Dislessia: le condizioni più frequentemente correlate

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Disgrafia

Prima di iniziare la lettura, per meglio comprendere l’argomento, ti consiglio di leggere: Dislessia: cos’è, come riconoscerla, come affrontarla e superarla

La dislessia è spesso accompagnata da parecchie difficoltà di apprendimento, ma non è chiaro se esse condividono le sottostanti cause neurologiche. Queste correlate disabilità comprendono:

Disgrafia, disortografia e discalculia

Un disturbo che si esprime principalmente attraverso le difficoltà con la scrittura, ma in alcuni casi con difficoltà associate alla coordinazione occhio-mano e o ai processi orientati ad una sequenza, come legare nodi o svolgere compiti ripetitivi. Nella dislessia, la disgrafia è spesso multifattoriale, a causa della ridotta automaticità del processo lettera-scrittura, delle difficoltà organizzative ed elaborative e la compromissione della formazione della parola visiva, che rende più difficile per recuperare l’immagine visiva delle parole necessarie per l’ortografia. Spesso si associa anche la disortografia e la discalculia. Per approfondire:

Sindrome da deficit di attenzione e iperattività (ADHD)

Un significativo grado di comorbidità è stato segnalato tra i disturbi ADHD e la dislessia. L’ADHD si verifica nel 12%-24% di tutte le persone con dislessia. Per approfondire: Deficit di attenzione: quando un bambino è iperattivo, che fare?

Disturbo dell’elaborazione uditiva
Una disabilità dell’ascolto che colpisce la capacità di elaborare le informazioni uditive. Ciò può portare a problemi con la memoria uditiva e il sequenziamento uditivo. Molte persone con dislessia hanno problemi di elaborazione uditiva e possono sviluppare i propri spunti logografici per compensare questo tipo di deficit. Alcune ricerche indicano che le competenze di elaborazione uditiva potrebbero essere il deficit primario nella dislessia.

Disprassia
Una condizione neurologica caratterizzata da una marcata difficoltà nello svolgere compiti routinari che coinvolgono il controllo dell’equilibrio, del coordinamento cinestetica, nella difficoltà dell’uso dei suoni vocali, problemi di memoria a breve termine e nell’organizzazione. Per approfondire: Disprassia a scuola: sintomi, esercizi, si guarisce?

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Dislessia: quali sono le cause?

MEDICINA ONLINE BAMBINI BIMBI SCUOLA PRIMARIA ELEMENTARE ETA PICCOLI EDUCAZIONE INSEGNANTE DISTURBI SPECIFICI LINGUAGGIO APPRENDIMENTO DSA INTELLIGENZA DISLESSIA DISGRAFIA DISORTOGRAFIA ATTENZIONE DISCALCULIA SCRIVERE ERRORPrima di iniziare la lettura, per meglio comprendere l’argomento, ti consiglio di leggere: Dislessia: cos’è, come riconoscerla, come affrontarla e superarla

I ricercatori hanno cercato di scoprire le basi neurobiologiche della dislessia dei bambini fin dall’identificazione della condizione, avvenuta nel 1881. Ad esempio, alcuni hanno cercato di correlare l’incapacità di vedere chiaramente le lettere, caratteristica comune tra i dislessici, allo sviluppo anormale delle loro cellule nervose visive. Le teorie più moderne sembrano indicare una causa multifattoriale che interessa il sistema nervoso e la genetica.

Il ruolo del cervello

Le moderne tecniche di neuroimaging come la risonanza magnetica funzionale (fMRI) e la tomografia ad emissione di positroni (PET) hanno permesso di fornire una correlazione sia funzionale che strutturale nel cervello dei bambini con difficoltà di lettura.[53] Alcuni dislessici mostrano un’inferiore attività elettrica in alcune parti l’emisfero sinistro del cervello, coinvolte con la lettura, come ad esempio la circonvoluzione frontale inferiore, il lobulo parietale inferiore e la corteccia temporale media e ventrale. Negli ultimi dieci anni, gli studi sull’attivazione cerebrale che utilizzano la PET hanno permesso di compiere notevoli passi avanti nella comprensione della base neurale del linguaggio. Sono state proposte le basi neurali per il lessico visivo e uditivo per le componenti di memoria verbale a breve termine.

