Leucemia mieloide acuta: cause, sintomi, diagnosi e cura

MEDICINA ONLINE LABORATORIO BLOOD TEST EXAM ESAME DEL SANGUE FECI URINE GLICEMIA ANALISI GLOBULI ROSSI BIANCHI PIATRINE VALORI ERITROCITI ANEMIA TUMORE CANCRO LEUCEMIA FERRO FALCIFORME MLa leucemia mieloide acuta (LMA) è una malattia che si sviluppa a partire dal midollo osseo (mieloide) e che progredisce velocemente (acuta). Le cellule del sangue sono presenti nel midollo osseo sotto forma di “precursori” e, attraverso un percorso di maturazione, si possono differenziare in globuli bianchi (tra cui i linfociti), globuli rossi, o piastrine. Se in questo percorso che li porta a diventare “adulti” i precursori” (tranne quelli dei linfociti) vanno incontro a una trasformazione in senso tumorale, si arriva alla LMA.

Quanto è diffusa?

In base ai dati della Associazione Italiana Registri Tumori (AIRTUM) si possono stimare poco più di 2.000 nuovi casi di leucemia mieloide acuta ogni anno in Italia: 1.200 tra gli uomini e 900 tra le donne. La malattia è più comune negli uomini che nelle donne e negli adulti con più di 60 anni. È poco frequente prima dei 45 anni e nel nostro Paese rappresenta il 13% delle leucemie tra i bambini di età compresa tra 0 e 14 anni.

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Chi è a rischio

Alcuni fattori legati allo stile di vita, come per esempio il fumo, aumentano il rischio di sviluppare la LMA, mentre tra i fattori di rischio ambientali si possono includere l’esposizione a certe sostanze chimiche come il benzene e i suoi derivati utilizzati nell’industria chimica e nelle raffinerie. Anche alcuni trattamenti oncologici possono aumentare il rischio: è il caso dei farmaci alchilanti e quelli a base di platino utilizzati per la chemioterapia o delle radiazioni associate alla radioterapia.

Come per altri tumori, anche per la LMA sono stati identificati fattori di rischio non modificabili, sui quali cioè non è possibile intervenire: tra questi ricordiamo l’essere uomo e avere un’età superiore ai 60 anni. Infine possono aumentare il rischio anche alcune malattie genetiche (anemia di Fanconi, sindrome di Bloom, atassia-telangiectasia, sindrome di Li-Fraumeni, neurofibromatosi, eccetera), alcune anomalie cromosomiche (Sindrome di Down, trisomia del cromosoma 8) e certe malattie del sangue (disturbi mieloproliferativi cronici e sindrome mielodisplastica).

Tipologie

Le leucemie mieloidi vengono suddivise, in base alle loro caratteristiche cellulari e molecolari, in mielocitiche, mielogene o non-linfocitiche. Inoltre si distinguono in primarie (o de novo), cioè a insorgenza primitiva, e secondarie, se insorgono dopo una precedente sindrome mielodisplastica o come conseguenza dell’esposizione a sostanze tossiche e/o chemioterapie. Più in dettaglio, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha pubblicato nel 2008 una nuova classificazione per le leucemie mieloidi acute:

  1. con ricorrenti anomalie genetiche,
  2. con cambiamenti legati a mielodisplasia,
  3. secondaria a chemioterapia/radioterapia,
  4. non meglio specificate.

Questa classificazione ha sostituito almeno in parte il più datato sistema Franco-Americano-Britannico (FAB) che distingueva invece diversi tipi di LMA indicati con sigle da M0 a M7, in base unicamente all’aspetto morfologico delle cellule visibile al microscopio.

Sintomi

I sintomi della LLA si manifestano precocemente e di solito la diagnosi viene effettuata poco dopo. Spesso la LLA si manifesta inizialmente con sintomi non specifici come stanchezza, perdita di appetito, sudorazione notturna e febbre. Più avanti si notano in genere spossatezza e pallore legati all’anemia, un aumento del rischio di infezioni dovute alla riduzione dei globuli bianchi normali e sanguinamenti frequenti (anche a naso e gengive) legati alla carenza di piastrine. Tra i sintomi sistemici sono frequenti dolori muscolari e osteo-articolari diffusi, senso di malessere generale e perdita di peso. Inoltre, se la malattia si è diffusa in altri organi, si notano ingrossamento di milza, fegato e linfonodi e, se è stato raggiunto anche il sistema nervoso, possono verificarsi mal di testa e altri segni neurologici.

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Prevenzione

A oggi le uniche strategie di prevenzione della LMA si basano sull’evitare quando possibile i fattori di rischio noti: smettere di fumare è sicuramente importante, così come cercare di evitare di esporsi alle sostanze chimiche pericolose.

Diagnosi

Il primo passo verso la diagnosi di LMA è un consulto con il medico che valuterà la storia familiare e i sintomi ed effettuerà una visita attenta per verificare la presenza di segni che potrebbero far pensare alla malattia (ingrossamento dei linfonodi o di organi addominali, segni di sanguinamento, lividi o infezioni, eccetera). In caso di sospetto, si procede con ulteriori esami come il prelievo di sangue che permette di valutare numero e forma delle cellule: la leucemia causa infatti anemia, un basso numero di piastrine e aumento o diminuzione dei globuli bianchi e la forma delle cellule osservate al microscopio è utile per togliere gli ultimi dubbi e formulare una diagnosi più precisa. Una volta accertata la presenza di leucemia, si procede in genere con un ulteriore prelievo di sangue o di midollo osseo che grazie a test molecolari e citogenetici consente di caratterizzare in modo più fine la leucemia (presenza di mutazioni, anomalie ai cromosomi, eccetera). Gli esami di diagnostica per immagini come raggi X, TAC, PET, ecografia e risonanza magnetica in genere sono utilizzati per determinare la presenza di infezioni o di altri segni della leucemia e possono aiutare a capire quanto la malattia è diffusa.

