Edema infiammatorio e vasi sanguigni nell’infiammazione

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma EDEMA INFIAMMATORIO VASI INFIAMMAZIONE SAN Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari A Pene.jpgPer capire i concetti di seguito spiegati, è necessario un breve ripasso su alcuni meccanismi fisiologici.
Perché non si modifichi il volume del liquido extracellulare ci dev’essere un equilibrio tra entrata ed uscita di liquido nei capillari. I parametri che regolano questo processo sono le pressioni idrostatiche e colloido-osmotiche di sangue e liquido extracellulare. La pressione idrostatica nelle arteriole si aggira intorno ai 30 mmHg mentre nelle venule essa è di circa 8/10 mmHg. La pressione osmotica è invece determinata dalle proteine del plasma che si oppongono all’uscita di plasma. La differenza di pressione colloido-osmotica tra interno ed esterno è di circa 18/20 mmHg. Nella parte arteriolare la pressione idrostatica è maggiore di 18 mmHg e perciò l’acqua tende ad uscire. Il contrario avviene nella parte venulare. Al netto vi è una piccola parte di liquido che esce in eccesso ma esso è drenato dal sistema linfatico.

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Cosa si verifica in caso di infiammazione?
Nell’infiammazione acuta si verificano due eventi:

  • aumento di flusso con conseguente aumento della pressione idrostatica. Questo si verifica anche in caso di un arrossamento non infiammatorio ed in questo caso il sistema linfatico sarebbe perfettamente in grado di drenare il liquido extravasato;
  • la permeabilità alle proteine si modifica. Le giunzioni tra le cellule endoteliali si allentano lasciando passare proteine plasmatiche: così anche la differenza di pressione colloido-osmotica tra capillari ed interstizio si affievolisce. Si forma quindi l’essudato (l’edema infiammatorio).

L’edema non è un evento esclusivo del processo infiammatorio (esiste anche l’edema non infiammatorio, chiamato anche trasudato) ma quello infiammatorio si caratterizza per la ricchezza in proteine del liquido extravasato perché l’infiammazione varia la permeabilità dei capillari alle proteine plasmatiche.

Perché l’edema infiammatorio è importante?
L’edema ha una funzione importante nel processo della guarigione perché:

  • l’aumento di liquido nella zona extracellulare tende a diluire qualsiasi sostanza tossica ivi presente;
  • l’aumento di permeabilità alle proteine permette ad alcune di queste, come le Ig o le proteine del complemento, di raggiungere il sito di infiammazione;
  • l’aumento di flusso permette che nella zona arrivi una maggiore quantità di sostanze utili per rigenerare i tessuti danneggiati;
  • aumento di flusso attraverso i vasi linfatici fa sì che più facilmente gli antigeni provenienti dalle zone infiammate raggiungano i linfonodi.

Si può valutare il processo infiammatorio dal tipo di proteine che extravasano: tanto maggiore è l’insulto infiammatorio tanto più marcata sarà la contrazione delle cellule endoteliali e tanto più grandi sono le proteine che raggiungono il liquido interstiziale. Oltre alla contrazione può darsi che un ruolo nell’edema possa essere ricoperto dall’aumento della transcitosi. Se l’endotelio viene danneggiato tanto che anche eritrociti possono passare nel liquido interstiziale allora si parla di infiammazione emorragica.

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Stenosi carotidea, placche, ictus cerebrale ed attacco ischemico transitorio (TIA)

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma STENOSI CAROTIDEA PLACCHE ICTUS TIA ATTA Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgPrima di iniziare la lettura, ti consiglio di leggere prima questo articolo: Carotide comune, interna, esterna: dove si trova ed a che serve

Le arterie carotidi sono flessibili e dotate di pareti interne lisce, tuttavia – a seguito di un processo chiamato aterosclerosi – le loro pareti possono tuttavia andare incontro ad un progressivo irrigidimento accompagnato dalla riduzione del lume interno; tale fenomeno è causato dal graduale accumulo di depositi (placche ateromatose) costituiti da grassi, proteine, tessuto fibroso ed altri detriti cellulari. Nel tempo, queste placche possono formare una grande massa che riduce il diametro interno dell’arteria, limitando il flusso sanguigno (si parla di stenosi carotidea). I depositi ateromasici si formano soprattutto nel seno carotideo, cioè a livello della biforcazione che divide l’arteria carotide comune in carotide interna ed esterna.
La malattia ostruttiva dell’arteria carotidea si sviluppa lentamente e spesso passa inosservata: il primo indizio della presenza dell’ateroma può essere già molto grave, come la comparsa di un ictus cerebrale o di un attacco ischemico transitorio (TIA).
Il trattamento della stenosi carotidea mira a ridurre il rischio che venga ridotto significativamente l’apporto di sangue al cervello, rimuovendo la placca ateromatosa e controllando la coagulazione del sangue (per prevenire l’ictus tromboembolico).

Nel caso abbiate legittimi sospetti che voi o un vostro caro siate stati colpiti da TIA o ictus o emorragia cerebrale, leggete immediatamente questo articolo per sapere cosa fare: Ictus, emorragia cerebrale cerebrale e TIA: cosa fare e cosa assolutamente NON fare

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Sintomi e segni

Nelle fasi iniziali, la malattia ostruttiva dell’arteria carotidea spesso non produce alcun segno o sintomo. La stenosi potrebbe rendersi evidente solo quando diviene abbastanza grave da privare il cervello di sangue, causando un ictus o un attacco ischemico transitorio (TIA), entrambi segno di allarme precoce per un futuro attacco apoplettico. Segni e sintomi di un attacco ischemico transitorio o di un ictus possono includere:

  • improvviso intorpidimento del volto o debolezza degli arti, spesso su un solo lato del corpo;
  • incapacità di spostare uno o più arti;
  • difficoltà a parlare e a comprendere;
  • improvvisa difficoltà nella visione, in uno o entrambi gli occhi;
  • vertigini e perdita di equilibrio;
  • un improvviso, forte mal di testa, senza causa nota.

