Lochiazioni: cosa sono e differenza con le mestruazioni

MEDICINA ONLINE VAGINA DONNA BACIO SESSULITA GRAVIDANZA INCINTA PARTO NATURALE CESAREO SESSO COPPIA AMORE TRISTE GAY OMOSESSUAANSIA DA PRESTAZIONE IMPOTENZA DISFUNZIONE ERETTILE FRIGIDA PAURA FOBIA TRADIMENTO RAPPORTO AMILe lochiazioni sono un fenomeno del tutto naturale – da non confondere con le mestruazioni – che si manifesta subito dopo il parto: sono perdite di sangue e muco necessarie per eliminare l’endometrio

Appena nato il bambino, l’utero della neomamma riprende a contrarsi per espellere la placenta (l’organo di scambio materno-fetale) e recuperare gradualmente le dimensioni originarie (nei 9 mesi è aumentato di circa 20 volte). A questa attività contrattiva, si accompagna anche la comparsa dei cosiddetti “lochi”, perdite vaginali di sangue, muco e mucosa endometriale il cui scopo è appunto quello di eliminare l’endometrio (il rivestimento interno delle pareti uterine) che aveva permesso l’annidamento dell’ovulo fecondato.

Come varia il loro aspetto

L’aspetto e la consistenza delle lochiazioni si modifica con il passare dei giorni. Vediamo più nel dettaglio quando e come.

  • Nei 2-3 giorni successivi al parto sono abbondanti, di colore rosso vivo e presentano coaguli composti da residui dei tessuti gravidici.
  • A 4-7 giorni dalla nascita tendono ad assumere una tonalità rosata e a divenire più liquidi.
  • Dopo circa 8 giorni evidenziano una consistenza sierosa e un colore giallognolo.
  • A cominciare dalla terza settimana sono sempre meno abbondanti e si fanno cremose e biancastre per effetto dell’elevata concentrazione di globuli bianchi che vanno formando una sorta di barriera nella parete interna dell’utero per difenderla dai microrganismi che potrebbero aggredirla determinando la comparsa d’infezioni.
Quando consultare il ginecologo

Alcuni segnali potrebbero indicare la presenza d’infezioni anche serie, per questo occorre informare il ginecologo in caso di:

  • rialzo della temperatura corporea della neomamma (oltre i 38° C);
  • odore sgradevole dei lochi;
  • perdite abbondanti e rosse oltre le 3 settimane dopo il parto;
  • intensi dolori al basso ventre dopo la prima settimana;
  • emorragia dopo la prima settimana.

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Se allatti al seno passano prima

Di solito le lochiazioni tendono a scomparire una quarantina di giorni dopo il parto, alla fine cioè del puerperio, il periodo successivo alla nascita in cui l’utero riconquista gradualmente le condizioni precedenti alla gravidanza. Se la mamma allatta al seno, però, possono durare anche molto meno (circa 3 settimane): la suzione da parte del neonato induce, infatti, l’aumento della produzione da parte dell’organismo materno di prolattina e ossitocina, due ormoni che, oltre a favorire la produzione di latte da parte della ghiandola mammaria, intensificano potenza e frequenza delle contrazioni dell’utero accorciando i tempi necessari al suo ridimensionamento e, di conseguenza, la durata delle perdite che a esso si associano.
Anche se la mamma ha subito un cesareo, le lochiazioni tendono a scomparire più in fretta: durante l’intervento, infatti, il ginecologo pratica una sorta di raschiamento eliminando parte dei tessuti che, di norma, verrebbero espulsi per mezzo dei lochi.

La corretta igiene previene irritazioni e infezioni

Per ridurre il rischio d’irritazioni e infezioni in questa fase è importante seguire un’accurata igiene intima: nel periodo di “riparazione” successivo al parto, infatti, l’apparato genitale femminile è particolarmente fragile ed esposto all’attacco dei germi.

