Il tumore al polmone è una delle neoplasie più frequenti e letali. Nel 2016, solo in Italia, sono stati diagnosticati più di 41mila nuovi casi e sono stati registrati circa 33mila decessi. La maggior parte (oltre il 95%) delle neoplasie polmonari maligne è rappresentato dal carcinoma del polmone, mentre meno dello 0,5% è rappresentato da Continua a leggere
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Classificazione e stadiazione delle fasi del tumore alla mammella
In caso di tumore maligno alla mammella, esistono vari sistemi di classificazione, i quali sono molto importanti perché influenzano molto il trattamento, la prognosi e la mortalità. Una descrizione ottimale di una neoplasia alla mammella deve includere tutti questi fattori:
- Istopatologia Il cancro alla mammella in primo luogo è solitamente classificato per il suo aspetto istologico. La maggior parte dei tumori alla mammella sono derivati dall’epitelio di rivestimento dei dotti galattofori o dei lobuli e questi tumori sono classificati rispettivamente come duttali o lobulari. Per carcinoma in situ si intende la crescita di cellule cancerose o precancerose di basso grado all’interno di un compartimento tissutale particolare, come il dotto mammario, senza che vi sia una invasione dei tessuti circostanti. Al contrario, il carcinoma invasivo non si limita al compartimento tissutale iniziale.
- Grado. Questa classificazione confronta l’aspetto delle cellule tumorali della mammella con il tessuto mammario normale. Le cellule normali in un organo come la mammella si differenziano, il che significa che esse assumono forme e forme specifiche a seconda della loro funzione che rivestono nell’organo. Le cellule tumorali perdono tale differenziazione. Nel tumore, le cellule che normalmente si dovrebbero schierare in modo ordinato per formare i condotti del latte, diventano disorganizzate. La divisione cellulare diventa incontrollata. I nuclei delle cellule perdono di uniformità. I patologi descrivono le cellule come ben differenziate (basso grado), moderatamente differenziate (grado intermedio) e scarsamente differenziati (alto grado), a seconda di come le cellule perdono progressivamente le caratteristiche proprie delle cellule normali. Tumori scarsamente differenziati hanno una prognosi peggiore.
- Stadio. La stadiazione del cancro della mammella utilizza il classificazione TNM che si basa sulle dimensioni del tumore (T), sulla sua diffusione ai linfonodi (N) ascellari e se vi è la presenza di metastasi (M), cioè la sua diffusione ad una parte più lontana del corpo. Una dimensione più grande del tumore, la diffusione linfonodale e la presenza di metastasi, comporta un punteggio TNM elevato e una prognosi peggiore.
Le tappe principali sono:
-
- Stadio 0 è una condizione pre-cancerosa o marcatore, o il carcinoma duttale in situ o carcinoma lobulare in situ.
- Fasi 1-3 sono all’interno della mammella o linfonodi regionali.
- Fase 4 è il cancro ‘metastatico’ che ha una prognosi meno favorevole.
Se disponibili, gli studi di imaging biomedico possono essere utilizzati come parte del processo diagnostico nei casi selezionati per la ricerca di metastasi. Tuttavia, nei casi di tumore mammario con basso rischio di metastasi, i rischi associati alle scansioni PET, TAC o scintigrafia ossea, superano i possibili vantaggi, in quanto queste procedure espongono il paziente ad una notevole quantità di radiazioni ionizzanti potenzialmente pericolose.
