficiente per cui possa formarsi callo osseo. Una corretta alimentazione gioca un ruolo importante nella guarigione dell’osso.

  • Stabilità, allineamento, contatto reciproco delle parti, immobilità: la regola più importante è quella che quando un osso si rompe le parti rotte devono essere riallineate e a contatto e non devono muoversi fino a quando non guariscono in quanto anche piccoli movimenti durante la formazione del callo osseo possono disturbare la guarigione e creare una pseudoartrosi. Alcune fratture possono essere stabilizzate semplicemente con un gesso altre richiedono un trattamento chirurgico con una riduzione e la stabilizzazione attraverso mezzi di sintesi come placche, viti, chiodi o fissatori esterni.
  • Vascolarizzazione:  l’apporto di sangue è fondamentale per la guarigione di una frattura poiché attraverso il sangue vengono trasportati tutti i fattori che sono indispensabili per la formazione del callo osseo
  • Nutrizione: avere una alimentazione adeguata è importante per facilitare la guarigione ossea attraverso una dieta sana ed equilibrata che comprende calcio, proteine, vitamina C e D sta alla base di una corretta guarigione dell’osso, integratori alimentari che vanno oltre i requisiti giornalieri non sono necessari (la rara eccezione è rivolta a pazienti gravemente malnutriti con patologie metaboliche o con danni multiorgano, in questo caso il medico potrà consigliare le linee guida dietetiche migliori e eventualmente aggiungere integratori alimentari).

Fasi della osteogenesi ripartiva delle fratture
In sintesi, le fasi che portano alla guarigione di una frattura, sono:

  1. fase di formazione e di organizzazione dell’ematoma (= travaso emorragico);
  2. fase di proliferazione e differenziazione tissutale in senso osteogenetico (le cellule ematiche sopraggiunte a livello del focolaio di frattura si differenziano in osteociti);
  3. fase di maturazione (cioè indurimento, calcificazione de callo) e successivamente fase di rimodellamento (cioè rimaneggiamento del callo che tende a fare scomparire quelli che sono i segni di frattura veri e propri).

Cause di pseudoartrosi
L’osso non guarisce e va in pseudoartrosi quando manca di stabilità sufficiente o il flusso di sangue è ridotto, situazioni che a volte possono coesistere. Un trauma ad alta energia come ad esempio  un incidente stradale, può causare una lesione grave che oltre a rompere l’osso determina una compromissione della vascolarizzazione a causa della lesione dei tessuti molli circostanti.

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Fattori di rischio
Diversi sono i fattori di rischio che aumentano la probabilità che una frattura vada incontro a pseudoartrosi:

  • utilizzo di tabacco o nicotina inibisce la guarigione di una frattura e aumenta la probabilita’ di formazione della pseudoartrosi
  • età avanzata
  • anemia grave
  • diabete
  • livelli bassi di vitamina D
  • ipotiroidismo
  • scarsa o cattiva alimentazione
  • utilizzo di famaci come acido acetil-salicilico, ibuprofene e cortisone (il medico deve essere a conoscenza dei farmaci assunti dai pazienti che hanno riportato una frattura per valutare la possibilità di sospendere la terapia durante il periodo di guarigione della frattura)
  • infezioni
  • fratture esposte (quando l’osso è fuoriuscito dalla pelle)

Compromissione della vascolarizzazione

  • Alcune ossa, come ad esempio quelle del piede, hanno una stabilitá intrinseca ed un eccellente apporto di sangue, in questi casi possono guarire anche con un trattamento non chirurgico e una minima stabilità.
  • In alcune ossa come ad esempio la testa del femore o lo scafoide del polso, la frattura causa una interruzione della vascolarizzazione e di conseguenza il rischio di pseudoartrosi è elevato.
  • Alcune ossa come ad esempio la tibia hanno un apporto di sangue moderato; traumi ad alta energia possono compromettere lo stato cutaneo e favorire la pseudoartrosi della frattura in questo distretto.

Sintomi di pseudoartrosi
La pseudoartrosi solitamente è dolorosa e quando si verifica, insorge dopo un periodo di benessere a seguito del trattamento della frattura, quindi inizia il dolore a distanza di mesi dalla frattura e può essere persistente per mesi o anni, oppure può iniziare quando si utilizza il braccio o la gamba rotta o può essere presente anche a riposo.

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Diagnosi di pseudoartrosi
Per diagnosticare una pseudoartrosi il medico ortopedico si avvale degli esami radiografici e a seconda del distretto interessato potrebbero essere richieste semplici radiografie o esami più particolari come la TAC o la RMN. Attraverso queste indagini il medico stabilisce l’avanzamento della guarigione o la presenza di una pseudoartrosi. Solitamente si parla di pseudoartosi quando dagli esami clinici e radiografici il medico ortopedico riscontra:

  • dolore persistente da più di 6 mesi nel sito di frattura
  • la mancata formazione del callo osseo nei tempi biologici adeguati e durante i controlli nei mesi successivi
  • un riassorbimento dei monconi della frattura o uno spazio tra questi

Nel caso in cui si diagnostichi una pseudoartrosi il medico potrà chiedere alcuni esami del sangue per scoprire se esiste una carenza vitaminica o di calcio, una patologia metabolica come diabete e ipotiroidismo o se è in atto un’infezione.

