Morto a 91 anni Mikhail Gorbaciov, l’ultimo leader dell’Unione Sovietica

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO CHIRURGO Mikhail Gorbaciov Prima Ora Before AfterMikhail Gorbaciov è deceduto ieri 30 agosto 2022 dopo una “grave e lunga malattia”. Fu il più Continua a leggere

“I neri meno intelligenti dei bianchi: lo dice il DNA”. James Watson rischia ritiro del Nobel

MEDICINA ONLINE I neri meno intelligenti dei bianchi lo dice il DNA. James Watson rischia ritiro del Nobel razzismo medicina.jpgUn Premio Nobel nella bufera, e non si tratta di un premio Nobel “qualsiasi”, bensì di James Watson, il famoso biologo Continua a leggere

Bertrand Russell: “Perché non sono cristiano”, la sua teiera ed il rasoio

MEDICINA ONLINE Bertrand Russell Perché non sono cristiano ATEISMO ATEO RELIGIONE AGNOSTICO TEIERA DI RUSSEL Russell's teapot Rasoio di Occam DIO DIVINITA SPAZIO METAFORA TE THE MARTE TERRA.jpgBertrand Arthur William Russell (nato a Trellech il 18 maggio 1872 e deceduto a 97 anni a Penrhyndeudraeth, il 2 febbraio 1970) è stato un filosofo, logico, matematico ed attivista gallese; famoso ed autorevole esponente del movimento pacifista e un divulgatore della filosofia specie delle correnti filosofiche del razionalismo, dell’antiteismo e del neopositivismo. Nel 1950, Russell fu insignito del Premio Nobel per la letteratura “quale riconoscimento ai suoi vari e significativi scritti nei quali egli si leva in alto a campione degli ideali umanitari e della libertà di pensiero“.

Io sono un ateo o un agnostico?

Bertrand Russell si dichiarava pubblicamente agnostico e ateo e a sua attitudine verso il Dio cristiano era identica a quella verso gli dei dell’antica Grecia: persuaso della mancanza di prove dell’esistenza di entrambi, con il celebre paragone della teiera celestiale egli mostra come si possa inculcare nella mente delle persone qualcosa che si voglia far passare per “verità”. Sostiene inoltre che affermare l’esistenza di qualcosa che non è dimostrabile è normalmente vista come un’affermazione probabilmente falsa, a meno che quel qualcosa non venga affermata in libri antichi, insegnata ogni domenica come la sacra verità ed instillata nelle menti dei bambini a scuola: in quel caso anche qualcosa di oggettivamente assurdo (come l’esistenza di angeli, paradiso, diavoli con forconi e donne incinte vergini) diventerebbe plausibile e realistica, perfino l’esistenza di una “teiera” in orbita nello spazio.

Pedobattesimo

Nelle idee del grande filosofo trova terreno fertile una domanda (retorica) che mi sono sempre fatto: perché fare il battesimo ad una persona proprio quando è neonato? La risposta della religione cattolica è che l’acqua santa cancella il peccato originale che tutti abbiamo fin dalla nascita, ma un’altra risposta – più onesta – potrebbe ricercare nel “pedobattesimo”, una occasione per far iniziare al bimbo – che ancora non può decidere autonomamente – un percorso di un vero e proprio lavaggio del cervello che lo porterà, da adulto, a credere in storie totalmente irrazionali ed inventate da altri per controllare la sua vita. Queste ed altre posizioni di Russell furono oggetto di forti critiche e di pesanti ostracismi per tutto lo scorso secolo. Famoso, ad esempio, è il caso dell’incarico al City College di New York che destò l’avversione dei clericali del tempo e che diede inizio ad alcune ripercussioni. I suoi pensieri a riguardo sono spiegati nei saggi Io sono un ateo o un agnostico? e Perché non sono cristiano.