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T Dimensioni del tumore |
|
---|---|
T0 | Nessun tumore rilevabile |
Tis | Carcinoma in situ, non invasivo |
T1 | fino a 2 cm |
T1mic | Microinvasione fino a 0,1 cm |
T1a | >0,1 cm ma ≤ 0,5 cm |
T1b | > 0,5 cm fino a 1 cm |
T1c | > 1 cm fino a 2 cm |
T2 | > 2 cm fino a 5 cm |
T3 | > di 5 cm |
T4 | Qualsiasi dimensione con estensione alla parete toracica o alla pelle |
N Coinvolgimento linfonodale |
|
---|---|
N0 | Nessuno |
N1 | 1–3 nell’ascella |
N2 | 4–9 nell’ascella |
N3 | 10 o più nell’ascella o al di sotto/sopra della clavicola |
M Presenza di metastasi |
|
---|---|
M0 | Non rilevabili |
M1 | Rilevabili (più frequentemente a polmone, fegato e ossa) |
Stato dei recettori
Le cellule del cancro alla mammella possiedono dei recettori sulla loro superficie, nel loro citoplasma e nel nucleo. Alcuni messaggeri chimici, come gli ormoni si legano ai recettori e questo provoca variazioni nella cellula. Le cellule del cancro al mammella possono avere o non avere tre recettori importanti: il recettore dell’estrogeno (ER), il recettore del progesterone (PR), e l’HER2/neu. Le cellule tumorali ER+ (cioè le cellule tumorali che hanno recettori per gli estrogeni) dipendono dagli estrogeni per la loro crescita; questo implica che esse possono essere colpite con farmaci che bloccano gli effetti degli estrogeni (ad esempio il tamoxifene) e generalmente la malattia ha una prognosi migliore. Senza trattamento, i tumori mammari HER2+ sono generalmente più aggressivi di quelli HER2-[87][88], tuttavia le cellule tumorali HER2 + rispondono ai farmaci, come l’anticorpo monoclonale trastuzumab (in combinazione con la chemioterapiaconvenzionale), e ciò ha migliorato in modo significativo la prognosi.[89] Le cellule prive di questi tre recettori vengono chiamate triplo-negative, anche se spesso esprimono recettori per altri ormoni, come il recettore degli androgeni e il recettore della prolattina.
Test del DNA
Il test del DNA può essere di vario tipo, tra cui quello a microarray, e ha come obbiettivo il confronto tra le cellule normali a le cellule del carcinoma. Le specifiche modifiche, in un particolare per il cancro al mammella, possono essere usate per classificare il tumore in diversi modi e possono aiutare nella scelta del trattamento più efficace.
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Tumore al seno: stadiazione, prognosi e sopravvivenza
In tutto il mondo, il tumore alla mammella rappresenta il tipo principale di neoplasia nelle donne ed oltre il 25% di tutti i casi di tumore. La prognosi per il tumore alla mammella varia a seconda del tipo, dell’estensione della malattia, e dell’età del paziente.
In caso di tumore maligno alla mammella, la prognosi viene formulata sulla probabilità di sopravvivenza senza progressione (PFS) o di sopravvivenza senza malattia (DFS). Queste previsioni si basano su serie storiche statistiche di casi con classificazione simile. Tuttavia la prognosi rimane una stima, in quanto ogni paziente avrà una storia a sé e le classificazioni non sempre sono precise. La sopravvivenza è solitamente espressa come un numero medio di mesi (o anni) in cui il 50% dei pazienti sopravvive o la percentuale di pazienti che sono vivi dopo 1, 5, 15, e 20 anni.
I tassi di sopravvivenza nel mondo sviluppato sono alti, con valori stimati che variano tra l’80% e il 90% di sopravvivenza della paziente a 5 anni dalla diagnosi. Nei paesi in via di sviluppo questi valori sono invece molto più bassi. L’ampia variabilità dipende ovviamente sia dalle condizioni generali di salute della paziente, ma anche e soprattutto dallo stadio del tumore: tumori piccoli, diagnosticati precocemente, ben delimitati e senza metastasi a distanza, hanno prognosi migliore di tumori non circoscritti e metastatizzati. A tal proposito ricordiamo che il tumore del seno viene classificato in cinque stadi:
- Stadio 0: è chiamato anche carcinoma in situ. Può essere di due tipi:
- Carcinoma lobulare in situ: non è un tumore aggressivo ma può rappresentare un fattore di rischio per la formazione successiva di una lesione maligna.
- Carcinoma duttale in situ (DCIS): colpisce le cellule dei dotti e aumenta il rischio di avere un cancro nello stesso seno. È considerato una forma precancerosa più che un vero e proprio tumore. Nella maggior parte dei casi, infatti, non si evolve verso un cancro vero e proprio ma regredisce spontaneamente per azione dei meccanismi di difesa dell’organismo (in primo luogo l’azione del sistema immunitario).
- Stadio I: è un cancro in fase iniziale, con meno di 2 cm di diametro e senza coinvolgimento dei linfonodi.
