Ipotensione arteriosa: cause, rischi e cura della pressione bassa

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma IPOTENSIONE ARTERIOSA BASSA PRESSIONE CURA Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari A Pene.jpgNell’uomo adulto il valore della pressione arteriosa sistolica (massima) è di norma 100-140 mmHg, mentre la pressione arteriosa diastolica (minima) è di norma 60-90 mmHg, quindi con ampie variazioni individuali.

Si parla di ipotensione se la pressione arteriosa sistolica è < 100 mmHg o se la pressione arteriosa diastolica (minima) è < 60 mmHg.

In soggetti molto allenati è possibile il reperto di ipotensione regolatoria: la circolazione a riposo è, in questi soggetti, in uno stato di risparmio da tono parasimpatico.
L’ipotensione può essere considerata una malattia solamente quando i meccanismi di regolazione del circolo non sono sufficienti a mantenere una pressione sanguigna sufficientemente alta, per irrorare ad esempio cervello e reni, in condizioni collegate allo sforzo o a riposo. L’autoregolazione della circolazione cerebrale (che normalmente mantiene dei valori pressori di circa 70-180 mmHg) avviene grazie alle variazioni del tono dei piccoli vasi cerebrali (effetto Bayliss).  In caso di arteriosclerosi dei vasi tuttavia, tale autoregolazione può perdere, almeno parzialmente, la sua efficacia e una caduta improvvisa della pressione arteriosa media sotto i 120 mmHg può determinare una temporanea diminuzione della perfusione cerebrale. La diagnosi è relativamente semplice: una misurazione della pressione sanguigna ci dà informazioni sufficienti ad individuare le cause dei sintomi lamentati dai pazienti. Più arduo può essere invece a volte scoprire la causa dell’ipotensione.

Ipotensione dovuta ad alterazioni della regolazione circolatoria ed ipotensione ortostatica
In questo caso l’ipotensione si manifesta solo sotto sforzo. I valori della pressione a riposo possono essere normali, diminuiti o anche aumentati cosicché la misurazione della PA a riposo non è diagnostica.
Qualora l’alterazione della regolazione circolatoria si manifesti in ortostatismo (discesa del sangue nelle regioni più declivi, cioè arti inferiori e regione splancnica con diminuzione del ritorno venoso e, dunque, diminuzione della gittata, allora si ha caduta della pressione arteriosa), si parla di ipotensione ortostatica, tipica di quando si passa da una posizione sdraiata ad eretta, ad esempio la mattina quando ci alziamo dal letto.

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Classificazione e cause
Le cause più comuni alla base dell’ipotensione sono la disidratazione, i cambiamenti repentini della postura (soprattutto al passaggio rapido dalla posizione sdraiata alla stazione eretta che come appena visto determina ipotensione ortostatica), un calo di zuccheri ed una forte emozione. In qualche caso, il calo pressorio è un effetto collaterale di alcuni farmaci, come i vasodilatatori, i diuretici e gli antidepressivi triciclici. Anche il consumo eccessivo di alcol può ridurre la pressione.
L’ipotensione può essere causata da ustioni, malattie endocrine, anemia, gastroenterite, acidosi metabolica, gravidanza o carenze di vitamine. Occorre sapere che esistono anche certe condizioni in grado di favorire la persistenza della pressione bassa, come caldo prolungato, allettamento duraturo (per esempio, a causa di malattie, intervento chirurgico o frattura) e perdita consistente e continuativa di liquidi (es. vomito prolungato, diarrea e sudorazione profusa). Inoltre, l’ipotensione può essere secondaria a prolungata convalescenza dopo infezioni batteriche e virali.
All’origine di tale sintomo possono esserci cause cardiogene, quali infarto del miocardio, scompenso cardiaco, tamponamento pericardico, grave valvulopatia ostruttiva e progressione di una miocardiopatia cronica. Possibili condizioni predisponenti l’ipotensione sono anche l’insufficienza venosa periferica, le tachiaritmie o le bradiaritmie e l’alterazione del tono vasomotorio (come nell’ipokaliemia).
Alla base della diminuzione della pressione sanguigna possono esserci anche emorragie improvvise, sepsi, shock anafilattico ed embolia polmonare. Altre cause dell’ipotensione comprendono le disfunzioni del sistema neurovegetativo secondarie a morbo di Parkinson, neoplasie del midollo spinale e neuropatia diabetica o nutrizionale.

  •  Ipotensione essenziale (forma più frequente): frequente nelle giovani donne di tipo leptosomico, spesso familiarità positiva. L’inattività fisica e lo stress sono fattori favorenti.
  • Ipotensione secondaria, in questo caso l’ipotensione è sintomo di altra patologia:
    – ipotensione condizionata da disturbi endocrini
    – insufficienza surrenalica
    – insufficienza del lobo anteriore dell’ipofisi
    – ipotensione cardiovascolare ad esempio stenosi aortica, insufficienza cardiaca, disturbi del ritmo, manovra di Valsalva (ostacolato ritorno venoso in atrio destro da aumento della pressione intratoracica), embolia polmonare
    – ipotensione tossiinfettiva a seguito di affezioni infettive
    – immobilizzazione, lunga degenza con venir meno della regolazione ortostatica
    – ipovolemia e emorragia, iponatriemia
    – farmacoindotta (ad es. psicofarmaci, antiaritmici, antiipertensivi, diuretici, antianginosi).

Sintomi
I sintomi classici dell’ipotensione sono:

  • diminuzione del rendimento fisico, affaticamento, lento “avviamento mattutino”;
  • disturbi della capacita’ di concentrazione;
  • cefalea, acufeni;
  • disturbi cardiaci: palpitazioni, dolori precordiali, sensazione di oppressione;
  • tendenza alla depressione del tono dell’umore, ansietà, disturbi del sonno
  • mani e piedi freddi;
  • vertigini nel passaggio da clino a ortostatismo oppure nel piegarsi;
  • “visione nera” o tremolante, eventuale collasso ortostatico.