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La teiera di Russell

La “teiera” a cui facevamo riferimento prima, chiamata anche “teiera celeste”, è una metafora ideata da Russell per confutare l’idea che spetti allo scettico, e non a chi le propone, l’onere della prova in merito ad affermazioni non falsificabili, in particolare in campo religioso. In un articolo intitolato “Is There a God?” (“Esiste un Dio?”), commissionato (ma mai pubblicato) dal magazine Illustrated nel 1952, Russell a tal proposito scrive:

«Se io sostenessi che tra la Terra e Marte ci fosse una teiera di porcellana in rivoluzione attorno al Sole su un’orbita ellittica, nessuno potrebbe contraddire la mia ipotesi purché io avessi la cura di aggiungere che la teiera è troppo piccola per essere rivelata persino dal più potente dei nostri telescopi. Ma se io dicessi che, giacché la mia asserzione non può essere smentita, dubitarne sarebbe un’intollerabile presunzione da parte della ragione umana, si penserebbe giustamente che stia dicendo fesserie. Se però l’esistenza di una tale teiera venisse affermata in libri antichi, insegnata ogni domenica come la sacra verità e instillata nelle menti dei bambini a scuola, l’esitazione nel credere alla sua esistenza diverrebbe un segno di eccentricità e porterebbe il dubbioso all’attenzione dello psichiatra in un’età illuminata o dell’Inquisitore in un tempo antecedente.»

Nel suo libro Il cappellano del Diavolo, il biologo  e ricercatore Richard Dawkins sviluppa ulteriormente il tema:

«Il motivo per cui la religione organizzata merita ostilità aperta è che, a differenza della fede nella teiera di Russell, la religione è potente, influente, esente da imposte e inculcata sistematicamente in bambini troppo giovani per difendersi da sé. Niente obbliga i bambini a trascorrere i propri anni formativi memorizzando folli libri che parlano di teiere. Le scuole sovvenzionate dal governo non escludono bambini i cui genitori preferiscono teiere di forma sbagliata. I credenti nella teiera non lapidano i non credenti nella teiera, gli apostati della teiera, i blasfemi della teiera. Le madri non mettono in guardia i loro figli dallo sposarsi coi pagani, i cui genitori credono in tre teiere invece che in una. Le persone che versano prima il latte non gambizzano quelle che mettono prima il tè.»

L’argomento di Dawkins è analogo a quello di John Locke, il quale, con riferimento alle pratiche autoritarie del Cattolicesimo a lui contemporaneo, asserì che “I papisti non devono godere del beneficio della tolleranza, perché, dove hanno il potere, si ritengono obbligati a negare la tolleranza agli altri”. Concetti simili alla teiera di Russell sono quello dell’Invisibile Unicorno Rosa, del Pastafarianesimo, e Un drago nel mio garage.

Rasoio di Occam: la teoria più semplice è probabilmente quella giusta

Il chimico Peter Atkins ha sostenuto che il punto dell’argomento della teiera di Russell è che non vi è alcun onere di confutare affermazioni inverificabili, sia che si sostenga una tesi o la sua negazione. Il rasoio di Occam suggerisce che la teoria preferibile sia quella con un minor numero di pretese esistenziali (ad esempio un universo senza esseri soprannaturali), così come dovrebbe essere il punto di partenza di questa discussione, piuttosto che una teoria più complessa. Atkins nota però che questo argomento non coinvolge direttamente la religione, perché, a differenza dell’evidenza scientifica, le evidenze religiose si considerano esperite attraverso la rivelazione personale che non può essere oggettivamente verificata o condivisa. Infatti l’argomento di Russell, formalmente, non è un’istanza di un argomentum ad ignorantiam invertito, ovvero non significa che non avere prove che qualcosa esista o sia vero implica che non esista o sia falso. Il significato logico è che, piuttosto, in ogni caso del genere in cui vi sono asserti senza evidenze logiche o sperimentali, non si può asserire la verità di un argomento dal fatto che sia impossibile confutarlo. Perciò Russell poteva argomentare che l’ateismo, come l’agnosticismo, fossero logicamente validi e che per lui non ci fossero ragioni sufficienti per credere in una religione, ovvero nell’esistenza di un essere la cui stessa esistenza non può essere provata sperimentalmente (sebbene non sia nemmeno contraddittorio crederlo, però non vi sono ragioni sufficienti, genericamente, per farlo).