Trattamento della pseudoartrosi
Il trattamento può essere chirurgico o non chirurgico il vostro ortopedico discuterà con voi le possibilità terapeutiche che meglio si adattano al vostro caso esponendovi i rischi ed i benefici della scelta per risolvere il caso di pseudoartrosi.

1) Trattamento non chirurgico. L’utilizzo di uno stimolatore osseo come la magneto terapia o i CEMP (campi elettromagnetici pulsati) viene applicato sulla pelle nella zona di pseudoartrosi, questo piccolo dispositivo eroga onde elettromagnetiche a ultrasuoni o impulsi che stimolano la guarigione dell’osso. Il dispositivo va applicato giornalmente da 20 minuti a diverse ore in base alle disposizioni del vostro ortopedico o fisiatra.           

2) Trattamento chirurgico. La chirurgia è necessaria quando i metodi tradizionali di trattamento falliscono. Potrebbe essere necessario un nuovo trattamento chirurgico se il primo trattamento non ha portato a guarigione la frattura. Le opzioni chirurgiche prevedono nuova sintesi della frattura, innesto osseo autologo o da donatore di organi (allograft) o sostituti dell’osso e sintesi interna e/o esterna.

  • Innesto osseo autologo: durante questa procedura il chirurgo ortopedico preleva dell’osso in un altro distretto come ad esempio dal bacino, e lo pone nel sito di pseudoartrosi dopo aver tolto il tessuto di guarigione patologico dalla frattura. L’osso utilizzato ha la funzione di supporto funzionale e biologico ovvero serve a rinforzare la stabilità della sintesi e ad apportare cellule e fattori di guarigione nel sito della frattura. Il sito maggiormente utilizzato per il prelievo di tessuto osseo è il bacino, in questo caso il chirurgo fa un’incisione sul bordo della cresta iliaca e da lì preleverà il tessuto osseo sufficiente per trattare la pseudartrosi.
  • Allograft (innesto da donatore di organi): un allotrapianto (Allograft) evita di prelevare osso dal paziente e diminuisce quindi la durata dell’intervento ed il dolore post operatorio. Esso fornisce un’impalcatura quindi un supporto funzionale alla stabilità della frattura ma non da nessun  apporto biologico in quanto è osso non vitale, motivo per cui viene utilizato spesso in associazione con osso prelevato dal bacino del paziente. Con il tempo l’allograft verrà o riassorbito o sostituito da osso vitale.
  • Sostituti dell’osso: come per gli allograft i sostituti dell’osso hanno il vantaggio di ridurre i tempi chirurgici e ridurre il dolore post operatorio da soli non forniscono supporto funzionale nè biologico essi sono trattati con alcune sostanze che attivano e favoriscono la formazione dell’osso .

Molto frequentemente la stabilità della frattura in pseudoartrosi non è data dagli innesti ossei ma questi vanno associati ad una stabilizzazione attraverso sintesi con fissatori interni come placche e viti o chiodi oppure  fissatori esterni:

  • Fissazione interna: se si verifica una pseudoartrosi dopo un intervento di sintesi interna la scelta chirurgica potrebbe essere una nuova sintesi interna per aumentare la stabilità. Il chirurgo può scegliere di sostituire un chiodo endomidollare con uno di diametro maggiore per aumentare la stabilità della frattura e favorire il sanguinamento nel sito di pseudoartrosi oppure cambiare una placca per aumentare la stabilità utilizzando anche innesti ossei per favorire la guarigione.
  • Fissatore esterno è una impalcatura esterna che si fissa all’osso attraverso dei perni rigidi Fiches che vengono avvitati nell’osso stesso lontano dalla frattura e su questi perni esternamente si costruisce l’impalcatura che  serve a stabilizzare la frattura. La fissazione esterna può essere utilizzata anche nel caso di una pseudoartrosi infetta dopo rimozione di un dispositivo di fissazione interna.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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Piede di Charcot: quali sono le cause della neuro-osteoartropatia?

Piede di CharcotLa neuro-osteoartropatia di Charcot (o “piede di Charcot”) è una malattia degenerativa su base infiammatoria che può insorgere in pazienti affetti da neuropatia ed è caratterizzata da un progressivo riassorbimento osseo delle articolazioni del piede (più raro l’interessamento di altre articolazioni), associato talvolta a crolli strutturali ed a marcate deformità, tali da richiedere nei casi più gravi il ricorso ad interventi di chirurgia correttiva o ad amputazione.