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Terapia
La terapia è legata alla situazione di base, ma se si eccettuano i casi di ipotensione secondaria a gravi patologie che richiedono il ricovero ospedaliero, in genere è sufficiente una buona idratazione per ripristinare una massa ematica adeguata. Nelle ipotensioni legate a farmaci antipertensivi, è spesso sufficiente modificare la dose del farmaco per evitare l’ipotensione. Negli altri casi l’ipotensione può essere risolta andando a causare la patologia a monte che la causa. La Diidroergotamina che causa aumento del tono venoso è il farmaco di prima scelta nella forma con prevalenza del tono simpatico e nella forma dinamicolabile dell’alterazione della regolazione circolatoria.

Consigli generali per minimizzare il rischio di ipotensione

  • maggiore apporto di sodio (ad es. al mattino panino con burro salato) e di liquidi; controindicazione: insufficienza cardiaca;
  • esercizi per la circolazione (attività sportiva);
  • massaggi, idroterapia (Kneipp);
  • la posizione a letto con busto più alto di 20o diminuisce la diuresi notturna e la reazione ortostatica al mattino;
  • alzarsi lentamente dalla posizione sdraiata;
  • calze elastiche.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
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Ipotensione ortostatica: quando diventa pericolosa

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma IPOTENSIONE ORTOSTATICA QUANDO E PERICOLOSA Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Pene.jpgIn questo precedente articolo ci eravamo occupati di spiegare a fondo cosa significa e come si cura l’ipotensione ortostatica: Ipotensione ortostatica: sintomi, cause, diagnosi e cura
Ora ci occuperemo di capire come un disturbo relativamente innocuo, possa invece determinare un grave pericolo per la nostra salute, specie per le persone anziane.

Leggi anche: Ipotensione arteriosa: cause, rischi e cura della pressione bassa

Complicanze dell’ipotensione ortostatica
Mentre le forme lievi di ipotensione ortostatica possono essere solo un fastidio, più gravi complicanze sono possibili soprattutto negli anziani. Queste complicazioni includono soprattutto due eventi:

  • Cadute. Cadere a seguito di svenimenti è una complicanza comune nelle persone con ipotensione ortostatica. La caduta di un anziano spesso determina danni che possono diventare estremamente pericolosi, come la frattura del femore o i traumi alla testa.
  • Ictus. Le oscillazioni della pressione sanguigna possono essere un fattore di rischio per l’ictus cerebrale a causa del ridotto afflusso di sangue al cervello.

Consigli

Di seguito sono elencate alcune regole comportamentali, utili per evitare le crisi di ipotensione ortostatica:

  1. Dormire con la testiera del letto sollevata
  2. Non rimanere in posizione eretta troppo a lungo
  3. Cambiare posizione (da stesi a eretti) lentamente
  4. Praticare regolarmente esercizio fisico ad intensità moderata

Mettendo in pratica queste semplici linee guida generali, il paziente, soprattutto quando anziano, può prevenire le ricadute di ipotensione ortostatica.

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Ipotensione ortostatica: sintomi, cause, diagnosi e cura

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma IPOTENSIONE ORTOSTATICA SINTOMI CAUSE CURE Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari A Pene.jpgL’ipotensione ortostatica, anche chiamata “ipotensione posturale“, è una forma particolare di ipotensione arteriosa (pressione sanguigna bassa) che si verifica quando si passa dalla posizione seduta o sdraiata (clinostatismo) a quella eretta (ortostatismo). L’ipotensione ortostatica può far provare al paziente vertigini e capogiri, e – nei cai più gravi – farlo svenire all’improvviso (sincope): per tale motivo può diventare estremamente pericolosa in alcune situazioni, per esempio quando ci si alza dal letto al buio durante la notte, o quando il soggetto è anziano e l’ipotensione può portare a perdita di equilibrio e cadute, spesso con esiti pericolosi come la frattura di femore. La sincope improvvisa è pericolosa anche in altre situazioni, ad esempio se il soggetto sta svolgendo un lavoro pericoloso dove una elevata vigilanza è richiesta in modo continuo. Una lieve ipotensione ortostatica spesso non ha bisogno di cure e gli episodi saltuari in genere si risolvono da soli in pochi secondi o qualche minuto, tuttavia, una ipotensione ortostatica persistente e/o di lunga durata può essere un segno di più gravi problemi. Molte persone occasionalmente provano vertigini o capogiri quando si mettono in piedi, e di solito ciò non è motivo di preoccupazione dal momento che è un fatto normale, specie se ci si alza velocemente dopo essere stati sdraiati a lungo.

Affinché si possa parlare a tutti gli effetti di ipotensione ortostatica, il calo pressorio dev’essere consistente, superiore a 20 mmHg per la pressione sistolica o a 10 mmHg per quella diastolica.

Patogenesi

Nella posizione in piedi, il cuore “spinge” il sangue al cervello con una data pressione, necessaria a vincere la forza di gravità che invece attrae il sangue in basso. Quando ci si sdraia, il cuore non deve più vincere la forza di gravità per far arrivare al cervello il giusto afflusso di sangue, quindi la pressione arteriosa tende ad abbassarsi lievemente: questo è uno dei motivi per cui siamo più rilassati quando siamo stesi. Quando ci si alza improvvisamente in piedi dalla posizione sdraiata, accadono due cose:

  • la pressione arteriosa del corpo, che era “tarata” per la posizione sdraiata, deve essere prontamente ri-innalzata, per vincere la gravità che si oppone all’afflusso di sangue al cervello;
  • la forza di gravità tende a richiamare il sangue negli arti inferiori, “sequestrandolo”.

Tali due condizioni contemporanee, determinano che:

  • se la pressione arteriosa non viene subito ri-innalzata, al cervello arriva sangue con una pressione troppo bassa;
  • se il sistema venoso delle gambe non riesce a restituire immediatamente tutto il sangue sequestrato e ad opporsi con sufficiente efficacia al ristagno ematico; ne deriva un’inevitabile riduzione del ritorno di sangue al cuore e quindi, al cervello arriva troppo poco sangue.