Evoluzione

In genere la LMA non causa la formazione di masse tumorali distinte con successive metastasi. La classificazione resta comunque fondamentale per la scelta del trattamento e per definire la prognosi e si basa su criteri specifici, definiti dai sistemi FAB (Franco-Americano-Britannico, dagli anni ’70) e OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità , aggiornato al 2008).

Come si cura

La scelta della terapia più adatta per la LMA dipende da diversi fattori e, in primo luogo, dalle caratteristiche della malattia e dalle caratteristiche del paziente.

In linea generale, la chemioterapia sistemica (cioè che raggiunge tutto l’organismo e che viene somministrata per via endovenosa) resta il trattamento di prima scelta. Si comincia con una fase di induzione che ha lo scopo di eliminare le cellule leucemiche (blasti) presenti nel sangue e di riportare quelle del midollo osseo a livelli normali. Una volta ottenuta la cosiddetta remissione, cioè l’assenza di segni e sintomi (meno del 5% di blasti nel midollo, conta delle cellule del sangue normale e nessun segno clinico di leucemia), si passa alla fase di consolidamento che ha lo scopo di rafforzare i risultati ottenuti nella prima fase, eliminando anche le ultime cellule tumorali rimaste. I farmaci utilizzati per la fase di induzione sono utilizzati, con dosi e tempistiche diverse, anche per quella di consolidamento e oggi sono disponibili e usati in fase sperimentale anche numerosi nuovi agenti chemioterapici. In caso leucemia promielocitica acuta si procede a volte con una terza fase detta di mantenimento che si basa su chemioterapia a basse dosi per mesi o anni dopo la fase di consolidamento. In questo sottotipo di leucemia, inoltre, si utilizzano farmaci particolari come l’acido all-trans retinoico (ATRA) e il triossido di arsenico, non usati per le altre forme di LMA.

Dopo la terapia di consolidamento è possibile procedere con un trapianto di cellule staminali emopoietiche, capaci cioè di generare le cellule del sangue. La scelta di procedere con il trapianto dipende dal paziente (è adatto a pazienti più giovani), dalle caratteristiche della malattia, dai fattori prognostici e dalla disponibilità di un donatore. Le cellule staminali possono essere prelevate dal sangue o dal midollo osseo dello stesso paziente (trapianto autologo) o di un donatore (trapianto allogenico) o possono derivare dal sangue del cordone ombelicale. Grazie al trapianto è possibile utilizzare dosi più elevate di chemioterapia aumentando la probabilità di distruggere tutte le cellule tumorali e il midollo danneggiato dalla chemioterapia verrà poi sostituito da quello introdotto con il trapianto. Negli anziani o nei pazienti che non tollerano alte dosi di chemioterapia, si procede con una forma di trapianto detto non-mieloablativo (o a intensità ridotta o mini-trapianto). In questo caso si utilizza chemioterapia a bassa dose e si sfrutta la capacità delle nuove cellule trapiantate di innescare reazioni immunitarie contro le cellule tumorali.

Altri approcci per curare la LMA sono piuttosto rari e poco efficaci: la chirurgia non ha praticamente nessun ruolo, mentre la radioterapia può essere a volte utilizzata prima del trapianto di cellule staminali o per ridurre il dolore se la chemioterapia non funziona.

Nel corso del trattamento si fa ricorso anche a terapie di supporto (trasfusioni di globuli rossi e concentrati piastrine o trattamenti con antibiotici e antifungini) allo scopo di contrastare l’anemia, le emorragie e le infezioni. Queste terapie spesso rappresentano l’unica forma di trattamento nei pazienti particolarmente anziani e fragili.

È importante ricordare che la ricerca nel trattamento della LMA non si ferma e sono oggi in fase di sperimentazione nuove categorie di farmaci come gli inibitori tirosin-chinasici o gli inibitori della farnesil-transferasi diretti contro specifiche del DNA, inibitori di mTOR (una proteina coinvolta nella crescita e proliferazione delle cellule) o modulatori della resistenza ai farmaci (la cosiddetta multidrug resistance).

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Riduzione della riserva coronarica: cos’è e come si studia

MEDICINA ONLINE GLICEMIA INSULINA SANGUE DIFFERENZA CONCENTRAZIONE ORMONE PIASTRINE GLOBULI ROSSI BIANCHI GLUCAGONE TESTOSTERONE ESTROGENI PROGESTERONE CUORECosa si intende per riserva coronarica?

Il circolo coronarico è un insieme di vasi sanguigni che permettono al sangue di arrivare al muscolo cardiaco (miocardio). In varie situazioni, come ad esempio quando facciamo uno sforzo fisico, il miocardio ha bisogno di avere più sangue per poter funzionare e la riserva coronarica corrisponde proprio alla capacità del circolo coronarico di aumentare il flusso di sangue in rapporto all’aumento delle richieste metaboliche del muscolo cardiaco; questo è ottenuto attraverso la dilatazione delle arterie coronarie.

Cosa si intende per riduzione della riserva coronarica?

La coronaria ostruita in modo critico (stenosi) può ancora permettere un flusso di sangue sufficiente in condizioni di base (a riposo), ma non può adattare il flusso sanguigno all’aumento delle richieste del cuore sotto sforzo e ciò prende il nome di “riduzione della riserva coronarica”. Ricordiamo che un ridotto apporto di sangue al cuore può determinare ischemia, angina e potenzialmente un infarto del miocardio.