La teoria cerebellare

La ricerca scientifica ha fornito dati importanti che indicano il ruolo interattivo del cervelletto e della corteccia cerebrale, così come altre strutture cerebrali. La teoria cerebellare della dislessia propone che la compromissione del movimento muscolare, controllato dal cervelletto, influenza la formazione delle parole che hanno bisogno dei muscoli della lingua e facciali per essere formulate, causando i problemi di scioltezza che sono caratteristici di alcuni dislessici. Il cervelletto è coinvolto anche nella automazione di alcune attività, come la lettura. Il fatto che alcuni bambini dislessici hanno deficit nell’attività motoria e nell’equilibrio menomazioni è stato menzionato come prova per il ruolo del cervelletto nella loro difficoltà di lettura. Tuttavia, la teoria cerebellare non è supportata da studi controllati.

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La teoria genetica

La ricerca di potenziali cause genetiche della dislessia ha le sue radici negli esami autoptici del cervello di persone con la condizione. Le differenze anatomiche osservate nei centri linguistici di tali cervelli includono malformazioni corticali microscopiche conosciute come ectopie o, più raramente, malformazioni microvascolari e delle microcirconvoluzioni. Gli studi suggeriscono che uno sviluppo corticale anormale si verifichi prima o durante il sesto mese di sviluppo del cervello del feto. Sono state, inoltre, segnalate nei dislessici formazioni di cellule anormali nelle strutture cerebrali e sottocorticali non linguistiche. Diversi geni sono stati associati con dislessia, tra cui DCDC2 e KIAA0319 sul cromosoma 6, e DYX1C1 sul cromosoma 15.

Importante ricordare che la dislessia può anche esordire in età adulta come risultato di lesioni cerebrali traumatiche, ictus o demenza.

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Come affrontare la dislessia? Il percorso terapeutico nel bimbo dislessico

Sono più intelligenti gli uomini o le donne Nuovi studi hanno decretato il vincitorePrima di iniziare la lettura, per meglio comprendere l’argomento, ti consiglio di leggere: Dislessia: cos’è, come riconoscerla, come affrontarla e superarla

Ogni percorso terapeutico deve essere personalizzato in relazione: alle caratteristiche psicologiche del soggetto, agli ambiti di competenza, potenzialità e difficoltà riscontrati, ai tempi di attenzione, ai livelli motivazionali e di metacognizione individuati. Le linee guida prevedono due itinerari da portare avanti parallelamente:

  • itinerario relativo alle competenze di base percettivo-motorie e meta-fonologiche;
  • itinerario specifico per la lettura.

Il primo itinerario è finalizzato alla riduzione delle lacune riscontrate nelle capacità di base; il secondo itinerario ha invece lo scopo di promuovere la conquista di capacità di lettura più adeguate. È importante quindi che i due itinerari siano proposti parallelamente e con gradualità, per evitare di rimandare nel tempo la conquista di quelle capacità di lettura che possono gratificare il bambino. Quest’ultimo dovrà essere informato circa il lavoro da svolgere, anzi, egli stesso dovrà conoscere gli obiettivi che, di volta in volta, dovranno essere raggiunti; in questo modo gli sarà possibile essere protagonista e, al tempo stesso, “osservatore” dei propri processi di apprendimento.

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Consulenza alla famiglia
Il lavoro con la famiglia deve integrare il percorso individuale del soggetto dislessico. Gli incontri con la famiglia sono un momento fondamentale nel lavoro con il bambino che presenta difficoltà di apprendimento; attraverso queste sedute si cerca di sostenere sia i genitori sia i figli nel cammino verso la piena comprensione del problema, verso la ricerca condivisa di modalità idonee per affrontarlo, evitando che il problema stesso giunga a pervadere ogni ambito della vita del bambino e crei disagi insormontabili nella sfera affettiva e relazionale. Nelle situazioni di disturbo specifico è in ogni caso importante che questo tipo d’intervento affianchi, ma non sostituisca, il lavoro individuale e personalizzato con il bambino, che deve essere portato avanti da personale preparato e in grado di stabilire adeguati raccordi con la scuola.

Ergonomia del testo
I problemi di dislessia impongono di pensare all’ergonomia del testo scritto. Alcune linee guida possono essere d’aiuto per rendere più agevole la lettura, pur senza risolvere il problema.