Il ridotto afflusso ematico al cervello ed il calo pressorio che ne derivano, vengono immediatamente captati da alcune strutture cellulari chiamate barocettori, situate in prossimità del cuore e del collo; tali organelli innescano una risposta sistemica atta a riportare nella norma la pressione ematica, quindi basata sull’aumento della costrizione dei vasi sanguigni, ma anche della frequenza e della contrattilità cardiaca. Se qualcosa in questo meccanismo di compensazione non funziona a dovere, il calo pressorio è tale da scatenare i sintomi tipicamente associati all’ipotensione ortostatica poiché una pressione troppo bassa può far arrivare troppo poco sangue al cervello, fino anche allo svenimento.

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Sintomi e segni

Il sintomo più comune di ipotensione ortostatica è una sensazione di stordimento o di vertigini quando ci si alza dopo esser stati seduti o sdraiati. Questa sensazione, e altri sintomi e segni, di solito accadono poco dopo che si cambia posizione e generalmente durano solo pochi secondi. Sintomi e segni di ipotensione ortostatica sono:

  • sensazione di stordimento o vertigini dopo che ci si mette in piedi all’improvviso dopo essere stati sdraiati;
  • visione offuscata;
  • astenia (sensazione di debolezza);
  • sincope (svenimento);
  • pallore (viso “bianco”);
  • confusione;
  • inappetenza;
  • fastidio all’addome;
  • nausea;
  • amnesia (perdita di memoria) temporanea (nei casi più gravi).

Vertigini o stordimento occasionali possono essere relativamente normali, ed essere  il risultato di una lieve disidratazione, ipoglicemia, o troppo tempo al sole per esempio. Vertigini o stordimento possono anche accadere quando ci si mette in piedi dopo essere stati seduti per lungo tempo, come al lavoro, in un concerto, durante lo studio o in chiesa. Se questi sintomi si verificano solo occasionalmente e si risolvono in poco tempo (alcuni secondi), di solito non sono motivo di preoccupazione. E’ importante consultare il medico se si verificano episodi frequenti di ipotensione ortostatica e se il soggetto impiega molti minuti per riprendersi: in questo caso l’ipotensione ortostatica può essere sintomo di patologie.

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Cause

Come già descritto nel paragrafo “patogenesi”, quando ci si alza dalla posizione sdraiata la gravità fa si che il sangue scenda nelle gambe. Questo diminuisce la pressione sanguigna perché c’è meno sangue che circola al cuore, oltre alla diminuzione pressoria che naturalmente si verifica in posizione sdraiata. Normalmente, le cellule speciali (barocettori) vicino al cuore e le arterie del collo avvertono questa pressione sanguigna più bassa e la contrastano innescando un battito cardiaco veloce, che stabilizza la pressione sanguigna.
Nell’ipotensione ortostatica o posturale qualcosa interrompe il processo naturale del corpo di contrastare la pressione bassa. L’ipotensione ortostatica può essere causata e/o peggiorata da molti fattori diversi, tra cui:

  • Disidratazione. Se le perdite idriche derivanti da febbre, vomito, diarrea, sudorazione profusa ed esercizio fisico strenuo non vengono reintegrate, si ha un impoverimento dell’acqua corporea, inclusa la frazione liquida del sangue: il plasma diminuisce il proprio volume, con sensibile calo della pressione ematica.
  • Problemi cardiaci. Alcune condizioni del cuore che possono portare a bassa pressione sanguigna comprendono frequenza cardiaca estremamente bassa (bradicardia), problemi alle valvole cardiache, infarto e insufficienza cardiaca.
  • Diabete. Quando non viene adeguatamente trattato con farmaci appropriati, il diabete porta alla perdita di zuccheri con l’urina; per ragioni osmotiche tale perdita si associa all’escrezione di grandi quantità di acqua. La minzione cospicua e frequente che ne deriva si accompagna a disidratazione e ad un inevitabile calo pressorio. Inoltre, dopo molti anni di malattia, il diabete tende a danneggiare i nervi deputati alla trasmissione dei segnali nervosi, inclusi quelli che contribuiscono a regolare la pressione sanguigna.
  • Disturbi del sistema nervoso. Alcune malattie, come il morbo di Parkinson, atrofia sistemica multipla (neuropatie periferiche Shy-Drager) e amiloidosi, possono creare problemi con la regolazione della pressione sanguigna.

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Fattori di rischio

I fattori di rischio per l’ipotensione ortostatica sono:

  • età. l’ipotensione ortostatica è comune in persone con 65 anni o più anziane;
  • farmaci. Le persone che assumono alcuni farmaci, come ad esempio farmaci per l’ipertensione, hanno un maggior rischio di ipotensione ortostatica. Altri farmaci possono far aumentare le possibilità di un episodio ipotensivo come i farmaci antidepressivi (MAO-inibitori, triciclici) ed i diuretici;
  • anemia;
  • alcolismo, possono favorire l’insorgenza di ipotensione ortostatica;
  • esposizione al calore. Essere in un ambiente caldo può causare sudorazione e, possibilmente, causare disidratazione, che può abbassare la pressione sanguigna;
  • il riposo a letto per lunghi periodi. Se si deve stare a letto per molto tempo a causa di una malattia, si può diventare deboli;
  • gravidanza. Poiché il sistema circolatorio della donna si espande rapidamente durante la gravidanza, la pressione sanguigna potrebbe calare.