La patogenesi è legata a qualsiasi condizione da cui derivi la diminuzione della sensibilità periferica dolorifica, propriocettiva e del fine controllo motorio:

  • Neuropatia diabetica (oggi il più comune negli Stati Uniti, con conseguente distruzione del piede e della caviglia), con articolazione di Charcot in 1/600-700 diabetici. In relazione allo scarso controllo cronico glicemico.
  • Neuropatia alcolica
  • La paralisi cerebrale
  • Lebbra
  • Sifilide (tabe dorsale), causata dal Treponema pallidum microrganismo
  • Lesioni del midollo spinale
  • Mielomeningocele
  • Siringomielia
  • Iniezioni intra-articolari di steroidi
  • Insensibilità congenita al dolore

Sono state elaborate due principali teorie:

Neurotrauma: La perdita della sensibilità periferica dolorifica e propriocettiva porta a ripetuti microtraumi dell’articolazione; il danno, passando inosservato da parte del paziente neuropatico, progredisce e il conseguente riassorbimento infiammatorio dell’osso traumatizzato rende tale regione ancora più debole e suscettibile di ulteriori traumi. Si crea è un circolo vizioso. Inoltre, una diminuzione del fine controllo motorio genera posture che esercitano pressioni innaturali sulle articolazioni a cui conseguono microtraumatismi supplementari.

Neurovascolare: l’alterazione dei riflessi del sistema nervoso autonomo fanno sì che l’articolazioni desensibilizzata riceva un flusso di sangue significativamente maggiore. L’iperemia conseguente porta ad un aumento del riassorbimento osseo mediato dagli osteoclasti, e questo, insieme alle sollecitazioni meccaniche, porta alla distruzione ossea.

In realtà, entrambi questi meccanismi probabilmente un ruolo nello sviluppo della articolazione di Charcot.

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Classificazione dei muscoli

MEDICINA ONLINE MUSCOLI BICIPITE TRICIPITE QUADRICIPITE BRACCIO GAMBA COSCIA.jpgIn generale i muscoli si inseriscono sulle ossa tramite due capi: la testa (o capo di origine) e la coda (o capo terminale o capo di inserzione). La testa corrisponde all’estremità del muscolo che durante il movimento rimane perlopiù immobile, mentre la coda corrisponde al punto di attacco del muscolo sull’osso che viene spostato. La parte carnosa compresa tra i capi di origine e i capi terminali prende il nome di ventre del muscolo.

I muscoli possono essere classificati in base ad alcune caratteristiche che li contraddistinguono.

In base al numero di teste si distinguono:

1. muscoli monocipiti: hanno una sola testa
2. muscoli bicipiti: hanno due teste
3. muscoli tricipiti: hanno tre teste
4. muscoli quadricipiti: hanno quattro teste

In relazione al numero di code, distinguiamo:

1. muscoli monocaudati: hanno una sola coda
2. muscoli bicaudati: hanno due code
3. muscoli tricaudati: hanno tre code
4. muscoli pluricaudati: hanno più code

Alcuni muscoli hanno uno o più capi che non si inseriscono su un osso, ma nel derma, come i muscoli pellicciai o mimici, che permettono le espressioni del viso muovendo la pelle.

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In base alla forma, distinguiamo:

1. muscoli lunghi
2. muscoli larghi
3. muscoli brevi
4. muscoli circolari

muscoli lunghi o fusiformi (i muscoli degli arti) sono molto sviluppati in lunghezza ed in genere presentano una parte carnosa (il ventre muscolare) molto voluminosa che si assottiglia alle estremità. In relazione ai capi di origine si distinguono in bicipiti, tricipiti, quadricipiti. Sono dotati di una notevole capacità di accorciamento ed allungamento, ma si affaticano facilmente; sono presenti soprattutto negli arti e consentono l’esecuzione di movimenti ampi.

muscoli larghi (es. il diaframma) hanno un ventre largo e piatto. Sono muscoli di copertura e contenimento e si trovano nelle pareti del torace e dell’addome. Hanno una limitata capacità di allungarsi e accorciarsi e consentono sforzi prolungati.

muscoli brevi (es. i muscoli intercostali) sono caratterizzati da lunghezza, larghezza e spessore pressoché uguali.

Nei muscoli circolari (orbicolari e sfinteri) le fibre muscolari formano un anello capace di restringersi e dilatarsi. Si trovano intorno agli orifizi del nostro corpo. Gli orbicolari si trovano intorno agli occhi e alla bocca, gli sfinteri controllano la progressione del cibo nell’apparato digerente (cardias, piloro, valvola ileocecale, ano) e la fuoriuscita di urina (sfintere uretrale).

In relazione alla presenza di tendini intermedi, che dividono il ventre, i muscoli si suddividono in:

1. muscoli monogastrici (un ventre, nessun tendine intermedio)
2. muscoli digastrici (due ventri, un solo tendine intermedio)
3. muscoli poligastrici (più ventri e più tendini intermedi)

Alcuni muscoli del nostro corpo lavorano in coppia: uno consente un movimento (agonista), l’altro il movimento contrario (antagonista). Ad esempio il bicipite brachiale determina con la sua contrazione la flessione dell’avambraccio, il tricipite brachiale, con un’azione antagonista rispetto al bicipite, ne determina invece l’estensione. Affinché sia possibile il movimento, quando gli agonisti si contraggono gli antagonisti devono rilasciarsi e viceversa.