  • font tipografico tendenzialmente con caratteri senza grazie (caratteri tipografici che possiedono alle estremità degli allungamenti ortogonali). È importante che, però, siano differenziate almeno la “l” maiuscola e la “l” minuscola. Un carattere senza grazie (ossia senza le sporgenze alle estremità delle aste verticali), come quello in cui è scritto questo testo, è bene usarlo per testi brevi, con una spaziatura del 5-6% tra le lettere, perché nel caso di lettere come le “o” e la “g” lo scuro, verticale, del carattere risulta più vicino alle lettere che precedono e che succedono facendo perdere l’unità della lettera. Un altro problema che già danno i caratteri di larghezza media (meno evidente con quelli più stretti) è che nelle lettere aperte come la “n”, la “m”, la “u” e la “v” il bianco entra nell’area del carattere, disturbando la lettura. È per questo motivo che i libri sono impaginati con caratteri con le grazie, che stancano meno la lettura, nonostante siano meno sintetici, e nel caso di difficoltà di decodifica visiva sono meno indicati nella fase iniziale. Un’altra possibilità che può aiutare approcci difficoltosi è di usare il maiuscoletto al posto delle lettere minuscole, sempre distanziando un poco le lettere tra loro;
  • sconsigliata la frazionatura delle parole andando a capo. È importante che la riga contenga un massimo di settanta battute. Le battute giuste (da cui il termine giustezza della riga) dovrebbero essere circa sessanta, in modo che l’occhio sia facilitato a tornare indietro e il ritmo della respirazione possa accompagnare la lettura;
  • giustificazione solo a sinistra (sbandierato a destra) per tre ragioni principali:
    • equispaziatura delle parole e delle lettere che rende la lettura più lineare e codificabile
    • la sbandieratura a destra permette di avere una forma particolare dell’insieme della pagina che aiuta a evitare la perdita del segno
    • elimina la frazionatura delle parole andando a capo
  • ampia interlinea.

La prognosi, in generale, è positiva per gli individui a cui la condizione viene identificata al più presto durante l’infanzia e ricevono il supporto da amici, familiari e personale specializzato.

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Dislessia: cos’è, come riconoscerla, come affrontarla e superarla

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO CHIRURGO TRISTE TRISTEZZA DEPRESSIONE BAMBINI VETRO TRENO VIAGGIOLa dislessia (anche chiamata “disturbo della lettura“, in inglese: “dyslexia” o “reading disorder”), è una condizione che fa parte dei disturbi specifici dell’apprendimento o DSA. La dislessia è caratterizzata da una certa difficoltà:

  • nella lettura;
  • nella pronuncia delle parole,
  • nella lettura veloce;
  • nella memorizzazione delle definizioni;
  • nella memorizzazione dei termini specifici;
  • nella scrittura a mano;
  • nella copiatura di un testo;
  • nella pronuncia delle parole durante la lettura ad alta voce;
  • nella comprensione di ciò che si legge (testo e numeri).

Chi ne soffre ha solitamente un’intelligenza normale e una buona volontà di apprendere. La dislessia comporta difficoltà di grado lieve, medio o severo; in caso di compromissione totale delle capacità di lettura si parla di alessia (alexia in inglese). La dislessia può essere di tipo fonologico o visivo. Le persone con dislessia hanno frequentemente scarse capacità ortografiche, una caratteristica a volte chiamata disortografia e disgrafia. Non si parla di dislessia quando la difficoltà di lettura è dovuta ad un insegnamento insufficiente o a problemi di udito o di vista.

Dislessia e deficit dell’attenzione

Il disturbo dislessico e la sindrome da deficit di attenzione e iperattività (ADHD), comunemente si verificano insieme: circa il 15% delle persone con dislessia presenta anche ADHD e il 35% coloro con ADHD hanno la dislessia. A tale proposito, leggi anche: Dislessia: le condizioni più frequentemente correlate

Cause di dislessia

La dislessia sembra essere causata da un’inferiore attività elettrica in alcune parti l’emisfero sinistro del cervello, coinvolte con la lettura, come ad esempio la circonvoluzione frontale inferiore, il lobulo parietale inferiore e la corteccia temporale media e ventrale. Diversi geni sono stati associati con la dislessia, tra cui DCDC2 e KIAA0319 sul cromosoma 6, e DYX1C1 sul cromosoma 15. Per approfondire, leggi: Dislessia: quali sono le cause?

Sintomi e segni della dislessia

Non è facile individuare sintomi e segni della dislessia nelle sue prime fasi. Nella prima infanzia, i sintomi che comportano la formulazione di una diagnosi di dislessia comprendono:

  • un’insorgenza ritardata di parola,
  • difficoltà nel distinguere la sinistra dalla destra,
  • difficoltà con la direzione,
  • la mancanza di consapevolezza fonologica,
  • la facilità di essere distratti da un rumore di fondo.