- Stadio II: è un cancro in fase iniziale di meno di 2 cm di diametro che però ha già coinvolto i linfonodi sotto l’ascella; oppure è un tumore di più di 2 cm di diametro senza coinvolgimento dei linfonodi.
- Stadio III: è un tumore localmente avanzato, di dimensioni variabili, ma che ha coinvolto già anche i linfonodi sotto l’ascella, oppure che coinvolge i tessuti vicini al seno (per esempio la pelle).
- Stadio IV: è un cancro già metastatizzato che ha coinvolto altri organi al di fuori del seno.
Se il tumore viene identificato allo stadio 0, la sopravvivenza a cinque anni nelle donne trattate è del 98%, anche se le ricadute variano tra il 9 e il 30% dei casi, a seconda della terapia effettuata.
Se i linfonodi sono positivi, cioè contengono cellule tumorali, la sopravvivenza a cinque anni è del 75%.
Nel cancro metastatizzato, cioè quello che ha già colpito altri organi al di fuori del seno (in genere i polmoni, il fegato e le ossa), la sopravvivenza media delle pazienti curate con chemioterapia è di due anni, ma ciò significa che vi sono casi in cui la sopravvivenza è molto più lunga, anche fino a dieci anni.
La prognosi è molto importante non solo per prevedere la sopravvivenza del paziente, ma anche relativamente alle decisioni sul trattamento poiché ai pazienti con una buona prognosi solitamente vengono offerti trattamenti meno invasivi, come la lumpectomia e la radioterapia o la terapia ormonale, mentre a coloro che hanno una prognosi più negativa viene generalmente prescritto un trattamento più aggressivo, come una più ampia mastectomia e/o un ciclo chemioterapico.
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Stadiazione e classificazione TNM: cancro curabile o terminale?
Quando si scopre un cancro, è fondamentale intervenire rapidamente asportando chirurgicamente quanto più tessuto maligno sia possibile, anche a costo di amputare parti del corpo importanti, demolendo ad esempio parzialmente o totalmente tiroide, fegato, pancreas, polmone, mammella e retto. Diagnosticare e rimuovere un cancro al più presto è importante perché permette di evitare che il tessuto tumorale diventi troppo grande e che le sue cellule arrivino a colonizzare altri organi tramite la diffusione metastatica. I tumori maligni, infatti, non sono formazioni statiche, bensì dinamiche, che cambiano nel tempo.
Il tumore progredisce
Nelle fasi iniziali un cancro è generalmente di dimensioni più ridotte, è più localizzato, non ha ancora colonizzato altri organi; nelle fasi successive esso si ingrandisce e colonizza gli organi vicini: intervenire nelle fasi iniziali o nelle fasi tardive della progressione cancerosa, può letteralmente fare la differenza tra la vita e la morte del paziente. Per questo, quando viene diagnosticato un cancro, diventa per il medico molto importante il capire in quale fase della malattia si trova il tumore maligno. Ciò avviene soprattutto alla diagnostica per immagini: una RX, una TAC, una risonanza magnetica, permettono di capire lo stadio della malattia; leggi anche: Differenze tra risonanza magnetica, TAC, PET, MOC, radiografia, ecografia ed endoscopia
La classificazione TNM
Tutte le indagini volte a capire in quale stadio si trova il tumore, convergono nella “classificazione TNM“, cioè un sistema di classificazione dei tumori internazionale, a partire dal quale si può velocemente intuire “a che punto” della sua progressione si trova la neoplasia. Ogni tumore viene classificato attraverso questa sigla, che ne riassume le caratteristiche principali, contribuendo a determinare la stadiazione, da cui deriveranno, insieme con altri fattori, le scelte terapeutiche (farmaci, chirurgia, terapie palliative) e la prognosi (probabilità di guarigione o morte) associata. A partire dalla conoscenza dei parametri della classificazione TNM, si può ricavare lo stadio in cui si trova il tumore maligno, cioè l’estensione della malattia e quindi la sua gravità.
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I parametri della classificazione TNM
Per qualsiasi tipo di tumore esistono quattro stadi, a cui va aggiunto lo stadio 0 in cui si ha un carcinoma in situ, cioè un tumore non invasivo che non ha infiltrato altri organi ed è quindi di solito facilmente curabile).