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Differenza tra rotula e menisco

Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma Ecografia Spalla Ginocchio Traumatologia Gambe Esperto Referto THD Articolare Sesso Sessualità Uomo ARTICOLAZIONE GINOCCHIO FATTA ESAMI PATOLOGIE Medicina Estetica Radiofrequenza Cavitazione Grasso HDLa rotula o patella (in inglese “patella”) è un osso sesamoide inserito nel tendine del muscolo quadricipite della coscia. Posteriormente alla rotula vi è l’articolazione femoro-tibiale racchiusa all’interno della propria capsula articolare. La parte flessoria del ginocchio è detta cavo popliteo. La rotula poggia su un cuscinetto adiposo detto corpo di Hoffa che le permette di scorrere sulle strutture posteriori. È collegata inoltre all’articolazione del ginocchio mediante i legamenti alari, che, medialmente raggiungono, attraverso la capsula, il menisco mediale, mentre lateralmente si fonde alla fascia lata.

I menischi (in inglese “meniscus”) sono invece delle strutture fibro-cartilaginee presenti fra costituenti articolari le cui superfici non risultano congruenti tra loro. Nel ginocchio si trovano due menischi (vedi anche foto in alto):

  • il menisco mediale ha forma di semiluna e tra i due è il più piccolo;
  • il menisco laterale è quello più grande e rispetto al mediale la sua forma è più aperta e rappresenta più un ferro di cavallo.

Il menisco laterale e il menisco mediale sono uniti tra loro dal legamento trasverso del ginocchio posto anteriormente ad essi.

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Differenza tra osteopata e fisioterapista

MEDICINA ONLINE OSSA OSSO SCHELETRO CANE UOMO DIFFERENZE TESSUTO SPUGNOSO TRABECOLARE COMPATTO CORTICALE FIBROSO LAMELLARE CARTILAGINE OSSO SACRO COCCIGE CERVELLO SISTEMA NERVOSO CENTRALE PERIFERICO MIDOLLO OSSEO SPINALEChe differenza c’è tra osteopata e fisioterapista? Il fisioterapista è riconosciuto a livello sanitario nazionale come medico, al contrario l’osteopata non è considerato come tale, per cui deve necessariamente ottenere la laurea in medicina chirurgica o la qualifica di fisioterapista. La sostanziale differenza tra i due sta nell’approccio che hanno verso il paziente; infatti, il fisioterapista si occupa dei sintomi a livello locale e mette in pratica terapie fisiche, come ad esempio i massaggi, per curare le patologie riscontrate. L’osteopata al contrario, ha un approccio più generico sia nella diagnosi della patologia che nella terapia stessa e utilizza delle tecniche per modificare la postura, lavorando su tutto il corpo.

Un’altra differenza tra l’osteopata e il fisioterapista sta nel fatto che quest’ultimo, oltre che effettuare degli esercizi posturali, utilizza anche dei macchinari, ad esempio ultrasuoni e ionoforesi, per ripristinare la zona che ha subito il trauma. In genere, il fisioterapista lavora negli ospedali, negli studi privati oppure negli istituti convenzionati. Il suo lavoro consiste nel recuperare il paziente che è stato sottoposto ad un intervento chirurgico o che ha subito un trauma grave. Per divenire fisioterapista occorre conseguire una laurea di tre anni che può essere integrata con la specializzazione di altri due anni, con la quale si ottiene il titolo di Dottore in fisioterapia.

L’osteopata, invece, non si occupa di recuperare i pazienti che hanno subito interventi o traumi e non interviene sulle malattie che riguardano il sistema nervoso centrale. Tende a concentrarsi maggiormente sulle cause che hanno scatenato la patologia, operando su tutto il corpo. L’osteopata, al contrario del fisioterapista, non utilizza macchinari; prima di concentrarsi sulla zona da trattare, effettua una diagnosi iniziale tramite analisi posturali, dopodiché effettua massaggi e manipolazioni per ridare mobilità alle articolazioni, agendo sui muscoli e gli organi contratti.

Per ottenere la qualifica di osteopata bisogna effettuare un percorso di studio formativo dopo una laurea generica di tipo sanitario. Le patologie più curate da osteopati e fisioterapisti sono dolori alla cervicale con conseguente formicolio degli arti superiori, mal di testa continui, ad esempio cefalea o emicrania, dolori alle spalle, difficoltà nel muovere le spalle, dolori al gomito internamente ed esternamente, dolori ai polsi, dolori lombari con formicolio degli arti inferiori, dolori alla caviglia, dolori al piede, vertigini e fischi all’orecchio.

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Differenza tra femore e anca

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma DIFFERENZA TRA FEMORE ANCA ARTICOLAZIONE Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgL’anca in anatomia è la regione che unisce la regione pelvica del tronco (il segmento centrale del nostro corpo) all’arto inferiore. Comunemente con “anca” si può intendere anche l’articolazione coxofemorale, cioè l’enartrosi tra il cotile (o acetabolo) dell’osso iliaco e la testa del femore. L’articolazione coxofemorale è anche chiamata “articolazione dell’anca”.