Come si studia la riserva coronarica?

Tramite una semplice ecocardiografia, che può studiare la riserva coronarica indirettamente o direttamente. Indirettamente utilizzando i test provocativi di ischemia e valutando gli effetti dell’ischemia miocardica sulla motilità (cinetica) delle pareti colpite (ecostress). Direttamente studiando il flusso nelle coronarie in condizioni basali o durante stimolo.
Le coronarie sono visualizzabili con l’ecocardiografia transesofagea; opportune sonde transtoraciche e particolari proiezioni rendono possibile l’esplorazione di alcuni tratti della discendente anteriore e della coronaria destra. L’uso di particolari sostanze (mezzi di contrasto venosi che attraversano il circolo polmonare e sono rilevabili nelle sezioni di sinistra e nelle coronarie) permette uno studio ottimale con il colordoppler del flusso nelle coronarie in particolare permette di studiare le variazioni di flusso durante vasodilatazione e determinare se la riserva coronarica è normale o ridotta.

Per approfondire:

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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Ecocardiogramma per via transesofagea: preparazione, è doloroso?

MEDICINA ONLINE CUORE HEART INFARTO MIOCARDIO NECROSI ATRIO VENTRICOLO AORTA VALVOLA POMPA SANGUE ANGINA PECTORIS STABILE INSTABILE ECG SFORZO CIRCOLAZIONETalvolta può accadere che l’ecocolordoppler cardiaco transtoracico non sia sufficiente a chiarire efficacemente la situazione cardiaca del paziente. Qualche volta infatti gli ultrasuoni non riescono ad attraversare grosse masse muscolari, il polmone che può essere espanso per una malattia, l’osso o i componenti metallici delle strutture artificiali come le protesi valvolari cardiache. Se la struttura da esaminare si trova in profondità nel corpo o se è “nascosta” dietro una struttura ossea o una valvola artificiale, può non essere vista con la sola ecocardiografia standard che esplora il cuore da una posizione anteriore. In questi casi può essere necessario ricorrere ad un diverso punto di esplorazione, posteriore, che aggiri gli ostacoli. Accade quindi che il Cardiologo richieda l’Ecocardiogramma per via transesofagea che, per il paziente, equivale alla esecuzione di una comune gastroscopia.

Per visualizzare il cuore da questa diversa finestra il paziente deve sopportare il disagio della introduzione di una sonda, di dimensioni paragonabili a quelle di un dito di un ragazzo, attraverso l’esofago. L’esofago è l’organo che connette la bocca con lo stomaco e passa proprio dietro al cuore, in una posizione quindi che consente di “vedere” il cuore da vicino e da una posizione opposta a quella dell’esame transtoracico. In questo modo possono essere acquisite altre informazioni originali che, integrate a quelle dell’esame transtoracico, consentono quasi sempre di dirimere i problemi diagnostici del paziente.

Come prepararsi all’esame?

Per eseguire L’ecocardiogramma transesofageo è necessario non mangiare o bere dopo la mezzanotte del giorno dell’esame. Le medicine possono essere assunte cercando di bere solo la minima quantità sufficiente per deglutire i farmaci. In caso di diabete è importante consigliarsi con il proprio medico per definire la dose adeguata di Insulina che dovrà essere ovviamente ridotta per il digiuno.

Come si svolge l’esame?

Il paziente viene invitato a togliersi gli occhiali ed a rimuovere eventuali protesi dentarie, viene collegato al monitoraggio elettrocardiografico e, tramite una fleboclisi, ad una infusione di soluzione fisiologica che ha il solo scopo di tenere disponibile, per il tempo dell’esame, un accesso venoso per somministrare farmaci in caso di necessità.

Il paziente viene posto sul fianco sinistro con il busto ed il collo leggermente flessi come per guardarsi le gambe. Il medico, dopo avergli inserito tra i denti un boccaglio per non danneggiare la sonda, lo aiuterà nel compito sgradevole ma non pericoloso di ingoiare la sonda.

Può essere consigliabile eseguire una anestesia locale della bocca e del retrobocca (faringe) con lidocaina spray (un anestetico locale).

Quanto dura l’esame?

La durata complessiva è di circa 10-15 minuti.

L’ecocardiogramma transesofageo è doloroso?

No, non è doloroso. L’esame è certamente fastidioso ma, se il paziente riesce a collaborare ed a mantenere la calma, si affronta facilmente. Il momento più difficile è quello dell’introduzione della sonda. In quel momento si possono manifestare colpi di tosse, eruttazioni, conati di vomito; sono disturbi passeggeri che non devono allarmare il paziente e che non pregiudicano un risultato favorevole dell’esame. Si deve tenere presente che il tubo non può interferire con la normale respirazione che avviene attraverso il naso e la trachea.

Come comunicare durante l’esame?

Durante l’esame, con la sonda nell’esofago, non è possibile parlare. Si deve quindi stabilire prima dell’inizio dell’esame un codice di comunicazione attraverso l’uso della mano.

Cosa è possibile fare per facilitare l’esame e renderlo il meno fastidioso possibile?

Respirare lentamente cercando di rilassare i muscoli del collo e delle spalle. Cercare di collaborare con il Cardiologo.

INFORMAZIONI SPECIALI

Si deve informare il medico se vi sono:

  1. Malattie del fegato croniche
  2. Storia di precedenti epatiti
  3. Storia di infezioni gravi
  4. Allergie a Farmaci
  5. Glaucoma
  6. Malattie polmonari
  7. Disturbi gastrici

L’ecocardiogramma transesofageo è pericoloso?