I bambini con dislessia spesso hanno difficoltà di linguaggio nei primi tre anni di vita: può trattarsi di bambini che hanno imparato a parlare verso i due anni, altre volte invece hanno imparato verso l’anno ma poi il loro linguaggio è rimasto povero, oppure non hanno mai pronunciato bene le parole, o hanno continuato ad usare frasi costruite in modo non del tutto corretto. L’inversione delle lettere o delle parole e la scrittura specchio sono comportamenti che a volte si riscontrano nelle persone con dislessia, ma non sono considerati caratteristiche proprie del disturbo. I bambini in età scolare con dislessia possono mostrare segni di difficoltà nell’individuare o generare parole in rima o contare il numero di sillabe; entrambe le capacità dipendono dalla consapevolezza fonologica. Essi possono anche mostrare difficoltà nel segmentare le parole in singoli suoni o fondere suoni nella produzione di parole, indicando una ridotta consapevolezza fonemica. Anche la difficoltà nel nominare gli oggetti o ricercare la parola giusta è una caratteristica correlata con la dislessia. Per approfondire, leggi anche: Dislessia: i problemi più diffusi nella decodifica del testo e ripercussioni su scrittura ed apprendimento

Ripercussioni sul bambino

La dislessia può avere un impatto fortemente negativo sul bambino, a tal proposito approfondisci con: Il disagio psicologico nel bambino con dislessia

Diagnosi nel bambino dislessico

La dislessia viene diagnosticata attraverso una serie di test di memoria, di ortografia, di visione e di capacità di lettura.

Quando il bambino dislessico cresce

I problemi persistono nell’adolescenza e nell’età adulta e possono accompagnarsi con difficoltà nel riassumere storie, nella memorizzazione, nella lettura ad alta voce o nell’apprendimento delle lingue straniere. Gli adulti con dislessia spesso sono in grado di leggere con una buona comprensione del testo, anche se tendono a farlo più lentamente di altri, senza tuttavia presentare una difficoltà di apprendimento e hanno prestazioni peggiori nei test di ortografia o durante la lettura di parole senza senso – una misura della consapevolezza fonologica. Un mito comune circa la dislessia è che la sua caratteristica distintiva è nella lettura o nella scrittura di lettere o parole al contrario, ma questo è vero per molti bambini che imparano a leggere e scrivere.

Come affrontare la dislessia?

A tale proposito leggi:

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Medico Chirurgo
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Leggere male a tuo figlio influenza lo sviluppo del suo cervello

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma LEGGERE MALE FIGLIO SVILUPPO CERVELLO Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgLeggere una storia ai propri figli è un’abitudine molto diffusa ed importante che potenzia lo sviluppo del bambino, anche se i neuroscienziati avvertono che staremmo sprecando una buona opportunità, perché, a quanto pare, non lo stiamo facendo correttamente.
Infatti, la maggior parte dei genitori legge ai figli la notte prima che si addormentino, per conciliare velocemente il sonno. Così il racconto prima di addormentarsi si trasforma in una routine il cui obiettivo principale è quello di rilassare il bambino. Altri genitori sono più attenti e si preoccupano che la lettura migliori le competenze linguistiche dei bambini o consolidi determinati valori.
Ma i neuroscienziati affermano che leggere libri ai bambini, senza fare pause o promuovere la riflessione, è come guardare un film. In pratica, i bambini vengono attratti nella trama e sono così ansiosi di arrivare alla fine per scoprire come termina la storia che si perdono i dettagli più importanti, o almeno si lasciano sfuggire le maggiori opportunità di crescita. La buona notizia è che i genitori possono rimediare a questo “errore” cambiando semplicemente il modo di leggere.

La lettura cambia il cervello del bambino
Uno studio condotto da psicologi della Princeton University ha scoperto che quando leggiamo un romanzo sviluppiamo un atteggiamento più empatico e comprendiamo meglio gli stati mentali degli altri. Questo perché i romanzi catturano la nostra attenzione e, attraverso la trama, ci coinvolgono nei pensieri e le emozioni dei personaggi, aiutandoci a metterci nei panni degli altri.
Un altro studio condotto presso la Emory University ha fatto un passo ulteriore scoprendo che gli effetti della lettura sul cervello non sono effimeri, ma si mantengono nel tempo. Secondo questi neuroscienziati, leggere un buon romanzo è come ricevere un dolce ma potente “massaggio”, direttamente nel cervello. E la cosa più interessante è che questi cambiamenti persistono anche cinque giorni dopo aver terminato la lettura, indicando che gli effetti della lettura non terminano quando chiudiamo il libro.
Ovviamente, la maggior parte dei libri per bambini non sono così profondi e ricchi di dettagli, ma in generale tutti i racconti infantili possono essere utilizzati per favorire l’empatia e sviluppare il processo decisionale. In effetti, uno studio condotto presso l’Ospedale di Cincinnati con bambini tra 3 e 5 anni d’età, ha rivelato che il cervello dei piccoli ai quali i genitori solevano leggere, mostrava una maggiore attività in risposta alla lettura nei settori connessi alla comprensione narrativa e le immagini visive.
Il segreto per ottenere che la lettura potenzi ulteriormente l’apprendimento e lo sviluppo del cervello infantile è molto semplice: leggere facendo delle pause.