Diagnosi

L’obiettivo nel valutare l’ipotensione ortostatica, come con tutte le forme di pressione bassa, è quello di trovare la causa sottostante. Questo aiuta a determinare il corretto trattamento e a individuare eventuali  problemi che possono essere responsabili della pressione bassa. Per aiutare a raggiungere una diagnosi, il medico può raccomandare una o più delle seguenti operazioni:

  • monitoraggio della pressione sanguigna. Il medico misura la pressione del sangue sia mentre si sta seduti che mentre si sta in piedi e metterà a confronto le misure;
  • esami del sangue. Questi possono fornire una certa quantità di informazioni sulla salute in generale come pure se si dispone di un basso livello di zucchero nel sangue (ipoglicemia) o un basso numero di globuli rossi (anemia), entrambi i quali possono causare la sensazione di svenimento e peggiorare l’ipotensione ortostatica;
  • elettrocardiogramma (ECG). Questo test non invasivo rileva irregolarità nel ritmo cardiaco o nella struttura del cuore;
  • ecocardiogramma. Questo esame non invasivo, mostra le immagini dettagliate della struttura del  cuore e la funzione;
  • stress test. Alcuni problemi cardiaci che possono causare la pressione sanguigna bassa sono più facili da diagnosticare quando il  cuore sta lavorando in maniera maggiore. Durante un test di stress, verrà chiesto di fare esercizio fisico, come camminare su un tapis roulant, oppure possono essere somministrati dei farmaci per far lavorare il cuore di più;
  • tilt test otest del tavolo inclinato“, “test di stimolazione ortostatica passiva” o TTT (dall’inglese Tilt Table Test). Permette un monitoraggio continuo della pressione sanguigna e della frequenza cardiaca del paziente durante il passaggio da una posizione orizzontale alla posizione verticale;
  • manovra di Valsalva. Questo test non invasivo controlla il funzionamento del sistema nervoso autonomo, analizzando la frequenza cardiaca e la pressione sanguigna dopo diversi cicli di un tipo di respirazione profonda;
  • pressione arteriosa ambulatoriale e registrazione ECG. Questo test consiste nell’indossare un bracciale che misura la pressione sanguigna per 24 ore. E’ possibile anche eseguire un Holter cardiaco.

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Trattamenti

Per una lieve ipotensione ortostatica o per episodi ipotensivi isolati, uno dei più semplici trattamenti è quello di sedersi o sdraiarsi subito dopo la sensazione di stordimento: in tal modo i sintomi lievi di ipotensione ortostatica di solito scompaiono in breve tempo.
Il trattamento per l’ipotensione ortostatica cronica e/o severa, dipende invece dalla causa sottostante. Il medico cercherà di risolvere il problema che determina l’ipotensione a monte, come la disidratazione o lo scompenso cardiaco.
Quando la pressione sanguigna bassa è causata da farmaci, il trattamento è basato sul cambiare farmaci o ridurne le dosi. Di solito ci sono diverse opzioni per il trattamento di ipotensione ortostatica, tra cui:

  • cambiamenti dello stile di vita. Bere abbastanza liquidi, evitare passeggiate durante la stagione calda, e alzarsi in piedi lentamente, sono cose che il medico può suggerire;
  • calze a compressione. Le calze elastiche e lo stesso body comunemente usato per alleviare il dolore e il gonfiore delle vene varicose può contribuire a ridurre il ristagno di sangue nelle gambe.
  • farmaci. Alcuni farmaci sia usati da soli o in combinazione, possono essere usati per trattare l’ipotensione ortostatica. A tal proposito sono disponibili vari farmaci che agiscono attraverso differenti meccanismi d’azione; la scelta dipende prima di tutto dalle cause dell’ipotensione ortostatica.

Farmaci

Alcuni farmaci che possono essere usati, sono:

  • il fludrocortisone, (un mineralcorticoide sintetico) e la desmopressina (analogo sintetico della vasopressina) agiscono espandendo il volume plasmatico e riducendo l’escrezione di sodio con le urine; di conseguenza aumentano la volemia e con essa la pressione arteriosa;
  • l’efedrina e la midodrina (simpaticomimetici attivanti i recettori α1 delle vene e delle arteriole) determinano vasocostrizione periferica; di conseguenza elevano la pressione arteriosa;
  • la DL-threo-diidrossifenilserina (DOPS) incrementa la produzione endogena di noradrenalina, un ormone con effetto vasocostrittore.

Rimedi naturali per l’ipotensione ortostatica

Tra gli integratori potenzialmente utili in presenza di ipotensione ortostatica, ricordiamo la caffeina, la yohimbina (attualmente però illegale in Italia), il guaranà ed il matè.

Consigli

Di seguito sono elencate alcune regole comportamentali, utili per evitare le crisi di ipotensione ortostatica:

  1. dormire con la testiera del letto sollevata;
  2. se possibile non rimanere in posizione eretta troppo a lungo;
  3. se possibile non rimanere in posizione sdraiata troppo a lungo;
  4. cambiare posizione (da stesi ad eretti) lentamente ed appoggiandosi ad oggetti stabili;
  5. praticare regolarmente esercizio fisico ad intensità moderata;
  6. controllare regolarmente la pressione arteriosa;
  7. curare una eventuale ipotensione arteriosa;
  8. mantanere la glicemia a livelli normali, ad esempio facendo piccoli spuntini tra i pasti principali;
  9. curare l’eventuale ipoglicemia;
  10. evitare le temperature troppo elevate;
  11. evitare di esporsi al sole troppo a lungo;
  12. indossare calze a compressione;
  13. evitare fumo, alcol, droghe ed abbuffate;
  14. quando si “sente arrivare” lo svenimento, se possibile sedersi o – meglio – sdraiarsi a terra ed alzare le gambe per facilitare il ritorno di sangue alla testa.

Mettendo in pratica queste semplici linee guida generali, il paziente, soprattutto quando anziano, può prevenire le ricadute di ipotensione ortostatica.

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Differenza tra trombo e placca aterosclerotica

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma DIFFERENZA TROMBO PLACCA ATEROSCLEROTICA Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari A Pene.jpgMentre l’ateroma (placca aterosclerotica) è un processo graduale, che inizia col deposito di grassi (lipidi, colesterolo) nella parete di un’arteria e porta ad aterosclerosi, la trombosi è l’occlusione solitamente improvvisa di un vaso per una placca che si è rotta, o per dei detriti che si sono spostati da un punto all’altro del torrente circolatorio. La placca aterosclerotica dopo vari gradi di infiammazione e fibrosi (indurimento) si può rompere e generare una trombosi, inoltre il trombo può spezzarsi e determinare la formazione di un embolo.
Una trombosi è un evento improvviso che può essere dovuto a tantissime cause legate alla circolazione e può determinare una patologia acuta, invece la formazione di una placca è un processo patologico molto più graduale, che non necessariamente blocca completamente il vaso.