Ecco alcune delle regole principali da seguire:

  • usare solo assorbenti esterni e, preferibilmente, di garza anallergica o cotone;
  • cambiarli spesso (almeno ogni 2-3 ore);
  • lavare i genitali almeno 2 volte al giorno con acqua tiepida ed un sapone neutro o leggermente acido (Ph tra 4 e 5) che non alteri il delicato equilibrio vaginale;
  • evitare le lavande vaginali o disinfettanti;
  • lavarsi dalla vagina verso l’ano per impedire che i germi presenti nelle feci raggiungano i genitali;
  • se durante il parto è stata effettuata l’episiotomia (il taglietto tra ano e vagina, per facilitare l’espulsione del bambino), praticare spugnature con acqua fredda, asciugare tamponando delicatamente con un asciugamano pulito e morbido (nei primi giorni con una garza sterile);
  • consultare il medico in caso di gonfiore o dolore.

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Fibrinogeno alto o basso: valori normali ed interpretazione

MEDICINA ONLINE LABORATORIO BLOOD TEST ESAME SANGUE ANALISI CLINICHE GLOBULI ROSSI BIANCHI PIATRINE VALORI ERITROCITI LEUCOCITI ANEMIA TUMORE CANCRO LEUCEMIA FERRO FALCIFORME MEDITERRANEIl fibrinogeno è una proteina presente nel plasma sanguigno. È conosciuta anche con altri nomi:

  • Fattore I
  • Fibrinogeno attivo
  • Antigene del fibrinogeno

Viene prodotto dal fegato e dal tessuto endoteliale, cioè dal tessuto che riveste la superficie interna dei vasi sanguigni, dei vasi linfatici, e la superficie interna del cuore, cioè atri, ventricoli e vasi sanguigni cardiaci.

FIBRINOGENO: le funzioni

Il fibrinogeno svolge due funzioni principali, entrambe fondamentali per il processo di emostasi cioè per fermare le emorragie:

  • Aiuta le piastrine ad aderire alle pareti dei vasi sanguigni (durante la fase piastrinica dell’emostasi);
  • Si trasforma in fibrina per permettere la coagulazione (durante la fase coagulativa dell’emostasi).

Il nome fibrinogeno infatti significa letteralmente “produttore di fibrina”. Per far coagulare il sangue, la trombina trasforma il fibrinogeno in fibrina, dando il via al processo di coagulazione.

FIBRINOGENO: i valori normali

I valori considerati normali vanno da un minimo di 200 milligrammi per decilitro fino ad un valore massimo di 400 milligrammi per decilitro. Per le donne il valore massimo può essere un po’ più alto. Valori normali di questa proteina nel nostro organismo, indicano un corretto funzionamento del processo di coagulazione del sangue.

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FIBRINOGENO alto

Se i valori del fibrinogeno sono troppo alti, questo potrebbe indicare che sono in corso alcune alterazioni nel nostro corpo, ma che non si tratta necessariamente di una malattia. Ad esempio, in gravidanza e durante le mestruazioni, il livello di fibrinogeno nel sangue si alza. Può trattarsi anche della conseguenza di un intervento chirurgico, di una ferita o di un’ustione, di uno stato di infiammazione o di infezione. Altre volte invece il valore di questa proteina presente nel sangue si alza come conseguenza di alcune patologie:

  • Artrite o febbre reumatica
  • Ictus o infarto
  • Epatite
  • Malattie dei reni
  • Polmonite
  • Tubercolosi
  • Uremia
  • Tumori

Fibrinogeno basso

I valori bassi di fibrinogeno possono dipendere da alcune condizioni legate alla gravidanza, come nel caso del distacco della placenta o dell’aborto, ma possono essere anche legate ad anemia e malnutrizione o trasfusioni di sangue e possono derivare da infezioni molto gravi. Escludendo queste situazioni, i principali motivi per un valore del fibrinogeno basso sono dovuti a queste cause:

  • Malattie del sangue come:
    • Afibrinogemia ereditaria
    • Disfibrinogemia
    • Embolia
    • Emofilia
    • Coagulazione intravascolare disseminata
    • Fibrinolisi
  • Eclampsia
  • Malattie del fegato
  • Tumori, come la leucemia