Enfatizzare i conflitti migliora l’apprendimento
Secondo i neuroscienziati, la chiave perché i bambini ottengano il massimo beneficio dalla maggior parte dei libri è che i genitori siano in grado di evidenziare i conflitti che si presentano nella trama, esattamente l’opposto di ciò che gli adulti fanno di solito.
Infatti, spesso sorvoliamo velocemente i conflitti che si presentano nei libri, leggiamo rapidamente per arrivare alla fine, che in genere è: “e vissero tutti felici e contenti”. Ma in realtà, dovremmo proprio fare una pausa quando nella trama si presentano delle situazioni conflittuali e chiedere al bambino cosa farebbe al posto dei protagonisti della vicenda.
A questo proposito, gli studi hanno dimostrato che quando stiamo imparando e dobbiamo prendere una decisione, ricordiamo meglio. Ciò che avviene in questi casi è che il cervello inizia a funzionare nel suo complesso. Quando il bambino ascolta il racconto che gli leggono i genitori assume un ruolo passivo. Tuttavia, quando partecipa attivamente e prende decisioni circa il corso degli eventi si attivano diverse aree cerebrali che facilitano ulteriormente l’apprendimento.
Ed è proprio questo momento di riflessione che permette un apprendimento più olistico, che lascia tracce profonde nel cervello del bambino. Infatti, spesso la parte più interessante del racconto si verifica proprio quando i genitori chiudono il libro e il bambino riflette su ciò che ha sentito. Per questo si dice che i libri migliori sono quelli che fanno pensare quando la storia è finita.

Un momento per la trama e un’altro per l’ apprendimento
È importante che genitori e insegnanti comprendano che l’obiettivo della lettura non è semplicemente che i bambini imparino parole nuove o sviluppino l’amore per la lettura, ma generare esperienze più intense dal punto di vista intellettuale che favoriscano anche lo sviluppo delle funzioni cognitive. Inoltre, questa forma di lettura stimola anche l’empatia, dato che motiva il bambino a mettersi al posto dei personaggi, “buoni” o “cattivi”, contribuendo a sviluppare la “Teoria della Mente”. Inoltre, trovarsi di fronte a un dilemma morale è anche un potente strumento per trasmettere dei valori.
Naturalmente, non è necessario fare una pausa per riflettere ogni volta che leggiamo loro una storia, perché è anche importante che i bambini godano della magia della trama e si lascino trasportare dagli eventi. Tuttavia, è importante che genitori e insegnanti siano consapevoli del fatto che la lettura veloce non permette di ottenere il massimo beneficio da quei libri speciali che contengono lezioni di vita in attesa di essere scoperte.

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I 21 segni che indicano che sei intelligente

Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Studio Roma 21 SEGNI INDICANO INTELLIGENTE  Viso Mani Ecografia Mammella Tumore Seno Articolare Spalla Vascolare Traumatologo  Spalla Medicina Estetica Cellulite Cavitazione Grasso Radiofrequenza Pene THSAlcune ricerche scientifiche fatte in varie università del mondo, sembrano confermare che ci sono alcuni comportamenti, segni e caratteristiche fisiche che sembrano essere associati all’intelligenza. Alcuni, come l’aver imparato a leggere presto, sono piuttosto scontati, ma altri – vi assicuro – vi sconvolgeranno! Se volete sapere se voi, il vostro partner, i vostri figli o i vostri amici rientrano nella categoria delle persone con più alto quoziente intellettivo, leggete i prossimi 21 punti e controllate quali appartengono alla persona interessata.

1) Leggere prima degli altri. Le persone intelligenti sono quelle che in media hanno imparato a leggere prima dell’età scolare o comunque velocemente e facilmente. Nel 2012, a supporto di questa analisi, un gruppo di ricercatori ha esaminato quasi 2.000 coppie di gemelli identici nel Regno Unito e ha scoperto che il fratello che aveva imparato a leggere prima tendeva ad un punteggio più alto nei test sulle abilità cognitive.

2) Prendere lezioni di musica. Una gran quantità di ricerche scientifiche, confermano che saper suonare uno strumento musicale, specie fin da giovani, sia legato ad una maggiore intelligenza. Chi suona uno strumento musicale in tenera età, ha un cervello che si svilupperà meglio e più precocemente.