Il femore è invece il nome dell’osso principale dell’arto inferiore, situato nella coscia e messo in comunicazione con l’osso iliaco tramite l’articolazione coxofemorale. È l’osso più lungo, voluminoso e resistente dello scheletro.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo

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Gotta: sintomi, cause, dieta e rimedi per la malattia

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La gotta è una patologia infiammatoria caratterizzata dall’innalzamento plasmatico dei livelli di acido urico e dal deposito dei cristalli di questa sostanza a livello delle articolazioni. È una malattia ad esordio acuto, i sintomi cioè compaiono improvvisamente, e ha un decorso di circa una decina di giorni ma, in alcuni casi, può anche diventare cronica o comunque recidiva, difatti oltre il 50% dei soggetti che vengono colpiti da un attacco di gotta sono ad alto rischio di svilupparne un altro nel corso dello stesso anno.Vediamo ora che cosa succede.

La patologia è provocata dall’alterazione dei livelli di acido urico

La fisiopatologia della gotta si basa su un’alterazione del metabolismo dell’acido urico, il prodotto finale della degradazione delle purine (componenti delle basi azotate del DNA), e degli aminoacidi. Normalmente l’acido urico viene eliminato per via renale (si stima che il rene elimini quotidianamente 450 mg di acido urico con le urine).

Vediamo ora quali sono i normali valori nel sangue:

  • Uomo 3,2 – 8,1 mg/dl
  • Donna 2,2 – 7,1 mg/dl

Puoi approfondire cause e sintomi dell’iperuricemia.

Quando vengono superati questi valori il soggetto si troverà in una condizione chiamata iperuricemia, cioè un aumento dei livelli plasmatici di acido urico. Questa sostanza, quando presente in quantità elevate nell’organismo, tende a precipitare, cioè a depositarsi, sottoforma di cristalli a livello delle articolazioni, sotto la cute e a livello renale. Il meccanismo non è ancora conosciuto in maniera precisa ma si pensa che, oltre agli elevati livelli, la deposizione di acido urico sia correlata anche all’abbassamento delle temperature. Quali sono i soggetti colpiti.

I soggetti più colpiti rientrano nella fascia 30 – 60 anni

La gotta è una patologia che può colpire a tutte le età anche se è maggiormente diffusa nei soggetti che rientrano in una fascia compresa tra i 30 e i 60 anni. Può colpire qualsiasi categoria di soggetto ma in alcuni casi vi sono persone più predisposte di altre, per esempio:

  • Negli anziani: è frequente che si verifichino attacchi di gotta a causa dell’assunzione di alcuni farmaci per la pressione.
  • Gli uomini: rappresentano la categoria più colpita, si stima infatti che il 95% dei soggetti colpiti siano maschi.
  • Le donne: sono colpite più frequentemente nel periodo post – menopausale a causa del cambiamento del loro metabolismo dovuto al calo degli estrogeni.
  • Nei bambini: può manifestarsi anche nei bambini ma risulta essere estremamente rara durante l’infanzia.

Le cause e i principali fattori di rischio della gotta

Sappiamo che la gotta è causata dall’iperuricemia ma cosa determina quest’ultima? Le cause che portano ad un aumento dell’acido urico nel sangue sono molteplici e possono essere così schematizzate:

  • Insufficienza renale: quando i reni non funzionano più in maniera corretta non riescono a depurare il sangue da tutte le sostanze di scarto, tra cui anche l’acido urico. Di conseguenza questa sostanza si accumula nel sangue e può determinare la comparsa di gotta.
  • Diabete: alcuni studi mostrano una correlazione tra il diabete mellito e l’insorgenza di gotta. Sebbene il meccanismo non sia ancora ben chiaro, si ipotizza che, sia la condizione di acidosi metabolica causata dal diabete, sia il fatto che entrambe le malattie causino disordini endocrino – metabolici, possano essere alla base della correlazione tra le due patologie.
  • Farmaci: alcuni farmaci possono alzare i livelli di uricemia nel sangue. Tra questi abbiamo i diuretici, che causano una diminuzione della capacità del rene di eliminare l’acido urico, la levodopa (un farmaco che si utilizza nel morbo di Parkinson) e l’aspirina, che hanno la capacità di far aumentare i livelli di acido urico nel sangue, e alcuni immunosoppressori come le ciclosporine.
  • Sindrome metabolica: sembra che un aumento dell’uricemia sia anche correlato alla sindrome metabolica, quella condizione in cui si ha contemporaneamente la presenza di obesità, ipertensione, insulino – resistenza e iperglicemia. Non sono però ancora chiari i meccanismi con cui avviene questa correlazione.
  • Sindrome di Lesch-Nyhan: è una patologia genetica caratterizzata dall’alterazione di un enzima coinvolto nel metabolismo delle purine. Quest’alterazione provoca un’iperuricemia persistente e quindi l’insorgenza di gotta in forma cronica.
  • Tra le altre possibili cause di gotta vi è l’avvelenamento da piombo, alcuni tumori, l’anemia emolitica, patologie della pelle come la psoriasi, e inoltre eccesso di esercizio fisico e traumi.

Tra i fattori di rischio possiamo citare:Accanto alle cause vi sono anche dei fattori di rischio, cioè delle condizioni in cui si trova il soggetto che possono predisporlo alla comparsa della gotta ma che, di per sé, non possono essere considerati una causa.