I quattro stadi sono indicati con numeri da 1 a 4, in ordine crescente di gravità; tale divisione, a partire dalla classificazione TNM, varia a seconda della sede del tumore primario (ad esempio il T2N0M0 fa parte del secondo stadio nel tumore al seno e del primo nel tumore polmonare), ma in genere le differenze non sono molto significative.
- Il parametro T può essere 1, 2, 3, 4 a seconda della grandezza del tumore (1 piccola, 4 grande). Può inoltre essere “is” ovvero “in situ”. Il T4 in genere è tale non solo per la dimensione, ma anche per l’infiltrazione di organi vitali adiacenti (pericardio, esofago, trachea, ecc.).
- Il parametro N indica lo stato dei linfonodi vicini al tumore, se è 0 sono del tutto indenni, altrimenti può valere 1, 2, 3 con gravità via via crescente. Il coinvolgimento linfonodale è molto importante per capire la gravità del tumore.
- Il parametro M indica la presenza di metastasi a distanza, esso può valere solo 0 (nessuna metastasi) o 1 (presenza di metastasi). La presenza di metastasi è un fattore prognostico molto importante per capire la gravità del tumore.
- Un parametro rappresentato da una “x” (ad esempio, T2N1Mx) indica che non si conosce l’esatta estensione a distanza della malattia per il quale sono necessari ulteriori esami di approfondimento (ad esempio: PET, TAC, RMN, scintigrafia ossea, ecografia, radiografie…).
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Valutazione del grading
In alcune neoplasie (per esempio nei sarcomi dei tessuti molli) nella stadiazione rientra anche la valutazione del grading. Il grado di aggressività del tumore o grado di differenziazione cellulare della neoplasia (grading) è indicato con (G), che va da 1 a 4. (Va tenuto presente che le cellule “sane” sono quelle completamente differenziate ossia quelle che si sono sviluppate fino ad arrivare ad avere le caratteristiche per svolgere perfettamente le funzioni per le quali sono state destinate.
- Il grado 1 (G1, tumore ben differenziato) si riferisce a neoplasie con cellule tumorali che hanno, all’esame microscopico, aspetto lievemente differente rispetto alle cellule normali dello stesso tessuto;
- Il grado 2 (G2, tumore moderatamente differenziato) è quello intermedio.
- Il grado 3 (G3, tumore scarsamente differenziato) si riferisce a cellule tumorali con aspetto altamente difforme da quelle dello stesso tessuto normale;
- Il grado 4 (G4, indifferenziato) si riferisce a cellule che hanno perso totalmente le caratteristiche del tessuto d’origine (anaplasia).
Il grading considera parametri ora citologici, ora istologici, ora entrambi a seconda dell’istogenesi del tumore. Esistono svariati sistemi di grading più o meno complessi, anche se per questioni di riproducibilità e standardizzazione, si sta cercando di adottare sistemi a classi dicotomiche (alto/basso), annullando così classi intermedie che sono fonte di variabilità e soggettività.
Esempio di classificazione
Ecco la classificazione in stadi nel caso del tumore polmonare maligno di tipo non-microcitoma:
Stadio | TNM |
Stadio 0 | Tis N0 M0 (tumore in situ) |
Stadio I | T1-2 N0 M0 |
Stadio II | T1-2 N1 M0 T3 N0 M0 |
Stadio III | T1-2 N2-3 M0 T3 N1-3 M0 T4 N0-3 M0 |
Stadio IV | T1-4 N0-3 M1 (qualunque caso in cui si abbiano metastasi a distanza) |
Stadio della malattia e prognosi
Abbiamo quindi capito quanto la conoscenza dello stadio della malattia sia importante per fornire al paziente delle cure il più possibile appropriate, oltre che per formulare una prognosi. Nello stadio 0 le percentuali di guarigione sono praticamente del 100%; gli stadi I e II sono considerati iniziali e la prognosi è, nella maggioranza dei casi, favorevole (soprattutto se non vi è coinvolgimento linfonodale); Nello stadio III è in genere utile associare alla chirurgia una terapia sistemica “adiuvante”; lo stadio IV viene considerato come malattia avanzata e la prognosi è spesso infausta in quanto guaribile solo in pochi tipi di neoplasia. In presenza di un tumore avanzato, soprattutto se metastatico, la terapia (tranne pochi tipi tumorali) non può avere l’ambizione dei guarire il paziente, ed è quindi palliativa, finalizzata cioè a prolungare la durata della vita, a mantenere o migliorare la qualità della vita, a limitare i sintomi (prevalentemente il dolore) nel paziente. Bisogna però tenere presente che queste sono solo indicazioni generali di massima, e che le cose variano da tumore a tumore. Ad esempio, le percentuali di guarigione di un cancro al testicolo avanzato sono superiori a quelle di un cancro al pancreas in fase iniziale: ogni tumore ha, in virtù di posizione, vascolarizzazione, citologia ed una moltitudine di altri fattori, capacità ed aggressività diverse dagli altri tumori.