3) Essere fratelli maggiori. Secondo la scienza, sembrerebbe che i fratelli maggiori siano effettivamente in genere anche quelli più intelligenti.

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4) Essere magri. Uno studio del 2016 ha affermato che più grande è la circonferenza addominale, minore sarà la capacità cognitiva.

5) Avere un gatto. Una ricerca del 2014 afferma che le persone che possiedono un gatto sono più intelligenti della media, inoltre le persone “da gatto” sarebbero più sveglie delle persone “da cane”.

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6) Essere stati allattati al seno. L’allattamento al seno sembra essere determinante per l’intelligenza futura. Almeno secondo quanto affermato da due studi condotti in Gran Bretagna a Nuova Zelanda.

7) Fare uso di droghe leggere. La scienza afferma che un alto quoziente intellettivo è mediamente legato all’adozione di comportamenti potenzialmente dannosi per la salute, tra cui l’uso di droghe leggere.

8) Bere alcolici regolarmente. Per il consumo degli alcolici vale lo stesso discorso fatto per le droghe leggere.

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9) Essere mancini. Il mancinismo è generalmente associato con istinti potenzialmente criminali, ma può anche indicare un pensiero fuori dalla norma e dai soliti schemi. Ecco perché è segno di intelligenza.

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10) Essere alti. E’ il risultato di un’indagine condotta nel 2008 a Princeton: le persone più alte sono anche quelle mediamente più intelligenti.

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11) Essere politicamente liberali. Anche essere politicamente liberali è segno di intelligenza, mentre invece essere “di destra” sembra essere collegato ad un minore quoziente intellettivo, almeno secondo la scienza.

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12) Essere ansiosi. Un numero crescente di ricerche suggerisce che gli individui più ansiosi possono essere anche i più intelligenti.

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13) Essere simpatici. Le persone divertenti e con senso dell’umorismo sono anche più intelligenti della media.

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14) Essere donna. Mi dispiace per i colleghi maschi, ma la scienza sembra confermare che le donne siano mediamente più intelligenti di noi.

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15) Essere atei. Uno studio del dipartimento di analisi dell’Università di Rochester di New York pubblicato sul sito del noto quotidiano The Independent e dedicato alla relazione tra il cervello umano e l’esistenza di Dio. I risultati dello studio infatti dicono che gli atei sono più intelligenti di chi ha una qualche fede religiosa.

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16) Essere del nord Italia. Uno studio del prof. Richard Lynn, docente emerito di psicologia all’università dell’Ulster a Coleraine, in Irlanda del Nord, afferma che le persone del nord dell’Italia sono più intelligenti delle persone del sud Italia.

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17) Giocare ai videogiochi. Una ricerca, pubblicata su Nature dal Max Planck Institute for Human Development, afferma che tanto più si gioca con i videogiochi tanto più il cervello diventa “forte”. Lo studio ha dimostrato che la materia grigia migliora grazie all’attività continua con i videogiochi.

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18) Mangiare bene. Una smisurata lista di studi scientifici conferma che mangiare bene, tiene in forma il nostro cervello e ci rende più reattivi intellettivamente.

Leggi anche: I trenta cibi che ringiovaniscono il tuo cervello ed anche: Mangiare al McDonald’s ti rende più stupido

19) Usare poco lo smartphone. Varie ricerche confermano che usare troppo il cellulare, può peggiorare la nostra intelligenza.

Leggi anche: Se usi troppo lo smartphone rischi la demenza digitale e anche: Videogiochi e applicazioni per smartphone possono causare ritardo mentale

20) Fare attività fisica. Uno studio, pubblicato sulla rivista Stem Cells, conferma che la corsa è in grado di rallentare moltissimo il processo di invecchiamento cerebrale e di stimolare la produzione di nuove cellule staminali, che migliorano le capacità mnemoniche.

21) Dormire in modo adeguato. I risultati di una ricerca condotta da un team di ricercatori della School of Medicine dell’Università della Pennsylvania, che ha condotto uno studio sugli effetti della deprivazione del sonno sui topi, parlano chiaro: dormire troppo poco provoca la morte delle cellule cerebrali.

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Non avete nessun segno distintivo di alto quoziente intellettivo? Non vi preoccupate, perché la scienza rimette – come al solito – tutto in discussione! Leggete questo articolo: Il quoziente intellettivo? Un mito da sfatare

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Un semplice blog…

Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Ecografia Vascolare Articolare Medicina Estetica Mappatura Nei Flebologo Dietologo Roma SEMPLICE BLOG Anoressia Ragazza Radiofrequenza Rughe Cavitazione Cellulite Pressoterapia Linfodrenante DermatologiaMolti lo considerano un semplice blog, ma per me – e non solo per me – è molto di più e questo messaggio che ho ricevuto su Facebook ne è la prova.