  • Alimentazione: chi consuma in maniera eccessiva alimenti ricchi di purine può avere un innalzamento dei livelli di acido urico nel sangue che possono portare ad un attacco acuto di gotta. Tra gli alimenti che contengono molte purine vi sono le frattaglie animali (per esempio il fegato e i reni), i crostacei, alcuni pesci come le acciughe e gli sgombri, e alcuni legumi, come i fagioli secchi o i piselli.
  • Abuso di alcol: chi consuma abitualmente grandi quantità di alcol può avere un accumulo di acido urico. Questo è determinato sia dal fatto che in presenza di troppo alcol l’organismo, già impegnato nello smaltimento delle sostanze alcoliche, non riesce ad espellere correttamente la normale quantità giornaliera di acido urico, sia dal fatto che alcuni superalcolici, come la vodka o il whisky, contengono molte purine.
  • Fattori genetici: alcuni studi hanno identificato dei particolari geni (ABCG2 e SLC2A9) che sembrano essere correlati con l’insorgenza della gotta. Infatti piccole modifiche in questi due geni possono portare a variazioni nei livelli di acido urico di un soggetto e quindi al possibile sviluppo di gotta.

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I sintomi: sono correlati alla deposizione dei cristalli di acido urico

I principali sintomi della gotta sono causati dalla deposizione dei cristalli di acido urico. Questi tendono a depositarsi in punti ben precisi dell’organismo come:

  • Articolazioni: rappresentano il punto più colpito dalla gotta, specialmente quelle dei piedi, in particolare quella che si trova tra l’alluce e il metatarso, e quelle delle mani. Altre articolazioni maggiormente colpite sono quelle dei gomiti, del polso, delle ginocchia e delle caviglie. L’articolazione in cui si sono depositati i cristalli di acido urico è rossa, gonfia e dolente al tatto e mostra una superficie lucida, la pelle è screpolata e desquamata e talvolta può comparire anche un fastidioso prurito. Nella maggior parte dei casi la gotta colpisce solo un’articolazione, mentre in un 10% di soggetti colpiti le articolazioni coinvolte sono più di una, si avrà in questo caso una gotta definita poliarticolare.
  • Sottocute: i cristalli di acido urico si possono depositare sotto la superficie cutanea determinando la comparsa di un sintomo noto come “tofo”. I tofi sono delle piccole escrescenze simili a noduli che hanno una consistenza dura, non sono dolenti al tatto e sono di colore giallo – biancastro. Possono comparire sia in zone vicine all’articolazione colpita sia in altre zone corporee come per esempio i padiglioni auricolari. I tofi si formano solitamente quando la gotta inizia a cronicizzare.
  • Reni: i cristalli di acido urico possono accumularsi anche nei reni sotto forma di calcoli i quali provocano sia dolore sia la possibile comparsa di infezione delle alte vie urinarie. I calcoli di acido urico non compaiono sempre, ma soltanto nel 10 – 25% dei casi di gotta.

Attenzione agli attacchi acuti di gotta

Durante un attacco acuto di gotta possono manifestarsi anche dei sintomi sistemici come lieve rialzo termico, astenia, inappetenza e debolezza. Una caratteristica dei sintomi è che si manifestano in maniera più aggressiva durante la sera, mentre durante il giorno appaiono più leggeri, ma non se ne conosce il motivo. Se non curata adeguatamente la gotta può diventare pericolosa e cronicizzare provocando conseguenze molto gravi come danni permanenti alle articolazioni, che compromettono le capacità motorie del soggetto, e danni ai reni tali da determinare insufficienza renale.
Al fine di poter curare in maniera adeguata la gotta è necessario che il medico formuli una corretta diagnosi. Quando si sospetta un attacco di gotta ci si può rivolgere al proprio medico di base, il quale prescriverà degli esami clinici ed eventualmente, se necessario, indirizzerà verso un medico specialista (per esempio un esperto di scienze dell’alimentazione per stilare una dieta adatta o un ortopedico per valutare lo stato delle articolazioni.

La diagnosi: osservazione clinica ed esami.

  • Il medico sottopone il paziente ad un’anamnesi, durante la quale gli pone alcune domande per sapere quando è insorto il dolore, che tipo di dolore è, se si sono manifestati sintomi quali gonfiore e arrossamento e quali parti del corpo o articolazioni sono state colpite.
  • Dopo l’anamnesi il medico, mediante osservazione clinica, guarderà l’articolazione colpita al fine di identificarne i tratti distintivi della gotta.
  • Una volta terminato l’esame obiettivo il medico prescriverà un esame di sangue e delle urine per valutare i livelli di acido urico in questi due liquidi biologici.
  • Infine il medico potrà sottoporre il paziente all’esame del liquido sinoviale, un particolare liquido che si trova all’interno delle articolazioni e che, se vi è in corso un attacco acuto di gotta, mostra la presenza di cristalli di acido urico. Questo esame è quello più sicuro per identificare la gotta ma è anche difficile da eseguire se l’articolazione colpita è piccola perchè risulta difficile eseguire il prelievo del liquido con una siringa.
  • Nei casi più gravi, come per esempio nel caso in cui siano colpite più articolazioni in contemporanea o si è in presenza di gotta cronica, è possibile eseguire delle radiografie che evidenziano sia la deposizione dei cristalli di acido urico sia eventuali danni a carico delle articolazioni.