FIBRINOGENO: quando fare un test

Gli esami dei livelli di fibrinogeno sono molto utili per individuare la presenza di alcune malattie e per prevedere se c’è un’elevata possibilità di svilupparle. In particolare, il test è consigliato nelle seguenti situazioni:

  • A seguito di sanguinamento
  • A seguito di trombosi
  • Per controllare il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari (come ictus e infarto)
  • Quando altri esami del sangue fanno pensare a problemi di coagulazione
  • In caso di malattie ereditarie o acquisite che interferiscono con la coagulazione
  • Quando è importante valutare la coagulazione di un paziente (ad esempio per un intervento chirurgico)

FIBRINOGENO: i tipi di test 

Per testare il fibrinogeno si fa un esame del sangue. Il test specifico condotto attraverso il sangue può essere di due tipi:

  • il test quantitativo, che misura la concentrazione del fibrinogeno in una certa quantità di sangue, ovvero quanti milligrammi di questa proteina sono presenti in ogni decilitro di sangue. Con questo test si può vedere quanto fibrinogeno c’è ma non se funziona bene;
  • il test qualitativo, o test di attività del fibrinogeno, per misurare la sua funzionalità durante la fase di formazione del coagulo.

Mentre i test quantitativi sono molto precisi e danno l’esatta quantità di fibrinogeno presente nel sangue, i test qualitativi sono più complessi.

FIBRINOGENO: i test qualitativi dell’attività

I test qualitativi del fibrinogeno vengono eseguiti in provetta “mimando” quello che avviene nel corpo durante la coagulazione. Al campione di sangue prelevato dal paziente viene aggiunta della trombina per iniziare il processo di coagulazione e controllare se questo avviene nei tempi giusti e se dà origine ad un coagulo stabile. Nonostante tali test in provetta non possano descrivere esattamente quello che succede nel corpo del singolo paziente durante l’intero processo di coagulazione (che include molti fattori per cui è impossibile riprodurli tutti in provetta), esistono comunque strumenti adatti ad analizzare la funzionalità di ogni singolo elemento che partecipa alla coagulazione. Per avere una risposta precisa, si aggiunge una quantità fissa di trombina e si misura il tempo di coagulazione, in particolare misura quanto tempo impiega in fibrinogeno a trasformarsi in fibrina. Se il tempo è troppo lungo, ciò sta ad indicare che il fibrinogeno contenuto in quello specifico campione di sangue è presente in quantità troppo bassa o che la sua funzionalità è più bassa del normale.

FIBRINOGENO: come ci si prepara al test?

Per molti esami del sangue è necessaria una certa preparazione, come ad esempio il digiuno dalla mezzanotte del giorno precedente.

Nel caso degli esami del sangue per il fibrinogeno, non è necessario alcun tipo di preparazione particolare. È importante comunque dare a chi dovrà analizzare le analisi alcune informazioni importanti sul nostro stato di salute e su alcune situazioni particolari, come ad esempio fumo, gravidanza, mestruazioni in corso nel giorno del prelievo di sangue, eventuali donazioni o trasfusioni di sangue avvenute nei giorni precedenti al prelievo.

Il sangue verrà prelevato normalmente da una vena del braccio: è un esame quasi indolore e  dura pochi secondi: se si è preoccupati per il prelievo di sangue, basta informare il personale sanitario presente il giorno del prelievo in modo che ci dia tutto il supporto necessario per superare l’esame.

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FIBRINOGENO: cosa si scopre con il test? Come si leggono i risultati?

Come abbiamo scritto poco sopra, i test del livello di fibrinogeno sono test quantitativi e servono per valutare la quantità di questa proteina nel sangue. I test qualitativi servono invece per valutare il tipo di attività della proteina.