Ogni volta che “qualcosa” viene introdotta nel nostro corpo esistono dei rischi. Tuttavia con l’ecocardiografia transesofagea i rischi sono ridottissimi. Si tratta generalmente di aritmie cardiache che vengono ben tollerate dal paziente e che solo molto raramente richiedono un trattamento farmacologico. Esiste però una rarissima possibilità (2-3 ogni mille casi) che la sonda danneggi l’esofago durante l’introduzione.

L’ecocardiografia transesofagea è comunque una metodica estremamente sicura ed è estremamente improbabile che si verifichino delle complicazioni; di fatto l’utilità delle informazioni che si ottengono giustifica ampiamente i disturbi che il paziente deve sopportare ed il minimo rischio di complicazioni insite nella metodica.

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Cosa accade dopo l’esame?

Generalmente il paziente dopo pochi minuti dal termine dell’esame non avverte alcun disturbo. Qualora sia stato necessario somministrare un sedativo è consigliabile aspettare almeno 30 minuti prima di lasciare l’ospedale ed evitare di mettersi alla guida. E’ pertanto consigliabile che Lei venga accompagnato da un familiare per evitare di dover guidare personalmente l’automobile al ritorno.

La gola, per l’azione dell’anestetico locale, può essere lievemente irritata per cui non è consigliabile bere o magiare per 2-3 ore.

Quali sintomi dobbiamo segnalare al cardiologo?

Le complicazioni, come detto, sono rarissime. Vanno comunque segnalati alcuni sintomi che dovessero insorgere dopo l’esame:

  • Dolore insolito o difficoltà ad inghiottire
  • Dolore addominale o toracico
  • Vomito di color caffè o sangue

ATTENZIONE:

L’ecocardiografia transesofagea viene effettuata nella stragrande maggioranza dei casi senza creare problemi al paziente: le percentuali di insuccesso tecnico sono molto basse (1-4% a secondo delle casistiche) e generalmente legate ad una mancata collaborazione da parte del paziente.

Per ovviare a questi inconvenienti si raccomanda al paziente di porre al medico tutte le domande che ritiene opportune, al fine di ottenere una conoscenza completa delle indicazioni, delle procedure, dei rischi e dei benefici che possono derivare dall’esame a cui sta per essere sottoposto.

Siamo convinti che un paziente informato affronterà gli inevitabili disagi con una maggiore consapevolezza e minore ansia contribuendo alla riuscita dell’esame.

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MCH alto, basso, valori normali ed interpretazione

MEDICINA ONLINE LABORATORIO BLOOD TEST EXAM ESAME DEL SANGUE FECI URINE GLICEMIA ANALISI GLOBULI ROSSI BIANCHI PIATRINE VALORI ERITROCITI ANEMIA TUMORE CANCRO LEUCEMIA FERRO FALCIFORME ML’MCH è un indice corpuscolato del sangue, indica la quantità di emoglobina presente in un globulo rosso e ci aiuta a distinguere le anemie macrocitiche da quelle microcitiche. L’emoglobina, una proteina globulare specializzata nel trasporto di ossigeno dai polmoni ai vari tessuti corporei, è invece il principale componente dei globuli rossi. Per questo motivo è importante assicurarsi che le sue concentrazioni nel sangue siano nella norma.
Come viene calcolato l’MCH? – Questo valore espresso in picogrammi (pg) si calcola dividendo la quantità di emoglobina contenuta nel sangue (per litro) per il numero di globuli rossi presenti nella stessa quantità di sangue. Come in tanti altri casi anche l’MCH per essere correttamente interpretato deve essere analizzato tenendo conto degli altri livelli dell’emocromo.

Quali sono i normali valori di riferimento? 

Il livello normale di MCH è compreso tra 26 e 33 picogrammi di emoglobina per globulo rosso. Ovviamente l’intervallo di riferimento può variare da laboratorio a laboratorio, pertanto per stabilire quale sia l’intervallo normale è opportuno basarsi sempre sul range di normalità stampato sulla relazione di laboratorio. Inoltre oggigiorno per una migliore valutazione delle anemie vengono applicati, in laboratorio, i cosiddetti parametri della distribuzione, perciò i globuli rossi di piccolo volume e di basso contenuto di emoglobina sono distribuiti nel quadrante in basso e a sinistra del diagramma cartesiano, sul cui asse verticale viene indicato il volume degli eritrociti mentre su quello orizzontale viene riportato il loro contenuto di emoglobina.

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Che cosa succede quando i livelli di MCH sono troppo bassi? 

Il livello di MCH è considerato troppo basso quando è inferiore a 26. In questo caso per via della produzione di globuli rossi di piccole dimensioni viene ridotta anche la concentrazione di emoglobina presente all’interno di ogni globulo rosso e si va incontro alla cosiddetta anemia ipocromica microcitica dovuta prevalentemente a:

  • Anemia sideropenica o anemia da carenza di ferro causata da un deficit di ferro dell’organismo dovuto soprattutto a un’eccessiva perdita ematica come conseguenza di ciclo mestruale abbondante, emorroidi, ulcera peptica, tumori del colon, parassitosi intestinali, uso cronico di alcuni farmaci antinfiammatori non steroidei e molto più raramente a carenze di apporto alimentare o sindromi di malassorbimento;
  • Anemia sideroblastica che può essere congenita o acquisita a causa dell’assunzione di farmaci o sostanze tossiche oppure può essere espressione di una malattia neoplastica e non;
  • Talassemia o altri disordini genetici della sintesi dell’emoglobina noti come emoglobinopatie.