Anche se i segni e sintomi durano solo poco tempo (talvolta, meno di un’ora) è possibile che il paziente abbia sperimentato un TIA. Se si verifica una qualsiasi di queste manifestazioni è importante cercare cure d’emergenza, per aumentare le possibilità che la malattia dell’arteria carotidea venga individuata e trattata tempestivamente, prima che si verifichi un ictus invalidante. Non è escluso che un TIA possa essere dovuto alla mancanza di flusso di sangue anche in altri vasi: il medico è in grado di stabilire quali test sono necessari per accertare la condizione.

Complicanze della stenosi carotidea

La complicanza più grave della malattia ostruttiva dell’arteria carotidea è l’ictus, in quanto può provocare danni permanenti al cervello e, nei casi più gravi, può essere fatale.
Ci sono tre diversi modi in cui la presenza di una placca ateromatosa aumenta il rischio che questo possa verificarsi:

  • Riduzione del flusso di sangue. A seguito dell’aterosclerosi, il lume della carotide può andare incontro ad una tale riduzione, che l’apporto di sangue non è sufficiente per raggiungere alcune parti dell’encefalo. L’ateroma può eventualmente occludere completamente l’arteria.
  • Rottura della placca. Un pezzo di placca ateromatosa può rompersi e staccarsi, viaggiando fino alle più piccole arterie nel cervello. Il frammento può rimanere bloccato in una di queste arterie cerebrali, creando un’ostruzione che blocca l’afflusso di sangue alla zona del cervello che il vaso sanguineo irrora.
  • Ostruzione da coagulo di sangue. Alcune placche sono inclini alla fessurazione e a deformare la parete dell’arteria. Quando questo accade, il corpo reagisce come ad una lesione, inviando localmente piastrine, per agevolare il processo di coagulazione. In questo processo, può svilupparsi un grande coagulo di sangue e bloccare o rallentare il flusso di sangue attraverso un’arteria carotidea o cerebrale, fino a provocare un ictus.

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Fattori di rischio

La combinazione di diversi fattori può aumentare il rischio di lesioni, la formazione di placche e l’insorgenza della stenosi carotidea sono:

  • Pressione alta. L’ipertensione arteriosa è un importante fattore di rischio per la malattia ostruttiva dell’arteria carotidea. Un eccesso di pressione sulle pareti delle arterie può indebolirle e renderle più vulnerabili ai danni.
  • Fumo. La nicotina può irritare il rivestimento interno delle arterie. Inoltre, aumenta la frequenza cardiaca e la pressione sanguigna.
  • Età. Le persone anziane hanno più probabilità di essere colpite da stenosi carotidea, in quanto con l’età, le arterie tendono a essere meno elastiche.
  • Livelli anormale di grassi nel sangue. Alti livelli di lipoproteine €‹a bassa densità (LDL, il colesterolo “cattivo”) e di trigliceridi nel sangue, favoriscono l’accumulo di placche ateromatose.
  • Diabete. La patologia non solo influenza la capacità di gestire il glucosio in modo appropriato, ma anche la capacità di elaborare in modo efficiente i grassi, disponendo il paziente a maggior rischio di ipertensione e aterosclerosi.
  • Obesità. I chili in eccesso contribuiscono ad altri fattori di rischio, come l’ipertensione, le malattie cardiovascolari e il diabete.
  • Eredità. Se il paziente presenta una storia familiare di aterosclerosi o di malattia coronarica, presenta un rischio aumentato di sviluppare queste patologie.
  • Inattività fisica. La mancanza di regolare esercizio fisico predispone ad una serie di condizioni, tra cui l’ipertensione, il diabete e l’obesità.

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Diagnosi

Oltre a considerare l’anamnesi completa, la presenza di fattori di rischio ed eventuali segni o sintomi, il medico può effettuare diversi test per valutare la salute delle arterie carotidi:

  • Esame obiettivo. Il medico può auscultare la carotide posizionando uno stetoscopio a livello del collo, per rilevare suono simile ad un “risucchio”, caratteristico del flusso sanguigno turbolento causato dall’aterosclerosi. Il medico può eseguire una valutazione neurologica per verificare lo stato fisico e mentale del paziente, come la capacità di resistenza, memoria e parola.

Uno o più test diagnostici possono essere eseguiti per valutare il restringimento di una carotide:

  • Ecografia Doppler: test non invasivo che si avvale di onde sonore riflesse per valutare il flusso di sangue attraverso il vaso sanguineo e verificare la presenza di una eventuale stenosi. La sonda ad ultrasuoni è collocata sul collo, a livello delle arterie carotidee. L’ecografia Doppler rivela come fluisce il sangue attraverso l’arteria e in che misura l’apporto è ridotto (stenosi carotidea minore 0-49%, moderata 50-69% e grave 70-99%, fino alla completa ostruzione).
  • Angio-CT (CTA): fornisce immagini dettagliate delle strutture anatomiche del collo e del cervello. L’indagine comporta l’iniezione di un agente di contrasto nel flusso sanguigno, in modo da evidenziare le anomalie di vasi sanguigni (tramite angiografia) e tessuti molli (mediante tomografia computerizzata). La CTA consente ai medici di visualizzare la carotide ristretta e determinare il grado patologico della stenosi.
  • Angiografia tramite risonanza magnetica (MRA): come la CTA, questo test di imaging utilizza un mezzo di contrasto, per evidenziare le arterie che irrorano il collo e l’encefalo. Il campo magnetico e le onde radio vengono utilizzate per creare immagini tridimensionali.
  • Risonanza magnetica (MRI): consente di visualizzare il tessuto cerebrale per evidenziare precocemente un ictus o altre anomalie.
  • Angiografia cerebrale: è un test minimamente invasivo che utilizza i raggi X e un agente di contrasto iniettato nelle arterie, attraverso un catetere infilato direttamente nelle carotidi. L’angiografia cerebrale consente ai medici di visualizzare in dettaglio tutte le arterie che irrorano l’encefalo.