In merito ai test quantitativi, il fibrinogeno aumenta rapidamente quando c’è un’infezione o un’infiammazione acuta in corso. Un alto livello di questa proteina nel sangue può indicare quindi la presenza di una malattia che con altri tipi di esame non si è riusciti a scoprire. Partendo da un test col fibrinogeno alto, si stringe il cerchio delle ipotesi possibili e ci si concentra solo sulla ricerca delle malattie che fanno alzare il suo livello nel sangue. Per questo è importante avvisare il medico di situazioni particolari (gravidanza, mestruazioni, aborto, trasfusione di sangue, malattie in corso), in modo che possa leggere con precisione i risultati del test. Generalmente, un test per il fibrinogeno alto è utile per valutare quanto estesa sia un’infezione o un infiammazione, qualunque sia la sua origine.

In merito ai test qualitativi, questi risultati descrivono la qualità della capacità di coagulare. Un fibrinogeno con una buona attività permette una buona coagulazione: se invece l’attività del fibrinogeno è bassa questo significa che la coagulazione è debole e che il corpo non riesce a produrre dei coaguli sufficientemente resistenti. Quando la funzionalità del fibrinogeno è troppo bassa, il medico la deve valutare assieme agli esami quantitativi. Se vari esami funzionali indicano sempre una bassa funzionalità della proteina questo può una malattia congenita, che il paziente ha dalla nascita. Le patologie congenite sono principalmente tre:

  • Afibrinogenemia, cioè la totale assenza di fibrinogeno, che causa forti emorragie in quanto il sangue non riesce a coagulare bene e in tempi rapidi;
  • Ipofibrinogenemia, cioè livelli di fibrinogeno cronicamente bassi con una diminuita funzionalità;
  • Disfibrinogenemia, cioè fibrinogeno con una struttura molecolare anormale, che causa malfunzionamenti nella coagulazione.

FIBRINOGENO E DINTORNI: per saperne di più

Il processo di emostasi (coagulazione sangue) consta di tre fasi che servono per fermare l’emorragia e sono:

  1. Fase vascolare: i vasi sanguigni della zona ferita si restringono per diminuire la perdita di sangue;
  2. Fase piastrinica: in pochi minuti, le piastrine aderiscono alle pareti dei vasi sanguigni ed iniziano a richiamare altre piastrine fino a formare un primo tappo piastrinico fragile per chiudere la ferita;
  3. Fase coagulativa: fibrina e piastrine insieme formano un tappo più solido, necessario quando la ferita è particolarmente profonda.

Piastrine: dette anche trombociti, sono i più piccoli elementi presenti nel sangue. Non si tratta di vere e proprie cellule, ma di corpuscoli prodotti principalmente dal midollo osseo.

Fibrina: è una proteina con una particolare struttura a maglie e filamenti, molto elastica, che funziona esattamente come una toppa di stoffa. Il nome stesso deriva da “fibra”. Grazie alla sua struttura, costruisce una specie di rete che intrappola gli altri elementi presenti nel sangue (ad esempio i globuli rossi) e crea il coagulo, ovvero un tappo di sangue che si rapprende e chiude la ferita, fermando l’emorragia in un primo momento e permettendo successivamente alla pelle di riformarsi al di sotto del coagulo.

Trombina: è un’altra proteina presente nel sangue. Ha una forma a sfera a sua funzione è quella di trasformare il fibrinogeno in fibrina quando è necessario chiudere una ferita.

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Differenza tra siero e plasma

MEDICINA ONLINE PRELIEVO VALORI ANEMIA DONAZIONE SANGUE ANALISI BLOOD LABORATORI VES FORMULA LEUCOCITARIA PLASMA FERESI SIERO FIBRINA FIBRINOGENO COAGULAZIONE GLOBULI ROSSI BIANCHI PIASTIl plasma è la parte liquida del sangue: dal caratteristico colore giallo paglierino è composto per il 90% da acqua, in cui sono disciolti sali e proteine plasmatiche: albumina, fibrinogeno e fattori della coagulazione prodotti dal fegato, le immunoglobuline (o anticorpi per la difesa) prodotte dai linfociti.