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L’importanza della prevenzione e dello screening
Molti tumori maligni non danno sintomi se non nelle fasi terminali e vengono purtroppo scoperti solo quando sono talmente estesi che nessuna cura potrà impedire la morte del paziente, è il caso ad esempio di alcuni tipi di tumore del pancreas che, dopo la diagnosi, determinano spesso la morte in pochi mesi. Per questo motivo è importante prevenire i tumori (con dieta adeguata, attività fisica, eliminazione di fumo di sigaretta…) ma è anche vitale lo screening nei soggetti a rischio. Il termine “screening” indica una strategia di indagini diagnostiche in soggetti che, pur non avendo alcun sintomo, né segno clinico di malattia, hanno un’alta probabilità di averla. Per esempio una donna di 40 anni, con una madre che ha sofferto di cancro al seno, dovrebbe periodicamente effettuare palpazione al seno, unita ad ecografia mammaria e mammografia, anche se non ha alcun sintomo di tumore. In questo modo, un eventuale neoplasia, sarà scoperta nelle sue fasi più precoci, con stadiazione meno grave e – come avete intuito dalla lettura di questo articolo – più facilmente curabile. Ricordate: scoprire al più presto un tumore maligno, equivale ad avere molte più chance di sopravvivenza.
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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine
Artrite reumatoide: stadiazione, decorso e trattamenti
Prima di iniziare la lettura, per meglio comprendere l’argomento trattato, vi consiglio di leggere prima questo articolo: Artrite reumatoide: sintomi iniziali, cause, cure e mortalità
Lo stato dell’artrite reumatoide può essere identificato analizzando il tipo di lesioni sul paziente:
- Stadio 1: È presente un infiltrato di linfociti CD4+ e macrofagi, si notano macroscopicamente tumefazioni simmetriche, non c’è arrossamento, ci sono sintomi sistemici e noduli reumatoidi. In circolo si rileva aumento degli indici di flogosi e del fattore reumatoide
- Stadio 2: Si nota flogosi e proliferazione sinoviale ed endoteliale (neoangiogenesi e formazione del panno sinoviale), il versamento si vede in ecografia come zone ipoecogene; al contrario le zone iperplastiche sono iperecogene. Inoltre sono presenti erosione dell’osso, riassorbimento della cartilagine e rottura dei tendini. Le alterazioni ossee si vedono in radiografia e ancora meglio in ecografia. Da questo stadio l’iperplasia sinoviale è irreversibile.
- Stadio 3: Si rilevano deformazioni ossee, lussazioni e fibrosi evidenti.
Il decorso è assai vario e caratterizzato generalmente da fasi di esacerbazione e remissione. Esistono forme più lievi che rispondono bene alla terapia e forme gravi che decorrono senza fasi di remissione, portando a quadri gravi di anchilosi e impotenza funzionale; in molti casi la malattia è grave non perché metta in pericolo la vita ma perché, impedendo il corretto uso degli arti e soprattutto delle mani, è assai invalidante. Chi ne è colpito può trovare difficoltà non soltanto nell’attività lavorativa ma anche nella cura della propria persona. Tra i fattori prognostici più sfavorevoli vi sono: gli alti titoli di FR, la presenza di noduli o danni vasculitici nonché la scarsa risposta alla terapia.