“Grazie mille” lo dico io a te cara lettrice, perché la tua testimonianza mi ha reso la persona più felice del mondo! Continua così e… non mollare!

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Potenzia il tuo cervello e batti l’Alzheimer con libri, cruciverba ed una chitarra

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La cultura tiene in vita il nostro cervello

Secondo uno studio pubblicato su Human Brain Mapping dai ricercatori italiani della Fondazione Santa Lucia di Roma, un aiuto per un cervello in forma arriva da cultura, libri e anni di istruzione, che rappresenterebbero il «mix» vincente per tenere il più lontano possibile l’invecchiamento cerebrale e le malattie neurodegenerative. Diretto da Fabrizio Piras e coordinato da Gianfranco Spalletta – responsabile del Laboratorio di Neuropsichiatria – e da Carlo Caltagirone – direttore scientifico della Fondazione – lo studio ha visto coinvolti 150 soggetti sani tra i 18 e i 65 anni sottoposti a una nuova tecnologia di risonanza magnetica in grado di misurare le variazioni strutturali dei tessuti cerebrali: «Per la prima volta siamo riusciti a determinare il luogo all’interno del cervello in cui una più ricca attività mentale avvia dei meccanismi protettivi nei confronti della neurodegenerazione», spiega Spalletta. Dai risultati è anche emersa una correlazione tra gli anni di istruzione scolastica e il movimento delle molecole d’acqua all’interno del cervello, indice qualitativo – spiegano gli autori dello studio – della struttura cerebrale.

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Suonare la chitarra (ma va bene anche un qualsiasi altro strumento musicale!)

Suonare uno strumento musicale tiene allenato il nostro cervello. Io parteggio per la chitarra, ma solo perchè è il principale strumento che suono fin da piccolo e di cui sono molto appassionato, ma in verità va bene anche qualsiasi altro strumento! Molti studi confermano questa tesi, ad esempio ho apprezzato molto questo interessante articolo della ricercatrice canadese Krista Hyde, in cui viene riportato uno studio fatto su 15 bambini “musicisti” e 16 bambini del gruppo di controllo. All’inizio dello studio tutti i bambini, di circa 6 anni, ignari di qualsiasi nozione musicale, sono stati invitati a una sessione di risonanza magnetica. Poi, per 15 mesi i bambini del gruppo dei “musicisti” hanno seguito lezioni settimanali di pianoforte. Alla fine di questo periodo, tutti i bambini sono stati nuovamente invitati a fare la risonanza. Hyde e colleghi hanno utilizzato una nuova tecnica, chiamata Deformation Based Morphometry, che permette di studiare le deformazioni in grandezza o forma dei voxel, le unità di misura delle immagini di risonanza, estrapolando così i cambiamenti cerebrali non legati al normale sviluppo evolutivo del bambino. I risultati delle risonanze dei “musicisti” mostrano l’ingrandimento della corteccia motoria primaria destra, responsabile del controllo dei movimenti della mano sinistra, del corpo calloso, cioè le fibre nervose che connettono un emisfero all’altro, e della corteccia uditiva primaria destra, responsabile dell’elaborazione dei suoni musicali. Questi cambiamenti nel cervello corrispondono all’abilità di esecuzioni di compiti motori (per la corteccia motoria e il corpo calloso) e musicali (per la corteccia uditiva). L’aspetto che trovo più sorprendente in questa ricerca è la plasticità del nostro cervello dopo solo 15 mesi di lezioni di musica!

Parole crociate e sudoku

Il segreto per mantenere il più a lungo possibile il cervello giovane? È allenarlo sin da giovani. A spiegarlo i ricercatori dell’Università di Berkeley (Usa) in uno studio pubblicato su Archives of Neurology: per portare avanti la loro ricerca hanno intervistato 65 anziani sulle loro abitudini, nel corso della vita, alla lettura, alla scrittura e ai giochi che impegnano la mente come parole crociate, sudoku e brain games elettronici. Ognuno dei partecipanti è stato poi sottoposto a una risonanza magnetica al cervello per valutare la presenza della proteina amiloide, i cui accumuli sono tra i responsabili dello sviluppo della malattia d’Alzheimer. Ed è emerso che tanto più i soggetti manifestavano una maggiore attività cerebrale, tanto più il livello degli accumuli della proteina era basso: «I nostri dati suggeriscono che una vita trascorsa a impegnarsi in queste attività ha un effetto cruciale nel mantenersi cognitivamente attivi in età avanzata», spiega Susan Landau, una degli autori dello studio. Nel dubbio, quindi, passare del tempo con le parole crociate non guasta.