Il siero sanguigno – o più semplicemente “siero” – è semplicemente plasma privo di fibrinogeno, fattore VIII, fattore V e protrombina. Si ottiene lasciando coagulare il sangue e successivamente centrifugandolo (o semplicemente lasciando depositare sul fondo del recipiente la parte coagulata, più pesante).

La differenza fra siero e plasma è molto importante. Il siero è un liquido incoagulabile; il plasma, al contrario, lasciato a se stesso in un recipiente coagula spontaneamente a causa del fibrinogeno e delle altre proteine della coagulazione che contiene.

La differenza consiste pertanto soprattutto nel diverso contenuto in proteine correlate ai meccanismi della coagulazione e dell’emostasi. In laboratorio molti esami ematochimici si eseguono indifferentemente su siero o su plasma; alcuni soltanto richiedono necessariamente l’uno o l’altro componente del sangue. Fra questi si citano ovviamente per la misura quantitativa dei fattori della coagulazione, che si eseguono necessariamente sul plasma. Quando possibile si preferisce operare sul siero che è più facile da trattare.

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Differenza tra plasma liquido e secco

technician placing blood tubes in the laboratory centrifuge

technician placing blood tubes in the laboratory centrifuge

Il plasma è la parte liquida del sangue: dal caratteristico colore giallo paglierino è composto per il 90% da acqua, in cui sono disciolti sali e proteine plasmatiche: albumina, fibrinogeno e fattori della coagulazione prodotti dal fegato, le immunoglobuline (o anticorpi per la difesa) prodotte dai linfociti.

Plasma liquido

Può essere conservato per un periodo massimo di 1 anno, a -30 °C e a condizione che il congelamento avvenga entro 6 ore dal prelievo (da un solo donatore). Dopo un rapido scongelamento, il plasma deve essere impiegato tempestivamente.

Plasma secco

Si ottiene mediante liofilizzazione (essiccazione ottenuta per raffreddamento) di una miscela di plasma prelevato da me no di 6 giorni da un numero massimo di 12 donatori. La durata della conservazione è di 5 anni a temperatura ambiente; è impiegato in soluzione in un solvente specifico.

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Plasma e suoi derivati (plasmaderivati)

MEDICINA ONLINE GLICEMIA INSULINA SANGUE DIFFERENZA CONCENTRAZIONE ORMONE PIASTRINE GLOBULI ROSSI BIANCHI GLUCAGONE TESTOSTERONE ESTROGENI PROGESTERONE CUOREIl plasma è la parte liquida del sangue: dal caratteristico colore giallo paglierino è composto per il 90% da acqua, in cui sono disciolti sali e proteine plasmatiche: albumina, fibrinogeno e fattori della coagulazione prodotti dal fegato, le immunoglobuline (o anticorpi per la difesa) prodotte dai linfociti. Tra le sue numerose funzioni vi è quella di mezzo di scambio di minerali essenziali e contribuisce a mantenere un giusto pH del nostro corpo. E’ comunemente trasfuso a pazienti traumatizzati e pazienti con malattie epatiche gravi.

Derivati del plasma (plasmaderivati) sono ottenuti attraverso un processo noto come frazionamento, e sono: albumina, fibrinogeno, fattore VIII, fattore IX, immunoglobuline.

  • Albumina, trasporta diverse componenti del sangue e sostanze nutritive. È una proteina utilizzata nel trattamento di alcune malattie del fegato e dei reni (cirrosi, nefrosi, ecc.), per la cura di stati patologici gravi come lo shock da ustioni, da tra uma, ecc.
  • Fibrinogeno, è una glicoproteina del plasma sanguigno sintetizzata dal fegato e dal tessuto endoteliale. Il fibrinogeno è il precursore della fibrina, presente nel plasma sanguigno sotto forma di molecole proteiche ed è essenziale nella coagulazione del sangue poiché esso è trasformato dalla trombina tramite un processo di polimerizzazione in fibrina necessaria alla formazione del trombo emostatico.
  • Immunoglobuline, sostanze protettive o anticorpi che si sviluppano normalmente a contatto con diversi agenti estranei all’organismo, o dopo vaccinazioni. Vengono utilizzate in vari tipi di difetti immunologici o per patologie autoimmunitarie.
  • Fattori della coagulazione (VIII e IX), fondamentali per i pazienti affetti da emofilia A e B che hanno una carenza nel sangue di fattore VIII o IX. Negli ultimi anni l’uso di questi preparati altamente purificati e assai efficaci ha permesso una vita normale a chi soffre di emofilia.