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Trattamenti
Il trattamento dell’Artrite Reumatoide si basa sull’uso di immunosoppressori, come il methotrexate o la leflunomide; in casi particolari si possono utilizzare anche idrossiclorochina, ciclosporina, sulfasalazina. È previsto inoltre l’uso di cortisone a cicli nelle fasi di maggiore attività di malattia, ad esempio all’esordio o nei flare, per ottenere più rapidamente la risposta clinica, e di FANS per il controllo del dolore. Nei casi non responsivi agli immunosoppressori o in pazienti con malattia particolarmente aggressiva è possibile utilizzare i farmaci biologici, anticorpi monoclonali o recettori che bloccano molecole dell’infiammazione (es anti-TNFalpha, anti-IL6, anti-IL1) o cellule dell’infiammazione come i linfociti B (anti-CD20) e i linfociti T (CTLA4).
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Differenza tra tumore e tessuto normale con esempi di tumori benigni e maligni
Tessuto normale
Nei tessuti sani sono presenti cellule, come quella che vedete raffigurata nel disegno in alto, che si replicano in modo organizzato, secondo un preciso schema di stimoli che portano alla mitosi, cioè il processo grazie al quale da una singola cellula si formano due cellule figlie. Tali stimoli sono attentamente regolati dall’organismo, in modo da evitare che i tessuti possano letteralmente espandersi all’infinito. Le cellule possono certamente aumentare di numero (iperplasia) o in dimensione (ipertrofia), ma sempre in un modo “deciso” dall’organismo e seguendo precise regole che ne evitino una proliferazione incontrollata. Per approfondire, leggi anche:
- Riproduzione cellulare e ciclo cellulare
- Mitosi: spiegazione delle quattro fasi
- Meiosi: spiegazione di tutte tappe
- Differenza tra ipertrofia ed iperplasia con esempi
Tumore
In caso di “tumore” (dal latino tumor, “rigonfiamento”) siamo invece di fronte ad una cellula danneggiata nelle sue “istruzioni genetiche” che inizia a replicarsi in modo incontrollato e che persiste in questo stato di anche dopo la cessazione degli stimoli che hanno indotto inizialmente la replicazione. La cellula danneggiata dà origine ad una enorme quantità di cellule figlie che a loro volta si replicheranno in modo incontrollato. Il risultato sarà una massa di tessuto anormale che cresce in modo scoordinato ed indeterminato che prende il nome di “tumore” (o di “neoplasia“, i due termini sono sinonimi). Il tumore può essere “benigno” e permanere nel sito dove ha originato, sotto forma di tumore primario, oppure può essere “maligno” ed avere quindi la capacità di colonizzare altri organi e tessuti (metastasi). Il tumore maligno è denominato anche “cancro“.
Leggi anche: Cosa sono le metastasi? Tutti i tumori danno metastasi?
Esempi di tumori benigni
Esempi di tumori benigni sono (tra parentesi il tessuto da cui originano):
- angioma o emangioma (vasi sanguigni);
- fibroma (tessuto connettivo);
- papilloma (epitelio di rivestimento);
- adenoma (epitelio ghiandolare);
- lipoma (tessuto adiposo);
- condroma (cartilagine);
- leiomioma (tessuto muscolare liscio);
- rabdomioma (muscolo striato);
- meningioma (meningi);
- neurocitoma (neuroni);
- glioma (glia, cellule non neuronali del sistema nervoso).
Esempi di tumori maligni (cancro)
Esempi di tumori maligni sono (tra parentesi il tessuto da cui originano):
- angiosarcoma (vasi sanguigni);
- fibrosarcoma (tessuto connettivo);
- carcinoma (epitelio di rivestimento);
- adenocarcinoma (epitelio ghiandolare);
- liposarcoma (tessuto adiposo);
- condrosarcoma (cartilagine);
- leiomiosarcoma (tessuto muscolare liscio);
- rabdomiosarcoma (muscolo striato);
- meningioma maligno (meningi);
- neuroblastoma (neuroni);
- melanoma (melanociti presenti nella pelle);
- glioblastoma (glia, cellule non neuronali del sistema nervoso);
- Linfoma Mieloma (linea ematopoietica linfoide);
- Leucemia mieloide (linea ematopoietica mieloide);
- seminoma (cellule germinali del testicolo).
Organi frequentemente colpiti da tumori maligni, sono la mammella, i polmoni, il pancreas, il colon e la prostata.