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Differenza tra trombosi arteriosa e venosa profonda e superficiale

MEDICINA ONLINE TROMBOSI VENOSA PROFONDA FLEBOTROMBOSI FLEBOTROMBOSI FLUSSO SANGUE SANGUIGNO TROMBO EMBOLO ARTI INFERIORI GAMBE COSCIA SAFENA EMBOLIA POLMONARE MORTELa trombosi è un processo patologico che consiste nella formazione di trombi all’interno dei vasi sanguigni, che ostacolano o impediscono la normale circolazione del sangue. La differenza tra trombosi arteriosa e venosa consiste nel tipo di vaso coinvolto. Le trombosi venose o flebotrombosi, associate spesso a varici, sono più frequenti e si localizzano maggiormente negli arti inferiori; si distinguono in trombosi venosa profonda (TVP) e superficiale. Per quanto riguarda le lesioni arteriose, i trombi possono essere in relazione all’aterosclerosi.

Ecco una sintetica classificazione delle trombosi più comuni:

Trombosi venose

      • Flebotrombosi;
      • Trombosi venosa profonda;
      • Tromboflebite;
      • Sindrome della classe economica;
      • Sindrome di Paget-von Schroetter.

Trombosi arteriose

Trombosi ascendente dell’aorta addominale: si ha quando una placca aterosclerotica interessa cronicamente il carrefour aortico, oppure le arterie iliache comuni. Mentre circoli collaterali sostengono il flusso all’arto, evitando di dare una sintomatologia importante, a monte della stenosi aterosclerotica si ha flusso turbolento e stasi ematica che causano trombosi. Quest’ultima sale sia “capillarmente”, cioè arrampicandosi lungo le pareti dell’aorta, sia “orizzontalmente” con strati che si sovrappongono. Ciò comporta:

      1. Sindrome di Leriche, caratterizzata da assenza dei polsi su entrambi gli arti, claudicatio glutea ed impotenza nel maschio.
      2. Quando la trombosi arriva alla arteria mesenterica inferiore e la blocca, vengono compromessi i circoli collaterali che la stessa arteria mesenterica inferiore rifornisce.
      3. Salendo blocca anche le arterie lombari con conseguente ischemia midollare e paraplegia.
      4. Può arrivare alle arterie renali dando insufficienza renale acuta.

Trombosi sistemiche

  • Trombocitopenia indotta da eparina;
  • Phlegmasia coerulea dolens;
  • Sindrome da anticorpi antifosfolipidi.

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Differenza tra trombo, embolo, coagulo, embolia, trombosi, aterosclerosi, placca

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Un trombo nell’arteria carotide può determinare ictus cerebrale

Trombo, coagulo e trombosi

Con trombo (dal greco θρόμβος, che significa “grumo”) in medicina si identifica una massa costituita da fibrina con globuli rossi e bianchi, che si forma per coagulazione del sangue all’interno di un sistema cardiovascolare non interrotto: questa caratteristica lo distingue dal coagulo, che invece si forma all’esterno del sistema cardiovascolare quando esso presenti un’interruzione, oppure all’interno di un sistema cardiovascolare dopo la morte dell’individuo. I trombi possono formarsi in qualsiasi punto del sistema cardiovascolare e sono sempre ancorati alla parete del vaso. La formazione di un trombo ha cause riconducibili essenzialmente a tre alterazioni predisponenti principali, descritte dalla cosiddetta triade di Virchow:

  • lesione dell’endotelio;
  • stasi venosa o turbolenza del flusso sanguigno;
  • ipercoagulabilità (trombofilia).

Quando un trombo, per svariate cause come ad esempio le turbolenze di flusso indotte dall’ipertensione arteriosa, si stacca dalla parete vasale, può determinare embolia.

Trombosi

La trombosi (dal greco θρόμβωσις, che significa “lesione da grumo”) è un processo patologico caratterizzato dalla formazione di uno o più trombi all’interno di uno o più vasi sanguigni. La trombosi ostacola del tutto o impediscono parzialmente la normale circolazione del sangue. Se un trombo è presente in una vena, si parla di trombosi venosa (ad esempio “trombosi venosa profonda degli arti inferiori“), se invece è sito all’interno di una arteria, si parla di trombosi arteriosa (ad esempio trombi nelle arterie coronarie, capaci di determinare infarto del miocardio, o trombi nelle arterie carotidi, capaci di determinare ictus cerebrale). Se la trombosi avviene all’interno del cuore, si parla di trombosi intracardiaca. La trombosi arteriosa e quella intracardiaca solitamente sono determinate da danni endoteliali, mentre la trombosi venosa è più frequentemente associata a stasi. Le trombosi venose o flebotrombosi, associate spesso a varici, sono più frequenti e si localizzano maggiormente negli arti inferiori; si distinguono in trombosi venosa profonda (TVP) e trombosi venosa superficiale (TVS). Per quanto riguarda le lesioni arteriose, i trombi possono essere in relazione all’aterosclerosi.

Per approfondire:

MEDICINA ONLINE DIFFERENZA ATEROSCLEROSI ARTERIOSCLEROSI PLACCA EMBOLO EMBOLIA TROMBOSI INFARTO CUORE SANGUE CIRCOLAZIONE SANGUIGNA

Flusso sanguigno normale e flusso sanguigno alterato dall’aterosclerosi

Arteriosclerosi, aterosclerosi e placca aterosclerotica

Con arteriosclerosi in medicina si indica un indurimento tessutale (“sclerosi”), della parete arteriosa che compare con l’avanzare dell’età, come conseguenza dell’accumulo di tessuto connettivo fibroso a scapito della componente elastica.