L’imaging può anche rivelare le prove di molteplici attacchi ischemici transitori. I medici possono definire la diagnosi di stenosi carotidea, se le prove dimostrano che il flusso sanguigno è diminuito in una o entrambe le arterie carotidi.

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Trattamenti e farmaci

L’obiettivo dalla terapia è di ridurre il rischio di ictus. Le opzioni di trattamento per la stenosi carotidea variano a seconda della gravità del restringimento arterioso e se si verificano sintomi o meno (asintomatica).

Stenosi carotidea da lieve a moderata

  • Cambiare stile di vita. Cambiamenti nel comportamento possono aiutare a ridurre la pressione sulla carotide e rallentare la progressione dell’aterosclerosi. Tali cambiamenti includono smettere di fumare, perdere peso, bere alcol con moderazione, mangiare cibi sani, ridurre la quantità di sale e praticare regolare esercizio fisico.
  • Gestire le condizioni croniche. Con il medico è possibile stabilire un piano terapeutico per affrontare correttamente specifiche condizioni croniche, come la pressione alta, l’eccesso di peso o il diabete, che possono produrre effetti patologici anche sulle arterie carotidi.
  • Farmaci. I pazienti asintomatici o che presentano una stenosi carotidea di basso grado sono trattati con farmaci. Il medico può prescrivere un antiaggregante piastrinico (come aspirina, ticlopidina, clopidogrel), da assumere quotidianamente per fluidificare il sangue e prevenire la formazione di pericolosi coaguli di sangue. Possono essere raccomandati anche farmaci antipertensivi per controllare e regolare la pressione sanguigna (ACE-inibitori, bloccanti dell’angiotensina, beta-bloccanti, calcio-antagonisti ecc.) e delle statine per abbassare il colesterolo e contribuire a ridurre la formazione della placca nell’aterosclerosi. Le statine possono ridurre il colesterolo LDL “cattivo” in media del 25-30%, quando combinate con una dieta ipocalorica e a basso contenuto di colesterolo.

Grave ostruzione della carotide

Quando si dispone di una grave stenosi, soprattutto se il paziente ha già subito un TIA o un ictus correlato all’occlusione, è meglio procedere chirurgicamente ripulendo l’arteria dalla placca ateromatosa.

  • Endoarteriectomia carotidea. Questa procedura chirurgica è il trattamento più comune per rimuovere l’ateroma in presenza di un grave quadro clinico. L’intervento viene eseguito in anestesia generale. Dopo aver effettuato un’incisione lungo la parte anteriore del collo, il chirurgo apre l’arteria carotide colpita e rimuove la placca ateromatosa. L’arteria viene riparata con punti di sutura o, preferibilmente, con un innesto. L’endoarteriectomia carotidea è generalmente indicata per i pazienti sintomatici (ictus o TIA) e con un’ostruzione superiore al 50%. Si raccomanda anche per i pazienti che non hanno sintomi (asintomatici), con blocco superiore al 60%. Gli studi hanno dimostrato che, in caso di ostruzione moderata, la chirurgia apporta benefici duraturi ed aiuta a prevenire un eventuale ictus su un periodo di circa cinque anni. Un’endoarteriectomia carotidea non è raccomandata quando la posizione dell’ostruzione o del restringimento è di difficile accesso per il chirurgo o quando si dispone di altre condizioni di salute che rendono l’intervento chirurgico troppo rischioso. In questi casi, il medico può raccomandare una procedura chiamata angioplastica carotidea associata ad uno stenting.
  • Angioplastica carotidea e stenting. Il posizionamento di uno stent carotideo è una procedura meno invasiva rispetto all’endoarteriectomia carotidea, in quanto non comporta un’incisione nel collo. L’angioplastica carotidea con inserimento di uno stent permette di ottenere buoni risultati nel breve termine, ed è tipicamente indicata per pazienti che: 1) presentano un grado di stenosi carotidea moderato-grave; 2) soffrono di altre condizioni mediche che aumentano il rischio di complicanze chirurgiche; 3) manifestano una recidiva. Nell’angioplastica carotidea, un catetere viene infilato fino all’area carotidea ostruita nel collo. Un filtro appositamente progettato su un filo guida (chiamato dispositivo di protezione embolica) viene inserito per raccogliere eventuali detriti che possono staccarsi dalla placca durante la procedura. Una volta in posizione, viene gonfiato un piccolo palloncino all’estremità del catetere per alcuni secondi, allo scopo di aprire o allargare l’arteria. Uno stent viene inserito in modo permanente per costituire una impalcatura, che aiuti a sostenere le pareti delle arterie e a mantenere pervio il lume della carotide. Il palloncino viene poi sgonfiato ed il catetere e il filtro vengono rimossi. Dopo diverse settimane, l’arteria guarisce attorno allo stent. Come per l’endoarteriectomia carotidea, esistono alcuni rischi connessi alla procedura (ictus o decesso). Lo stenting sarà pertanto consigliato solo in caso di una grave stenosi.

Angioplastica carotidea Stent

Il recupero dalle procedure chirurgiche generalmente richiede una breve degenza in ospedale. I pazienti spesso ritornano alle normali attività entro una o due settiman. Dopo un’endoarteriectomia carotidea, la stenosi può recidivare ed è spesso correlata alla progressione della malattia aterosclerotica. Queste nuove placche possono essere trattate con la ripetizione dell’intervento chirurgico.