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
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Janet Frame: quando l’arte ti salva dalla lobotomia

MEDICINA ONLINE JANET FRAME DUNEDIN NUOVA ZELANDA PREMIO NOBEL LETTERATURA SCRITTRICE NEOZELANDESE UN ANGELO ALLA MIA TAVOLA JANE CAMPION.jpgLa vita di Janet Frame è una bellissima storia di rinascita, che in pochi conoscono, ma che merita di essere ricordata. Due volte è stata proposta per il premio Nobel, è la scrittrice neozelandese più nota insieme a Katherine Mansfield. In Italia non la stampiamo e non la leggiamo più, chi l’ha letta e amata continua ad amarla, ma le nuove generazioni non avranno questa grande occasione.

Janet Frame nasce a Dunedin in Nuova Zelanda il 28 agosto 1924 in una famiglia molto povera, il padre lavora nella ferrovia e spesso la famiglia sposta la propria residenza seguendo la costruzione della rete ferroviaria: tutte le case in cui vive sono piccole baracche desolate in mezzo al verde, baracche che la madre ogni volta rende un luogo di fantasia con accorgimenti poveri ma fiabeschi. Janet è la più piccola dopo un fratello epilettico e tre sorelle; le quattro sorelle dormono insieme in un unico letto.

Una persona introversa

Il primo oggetto che caratterizza la vita (e la successiva narrativa) della Frame è la “corda”, quella che le compagne di scuola girano per saltarci dentro durante l’intervallo. L’insicura Janet passa gli anni della scuola primaria sperando di non esser chiamata a saltare ma solo di poter tenere la corda e girarla affinché le altre ci saltino dentro. La corda è un oggetto che riverbera tutta l’infanzia della protagonista: povera, molto povera, piena di tic, diversa, sporca, spesso additata dalla maestra come “quella sporca”, con una unica gonna, eredità di famiglia, indossata per anni, grassottella, riccissima, rossa di capelli, col viso colmo di efelidi, con un fratello maggiore con frequenti crisi epilettiche a scuola. Janet è una ragazzina che vive in solitudine e che sogna di esser accolta dai suoi compagnucci: in fondo al suo animo lei sogna di girare quella corda ma nessuno mai la inviterà a farlo. Fino a quando una compagna di scuola si avvicina a lei e le presta un libro, e “libro” diventa la seconda cosa della realtà con un profondo significato. Sono le Favole dei Fratelli Grimm che aprono una nuova prospettiva di vita a Janet: quella della lettura, dell’esperienza attraverso la lettura, della fantasia ma soprattutto la strada per ritrovare la sua vita dentro la letteratura.

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La presunta schizofrenia

Riuscì a diplomarsi come insegnante ma successivamente non fu considerata “normale” e idonea all’insegnamento. Le venne fatta una diagnosi di schizofrenia e fu internata per otto anni in manicomio dove fu sottoposta a circa 200 (alcuni parlano addirittura di 400) trattamenti di elettro-shock. I medici dell’Istituto per Malattie Mentali nel quale fu rinchiusa volevano lobotomizzarla, cioè farle una operazione invasiva al cervello che consisteva nel recidere le connessioni della corteccia prefrontale dell’encefalo e nell’asportazione di parti di esso, col risultato di un cambiamento radicale della personalità del paziente. Per fortuna la lobotomia non venne effettuata e solo in seguito si scoprirà che la diagnosi di schizofrenia era totalmente sbagliata: Janet non era schizofrenica, era solo una persona molto sensibile ed introversa che le persone e gli eventi avevano reso triste e malinconica. Questa diagnosi sbagliata – tuttavia – segnò la sua vita in modo indelebile, anche dal punto di vista lavorativo, dal momento che nessuno voleva assumerla a causa di questo “marchio”.