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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine
Tumore del colon retto con metastasi: chirurgia, chemioterapia e terapie biologiche
Asportazione chirurgica delle metastasi
Nel paziente metastatico, in casi selezionati, la chirurgia può ancora essere utilizzata a scopo curativo: ad esempio, se le metastasi sono in numero limitato e di ridotte dimensioni, possono essere asportabili chirurgicamente. Tuttavia bisogna chiarire che solo una piccola percentuale di pazienti con metastasi da tumore del colon retto può essere sottoposta a rimozione chirurgica delle metastasi, a causa di alcuni fattori che possono rendere l’intervento di esecuzione difficile o troppo rischiosa.
Tali fattori sono:
- condizioni generali del paziente;
- dimensioni delle metastasi;
- quantità delle metastasi;
- localizzazione delle metastasi.
Per facilitare la rimozione chirurgica delle metastasi, si ricorre ai così detti trattamenti neoadiuvanti. Essi hanno lo scopo di ridurre le dimensioni delle masse tumorali per rendere più facile la loro asportazione chirurgica.
Il termine “trattamento di conversione” indica invece un trattamento che rende (converte in) operabile una metastasi non sarebbe operabile. I trattamenti di conversione consistono spesso in una combinazione di chemioterapia a farmaci biologici.
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- Tumore del colon retto: diagnosi, metastasi, prognosi e stadiazione
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Metastasi sincrone e metacrone
Se al momento della diagnosi di tumore del colon retto, il tumore primitivo ha già dato origine a metastasi queste ultime si definiscono metastasi sincrone. Se i medici che hanno in cura il soggetto esprimono una valutazione favorevole sia dal punto di vista medico che chirurgico, si può procedere all’asportazione del tumore primitivo e delle metastasi, scegliendo tra due possibili approcci:
- effettuare un unico intervento;
- procedere a più interventi chirurgici, eventualmente preceduti e/o seguiti da altri trattamenti che verranno descritti nei paragrafi successivi.
Anche in caso di diagnosi di metastasi metacrone, vale a dire sviluppatesi dopo la rimozione del tumore primitivo, si deciderà se procedere con la rimozione delle metastasi stesse e quali ulteriori trattamenti adottare. Gli specialisti coinvolti valuteranno tutte le informazioni e i dati disponibili poiché la chirurgia delle metastasi, in alcuni casi selezionati, può rappresentare la cura definitiva del tumore del colon retto metastatico.
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Chemioterapia
Nei pazienti in fase metastatica in cui sia praticabile la rimozione chirurgica delle metastasi, la chemioterapia può eventualmente precedere l’intervento chirurgico per ridurre le dimensioni delle metastasi e consentire di effettuare un intervento meno esteso e aggressivo (chemioterapia neoadiuvante). Si pratica una chemioterapia di conversione quando le metastasi non sono operabili al momento della diagnosi, ma lo possono eventualmente diventare a fronte di adeguata riduzione delle dimensioni. In questi casi di solito la chemioterapia si associa farmaci biologici. Quando invece la malattia metastatica è in uno stadio così avanzato da non essere più operabile, la chemioterapia diventa una soluzione obbligata. In questo caso si parla di chemioterapia palliativa, che ha la importante finalità di rallentare la progressione della malattia, alleviare i sintomi e migliorare la qualità della vita.
I regimi chemioterapici più comunemente utilizzati nel trattamento del tumore del colon retto metastatico sono combinazioni di più farmaci che prevedono sostanzialmente l’utilizzo di irinotecan od oxaliplatino in associazione al 5-fluorouracile o suoi derivati. I nomi dei regimi più comuni sono FOLFIRI (e la sua variante XELIRI) e FOLFOX (e la sua variante XELOX). Tuttavia esistono anche trattamenti più semplici, a base di un solo chemioterapico (ad esempio il 5-fluorouracile o la capecitabina utilizzati singolarmente), così come esistono regimi ancora più complessi, che associano contemporaneamente al 5-fluorouracile sia irinotecan che oxaliplatino, quale il regime FOLFOXIRI.