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Poligono di Willis: anatomia e varianti anatomiche

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma POLIGONO DI WILLIS ANATOMIA VARIANTI ANA Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgIl Poligono di Willis, anche chiamato Circolo di Willis (Circle of Willis in inglese) è importante sistema di anastomosi arteriose (cioè di comunicazioni tra vasi arteriosi) a pieno canale presente alla base della scatola cranica, così chiamato in onore al medico inglese Thomas Willis. Rappresenta la confluenza di tre arterie principali:

  • l’arteria basilare, che è formata dalla confluenza delle arterie vertebrali destra e sinistra (prime collaterali della succlavia);
  • le due arterie carotidi interne (destra e sinistra).

Il Poligono di Willis può essere ricondotto idealmente ad un ettagono (cioè un poligono che ha sette lati e sette angoli) avente come lati: anteriormente le 2 arterie cerebrali anteriori (destra e sinistra) che si uniscono attraverso l’arteria comunicante anteriore; posteriormente le 2 arterie cerebrali posteriori (destra e sinistra); tra arteria cerebrale anteriore e posteriore di ogni lato c’è l’arteria comunicante posteriore.

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Quindi andando in senso orario troviamo:

  • arteria cerebrale anteriore di sinistra;
  • arteria comunicante anteriore;
  • arteria cerebrale anteriore di destra;
  • arteria comunicante posteriore di destra;
  • arteria cerebrale posteriore di destra;
  • arteria cerebrale posteriore di sinistra;
  • arteria comunicante posteriore di sinistra.

Tutti questi rami, ad eccezione dell’arteria cerebrale posteriore, ramo dell’arteria basilare, derivano dall’arteria carotide interna. La terminologia poligono è tuttavia anatomicamente poco corretta, e dovrebbe essere abbandonata in favore del nome più appropriato, ovvero circolo. Difatti la grande variabilità anatomica dell’organismo umano raramente si traduce in forme poligonali (o riconducibili a poligoni) del circolo arterioso, che comunemente risulta addirittura incompleto per l’assenza dell’arteria comunicante anteriore. Questa vasta anastomosi garantisce un’equa distribuzione di sangue alle strutture encefaliche, che si realizza attraverso un continuo compenso pressorio tra le arterie carotidi e le arterie vertebrali.

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L’interconnessione tra vasi sanguigni (anastomosi) dovrebbe proteggere il cervello quando parte del suo rifornimento è bloccata. Il sistema anastomotico dovrebbe garantire un’appropriata irrorazione dei tessuti cerebrali, ma le anastomosi non sono sempre in grado di compensare l’ostruzione di una delle arterie del circolo, risultando in una ridotta capacità di prevenire efficacemente l’anossia di una o più parti del territorio di distribuzione vascolare. È infine da notare che questo sistema, per mezzo dell’arteria cerebrale anteriore, forma un arco anastomotico con l’arteria angolare del naso (ramo della carotide esterna), pur non creando un’anastomosi funzionale.

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Poligono di Willis: varianti anatomiche
Nei soggetti normali possono riscontrarsi varianti anatomiche, essenzialmente rappresentate da:

  • nascita delle due arterie cerebrali anteriori da una sola carotide;
  • arteria cerebrale posteriore dipendente dalla carotide invece che dalla basilare;
  • grande differenza di calibro delle due arterie vertebrali.

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Perché l’ostruzione della carotide è così pericolosa?

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma perche ostruzione carotide pericolosa Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgPer meglio comprendere l’argomento, ti consiglio di leggere prima questo articolo: Carotide comune, interna, esterna: dove si trova ed a che serve

Per le sue caratteristiche anatomiche, la carotide è una sede preferenziale per la formazione di placche aterosclerotiche. Infatti, in corrispondenza della biforcazione in carotide interna ed esterna, si genera una turbolenza del flusso ematico, che smette di essere un flusso laminare, generando dei vortici. Questi vortici del flusso, quando associati a ipertensione arteriosa e ipercolesterolemia, sono i maggiori fattori di rischio per la genesi dell’arteriosclerosi carotide.

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La formazione di una placca ateromasica produce un’ostruzione al passaggio del sangue che, quindi, non è più libero di passare e di raggiungere i distretti di irrorazione periferica. In genere, le ostruzioni carotidee monolaterali, con carotide controlaterale pervia, sono asintomatiche perché le anastomosi esistenti tra carotide interna, carotide esterna e arteria vertebrale riescono ad assicurare un adeguato apporto ematico al Sistema Nervoso Centrale. In linea generale si ricorre a intervento chirurgico di rimozione della placca in caso di ostruzioni superiori al 70% del lume vasale.

Le conseguenze dell’ostruzione delle carotidi possono essere varie: in genere l’ostruzione si instaura in lungo tempo, il che permette alle altre arterie di modulare il flusso cerebrale, ma a volte un evento trombotico può aggravare acutamente la sintomatologia e dalla sede aterosclerotica possono liberarsi emboli che potrebbero determinare un ictus cerebrale.

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Carotide comune, interna, esterna: dove si trova ed a che serve

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma CAROTIDE COMUNE INTERNA ESTERNA DOVE FUN Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgL’arteria carotide è uno delle più grandi ed importanti arterie del nostro corpo umano: essa – insieme all’arteria vertebrale – irrora il sistema nervoso centrale e le strutture facciali. Una ostruzione a livello dell’arteria carotide è estremamente pericolosa per la salute, a tal proposito leggi anche:

Anatomia dell’arteria carotide
Dal punto di vista anatomico, l’arteria carotide può essere divisa in:

  • carotide comune: rappresenta il primo tratto della carotide;
  • carotide interna: è un grosso ed importante vaso che porta i suoi rami all’encefalo, alla pia madre, all’aracnoide, all’occhio e agli organi della cavità orbitaria;
  • carotide esterna: origina dalla carotide comune che si biforca a livello della giunzione tra C3 e C4 dando origine alla carotide interna e alla carotide esterna.