L’aterosclerosi o aterosi è un tipo specifico di arteriosclerosi  caratterizzata da infiammazione cronica dell’intima (lo strato più interno delle arterie, in diretto contatto con il sangue) delle arterie di grande e medio calibro; infiammazione che è dovuta fondamentalmente, ma non solo, all’accumulo e alla ossidazione delle lipoproteine nella parete arteriosa e che produce un insieme dinamico di lesioni multifocali, la più tipica delle quali è la placca aterosclerotica. L’aterosclerosi è causata dal concorso di fattori molteplici, tra cui:

  • fattori genetici (familiarità),
  • fumo di sigaretta,
  • ipercolesterolemia,
  • sindrome metabolica,
  • diabete mellito,
  • ipertensione arteriosa,
  • sovrappeso ed obesità,
  • iperomocisteinemia,
  • vita sedentaria,
  • alcool,
  • agenti infettivi.

L’aterosclerosi è cronica e progressiva, si manifesta tipicamente nell’età adulta o avanzata, e può causare o favorire patologie cardiovascolari anche molto gravi e mortali, come l’infarto del miocardio, gli aneurismi, disturbi vascolari periferici (in particolare agli arti inferiori) ed ictus cerebrale.

Per approfondire:

Embolo

Con embolo in medicina ci si riferisce ad un corpo di varia natura (solida, liquida o gassosa) che viaggia all’interno del circolo sanguigno e capace di determinare l’occlusione di un vaso sanguifero (embolia) qualora incontri un vaso sanguigno che ha un diametro inferiore al proprio. In molti casi l’embolo origina dalla rottura di un trombo (“tromboembolo“) che si è formato nelle cavità cardiache oppure nei vasi sanguigni venosi degli arti inferiori. Quando un tromboembolo determina una embolia, si parla di “tromboembolia” (ad esempio “tromboembolia polmonare“). Gli emboli possono essere formati anche da cellule adipose, cellule neoplastiche, aria penetrata nelle vene in seguito a iniezione o a ferita e conglomerati infetti.

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La trombosi venosa profonda è un fattore di rischio per l’embolia

Embolia

L’embolia (o “embolismo“) è l’ostruzione di un’arteria o di una vena, causata da un corpo estraneo al normale flusso sanguigno, che viene denominato embolo di dimensioni tali da ostruire un vaso arterioso o venoso. Nei casi più gravi in cui essa interessi un’arteria, l’embolia può provocare la morte del soggetto colpito per ischemia cerebrale, polmonare o cardiaca (infarto del miocardio, ictus cerebrale…). L’embolia da coaguli ematici è il tipo più frequente di embolia ed è detta tromboembolia. In base al tipo di corpo estraneo coinvolto, si parla di:

  • embolia gassosa, quando l’embolo sia causato da una bolla di gas (ad esempio azoto). A tale tipo di embolia è particolarmente esposto chi pratica immersioni subacquee; infatti, nel caso in cui non vengano rispettati i tempi di decompressione, l’improvvisa variazione di pressione può portare alla formazione di bolle d’azoto nel circolo sanguigno. Analogamente, la stessa cosa può succedere nel caso di volo ad alta quota in una cabina non pressurizzata. In generale comunque, eccezion fatta per i casi succitati, l’embolia gassosa è un evento molto raro;
  • embolia lipidica (chiamata anche liquida, adiposa o grassosa o sindrome lipido-embolica), quando l’embolo è costituito da un ammasso di grasso. I lipidi infatti essendo idrofobici e quindi insolubuli nel sangue idrofilo si dispongono a formare una micella che può provocare l’ostruzione del vaso. Tale embolia si verifica specialmente come effetto collaterale anche tardivo nel caso di eventi traumatici alle ossa del bacino e agli arti inferiori;
  • embolia da liquido amniotico, nelle donne durante la gravidanza può accadere che del liquido amniotico venga spinto nel circolo sanguigno materno;
  • embolia da colesterolo, causata da placche aterosclerotiche all’interno di un vaso sanguigno;
  • embolia settica da grumi di germi solitamente frammisti a materiale di derivazione ematica o tissutale;
  • embolia tumorale;
  • tromboembolo, quando un trombo si stacca dalla parete del vaso che lo contiene e migra in altra regione del circolo potendo ostruire altri vasi in distretti più importanti. Le più frequenti embolie venose sono le embolie polmonari, quelle arteriose sono caratteristiche dell’ictus cerebrale.

Quindi trombosi ed embolia sono entrambe condizioni che determinano una riduzione di flusso (parziale o totale) causate rispettivamente da trombo e da embolo. Il trombo è “fermo” ed “attaccato” alla parete del vaso sanguigno, mentre l’embolo viaggia all’interno del circolo ematico, almeno finché non incontra un vaso sanguigno che ha un diametro inferiore al proprio: in questo caso l’embolo si può “bloccare” in quel punto. Quando l’embolo si forma dalla rottura di un trombo (l’evenienza più frequente), si parla di tromboembolo e tromboembolia.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
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Trombo: cause, classificazione, trombosi venose, arteriose e sistemiche

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma TROMBO CAUSE CLASSIFICAZIONE VENOSE ARTERI Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari A Pene.jpgIl trombo è una massa solida costituita da fibrina contenente piastrine, globuli rossi e bianchi, che si forma per coagulazione del sangue all’interno di un sistema cardiovascolare non interrotto: questa caratteristica lo distingue dal coagulo, che invece si forma all’esterno del sistema cardiovascolare quando esso presenti un’interruzione, oppure all’interno di un sistema cardiovascolare dopo la morte dell’individuo. I trombi possono formarsi in qualsiasi punto del sistema cardiovascolare e sono sempre ancorati alla parete del vaso.