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Quanto sangue possiamo perdere prima di morire dissanguati?

MEDICINA ONLINE LABORATORIO BLOOD TEST EXAM ESAME DEL SANGUE ANALISI CLINICHE GLOBULI ROSSI BIANCHI PIATRINE VALORI ERITROCITI LEUCOCITI ANEMIA TUMORE CANCRO LEUCEMIA FERRO FALCIFORME MEDITERRANEA EMediamente la quantità di sangue in circolo in un adulto sano si aggira tra i 4,5 ed i 5,5 litri: perdite fino a 750 ml comportano sintomi di lieve entità (una donazione di sangue corrisponde a 450 ml di sangue), mentre perdite pari ad 1.5 litri causano debolezza, sete, ansia ed un aumento della frequenza respiratoria. Quando la quantità persa si avvicina ai 2 litri si avvertono vertigini, confusione e può sopraggiungere la perdita di coscienza. Con perdite superiori ai 2 litri si può verificare il decesso per dissanguamento. Naturalmente questo valore varia in funzione di molti fattori come età, sesso, idratazione e stato di salute generale del soggetto. A tal proposito leggi anche: Cosa si prova a morire annegati, dissanguati, decapitati… Morti diverse, sensazioni diverse

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Tagliarsi e sentirsi meglio: come vincere l’autolesionismo

MEDICINA ONLINE TAGLIARSI CUTTING ADOLESCENTE AUTOLESIONISMO FERITA TAGLIO POLSO SANGUE MALE DOLORE MORTE MORIRE AIUTO.jpgIl termine “autolesionismo” deriva dall’unione di due parole: “auto” che significa “sé stesso” e “ledere” che vuol dire “danneggiare”. Chi compie un “atto di autolesionismo” quindi compie un gesto che ha l’obiettivo di danneggiare il proprio corpo, come ad esempio procurandosi volontariamente una ferita o una lesione. L’autolesionista non ha in genere l’obiettivo reale di suicidarsi, bensì solo quello di creare un danno a sé stesso, tuttavia non è raro che un atto lesivo porti alla morte, ad esempio perché ha determinato una grave emorragia (come succede quando si lesiona una arteria). Le lesioni sono rappresentate non solo da “tagli”, ma anche con altri metodi, come morsi, bruciature, percosse, provocazione volontaria di fratture e vomito. Se gli atti di autolesionismo diventano frequenti e pericolosi, l’autolesionismo configura un vero e proprio disturbo di interesse psichiatrico.

Quali sono i soggetti più a rischio?

A soffrire prevalentemente di autolesionismo sono gli adolescenti, specie di sesso femminile perché – secondo alcuni – la scelta di farsi del male più è legata a motivi socio-culturali in base ai quali le donne sarebbero educate alla repressione di ogni forma di sfogo fisico e secondo cui gli uomini, invece, sarebbero più naturalmente propensi a dare sfogo ai propri istinti, anche violenti. Questa spiegazione sarebbe comunque, per molti ricercatori, non esatta. Secondo alcuni studi l’età in cui si manifestano con maggiore frequenza episodi di ritorsione fisica verso sé stessi è quella tra le medie e l’inizio del liceo, quindi tra gli 11 ed i 15 anni, età in cui le ragazze si trovano ad affrontare tutta una serie di cambiamenti sociali e fisici, quindi sono quindi più sensibili e vulnerabili, soprattutto nella fase delle prime “cotte” adolescenziali. Superata questa critica fascia di età, i tentativi di autolesionismo diminuiscono drasticamente. Nonostante siano diffusi più tra le femmine, anche i maschi possono compiere atti di autolesionismo, specie nella fascia di età tra i 12 ed i 16 anni.