Arteria Carotide Comune
Le carotidi originano dall’arco aortico in maniera asimmetrica nei due lati; infatti, quella di sinistra origina direttamente dall’arco aortico, mentre quella di destra origina dalla divisione del tronco brachio-cefalico e da questi punti esse prendono il nome di arteria carotide comune. L’arteria carotide comune punta in alto ed è ricoperta dal muscolo sternocleidomastoideo e nella regione del collo entra a far parte del fascio vascolo-nervoso del collo che la contiene insieme con la vena giugulare interna e il nervo vago. Essa arriva fino al margine superiore della cartilagine tiroidea della laringe, dove si divide nei suoi due rami terminali: l’arteria carotide interna e l’arteria carotide esterna. La carotide interna si trova lateralmente e quella esterna si trova medialmente, ma poi la carotide interna curva medialmente e indietro per puntare verso la base cranica ed entrare all’interno del cranio, mentre quella esterna resterà all’esterno del cranio e provvederà all’irrorazione della faccia.

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Arteria Carotide Interna
L’arteria carotide interna origina dall’arteria carotide comune subito sopra il margine superiore della cartilagine tiroidea della laringe, quando la carotide comune si divide a fionda nella carotide esterna e nella carotide interna. Alla sua origine possiede un diametro di 8 mm, diametro maggiore di quello della carotide esterna. In genere la carotide interna di sinistra è più grande di quella di destra. La sua porzione cervicale è in rapporto con la giugulare interna, e il nervo vago, che l’accompagnano, e con i muscoli stiloioideo, stilofaringeo e digastrico (ventre posteriore), che la incrociano lateralmente. Anche il nervo glossofaringeo la incrocia esternamente. Risale verso l’alto costeggiando la parete laterale della faringe e quindi penetra nel canale carotideo, scavato nella rocca petrosa dell’osso temporale. Percorso tutto il canale carotideo (tratto intrapetroso) si viene a trovare all’interno della cavità cranica dove piega in avanti e penetra nel seno cavernoso (tratto intracavernoso). All’interno di questo caratteristico seno venoso essa non è bagnata direttamente dal sangue ivi contenuto ma è ricoperta esternamente dell’endotelio del seno stesso. All’interno del seno cavernoso forma una curva diretta all’indietro e verso l’alto (sifone carotideo); in questo tratto essa è accompagnata da varie strutture nervose che sono:

  • nervo oculomotore (III);
  • nervo trocleare (IV);
  • branca oftalmica del nervo trigemino (V);
  • nervo abducente (VI).

Nella regione del collo dall’arteria non si stacca nessun ramo laterale; nel canale carotideo, dà origine ad un piccolo rametto arterioso, il ramo carotico-timpanico, che irrora la mucosa della cassa del timpano, e all’arteria pterigoidea. Nel tratto intracavernoso, stacca rami per il seno cavernoso, rami per il ganglio semilunare di Gasser, rami ipofisari (per l’ipofisi e la parte ventrale dell’ipotalamo) e rami meningei (per la dura madre della fossa cranica anteriore). Appena fuoriuscita dal seno cavernoso (tratto intracranico), stacca il suo secondo ramo laterale che è rappresentato dall’arteria oftalmica destinata al globo oculare che tra i suoi collaterali presenta l’arteria centrale della retina che penetra nel nervo ottico e poi si apre a livello della papilla ottica. Infine, la carotide interna piega medialmente al davanti dei processi clinoidei e si divide nei suoi quattro rami terminali, che sono:

  • arteria cerebrale anteriore;
  • arteria cerebrale media;
  • arteria corioidea anteriore;
  • arteria comunicante posteriore.

Il seno carotideo, localizzato alla base dell’arteria carotide interna, contiene i recettori coinvolti nella regolazione cardiovascolare (barocettori e chemocettori). Un’arteria carotide comune può essere individuata esercitando una lieve pressione con i polpastrelli ai lati della trachea, immediatamente sotto l’angolo della mandibola, fino a quando non si percepisce la pulsazione cardiaca.

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Arteria Carotide Esterna
La carotide esterna origina dalla carotide comune che si biforca a livello della giunzione tra C3 e C4 dando origine alla carotide interna e alla carotide esterna. Poco dopo l’origine si flette verso avanti allontanandosi dalla carotide interna, passando prima anteromedialmente a essa e successivamente lateralmente, per portarsi in alto passando tra il processo mastoideo e l’angolo della mandibola, mantenendosi superficiale rispetto alla carotide interna. Oltre questo punto si divide in arteria mascellare interna e arteria temporale superficiale, i suoi rami terminali. Nell’ambito del triangolo carotideo, si trova profondamente a: cute, fascia superficiale, ansa tra ramo cervicale del nervo faciale e il nervo cutaneo trasverso del collo, fascia cervicale profonda e margine anteriore del muscolo sternocleidomastoideo; l’arteria è, inoltre, incrociata dal nervo ipoglosso (e dalla sua vena satellite), dalla vena linguale, dalla vena faciale e, talvolta, dalla vena tiroidea inferiore. Fuori dal triangolo carotideo passa tra il ventre posteriore del muscolo digastrico e il muscolo stiloioideo, fino a entrare nella ghiandola parotide. All’interno della parotide si trova medialmente al nervo faciale e alla convergenza delle vene mascellare e temporale superficiale. Nel suo tratto iniziale, l’arteria contrae rapporto medialmente con la faringe, il nervo laringeo superiore e l’arteria faringea ascendente. A un livello più alto, è separata dalla carotide interna dal nervo glossofaringeo, dal muscolo stilofaringeo, dal processo stiloideo, dal muscolo stiloglosso, dal muscolo stilofaringeo, dal ramo faringeo del vago e da parte della parotide stessa. L’arteria possiede 8 rami specifici che si distribuiscono alla testa e al collo:

  • Arteria tiroidea superiore (superficie anteriore);
  • Arteria faringea ascendente (superficie mediale);
  • Arteria linguale (superficie anteriore);
  • Arteria facciale (superficie anteriore);
  • Arteria occipitale (superficie posteriore);
  • Arteria auricolare posteriore (superficie posteriore);
  • Arteria temporale superficiale;
  • Arteria mascellare interna.