La formazione di un trombo ha cause riconducibili essenzialmente a tre alterazioni predisponenti principali, descritte dalla cosiddetta triade di Virchow:

  • Lesione dell’endotelio (incluso qualsiasi tipo di disfunzione endoteliale). Questo è l’unico fattore della triade in grado di determinare completamente ed autonomamente una trombosi. Un danno alla superficie interna di un vaso provoca il rilascio, da parte delle cellule endoteliali, di varie sostanze, tra cui le endoteline (potenti vasocostrittori che agiscono nelle arteriole a livello della lesione) ed il fattore di von Willebrand (vWF), una proteina che permette l’adesione piastrinica mediando l’interazione tra le piastrine e la matrice extracellulare esposta, che è trombogenica. Per indurre la formazione di un trombo non è però necessario esclusivamente un danno fisico alle cellule endoteliali, sono sufficienti alterazioni delle loro attività pro- ed anti-trombotiche, come una maggiore produzione di fattori coagulanti o una diminuita produzione dei fattori anticoagulanti. L’ulcerazione di placche aterosclerotiche può esporre la matrice sottoendoteliale e causare inoltre stasi e turbolenza ematica.
  • Stasi venosa o turbolenza del flusso sanguigno. La turbolenza può essere causa di danno o disfunzione endoteliale, di flussi controcorrente, o di zone di stasi; la stasi sanguigna a sua volta rappresenta la causa più importante dei trombi. Stasi e turbolenza promuovono l’attivazione dell’endotelio in senso pro-coagulativo, portano le piastrine a contatto con l’endotelio, impediscono la rimozione e la diluizione dei fattori della coagulazione attivati nonché l’afflusso dei fattori che inibiscono la coagulazione.
  • Ipercoagulabilità (detta anche trombofilia). L’ipercoagulabilità è l’alterazione delle vie della coagulazione, ed è il fattore meno frequente nelle trombosi; può essere classificata in forme primarie (o genetiche), e forme secondarie (od acquisite).

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Caratteristiche e classificazione dei trombi

I trombi arteriosi o intracardiaci solitamente insorgono a causa di danni endoteliali; quelli venosi invece per stasi.

A seconda della sede e delle circostanze del loro sviluppo, i trombi assumono caratteristiche differenti; essi vengono classificati in base a tre caratteristiche: la loro composizione (elementi corpuscolati e fibrina), le loro dimensioni e la loro sede. La caratteristica che accomuna tutti i tipi di trombi è che la loro direzione di accrescimento è sempre rivolta verso il cuore: nel caso dei trombi venosi, la distribuzione dei fattori protrombotici avviene lentamente ed omogeneamente lungo tutto il corpo del trombo permettendo una crescita in direzione del cuore; nel caso dei trombi arteriosi, l’impetuosità del flusso permette l’azione dei fattori protrombotici solo alla cima del trombo, cioè nella parte che per prima viene a contatto col flusso.

In base alla composizione si distinguono tre tipi di trombi, dovuti ai diversi effetti possibili della velocità del flusso ematico e della rapidità della coagulazione:

      • Trombi bianchi: formati da piastrine, fibrina e pochi globuli rossi e pochi globuli bianchi; sono peculiari delle arterie, dove il flusso veloce non permette di catturare globuli rossi;
      • Trombi rossi o “da stasi”: formati da piastrine, fibrina e molti globuli rossi e molti globuli bianchi; sono peculiari delle vene, per la lentezza del flusso;
      • Trombi variegati: presentano zone chiare e zone rosse alternate (strie di Zahn), a causa di un lento processo di aggregazione piastrinica che ha intrappolato alcuni globuli rossi nei momenti di bassa velocità del flusso ematico (condizione che si verifica, ad esempio, dopo ogni contrazione a livello del cuore e del primo tratto dell’aorta).

In base alle dimensioni si distinguono in trombi:

      • ostruttivi: che occludono l’intero lume del vaso;
      • parietali: che non occludono tutto il vaso;
      • a cavaliere: situati sullo sprone di una biforcazione.

Infine i trombi si possono ancora suddividere per sede:

      • arteriosi: sono quelli che causano gli infarti; si formano in particolare nelle coronarie, nelle arterie cerebrali e in quelle degli arti inferiori;
      • venosi: sempre occlusivi, si formano in sede di dilatazione del vaso (varici) o di ulcere; si formano per il 90% negli arti inferiori ma possono interessare anche gli arti superiori, la prostata, le vene ovariche ed uterine;
      • intracardiaci: localizzati in particolare negli atri
      • aneurismatici: localizzati nel falso lume di aneurismi arteriosi.

Sono inoltre detti trombi murali quelli formatisi nelle cavità cardiache o nell’aorta.

Classificazione delle trombosi

Trombosi venose

      • Flebotrombosi
      • Trombosi venosa profonda
      • Tromboflebite
      • Sindrome della classe economica
      • Sindrome di Paget-von Schroetter

Trombosi arteriose

      • Trombosi ascendente dell’aorta addominale: si ha quando una placca aterosclerotica interessa cronicamente il carrefour aortico, oppure le arterie iliache comuni. Mentre circoli collaterali sostengono il flusso all’arto, evitando di dare una sintomatologia importante, a monte della stenosi aterosclerotica si ha flusso turbolento e stasi ematica che causano trombosi. Quest’ultima sale sia “capillarmente”, cioè arrampicandosi lungo le pareti dell’aorta, sia “orizzontalmente” con strati che si sovrappongono. Ciò comporta:
      1. Sindrome di Leriche, caratterizzata da assenza dei polsi su entrambi gli arti, claudicatio glutea ed impotenza nel maschio.
      2. Quando la trombosi arriva alla arteria mesenterica inferiore e la blocca, vengono compromessi i circoli collaterali che la stessa arteria mesenterica inferiore rifornisce.
      3. Salendo blocca anche le arterie lombari con conseguente ischemia midollare e paraplegia.
      4. Può arrivare alle arterie renali dando insufficienza renale acuta.

Trombosi sistemiche

  • Trombocitopenia indotta da eparina
  • Phlegmasia coerulea dolens
  • Sindrome da anticorpi antifosfolipidi

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Differenza tra arterie, vene, capillari, arteriole e venule

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma differenza arterie vene capillari Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgSe ti interessa capire nello specifico la differenza funzionale e morfologica tra arteria e vena, ti consiglio di leggere questo articolo: Qual è la differenza tra arteria e vena?

Cosa sono i vasi sanguigni?