La dieta è importantissima in coloro che soffrono di iperuricemia e gotta, poichè un’alimentazione scorretta è ritenuta una delle maggiori cause di questa patologia. Chi soffre di gotta deve evitare alcuni alimenti, ricchi in purine responsabili dell’accumulo di acido urico, e prediligerne altri.

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  • Evitare: tutti gli alimenti che hanno un alto contenuto di purine (150 – 180 g in 100 g di alimento). Tra questi alimenti abbiamo frattaglie e interiora come fegato, reni, polmone, cuore, cervello, prodotti conservati come brodi, estratti di carne e salse piccanti, alcune tipologie di pesce come aringhe, sgombri, caviale, triglie, sarago e tonno, i crostacei, le cozze e i molluschi in generale, le carni come la selvaggina, tutti gli alcolici compresi il vino e la birra. Anche alcuni tipi di frutta sono da evitare come cocomero, castagne, nespole, datteri, prugne e mandorle.
  • Limitare: gli alimenti che hanno un contenuto medio di purine (50 – 150 mg per 100 g di prodotto). Tra questi alimenti abbiamo alcuni pesci come spigola, rombo, cernia, trota e nasello, le carni bianche come pollo, coniglio e tacchino, alcune verdure come peperoni, asparagi, melanzane, cavolfiori e funghi e alcuni tipi di legumi come lenticchie e piselli.
  • Preferire: gli alimenti che hanno un basso contenuto di purine (0 – 15 mg per 100 g di prodotto). Tra questi abbiamo pasta, riso, fette biscottate e cereali nel gruppo dei carboidrati, il latte e i suoi derivati (tranne i formaggi grassi e stagionati) come mozzarella, ricotta e scamorza, verdure come barbabietole, pomodori, rape, insalata, cavolini di bruxelles, zucca e indivia, frutta come albicocche mele, pesche, pere e ciliegie, le uova e le patate, e tra i condimenti l’olio di oliva e l’aceto.

Si consiglia inoltre di assumere anche alimenti ad alto contenuto di vitamina C (esempio fragole, arance, kiwi) poichè questa è in grado di abbassare i livelli di acido urico nel sangue.

Dieta per la gotta

La dieta per la gotta deve essere di tipo normocalorico, se il soggetto non ha problemi di sovrappeso, o ipocalorica nel caso in cui il soggetto sia sovrappeso o obeso. Non vi sono particolari indicazioni dietetiche eccetto le limitazioni alimentari già citate, ed un esempio di schema giornaliero per una dieta anti – gotta può essere il seguente:

  • La colazione: deve prevedere una fonte proteica (250 ml di latte parzialmente scremato oppure uno yogurt da 125 g), una fonte di carboidrati (ad esempio tre fette biscottate, oppure 35 g di cereali, o tre biscotti secchi) e una fonte limitata di zuccheri semplici (esempio due cucchiaini di marmellata o 200 ml di succo di frutta).
  • Metà mattina e metà pomeriggio: si consigliano due spuntini a base di frutta.
  • Pranzo e cena: devono prevedere una porzione di carboidrati (pane, pasta, riso) da almeno 60 – 80 g, una porzione di proteine da massimo 100 g (da preferire carni bianche), e una porzione abbondante di verdure. E’ possibile consumare massimo una volta a settimana 50 g di insaccati, ma nel caso di attacco acuto sarebbe bene evitare di consumare questi alimenti.

Rimedi naturali: le piante da associare  alla terapia farmacologica

E’ possibile fronteggiare un attacco di gotta utilizzando rimedi di tipo naturale, come per esempio alcune erbe. Le piante vengono solitamente utilizzate in combinazione con la terapia farmacologica per aumentarne l’effetto e consentire una guarigione più veloce.