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Sangue dal naso (epistassi) in bambini e adulti: cause, rimedi naturali, cosa fare e cosa NON fare

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma SANGUE DAL NASO EPISTASSI BAMBINI ADULTI RIMEDI Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari.jpgE’ capitato a tutti noi almeno una volta nella vita, specie da bambini: sto parlando dell’epistassi nasale o rinorragia o – più semplicemente – della fuoriuscita di una quantità più o meno grande di sangue dal naso. La prima domanda che ci facciamo è… Perché esce sangue dal naso? Tecnicamente si tratta di un problema di fragilità della mucosa nasale, in particolare della membrana superficiale che le riveste: sotto questo strato sottile ci sono numerosi piccoli capillari e la loro rottura comporta il sanguinamento. L’epistassi può verificarsi senza causa apparente (epistassi essenziale) o come sintomo di una patologia locale o sistemica (epistassi secondaria).
Allergie e raffreddori da fieno favoriscono l’epistassi anche nell’adulto e per le persone allergiche è fondamentale condizionare il livello di umidità degli ambienti in cui vivono: riscaldamento eccessivo e scarsa umidità sono i primi aggravanti. Per prevenire l’epistassi è anche importante evitare gli sbalzi pressori (tipici quelli da rapida risalita in superficie nell’immersione subacquea) e tenere sotto controllo eventuali malattie che causano il sanguinamento dal naso. Qualora questo si verifichi è bene mantenere la calma poiché l’ansia determina un aumento di frequenza cardiaca e pressione arteriosa che possono peggiorare ulteriormente l’epistassi.

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Cause di sanguinamento dal naso in giovani ed adulti

Molto spesso, specie in bambini ed in pazienti giovani, l’emorragia è dovuta a rottura spontanea dei piccoli vasi della muscosa nasale, in seguito a irritazione o a piccoli traumi (raffreddore, manovre maldestre con le dita, riniti, secchezza della mucosa, modificazioni ormonali tipiche della pubertà ecc.). In questi casi si ha epistassi anteriore, la più comune e facile da trattare: si risolve quasi sempre da sé. Più raramente, e soprattutto negli adulti e negli anziani, il sanguinamento dal naso – specie se gli episodi si verificano frequentemente – può essere sintomo di un malessere severo. In questo caso è possibile una epistassi posteriore, più difficile da trattare e più pericolosa.

Patologie e condizioni de determinano sanguinamento dal naso
Sono innumerevoli le situazioni patologiche che possono determinare epistassi:

  • fragilità dei vasi sanguigni fisiologica in pazienti anziani,
  • fragilità dei vasi sanguigni dipendente da una patologia che interessa le pareti dei vasi,
  • cardiopatie,
  • allergie,
  • raffreddore,
  • ipertensione,
  • malattie infettive (come scarlattina, febbre tifoide, morbillo),
  • avvelenamento,
  • alterazioni o patologie della coagulazione,
  • arteriosclerosi,
  • deficienze nutrizionali, specie vitaminiche,
  • colpi di calore;
  • patologie renali,
  • patologie epatobiliari,
  • varici del setto,
  • polipi nasali,
  • deviazioni del setto,
  • neoplasie,
  • ulcera perforante del setto,
  • morbo di Rendu-Osler,
  • fibroma rinofaringeo,
  • irritazione chimica da sostanze inalate come la cocaina.

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Epistassi: cosa fare?

Se l’emorragia dei vasi sanguigni presenti nelle cavità nasali non è correlata ad un trauma cranico, occorre mettere il soggetto in posizione seduta, con il capo leggermente chinato in avanti; questa operazione, unitamente all’invito di sputare il sangue eventualmente presente nel cavo orale, ha lo scopo di evitare l’insorgenza di nausea o vomito con la sua ingestione o di soffocamenti. Slacciare gli abiti intorno al collo e comprimere la narice sanguinante con un dito per qualche minuto; utile (se il soggetto NON è un bimbo piccolo) il raffreddamento con ghiaccio o acqua fredda alla radice del naso: la soluzione migliore è la classica pezza con acqua fredda premuta forte sul naso. E’ inoltre importante, ad emorragia cessata, evitare di soffiare o strofinare il naso; nei giorni successivi vanno evitati sforzi fisici importanti.

Epistassi: cosa NON fare?

In caso di epistassi bisogna ricordare le regole fondamentali:

  • Evitare di piegare la testa all’indietro: questo rimedio della nonna evita di sporcarsi i vestiti ma crea un reflusso che spinge il sangue indietro, verso la bocca e le orecchie.
  • Evitare il cotone emostatico: la rimozione toglie e strappa eventuali crosticine ed il sanguinamento può ricominciare.
  • Attenzione all’uso del ghiaccio ghiaccio che potrebbe evocare mal di testa nei bimbi già sensibili alla cefalea.

Quando chiamare il medico?

E’ opportuno rivolgersi al medico se:

  • l’emorragia è copiosa;
  • l’emorragia non si arresta da sola o con i metodi visti nel paragrafo precedente;
  • epistassi ricorrente.

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Se il sanguinamento dal naso non si arresta, il medico provvederà al tamponamento (introduzione nella fossa nasale di un cilindro di cotone imbevuto di acqua ossigenata o di una garza iodoformica) o, nelle emorragie più severe e recidivanti, alla galvanocausticazione.
Se l’epistassi è ricorrente, è importante recarsi dal medico in modo da eseguire tutti gli accertamenti necessari per scoprirne le cause e curare l’epistassi a monte.

Quando chiamare il medico con urgenza?