Il successo dei suoi racconti

Janet riuscì a liberarsi da questa difficile situazione anche grazie alla pubblicazione di alcuni suoi libri, che ottennero velocemente un grande successo in tutto il mondo, che le portarono molti riconoscimenti dal mondo letterario. Janet divenne rapidamente famosa e la sua storia fonte di riflessione e di ispirazione per milioni di persone. Janet morì a Dunedin (la sua città natale) il 29 gennaio 2004, di leucemia, dopo essere stata candidata due volte al premio Nobel per la letteratura, l’ultima nel 2003. Il periodo negli istituti mentali è narrato dalla Frame nel libro Un angelo alla mia tavola, che la regista Jane Campion, anch’essa neozelandese, nel 1990 ha trasformato nell’omonimo – bellissimo film, che vi consiglio di vedere.

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Dario Fo è morto

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Dario Fo abbraccia sua moglie Franca Rame

Dario Fo è venuto a mancare questa mattina. Attore sommo, drammaturgo, regista, scenografo, impresario, scrittore e pittore. Il premio Nobel per la letteratura è morto a 90 anni e sette mesi per problemi polmonari; era ricoverato da due settimane all’ospedale Sacco di Milano. Un’esistenza lunga e fortunata. «Esageratamente fortunata», ripeteva lui che a differenza di quelli mai contenti sapeva dire grazie alla sorte. Nato a Sangiano in provincia di Varese il 24 marzo 1926, il Maestro nella sua vita straordinaria è stato amato, ma anche odiato, da tantissime persone a causa delle sue idee politiche e religiose. A prescindere da come la pensiate su Dario Fo – l’uomo che “dileggia il potere restituendo dignità agli oppressi” – non potete negare il lustro che ha regalato all’Italia grazie al premio Nobel per la letteratura conquistato nel 1997.

Se mi capitasse qualcosa, dite che ho fatto di tutto per campare

Ciao Dario, grazie di tutto e… buon viaggio!

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Donne italiane di cui andare orgogliosi

Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo DONNE ITALIANE ANDARE ORGOGLIOSI Scienza Scienziate Fisica Nobel Chimica Ricerca Medicina Estetica Roma Cavitazione Linfodrenante Dietologo Cellulite Calorie Pancia Sessuologia Pene Laser Filler RugheSi distinguono nei vari campi della ricerca scientifica, dalla fisica alla chimica. Il loro lavoro aiuta a farci guarire dal cancro o a farci comprendere meglio la patogenesi dell’Alzheimer. Sono premi Nobel; sono state le prime al mondo a laurearsi nonostante la donna fosse considerata come immeritevole ed incapace di studi superiori. Vincono selezioni dove meno di uno su mille ce la fa; da astronaute portano la bandiera italiana tra le stelle. Sono tra le prime cinque persone al mondo più influenti; conoscono sette lingue. Scrivono trattati di matematica usati in tutti il mondo; indagano le galassie. Scoprono malattie del sangue e individuano molecole capaci di bloccare la proliferazione delle cellule tumorali. Dirigono laboratori di ricerca all’avanguardia e progetti presso il CERN.

E lo fanno quasi sempre stando lontane da casa, dalla famiglia, in Svizzera, in Germania, negli Stati Uniti, perché qui in Italia al posto loro ci sarebbe la segnalata-incapace-belloccia di turno.

E primeggiano nel mondo senza aver bisogno di quote rosa, semplicemente perché sono più in gamba dei loro colleghi maschi, contando solo sulle loro capacità, superando ogni pregiudizio di genere.

Perché le donne italiane non sono tutte Nicole Minetti, Sara Tommasi o Raffaella Fico.

Perché non c’è bisogno che sia l’8 marzo per “ricordarsi” delle donne.

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Il Nobel per la medicina a tre biologi per il sistema di trasporto delle cellule, con un pizzico di Italia

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO LABORATORIO MICROSCOPIO (2)Possono essere considerati gli esploratori delle cellule, i tre vincitori del Nobel per la Medicina 2013. Gli americani James E. Rothman e Randy W. Schekman, premiati insieme al tedesco Thomas C.Sudhof, hanno gettato le basi per studiare in modo nuovo le malattie, partendo cioè dagli errori che avvengono nel cuore delle cellule.