Che cosa succede quando i livelli di MCH sono troppo alti?

Il livello di MCH è invece considerato troppo alto quando è maggiore di 33. La produzione di globuli rossi in numero ridotto ma di dimensioni più grandi del normale induce la formazione di una quantità eccessiva di emoglobina negli eritrociti generando così le anemie macrocitiche. Questi tipi di anemie, tra le quali spicca quella perniciosa, è dovuta prevalentemente a:

  • Carenza di vitamina B12 o di acido folico, elementi essenziali alla formazione della globina (anemia megaloblastica);
  • Anemia dovuta a malattie epatiche croniche, come epatiti infettive e non infettive, la cirrosi epatica, la calcolosi, ecc;
  • Anemia come conseguenza dell’ipotiroidismo. Tale anemia può essere macrocitica se associata ad anemia perniciosa o al basso assorbimento di acido folico;
  • Alcuni casi di anemia aplastica, i cui fattori scatenanti possono essere di natura genetica, ambientale oppure mista;
  • Alcuni casi di anemia emolitica, i quali tendono generalmente a presentarsi in concomitanza con altri tipi di anemia.

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Plasma: a cosa serve e quali sono le sue funzioni?

MEDICINA ONLINE SANGUE BLOOD LABORATORY VES FORMULA LEUCOCITARIA PLASMA FERESI SIERO FIBRINA FIBRINOGENO COAGULAZIONE GLOBULI ROSSI BIANCHI PIASTRINE WALLPAPER HI RES PIC PICTURE PHOTOIl plasma è la parte liquida del sangue: dal caratteristico colore giallo paglierino è composto per il 90% da acqua, in cui sono disciolti sali e proteine plasmatiche: albumina, fibrinogeno e fattori della coagulazione prodotti dal fegato, le immunoglobuline (o anticorpi per la difesa) prodotte dai linfociti. Tra le sue numerose funzioni vi è quella di mezzo di scambio di minerali essenziali e contribuisce a mantenere un giusto pH del nostro corpo. E’ comunemente trasfuso a pazienti traumatizzati e pazienti con malattie epatiche gravi.

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Funzioni del plasma

Il plasma rappresenta la parte liquida del sangue, il mezzo nel quale sono sospese le cellule e gli altri elementi figurati (quali le piastrine). Essendo il sangue considerato come un vero e proprio tessuto allo stato liquido, il plasma va funzionalmente avvicinato alla sostanza fondamentale che nei tessuti solidi si trova interposta fra le cellule e che funge da mezzo di scambio fra gli elementi cellulari stessi.

É evidente che lo stato liquido del plasma facilita notevolmente gli scambi fra le cellule che costituiscono il tessuto, e soprattutto fra tali cellule e quelle dei tessuti diversi dal sangue. Il plasma rappresenta in realtà il più importante mezzo di scambio fra le cellule del sangue e le cellule che costituiscono i vari organi e tessuti; ma è anche della massima importanza, con la sua funzione di trasporto di sostanze che fungono da messaggeri, anche per la comunicazione fra organi distanti. Gli scambi fra le cellule ematiche e i tessuti avvengono con la mediazione del plasma.

Per comprendere l’importanza di questo fatto si pensi alla funzione di trasporto dell’ossigeno delle più numerose fra le cellule ematiche, i globuli rossi. A livello polmonare i globuli rossi captano l’ossigeno proveniente dall’aria alveolare, che verrà poi ceduto in sede periferica ai tessuti.
Questi passaggi di gas avvengono unicamente in base a leggi chimico-fisiche basate su differenze di pressione parziale; i gas si spostano da zone a pressione parziale più elevata a zone a pressione parziale più bassa. Nei polmoni la pressione parziale dell’ossigeno è più alta nell’aria alveolare che nel plasma sanguigno all’estremità arteriosa dei capillari; in questo modo l’ossigeno si scioglie nel plasma, dal quale viene rimosso attivamente dai globuli rossi, la cui emoglobina è particolarmente “”avida”” di questo gas. La pressione parziale dell’ossigeno nel plasma rimane a questo modo inferiore a quella dell’aria alveolare fino in prossimità della estremità venosa del capillare polmonare; il gas deve in ogni caso sciogliersi fisicamente nel plasma prima di poter essere captato dal globulo rosso.

Per quanto riguarda l’anidride carbonica, il ruolo del plasma è ancora più importante che nel caso dell’ossigeno, in quanto una notevole percentuale di questo gas viene trasportata in soluzione chimica nel plasma stesso, sotto forma di ioni bicarbonato. Il plasma non serve solo come mezzo di trasporto dei gas respiratori; all’interno della parte liquida del sangue viaggiano anche sostanze inorganiche, gli elettroliti del plasma, sostanze nutritive, composti chimici di diversa natura. Numerose sostanze chimiche di costituzione complessa viaggiano trasportate dalle proteine plasmatiche, albumine e globuline.

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Come si ottiene il plasma?

MEDICINA ONLINE PRELIEVO VALORI ANEMIA DONAZIONE SANGUE ANALISI BLOOD LABORATORI VES FORMULA LEUCOCITARIA PLASMA FERESI SIERO FIBRINA FIBRINOGENO COAGULAZIONE GLOBULI ROSSI BIANCHI PIASTRINE WALLPAPER HI RES PIC PICTURE PHO.jpgIl plasma è la parte liquida del sangue e può essere separato dalla parte solida (le cellule del sangue) rimuovendo i globuli rossi, i globuli bianchi e le piastrine. Questo si ottiene centrifugando ad alta velocità il sangue. Le parti corpuscolari si posano sul fondo del contenitore ed è quindi possibile drenare il plasma dalla superficie.