Allertare tempestivamente il Numero Unico per le Emergenze 112 quando l’epistassi è molto abbondante, non cessa e/o è associata ad un trauma cranio-facciale: in quest’ultimo caso potrebbe essersi verificata una frattura delle ossa nasali, da sospettarsi specie se il naso si presenta tumefatto e dolente. In questo caso è bene evitare qualsiasi manovra, poiché interventi impropri o maldestri potrebbero causare danni funzionali, anatomici ed estetici permanenti. Se il paziente perde conoscenza in seguito al trauma va messo in posizione laterale di sicurezza sul lato dell’emorragia (onde evitare che il sangue si raccolga nel retrobocca e vada ad ostruire le vie respiratorie); tale operazione andrebbe eseguita con l’ausilio di un compagno per evitare inopportuni movimenti del collo. Il passo successivo sarà chiamare immediatamente assistenza medica.

L’arnica montana

Un buon rimedio naturale contro l’epistassi è l’arnica montana, che favorisce la coagulazione. L’arnica in gel deve essere distribuita con un semplice cotton fioc sulla mucosa interna del setto nasale. Ne basta uno strato sottile. Le virtù di questa pianta antisanguinamento rafforzeranno la membrana capillare proteggendo dalla rottura i piccoli vasi ed è utile anche quando il sanguinamento riguarda le gengive (anche se in quel caso è meglio cambiare le setole dello spazzolino e sceglierle morbide). Un ottimo prodotto, consigliato dal nostro Staff, è il seguente: https://amzn.to/3CSBWGV

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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Cos’è la pressione venosa centrale e perché si misura?

MEDICINA ONLINE VENA ARTERIA SUCCLAVIA AZYGOS CAROTIDI COLLO STERNO TORACE AZIGOS EMIAZYGOS ACCESSORIA TORACE ADDOME SANGUE CIRCOLAZIONE CUORE VENA CAVA INFERIORE SUPERIORELa “pressione venosa centrale” (PVC) il valore pressorio sanguigno rilevato nel tratto terminale della vena cava superiore e corrispondente alla pressione nell’atrio destro del cuore.

Come si misura?

La rilevazione della PVC avviene grazie alla posa di un catetere venoso centrale attraverso una vena profonda di grosso calibro (vena succlavia, o giugulare, o basilica o più raramente safena).

Perché è importante misurarla?

Il valore della pressione venosa centrale permette di valutare il volume ematico circolante, la funzionalità cardiaca ed il ritorno venoso.

Valori normali della PVC

Risulta ancora da chiarire il range di normalità della PVC. È piuttosto chiaro che:

  • valori negativi della PVC sono al di sotto del range;
  • valori di PVC superiori a 12 ne sono al di sopra.

Il range di normalità è però ancora oggetto di discussioni. Il limite inferiore, secondo le diverse fonti, ha un valore da 0 a 5, mentre il limite superiore va da 7 a 12. E’ inoltre necessario ricordare che le tecniche di rilevazione della PVC sono due:

  • monitoraggio elettronico: valori normali medi tra 4 e 10 mmHg;
  • con colonna ad acqua o manometro ad acqua: valori normali tra 3 e 8 cmH2O.

Fattori che influiscono sui valori di PVC

Possono influire sui valori della PVC molti fattori, tra cui:

  • ipovolemia o ipervolemia (diminuzione o aumento del volume ematico circolante);
  • insufficienza cardiaca;
  • ostacoli meccanici alla circolazione cardiaca;
  • alterazioni della pressione intratoracica (ad esempio pneumotorace);
  • farmaci;
  • ventilazione meccanica.

Valori di PVC alti

Valori superiori alla norma, possono indicare:

  • sovraccarico di volume;
  • insufficienza cardiaca destra;
  • aumento della pressione intratoracica;
  • turbe vasomotorie.

Valori di PVC bassi

Valori inferiori alla norma, possono indicare:

  • diminuzione del volume di sangue circolante (ipovolemia) causata da emorragie, vomito grave, diarrea grave e shock;
  • turbe vasomotorie.

La PVC è un parametro che viene rilevato frequentemente nell’ambito dei monitoraggi post-operatori.

E’ un esame doloroso?

La misurazione della pressione venosa centrale è un esame mediamente invasivo e, pur non essendo doloroso, viene comunque considerato fastidioso o molto fastidioso dalla maggioranza dei pazienti.

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Gruppi sanguigni: cosa sono e quali sono compatibili tra loro

Il gruppo sanguigno è una delle numerose caratteristiche di un individuo e viene classificato tramite la presenza o l’assenza di antigeni sulla superficie dei globuli rossi. Questi antigeni possono essere proteine, carboidrati, glicoproteine o glicolipidi dipendenti dal sistema di classificazione usato e alcuni di essi sono presenti anche sulla superficie di altri tipi di cellule di vari tessuti (praticamente in tutte eccetto che in quelle nervose, tanto che il termine “gruppo sanguigno” viene usato solo perché è nelle cellule del sangue che questi antigeni sono stati scoperti). Il gruppo sanguigno è geneticamente determinato/ereditato alla nascita e presenta contributi da entrambi i genitori. La scoperta dei gruppi sanguigni è stata fatta nel 1900 dall’austriaco Landsteiner (premio Nobel per la medicina nel 1930).

Esistono otto diversi tipi di sangue comuni, determinati dalla presenza o dalla assenza di antigeni – sostanze che possono innescare una risposta immunitaria se sono estranei al corpo. Dal momento che alcuni antigeni possono innescare il sistema immunitario del paziente per attaccare il sangue trasfuso, nelle trasfusioni è necessaria la compatibilità dei gruppi.

Di seguito, una tabella che ricostruisce le possibilità di donazione tra i vari gruppi:

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Gli individui del gruppo AB+ possono ricevere qualunque tipo di sangue e sono perciò detti riceventi universali, mentre le persone di gruppo 0- sono donatori universali e possono ricevere solo sangue di gruppo 0-.