I vasi sanguigni sono paragonabili alle tubature di un condotto ripieno di liquido (il sangue) e connesso ad una pompa (il cuore). La pressione generata a livello cardiaco permette un adeguato afflusso di sangue ad ogni tratto del condotto. L’insieme dei vasi sanguigni forma il sistema vascolare. Esistono tre tipi di vasi sanguigni, rispettivamente chiamati arterie, capillari e vene. I vasi che trasportano il sangue dal cuore alla periferia sono detti arterie, mentre il ritorno al muscolo cardiaco è affidato alle vene, i capillari sono invece disposti “a metà strada” tra arterie e vene.

Capillari

I capillari fanno da ponte tra i vasi arteriosi e quelli venosi, e sono deputati allo scambio di sostanze tra sangue e tessuti irrorati. Grazie alle loro sottilissime pareti costituite da un unico strato di cellule, l’endotelio, e alla bassa velocità con cui il sangue circola al loro interno, i capillari possono facilmente scambiare gas respiratori, nutrienti, enzimi, ormoni e sostanze di rifiuto. I prodotti di scarto e l’anidride carbonica passano dalle cellule attraverso le pareti dei capillari per ritornare nel flusso sanguigno.

Leggi anche: Pressione alta (ipertensione arteriosa): sintomi, cause, valori e cure

Arterie

Le pareti delle arterie, spesse ed elastiche, sono costituite da tre strati: quello più interno (tonaca intima) è uno strato di cellule endoteliali, l’intermedio – chiamato tonaca media – è formato da tessuto muscolare liscio, mentre il più esterno (tonaca esterna o avventizia) è formato da tessuto connettivo molto ricco di fibre elastiche. La presenza di tessuto muscolare ed elastico permette alle arterie di accumulare, dilatandosi, l’energia impressa alla massa sanguigna dalla contrazione del cuore; quando questo si rilassa tra una contrazione e l’altra, l’energia accumulata dalle arterie viene ceduta lentamente alla colonna ematica diretta in periferia; in questo modo le arterie contribuiscono a trasformare i flotti ematici intermittenti, provenienti dal cuore, in un flusso continuo (laminare) essenziale per consentire i normali scambi a livello capillare.

Leggi anche: Trombo: cause, classificazione, trombosi venose, arteriose e sistemiche

Vene

Al pari delle arterie, le vene sono costituite da tre strati, ma le loro pareti sono meno estensibili e spesse rispetto alle arterie di pari calibro; ciò permette il transito di grosse quantità di sangue senza opporre una grossa resistenza. Lungo alcune vene, in particolare in quelle di maggiori dimensioni localizzate a livello degli arti inferiori, sono dislocate speciali valvole – dette a mezzaluna o a nido di rondine – che assicurano l’unidirezionalità del flusso ematico in senso centripeto (dalla periferia al cuore).

La struttura dei vasi sanguigni

Nell’uomo, l’arteria di dimensioni maggiori – l’aorta – ha un diametro di circa 2,5 cm, mentre nel capillare più piccolo il calibro si riduce a 5 µm, arrivando poi a 3 cm nella vena più grossa, la vena cava. Il sistema vascolare inizia con grandi arterie che si diramano poco a poco in arterie più piccole e ramificate, quindi in altre ancora più piccole (dette arteriole) che si continuano in una rete di vasi sanguigni piccolissimi, i già citati capillari. Dopo aver ceduto il necessario ed aver accumulato gli scarti, il sangue passa dai capillari a piccolissime vene (le venule), quindi in vene più grosse attraverso le quali ritorna al cuore. Tale conformazione delle vene, dalla più piccola alla più grande, permette di mantenere una adeguata pressione sanguigna venosa e favorire il ritorno del sangue al cuore. In parole semplici, nella circolazione sistemica i vasi arteriosi partono “grandi” per poi diventare gradatamente “piccoli”, mentre quelli venosi partono “piccoli” per arrivare al cuore “grandi”.

Leggi anche: Differenza tra pressione arteriosa e venosa

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Arteriole

L’arteriola è un vaso sanguigno, di diametro molto piccolo (mm 0.2) che si estende e si dirama dalle arterie, precedendo i capillari. Le arteriole possiedono una sottile parete muscolare (solitamente costituita da uno o due strati di muscolatura liscia) e costituiscono il sito principale della resistenza vascolare. A spiegazione di ciò va detto che la pressione sanguigna nelle arterie è il risultato dell’interazione tra il volume di sangue pompato dal cuore al minuto e la resistenza vascolare, chiamata tecnicamente resistenza periferica totale. La fluttuazione della pressione arteriosa è dovuta alla natura pulsatile della pressione cardiaca in uscita ed è determinata dall’interazione del volume del battito cardiaco con l’elasticità delle arterie principali. In un sistema vascolare sano, l’endotelio (il rivestimento più interno delle arteriole e degli altri vasi sanguigni) si presenta sottile e rilassato; questa condizione è prodotta da una notevole produzione di ossido nitrico nelle cellule dell’endotelio, le cui reazioni biochimiche sono regolate da un complesso sistema costituito da polifenoli, enzimi (del tipo sintasi dell’acido nitrico) e L-arginina.

Leggi anche: Com’è fatto il cuore, a che serve e come funziona?

Venule

La venula è un vaso sanguigno di piccole dimensioni che permette al sangue venoso di ritornare dai capillari verso vasi sanguigni più grandi, quali le vene. Le venule sono costituite di tre strati: uno strato più interno di endotelio, formato da cellule epiteliali squamose, che funge da membrana, uno strato intermedio elastico di tessuto muscolare ed uno strato più esterno di tessuto connettivo fibroso. Rispetto alle arteriole, nelle venule lo strato intermedio è più scarsamente sviluppato e la parete vasale si presenta dunque più sottile a parità di diametro.

Microcircolo

Arteriole, capillari e venule formano il cosiddetto microcircolo. I vasi sanguigni – grazie agli sfinteri precapillari – hanno la capacità di variare il loro tono indirizzando un maggior flusso sanguigno verso gli organi che compiono un lavoro più intenso e viceversa.

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