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Neutrofili alti, bassi, valori normali ed interpretazione

MEDICINA ONLINE LABORATORIO BLOOD TEST EXAM ESAME DEL SANGUE FECI URINE GLICEMIA ANALISI GLOBULI ROSSI BIANCHI PIATRINE VALORI ERITROCITI ANEMIA TUMORE CANCRO LEUCEMIA FERRO FALCIFORME MI granulociti neutrofili sono un tipo di leucocita (globulo bianco) con funzioni di difesa dell’organismo contro infezioni batteriche e fungine. Vengono chiamati neutrofili perché in laboratorio non incorporano alcun tipo di colorante (rimangono cioè neutri).

Rappresentano circa il 50-70% dei globuli bianchi e sono prodotti dal midollo osseo; quotidianamente ne vengono prodotti circa 100 miliardi, poichè hanno una vita di circa 7-10 ore nel sangue e di pochi giorni nei tessuti.

La loro funzione è quello di catturare e distruggere sostanze estranee attraverso il meccanismo della fagocitosi, ossia di ingerire materiali estranei e di distruggerli.

Valori Normali

La quantità normale di neutrofili nel sangue è pari a circa 2–7 x 109/l e rappresentano circa il 40-80% del totale dei globuli bianchi.

Nei soggetti di pelle nera vengono talvolta considerati valori leggermente diversi, tra 1.2–.6 x 109/l.

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Interpretazione

Il numero di neutrofili nel sangue cambia sensibilmente da un soggetto all’altro ed è per questo che i valori normali prevedono un intervallo abbastanza ampio; quando il numero totale supera il valore massimo considerato normale si parla di neutrofilia, che è la condizione più comune di leucocitosi (aumento del numero del totale dei globuli bianchi).

Queste cellule sono fra le prime a rispondere in caso di infezione batterica, quindi la causa più comune per spiegare valori alti è proprio un’aggressione di batteri; possono aumentare anche in caso di attacchi da parte di funghi e protozoi.

Si verifica un aumento anche in caso di infiammazione acuta, come ad esempio per problemi alle coronarie, ictus, ustione, appendicite, tumori, malattie infiammatorie intestinali, artrite reumatoide, … Anche alcune forme di anemia si associano a questa condizione.

La neutropenia è invece la diminuzione del numero dei neutrofili, che può essere congenita (già presente alla nascita) o acquisita (compare dopo la nascita): fra le forme acquisite le cause più frequenti sono probabilmente i farmaci e le infezioni virali come epatite, influenza, rosolia, morbillo, varicella, mononucleosi infettiva.

Fra le altre cause ricordiamo gli autoanticorpi, alcune infezioni batteriche (come tifo, paratifo, brucellosi, tubercolosi), malnutrizione, alcolismo, malattie del sangue e agenti fisici (come i raggi x).

Valori Bassi
(Neutropenia)

  • Anemia aplastica
  • Anemia perniciosa
  • Anoressia nervosa
  • Artrite reumatoide
  • Epatite
  • Febbre reumatica
  • Ipersplenismo
  • Leucemia
  • Lupus Erimatoso Sistemico
  • Mononucleosi
  • Morbillo
  • Rickettsiosi
  • Rosolia
  • Septicemia
  • Shock Anafilattico

Valori Alti
(Neutrofilia)

  • Acidosi
  • Avvelenamento
  • Eclampsia
  • Emolisi
  • Emorragia
  • Febbre reumatica
  • Gotta
  • Infarto
  • Infezioni
  • Malattie mieloproliferative
  • Operazione chirurgica
  • Setticemia
  • Stress
  • Tempesta tiroidea
  • Tumore
  • Uremia
  • Ustione
  • Vasculite

(Attenzione, elenco non esaustivo. Si sottolinea inoltre che spesso piccole variazioni dagli intervalli di riferimento possono non avere significato clinico.)

Fattori che influenzano l’esame

Recenti interventi chirurgici possono essere causa di aumento dei valori, così come altre forme di stress (parto, dolore, sforzo fisico) e situazioni di paura, gioia od altre emozioni intense.

Diversi farmaci possono elevare i risultati (cortisone, litio, ranitidina, …) od abbassarli: la chemioterapia antitumorale quasi sempre provoca una sensibile diminuzione (se il risultato è inferiore a 1x 109/l esiste il rischio di infezioni anche gravi).

In gravidanza (soprattutto terzo trimestre) e nei fumatori i valori rilevati possono essere anche leggermente più alti.

Quando viene richiesto l’esame

La conta differenziale dei leucociti è di norma richiesta insieme all’emocromo, che è un insieme di valori prescritti nei controlli di routine; può anche essere richiesto in presenza di sintomi di infezione e/o infiammazione (febre, dolori, mal di testa, …) o quando ci sia il sospetto di malattia autoimmune.

Preparazione richiesta

Non è richiesta alcuna preparazione specifica.