Ciò implica che gli ospedali debbano avere ampia disponibilità dei vari gruppi sanguigni e soprattutto una ingente scorta di gruppo 0 Rh-, una sorta di salvavita, da utilizzare quando non si conosce il gruppo del paziente e non si ha tempo di effettuare le analisi per trasfondere lo stesso gruppo durante le emergenze.

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Cosa si dona e in quanti modi si può donare

Se il donatore, in base ai criteri d’idoneità alla donazione di sangue, ha valori ematici che gli consentono di effettuare sia la donazione di sangue intero sia quella in aferesi (plasma e piastrine) può scegliere che tipo di donazione effettuare “con il consiglio del medico trasfusionista”.

Può accadere che qualche donatore, pur non avendo situazioni patologiche, abbia valori di emoglobina (pigmento che trasporta l’ossigeno nel sangue) o di ematocrito (percentuale di globuli rossi rispetto alla parte liquida del sangue) o di ferritina (riserva di ferro) al limite minimo o più basso dei livelli idonei per donare il sangue intero. In questo caso il donatore sarà indirizzato alla donazione di plasma, al fine di non ridurre ulteriormente questi componenti del sangue. Viceversa, al donatore con valori di globuli rossi, emoglobina ed ematocrito elevati sarà da sconsigliare la plasmaferesi e prediligere la donazione di sangue intero e saltuariamente le piastrine.

Le possibili tipologie di donazione sono 4, le seguenti:

  • sangue,
  • aferesi,
  • dedicata.
  • autodonazione.

La donazione di sangue intero è la donazione più comune, La quantità di sangue donato è stabilita per legge ed è di 450 ml con variazioni del 10% in rapporto al peso corporeo, all’età e al sesso. L’intervallo tra due donazioni di sangue intero deve essere di almeno 90 giorni. Per le donne fino alla menopausa la frequenza è di un massimo di 2 donazioni di sangue intero all’anno. Una donazione di sangue intero dura in genere meno di 12 minuti. Il donatore oltre al possesso dei requisiti generici, al momento della donazione dovrà possedere un valore di emoglobina(Hb) superiore a 13,5g./dl se di sesso maschile, superiore a 12,5 g/dl se di sesso femminile.

L’alternativa alla donazione tradizionale è quella che impiega la procedura di aferesi. In questo caso ci si avvale di una apparecchiatura, chiamata Separatore Cellulare, che separa i diversi componenti del sangue in un circuito sterile, chiuso e monouso (senza rischio di inquinamenti o di contagio). In questo modo è possibile prelevare soltanto il plasma (plasmaferesi), soltanto le piastrine (piastrinoaferesi) o prelevare due componenti (per esempio aferesi di plasma e piastrine, doppia donazione di globuli rossi, globuli rossi e plasma, ecc.). Una donazione di plasma da aferesi dura circa 30-40 minuti, e si dona fino ad un massimo di 600ml, una donazione di piastrine, invece, raggiunge i 50-60 minuti.

La donazione dedicata viene effettuata da un donatore contattato direttamente dal ricevente, basandosi sulla convinzione che essendo da lui conosciuto offra una maggiore sicurezza dei donatori abituali. Questa tipologia di donazione non viene attualmente considerata del tutto sicura e valida, in quanto:

  • è difficile per chiunque conoscere a fondo una persona, in particolare far emergere se ha avuto comportamenti a rischio che possono nuocere al ricevente;
  • il rischio aumenta quando si debba ricorrere a più di un donatore;
  • il partner non deve donare per una donna fertile che possa avere future gravidanze per il rischio di malattia emolitica neonatale;
  • in caso di consanguineità i linfociti del donatore attaccano i tessuti del paziente causando una grave reazione trasfusionale.

Infine, non va dimenticato che il sangue di donatori periodici di cui si conosce la storia sanitaria da più garanzie.

L’autodonazione è una procedura trasfusionale che consiste nel trasfondere al soggetto unità del suo stesso sangue, può essere richiesta dal chirurgo che opererà il paziente. I pazienti che devono eseguire interventi chirurgici programmati per cui è prevista una consistente perdita di sangue ≥ 20% del volume ematico totale.
Il metodo più utilizzato per effettuare questa tipologia di donazione è il predeposito: il sangue prelevato viene conservato secondo i metodi tradizionali e quindi trasfuso, in caso di necessità. Alcuni giorni prima dell’intervento vengono prelevate alcune (di solito 2-3) unità di sangue dal paziente, in fasi successive, a distanza di circa 1 settimana l’una dall’altra, fino a raggiungere la quantità prevedibilmente necessaria, in modo da consentirne l’eventuale utilizzo durante l’intervento operatorio e/o successivamente allo stesso.

I vantaggi dell’autotrasfusione sono i seguenti:

  • eliminazione delle reazioni di incompatibilità;
  • eliminazione del rischio di trasmissione di malattie infettive;
  • riduzione del rischio di immunizzazione da antigeni diversi, con possibili manifestazioni a distanza.

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Come viene utilizzato il sangue donato

Il sangue viene utilizzato per rimpiazzare quella particolare componente di cui il paziente è gravemente carente. Nello specifico:

  • globuli rossi, nell’anemia acuta per emorragia e nelle anemie croniche;
  • piastrine, nel paziente con tumori o col midollo osseo danneggiato dall’effetto di farmaci;
  • plasma, nel paziente ustionato o con gravi problemi della coagulazione.

La maggior parte del plasma viene utilizzata per la produzione di plasmaderivati, in modo che in un piccolo volume si concentri una grande quantità di sostanza e si renda più efficace la cura di particolari patologie:

  • albumina per i malati in stato di shock, gli ustionati, i malati con insufficienza epatica o renale, i pazienti con gravi carenze proteiche, ecc.;
  • fattori della coagulazione per gli emofilici e per altre gravi forme di carenza di questi fattori, con rischi emorragici;
  • gammaglobuline per alcune malattie infettive come il tetano, la meningite, l’epatite virale, il morbillo, ecc.

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