Quali sono le cause?

Non è semplice trovare delle cause specifiche per un problema così complesso. Probabilmente si tratta di un insieme di motivi legati tipicamente a:

  • situazioni di bullismo di cui chi si autolesiona è vittima (a scuola o in altre attività con i coetanei),
  • delusione amorosa,
  • sensazione di essere meno capaci di altri,
  • percezione distorta del proprio corpo (ci si vede grassi quando non lo si è),
  • problemi familiari,
  • sensazione di inutilità,
  • necessità di sentirsi “vivi”,
  • voglia di stupire gli altri o di sfidare le regole,
  • patologie psichiatriche come depressione e disturbi di personalità,
  • cattiva condotta scolastica,
  • sensazione di essere rifiutato o emarginato dagli altri,
  • il non accettare i propri difetti estetici,
  • incapacità di gestire le difficili emozioni tipiche dell’adolescenza,
  • seguire la moda “emo”,
  • di scarsa autostima.

Una delle cause può essere lo stress post traumatico: si tratta di una condizione in cui il soggetto colpito soffre di una serie di disturbi psicologici, a seguito di esperienze traumatiche vissute durante l’infanzia, l’adolescenza o nell’età adulta come l’aver subito violenze sessuali, maltrattamenti fisici, incidenti stradali o calamità naturali. L’individuo in questi casi può sentirsi in colpa per quanto accaduto e avverte il bisogno di punirsi per qualche comportamento, azione o semplicemente pensiero. In alcuni casi risulta essere semplicemente un modo per attirare l’attenzione su di sé, quando l’adolescente è, o pensa di essere, poco importante per amici e famigliari oppure quando ha un disagio interiore ed è convinto che nessuno se ne accorga.

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Capire che un adolescente è un autolesionista

Spesso è difficile per amici e famigliari capire che un giovane sia un autolesionista, anche se alcuni segni possono effettivamente indicarlo, come:

  • improvvisi cambi dell’umore,
  • picchi di rabbia,
  • tendenza all’isolamento,
  • possesso di oggetti taglienti inappropriati,
  • ferite o lividi inspiegabili,
  • abiti lunghi anche quando fa caldo (per coprire i segni delle lesioni).

Come vincere il desiderio di autolesionismo

Il primo fondamentale passo da compiere per sconfiggere l’autolesionismo è ammettere di esserne affetti e già questo è purtroppo un gesto molto difficile da compiere. Può essere di aiuto cercare dei gruppi di sostegno, anche online, dedicati proprio a chi soffre di questo disturbo. Capire di non essere da soli infatti è già molto importante e parlare con chi ha affrontato lo stesso percorso e provato le stesse sensazioni può essere un utile supporto per trovare la forza di ammettere e condividere il proprio problema anche con la famiglia e gli amici. Lo psicoterapeuta ed il neuropsichiatra infantile possono fare molto per aiutare il giovane.

Se pensate di soffrire di autolesionismo, è possibile mettere in atto già da subito alcuni comportamenti volti a tenere sotto controllo l’autolesionismo, come ad esempio:

  • Annotare tutte le volte in cui avverti il desiderio di autolesionismo. Il fattore scatenante è ciò che ti spinge a provare il desiderio di arrecare danno a te stesso o di metterti in una situazione di pericolo. Per individuare tutti i fattori scatenanti, annota in un quaderno l’episodio che ha preceduto l’ultimo atto di autolesionismo.
  • Fare una lista delle azioni alternative da compiere al posto di ferirsi, azioni da mettere in atto ogni volta si avverte lo stimolo a tagliarsi, bruciarsi o rompersi le ossa.
  • Impegnarsi a provare amore per sé stessi. Pensa a te stesso come a qualcuno che ami e di cui ti preoccupi, vulnerabile e meritevole di prendersi una pausa.
  • Chiamare un amico per fare due chiacchere, in modo da tenere lontano il pensiero di ferirsi, o semplicemente uscire di casa appena sorge il desiderio di farsi del male.
  • Curare il proprio benessere: dormi a sufficienza, dalle sette alle otto ore per notte in base alle tue necessità. Sforzati di avere uno schema orario il più possibile invariato. Alimentati in modo adeguato.
  • Liberarsi o rendere di difficile accesso gli strumenti che di solito si usano per ferirsi.
  • Avvertire altre persone: se pensi di stare per compiere gesti di autolesionismo ma sei ancora abbastanza “lucido”, avverti un amico o un parente che stai per farti del male. Se non hai nessuno da avvertire, contatta le forze dell’ordine.
  • Sostituire l’agente lesivo. Se proprio non riesci a controllarti, sostituisci il tuo atteggiamento autolesionista con delle esperienze in parte dolorose ma fondamentalmente non dannose. In questo modo, potrai “farti del male” anche se le tue azioni non sono effettivamente pericolose. Ad esempio, anziché ricadere in atteggiamenti più pericolosi, fai scivolare un cubetto di ghiaccio nella tua maglietta, mangia qualcosa di molto piccante o fai una doccia fredda.
  • Fare con regolarità una qualche attività sportiva che aiuti a ridurre lo stress, va bene anche lo yoga.
  • Dedicare ogni giorno un po’ di tempo ad un hobby o un attività che favorisca il rilassamento.

Per allontanarti dai sentimenti negativi, prova infine a vedere te stesso e la situazione che ti sta tormentando come se appartenessero ad un’altra persona. Puoi anche provare a pensare a te stesso in terza persona (ovvero, “questa persona non dovrebbe arrecarsi danno perché rischia di peggiorare le cose”). Da estraneo, forse riuscirai a vedere questi sentimenti forti come qualcosa che non ti appartiene al punto da renderli meno opprimenti.

Se siete genitori o amici di un autolesionista, è importante non reagire con disgusto ai suoi comportamenti, bensì cercare di comprendere i motivi che portano il giovane a comportarsi in questo modo, per affrontarli e risolverli a monte.

Se credi di soffrire di autolesionismo, prenota la tua visita e, grazie ad una serie di colloqui riservati, riuscirai a risolvere definitivamente il tuo problema.

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Ecocolordoppler arterioso e venoso degli arti inferiori e superiori

MEDICINA ONLINE DOPPLER ECO COLOR ECOGRAFIA VASI CUORE ATRIO VENTRICOLO VALVOLE PROLASSO INSUFFICIENZA STENOSI SANGUE FLUSSO FLUSSOMETRIA DIREZIONE CALIBRO MISURA DIAGNOSI CARDIOLOGIA FLL’Ecocolordoppler (ECD) arterioso e venoso è una tecnica diagnostica in grado di fornire un’immagine a colori delle principali vene e arterie degli arti inferiori e superiori, definendo estensione, dimensioni nonché direzione e velocità del relativo flusso ematico.

Permette di individuare la presenza di eventuali aneurismi, occlusioni o restringimenti dovute a placche a carico delle arterie; a livello venoso è possibile evidenziare trombi e ulcere così come verificare la funzionalità di alcune vene affette da varicosi e indirizzare lo specialista verso il trattamento/intervento più efficace.

È un esame non invasivo, per nulla doloroso, e ripetibile nel tempo senza alcun rischio per la salute. Quest’ultimo aspetto è garantito dall’uso esclusivo di ultrasuoni, radiazioni non ionizzanti e quindi non pericolose.

Come si esegue

Il paziente si trova sdraiato in posizione supina sul lettino. La sonda ecografica viene fatta passare su tutta l’area precedentemente cosparsa di un gel conduttore. L’esame dura mediamente 10-20 min.

Preparazione

Non è richiesta alcuna preparazione particolare.

Chi può effettuare l’esame

L’indagine è assolutamente priva di rischi e senza alcuna controindicazione, quindi eseguibile da chiunque a ad ogni età.

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