È un campo che è appena agli inizi, ma che secondo alcuni potrebbe avere un grandissimo impatto sulla medicina del futuro, confrontabile perfino a quello che ha avuto la scoperta della struttura a doppia elica del Dna. Così come la chiave per capire molte malattie si nasconde nei geni, nella macchina complessa che fa funzionare le cellule c’è il grimaldello per comprenderne molte altre: da quelle del metabolismo, come il diabete, ad alcune malattie del sistema nervoso, compresa la schizofrenia, fino alla fibrosi cistica.

È un Nobel nel quale c’è anche un pizzico di ricerca italiana, considerando che nella bibliografia delle motivazioni viene citato lo studio coordinato da Cesare Montecucco, dell’Istituto di Neuroscienze del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) e dell’università di Padova. «Per noi le cellule sono come delle cittadelle medioevali, chiuse da una cinta di mura e con un vivacissimo traffico fra esterno e interno», spiega Montecucco. Rothman, Schekman e Sudhof hanno il merito di aver superato le «mura» che proteggono le cellule e di avere osservato da vicino il traffico che trasporta continuamente fuori dalle cellule le molecole utili a tutto l’organismo, `impacchettate´ all’interno di vescicole.

A Schekman va il merito di aver scoperto i “semafori” che regolano il traffico cellulare: sono i geni che producono le proteine che regolano la circolazione delle vescicole w li ha identificati confrontando le cellule di un microrganismo semplicissimo come il lievito. Rothman si è concentrato su un altro aspetto cruciale: il “portone” che lascia uscire dalle cellule le molecole utili all’organismo. Ha scoperto cioè l’insieme di proteine che permette alle vescicole di fondersi con la membrana cellulare e di rilasciare all’esterno il loro contenuto in modo corretto. Sudhof si è occupato del `software´ che regola i semafori, assicurando che tutte le merci siano trasportate al posto giusto nel momento giusto. Il suo punto di partenza è stato lo studio dei segnali trasmessi da una cellula all’altra grazie al trasporto degli ioni di calcio.

Rothman, Schekman e Sudhof sono arrivati alle loro scoperte in modo indipendente e insieme hanno gettato le basi per comprendere il meccanismo complesso che permette all’organismo di funzionare agendo dall’interno di ognuna dei miliardi di cellule che lo costituiscono. È la strada per riuscire a considerare da un punto di vista completamente nuovo malattie molto comuni, come il diabete, e per gettare le basi per future generazioni di farmaci.

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Jack Andraka ha 16 anni e potrebbe salvare milioni di persone col suo nuovo test per la diagnosi del tumore al pancreas

Dott. Loiacono Emilio Alessio Medico Chirurgo Medicina Chirurgia Estetica Plastica Cavitazione Dieta Peso Dietologo NutrizionistaCellulite Sessuologia Ecografie DermatologiaSmettere fumare Tumore Cancro Pancreas JakeHa soltanto 16 anni, ma i suoi studi potrebbero salvare la vita di milioni di persone. Jack Andraka, del Maryland, ha ideato un nuovo test non invasivo per la diagnosi dei tumori al pancreas, che sono tra i più aggressivi tra tutti i tumori che possono colpire l’uomo. Con un sensore riesce a diagnosticare un tumore pancreatico nella sua fase iniziale. Bisognerà aspettare fino a cinque anni prima di vedere l’uso di questi sticker presso i laboratori o gli ospedali. Jack ha presentato a Roma, nel corso della prima edizione europea di Maker Faire, la sua idea. “Avevo 13 anni quando morì un mio amico per un tumore al pancreas.” Racconta Jack – “Sono rimasto molto scosso.Ho passato un’estate intera su internet perché volevo capire cosa fosse un tumore pancreatico.” – continua il ragazzo – “Alla fine ho scoperto leggendo centinaia di lavori che alla presenza di alcuni tumori come quello al polmone o quello al pancreas alcune proteine nel nostro corpo variano, in particolare una chiamata Metatione. Ho scritto a 200 laboratori per sapere se potevo lavorare a questa idea ma 199 mi hanno risposto di no. Solo un medico del John Hopkins mi ha detto che potevo lavorare presso di loro. Ben fatto Jack, spero di vederti tra i futuri premi Nobel per la medicina: vorrà dire che la tua invenzione avrà funzionato davvero e che avrai salvato milioni di persone.

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