  • Ortica: questa pianta contiene tra i suoi principi attivi mucillagini, xantofilla, flavonoidi, molte vitamine, tra cui la vitamina C e sali minerali, tutte sostanze che aiutano ad abbassare i livelli di acidi (compreso l’acido urico) nell’organismo. Per alleviare i sintomi degli attacchi di gotta si può utilizzare sotto forma di capsule o di tisana. Per preparare una tisana all’ortica anti – gotta è possibile utilizzare sia delle foglie di ortica fresche (in questo caso si mettono in infusione in una tazza d’acqua bollente circa 3 foglie di ortica, si lascia r circa 5 minuti, poi si filtra e si beve) sia foglie di ortica essiccate (in questo caso bastano due cucchiaini di foglie di ortica secche da mettere in infusione per circa dieci minuti in acqua bollente, filtrare poi il tutto e bere).
  • Frassino: utili contro la gotta sono anche le capsule di frassino (due capsule al giorno), questa pianta infatti contiene fraxoside, tannini flavonoidi e cumarine, sostanze che sono state identificate come utili per il trattamento della gotta e dei reumatismi artritici in generale.
  • Ribes nero: anche le capsule contenenti ribes nero (due -tre capsule un paio di volte al giorno) sono utili per il trattamento della gotta. Il ribes nero infatti contiene infatti acido citrico, acido malico e vitamina C, sostanze utili per il trattamento delle artriti in generale, compresa l’artrite gottosa.
  • Ciliegie: è consigliabile il consumo di ciliegie (circa una ventina al giorno) quando si ha un attacco acuto di gotta. Questi frutti infatti contengono antocianine che hanno un’azione antinfiammatoria e aiutano a ridurre il dolore e l’arrossamento alle articolazioni.
  • Caffè non forte: sebbene vi siano pareri contrastanti sembra che assumere il caffè un paio di volte al giorno (a patto che venga utilizzata una miscela leggera e non forte) possa aiutare a ridurre i livelli di acido urico nel sangue e che questo non dipenda dalla caffeina in sè poichè anche il caffè decaffeinato ottiene lo stesso effetto. Tuttavia non sono ancora chiari i meccanismi e gli studi sono ancora in corso.

I rimedi casalinghi

Tra le terapie naturali figurano anche tutti quei rimedi casalinghi che possono aiutare a provare sollievo dal dolore, tra questi un rimedio molto efficace qualora l’articolazione colpita sia quella dei piedi, è fare un pediluvio. Per ottenere un rimedio efficace bisogna riempire una bacinella con acqua calda e sciogliere al suo interno o della polvere di carbone o dei sali di Epsom, sostanze in grado di aiutare a diminuire il dolore e l’infiammazione, e lasciare in acqua i piedi per circa mezz’ora. Il pediluvio può essere ripetuto un paio di volte al giorno.

Farmaci

Per curare la gotta in maniera efficace è probabile che il medico affianchi alla terapia alimentare e a quella naturale anche una terapia farmacologica mirata. I farmaci che si utilizzano genericamente per il trattamento di questa patologia sono:

  • Allopurinolo: è un farmaco che si utilizza in pazienti che hanno la tendenza ad avere attacchi di gotta recidivi (almeno due – tre episodi all’anno) e non è utile durante gli attacchi acuti. La sua azione è quella di abbassare i livelli di acido urico nel sangue inibendone la sintesi endogena. Tuttavia non ha alcun effetto sulla sintomatologia per cui non è utile per diminuire dolore, gonfiore o arrossamento.
  • Colchicina: questo farmaco, al contrario del precedente, si utilizza durante gli attacchi acuti di gotta e ha la capacità di ridurre i livelli di acido urico favorendone l’eliminazione e di ridurre anche la sintomatologia dolorosa.
  • Uricosurici: sono farmaci che favoriscono l’escrezione di acido urico con le urine e vengono impiegati o come alternativa alla colchicina o all’allopurinolo oppure in quei casi difficili da curare. Tra questi abbiamo sulfinpirazone e probenecid.
  • Antidolorifici: vengono utilizzati per il trattamento del dolore e della sintomatologia infiammatoria allo scopo di ridurre i sintomi. Si utilizzano gli antinfiammatori non steroidei (come il ketoprofene) nel caso in cui si abbia un dolore da lieve a moderato, e i corticosteroidi (come il cortisone) quando il grado di infiammazione è severo.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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Differenza tra tendine rotuleo e semitendinoso

medicina online muscoli di anca e coscia gamba visti posteriormente glutei tendine muscolo semitendinoso muscoli posteriori coscia muscolo bicipite femorale semimembranoso anatomia funziIl tendine rotuleo (o tendine della patella, in inglese “patellar ligament”) è un tendine che fa parte dell’articolazione del ginocchio: in essa collega la rotula con la tuberosità della tibia (parte superiore della tibia); è la porzione distale del tendine comune del quadricipite femorale. È un tendine dalla forma piatta, piuttosto resistente lungo circa 8 cm e largo 3,5/4 cm, la sua porzione centrale (terzo centrale) viene utilizzata negli interventi di ricostruzione del legamento crociato anteriore.

Muscolo e tendine semitendinoso
Il muscolo semitendinoso è un muscolo si­tuato superficialmente nella parte postero-mediale della coscia; è carnoso nella porzione su­periore, tendineo in quella inferiore. Origina in alto dalla tuberosità ischiatica e discende verti­calmente fino alla parte media della coscia, do­ve continua in un lungo tendine, il tendine semitendinoso, che concorre al­la costituzione della zampa d’oca, inserendosi nella parte superiore della faccia mediale della tibia. La zampa d’oca corrisponde all’inserzione dei muscoli sartorio, gracile e semitendinoso sulla porzione superiore della faccia antero-mediale della tibia, che assume appunto una forma che ricorda quella della zampa di un’oca. Poste­riormente è in rapporto, in alto, con il muscolo grande gluteo e quindi con la fascia femorale; anteriormente corrisponde ai muscoli grande adduttore e semimembranoso. Insieme al tendi­ne del muscolo semimembranoso costituisce il limite supero-interno della fossa poplitea.

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