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Globuli rossi (eritrociti) alti, bassi, valori normali e interpretazione

MEDICINA ONLINE LABORATORIO BLOOD TEST ESAME SANGUE ANALISI CLINICHE GLOBULI ROSSI BIANCHI PIATRINE VALORI ERITROCITI LEUCOCITI ANEMIA TUMORE CANCRO LEUCEMIA FERRO FALCIFORME MEDITERRANEIl sangue è costituito da diversi tipi di cellule in sospensione in un liquido chiamato plasma; oltre ai globuli rossi (eritrociti) ci sono i globuli bianchi (che negli esami del sangue sono indicati come WBC) e le piastrine. Tutte queste cellule sono prodotte dal midollo osseo ed entrano in circolo una volta mature. La conta degli eritrociti (RBC) è la misurazione della loro quantità per unità di volume del sangue. La funzione di queste cellule è di fondamentale importanza per la sopravvivenza dell’organismo, in quanto si occupano di trasportare l’ossigeno a tutte le cellule del corpo; hanno per questo una caratteristica forma a disco biconcavo, studiata dalla Natura per favorire il più possibile lo scambio gassoso ossigeno-anidride carbonica (grazie al favorevole rapporto superficie volume). Come le piastrine sono privi di nucleo, principalmente per lasciare posto all’emoglobina, una proteina che si lega all’ossigeno e permette loro di trasportare il gas dai polmoni verso i tessuti e gli organi. Una volta consegnato il prezioso gas si caricano dell’anidride carbonica di rifiuto per fare ritorno ai polmoni, dove avverrà un nuovo scambio e il ciclo ricomincerà senza sosta, in ogni istante della vita della cellula (circa 120 giorni). Il midollo osseo si occupa costantemente di produrre giovani globuli rossi, per sostituire quelli che invecchiano o che vanno persi a causa di emorragie e sanguinamenti. La quantità di ossigeno che viene consegnato ai tessuti del corpo dipende strettamente dal numero di globuli rossi presenti e dalla loro efficacia nel performare lo scambio tra i gas.

Valori Normali

  • Uomini: 4.52 – 5.90 x1012 per litro,
  • Donne: 4.10 – 5.10 x1012 per litro.

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Interpretazione

La conta dei globuli rossi viene eseguita nell’ambito dell’emocromo completo, quindi vengono presi in considerazione anche i risultati degli altri componenti. L’aumento o la diminuzione della loro concentrazione deve essere interpretato contestualmente ad altri parametri, come l’emoglobina, l’ematocrito e gli altri parametri relativi ai globuli rossi. Le alterazioni dai valori normali di solito rispecchiano quelle dell’ematocrito e dell’emoglobina.

  • Se i valori dei globuli rossi, dell’ematocrito e dell’emoglobina sono inferiori a quelli normali, il paziente è anemico.
  • Se i valori dei globuli rossi e dell’emoglobina sono superiori rispetto a quelli normali, il paziente soffre di policitemia.

Anemia

Se i globuli rossi sono troppo pochi, anche l’emoglobina nel sangue diminuisce ed i tessuti sono raggiunti da una quantità insufficiente di ossigeno: si possono quindi manifestare i sintomi tipici dell’anemia:

  • stanchezza,
  • battito cardiaco irregolare,
  • pelle pallida,
  • sensazione di freddo,
  • nei casi più gravi insufficienza cardiaca.

Nei bambini può manifestarsi un ritardo dello sviluppo.

Le cause più comuni sono:

  • Anemia sideropenica (da carenza di ferro). Se non è presente una quantità sufficiente di ferro nell’organismo, non sarà possibile produrre la quantità richiesta di globuli rossi. Si tratta della forma di anemia più comune, che può essere causata da
    • insufficiente apporto con l’alimentazione,
    • emorragia,
    • ridotto assorbimento dalla dieta (per esempio a causa di farmaci o malattie).
  • Anemia mediterranea. Piuttosto comune in Italia e nei Paesi affacciati sul Mediterraneo, questa malattia genetica causa una distruzione precoce dei globuli rossi e una minore disponibilità di emoglobina.
  • Anemia falciforme. In questo malattia ereditaria i globuli rossi sono a forma di mezzaluna e questo provoca maggiori difficoltà di spostamento nei vasi più piccoli; hanno inoltre una vita media decisamente ridotta (10-20 giorni).
  • Anemia normocitica. In questa forma gli eritrociti sono normali per forma e dimensione, ma in numero insufficiente a causa di malattie come tumore, artrite reumatoide, disturbi renali, …
  • Anemia emolitica. Si verifica quando i globuli rossi vengono distrutti molto prima del tempo e il midollo spinale non riesce a compensare le perdite.

La conta può anche essere affiancata dall’esame del volume corpuscolare medio (MCV) per fare chiarezza nella diagnosi differenziale tra la carenza di ferro e la talassemia (alfa o beta):

  • un rapporto MCV/RBC inferiore a 13 suggerisce il tratto talassemico,
  • un rapporto superiore a 13 indica una carenza di ferro.

Questo rapporto tuttavia non è diagnostico e quindi devono essere eseguiti esami più approfonditi, se disponibili. Ovviamente la quantità disponibile può diminuire anche in caso di traumi in grado di provocare sanguinamento, così come emorragie dovute per esempio a ulcere gastriche o in altre zone dell’apparato digerente. Qualsiasi malattia o sostanza in grado di alterare il funzionamento del midollo osseo può essere causa di una ridotta produzione di globuli rossi, ad esempio tumori del sangue o la stessa chemioterapia; così anche malattie renali gravi, che possono ridurre la produzione di eritropoietina (un importante ormone che stimola la produzione di globuli rossi). Anche in caso di carenze nutrizionali (ferro, vitamina B12 o folati) può infine esserci una ridotta produzione.

Policitemia

Nel caso in cui la quantità di globuli rossi sia invece eccessiva, il sangue si ispessisce, la circolazione rallenta e si possono manifestare diversi problemi e sintomi, tra cui:

  • fatica,
  • mancanza di fiato,
  • dolori articolari,
  • prurito,
  • disturbi del sonno.