«Esercitarsi con le parole crociate, anche per poco tempo al giorno, mette in gioco le funzioni cognitive superiori: pensiero astratto, attenzione, nessi logici, memoria», dice lo psichiatra Pietro Pietrini, direttore del dipartimento di medicina di laboratorio dell’Azienda ospedaliero universitaria Santa Chiara di Pisa. Gli inglesi sintetizzano con l’espressione “use it or lose it”: «Gli studi di risonanza magnetica hanno mostrato che si attivano parti distinte del cervello, che dialogano tra loro per portare a termine compiti come quelli richiesti dal cruciverba».
Ogni volta che si prova a completare uno schema si favorisce la formazione di nuovi contatti tra i neuroni (sinapsi) e dunque si mantiene il cervello più giovane. Conferma Petrini: «Esperimenti e misurazioni eseguite tramite la Pet (tomografia a emissione di positroni) mostrano che, a pari età, il decadimento cognitivo tra i malati di Alzheimer è più lento in quelle persone che hanno tenuto in esercizio l’intelletto».

Internet fa la sua parte

Sono soprattutto i motori di ricerca ad aiutare i neuroni a rimanere «scattanti»: da una ricerca della University of California di Los Angeles (UCLA) coordinata da Gary Small è emerso che cercare informazioni e curiosità su browser come Google consente di allenare in una sola azione la memoria (del termine da cercare), l’elasticità (nella scelta delle parole chiave da inserire) e il ragionamento (tramite la comprensione e l’analisi dei risultati ottenuti), e aiuterebbe il cervello a mantenersi giovane rallentando l’insorgenza della demenza. Il segreto è nella continua stimolazione dei neuroni e delle connessioni cerebrali che l`esercizio mentale di ricerca sui browser in internet garantirebbe.

L’importanza della dieta

Secondo i ricercatori dell’Oregon Health & Science University di Portland (Usa) una certa dieta può aiutare ad allontanare il deterioramento cognitivo, mentre certi cibi possono accelerarne l’insorgenza. Lo studio, pubblicato su Neurology, ha messo in evidenza che le persone a rischio di declino cognitivo che seguono una dieta a base di pesce, frutta e verdura, e quindi ad alto contenuto di vitamine C, D ed E e di acidi grassi omega3, ottengono punteggi più alti nei test cognitivi e risultano più protette dal declino rispetto a coloro che, invece, consumano molti grassi trans – presenti nei cibi confezionati, nei prodotti da fast food, nelle fritture, nei piatti pronti e nella margarina.
Il ruolo della vitamina B12 come «carburante per il cervello» è stato invece messo in evidenza da uno studio pubblicato sull’American Journal of Clinical Nutrition dai ricercatori dell`Università di Oxford (Regno Unito), secondo cui la vitamina B12 preserva dal restringimento cerebrale e dal declino cognitivo che da questo consegue. In particolare a fare la differenza sarebbe l’assunzione di latte: gli studiosi hanno infatti rilevato che ben il 55% della vitamina contenuta in questo alimento entra nel flusso sanguigno. Il pesce rappresenta invece la seconda fonte della vitamina, mentre al terzo posto si attestano i prodotti lattiero-caseari.

L’immancabile contributo dell’attività fisica

Un po’ di movimento non guasta mai – Un po’ di moto quotidiano non serve solo a mantenersi in linea e a preservarsi dal rischio cardiovascolare: uno studio condotto dal Beckam Institute dell’Università dell’Illinois (Usa) mostra, infatti, come l`esercizio aerobico contribuisca a rallentare il processo di invecchiamento delle cellule cerebrali. La ricerca, pubblicata sulla rivista British Journal of Sports Medicine, ha esplorato le potenzialità dell’attività fisica sui neuroni mostrando che l’attività fisica quotidiana eseguita costantemente contribuisce effettivamente a migliorare il funzionamento dei cervelli più anziani. «La nostra ricerca illustra l`effetto benefico di un moderato esercizio fisico sulle funzioni cerebrali – spiega Art Kramer, neuropsichiatra esperto in scienze cognitive e autore dello studio -. La ginnastica quotidiana migliora l’afflusso di sangue al cervello ed è in grado di bloccare l’invecchiamento neuronale che si riscontra tra gli anziani».

Spegni facebook e vediti coi tuoi amici

Fare uno sforzo per restare in contatto e trascorrere del tempo con altre persone, di persona piuttosto che virtualmente. La ricerca mostra che l’isolamento e la solitudine aumentano il rischio di sviluppare demenza.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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