Tra le cause dell’aumento della concentrazione dei globuli rossi (policitemia) ricordiamo:

  • Policitemia vera (una malattia rara in cui l’organismo produce più globuli rossi del normale).
  • Malattie polmonari (se il paziente non riesce a respirare bene e ad assorbire una quantità sufficiente di ossigeno, l’organismo tenta di compensare producendo più globuli rossi).
  • Malattie cardiache congenite. Il cuore non è in grado di pompare efficacemente il sangue, e quindi diminuisce la quantità di ossigeno che raggiunge i tessuti. L’organismo tenta di compensare aumentando la concentrazione di globuli rossi.
  • Tumori ai reni che producono più eritropoietina del normale.
  • Cause genetiche (alterazione della percezione dell’ossigeno, anomalie nel rilascio dell’ossigeno da parte dell’emoglobina).

Valori Bassi

  • Abuso di Alcool
  • Anemia
  • Carenza di vitamina B
  • Emodiluizione
  • Emolisi
  • Emorragia
  • Endocardite
  • Febbre reumatica
  • Infezione cronica
  • Insufficienza renale
  • Ipotiroidismo
  • Leucemia
  • Lupus Erimatoso Sistemico
  • Mielodisplasia
  • Mieloma multiplo
  • Morbo di Addison
  • Soppressione del midollo osseo
  • Tumore di Hodgkin

Valori Alti

  • Alta quota
  • Difetto congenito al cuore
  • Emoconcentrazione
  • Fumo
  • Ipossia cronica
  • Malattia polmonare cronica
  • Malattie cardiovascolari
  • Policitemia
  • Sindrome di Cushing
  • Tumore al fegato

(Attenzione, elenco non esaustivo. Si sottolinea inoltre che spesso piccole variazioni dagli intervalli di riferimento possono non avere significato clinico.)

 

Fattori che influenzano l’esame

La quantità degli eritrociti, insieme alla concentrazione dell’emoglobina e all’ematocrito, dovrebbe essere interpretata con cautela, perché è relativa al volume del plasma.

  • Le situazioni in cui il volume del plasma aumenta, ad esempio la gravidanza o un’eccessiva idratazione, fanno diminuire questi valori e non sono quindi indice di anemia.
  • Viceversa, quando il volume del plasma diminuisce, ad esempio in caso di disidratazione, questi valori aumentano e quindi non sono indice di policitemia.

Ci sono poi numerosi fattori in grado di interferire con il risultato:

  • L’esito dell’esame può essere alterato in seguito a una trasfusione.
  • Spesso la variazione dai valori normali è transitoria e può essere corretta facilmente e/o ritornare alla normalità se le malattie a monte guariscono.
  • Vivere ad alta quota fa aumentare i valori, perché l’organismo reagisce alla diminuzione dell’ossigeno.
  • Le donne tendono ad avere una concentrazione leggermente inferiore agli uomini.
  • Il fumo è causa di aumento dei valori.

Quando viene richiesto l’esame

L’esame viene prescritto nell’ambito dell’emocromo completo, nella maggior parte dei casi come esame di routine. Nel caso in cui il paziente abbia dei sintomi che potrebbero indicare una malattia che ha a che fare con la produzione dei globuli rossi, l’emocromo completo può essere utile per giungere a una diagnosi, soprattutto per differenziare i diversi tipi di anemia. La conta dei globuli rossi può anche essere eseguita a intervalli regolari per controllare i pazienti a cui sono state diagnosticate patologie come disturbi del sangue o dei reni, problemi di coagulazione, anemia cronica e policitemia. La chemioterapia o la radioterapia spesso fanno sì che il midollo osseo produca meno cellule del sangue, quindi l’esame deve essere eseguito regolarmente.

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Preparazione richiesta

Per quest’esame non è necessaria alcuna preparazione.

Altre informazioni

La dieta e l’alimentazione aiutano a mantenere i globuli rossi nella normalità?

Gli alimenti ricchi di ferro aiutano a mantenere i globuli rossi sani, ma altrettanto importante è assumere anche le vitamine necessarie alla loro produzione, tra cui:

  • vitamina E, che si trova in alimenti come le verdure di colore verde scuro, noci e semi, mango ed avocado;
  • vitamine B2, B12 e B3, che si trovano in alimenti come uova, cereali integrali, e banane;
  • folati, presenti in fagioli, lenticchie, succo d’arancia e verdure a foglia verde.

Quali sono gli alimenti più ricchi di ferro?

Prima di chiedersi quali siano gli alimenti più ricchi di ferro, è importante capire che moltissimi fattori ne modulano l’assorbimento nell’organismo; il ferro che si trova negli alimenti di origine animale è la forma che viene assorbita più facilmente dal nostro intestino, ma non è necessario essere carnivori per assumere le necessarie quantità del metallo. L’assorbimento del ferro presente nel mondo vegetale è infatti favorito dall’assunzione di vitamina C all’interno dello stesso pasto (per esempio con l’uso di limone come condimento, o con il consumo di una spremuta d’arancia a fine pasto). Oltre alla carne di tutti i tipi, è possibile assumere ferro anche attraverso il consumo di:

  • pesci come tonno, merluzzo e salmone,
  • molluschi,
  • uova,
  • legumi,
  • cereali e derivati,
  • alcune verdure (come fiori di zucca, peperoni, spinaci), da consumare con pomodori, broccoli, … che contengono vitamina C,
  • frutta secca a guscio.

Il vino potrebbe ridurre l’assorbimento di ferro.

Da un punto di vista generale è quindi consigliabile una dieta varia, sana e completa, che permetterà una corretta prevenzione cardiovascolare e l’assunzione di tutte le molecole necessarie a una sufficiente produzione di globuli rossi.

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