Negli studi clinici le combinazioni di più chemioterapici hanno dimostrato di essere più efficaci rispetto agli stessi farmaci utilizzati singolarmente. Analogamente, ulteriori studi clinici hanno provato che nel cancro del colon retto l’aggiunta di terapie biologiche alla chemioterapia consente di ottenere migliori risultati rispetto alla chemioterapia sola. Tuttavia, non tutti i farmaci sono adatti per tutti i pazienti e, il compito di scegliere la miglior cura per ciascun paziente, spetta agli specialisti che l’hanno in trattamento.
Ricordiamo infine che la chemioterapia utilizza farmaci citotossici, ovvero tossici per le cellule. In genere il loro effetto è quello di bloccare la divisione delle cellule in rapida replicazione, senza però distinguere tra cellule sane e cellule malate. Infatti, una delle caratteristiche meglio conosciute delle cellule tumorali è la loro capacità di dividersi (e quindi di moltiplicarsi) più rapidamente rispetto alla maggior parte delle cellule sane, la qual cosa rende le cellule tumorali altamente sensibili ai farmaci chemioterapici che bloccano la divisione cellulare. Tuttavia, hanno la capacità di dividersi molto rapidamente anche alcune cellule sane che fanno parte di tessuti che devono continuamente rinnovarsi. E’ il caso delle cellule del midollo osseo che formano i globuli rossi e i globuli bianchi e le cellule dette delle membrane (“epiteli”) che rivestono le superfici interne di organi che entrano in contatto con “materiali” provenienti dall’ambiente esterno all’organismo, come le vie aeree e il tubo digerente.
La maggior parte dei chemioterapici, interferendo con la divisione cellulare, uccide le cellule tumorali e qualche cellula sana che si divide rapidamente: per questo motivo molti farmaci chemioterapici danno come effetto collaterale, ad esempio, anemia e ulcere nella bocca e in gola.
Le moderne terapie biologiche vengono oggi sempre più associate alla chemioterapia per aumentarne l’efficacia e ridurne gli effetti collaterali.
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Le terapie biologiche
La “nuova frontiera” della terapia nel tumore del colon retto, come in molti altri tipi di tumore solido, è rappresentata dai farmaci biologici (detti anche farmaci intelligenti, farmaci “mirati”, o biotecnologici), già utilizzati con successo in alcune altre patologie (ad es. tumore del polmone e della mammella). Sono molecole create in laboratorio per interagire con una precisa funzione della cellula cancerosa e non hanno effetti, o hanno effetti minimi, sulle cellule normali.
L’efficacia delle terapie biologiche non dipende dalla velocità della divisione cellulare: alcune modalità con cui le cellule tumorali del colon retto differiscono dalle sane, sono state scoperte negli ultimi anni, e questo ha permesso agli scienziati di mettere a punto farmaci che agiscono in maniera selettiva. Sono stati scoperti anche alcuni processi importanti per la sopravvivenza del tumore, e si è potuto sviluppare farmaci che li contrastano.
Gli effetti indesiderati più di frequente associati alla chemioterapia non sono presenti con i farmaci biologici, che risultano meglio tollerati, ma è bene specificare che i farmaci biologici, pur essendo mirati contro un preciso bersaglio caratteristico delle cellule tumorali, non sono del tutto privi di effetti collaterali.
I farmaci mirati attualmente impiegati nella pratica clinica per la terapia del tumore del colon retto appartengono alla categoria degli anticorpi monoclonali alla quale accenniamo brevemente qui, e per approfondimenti rimandiamo alla scheda ad essi dedicata.
Gli anticorpi monoclonali sono proteine, simili a quelle che produce l’organismo umano, in grado di interferire con meccanismi chiave della proliferazione cellulare importanti per la sopravvivenza del tumore.
- Per esempio, gli anticorpi monoclonali rivolti contro il fattore di crescita epidermico (anti-EGFR) sono in grado di agire in modo mirato sui meccanismi che regolano la crescita del tumore. La loro efficacia in associazione alla chemioterapia standard nei tumori in fase avanzata è ormai dimostrata, e il loro uso si sta diffondendo nella comune pratica clinica (cetuximab e panitumumab).
- Oltre agli anti-EGFR, altre terapie sono già comunemente in uso con successo nel trattamento di diversi tipi di tumore, quali gli inibitori di VEGF (VEGF: fattore di crescita dell’endotelio vascolare) (bevacizumab), ed esistono anche alcune ulteriori opzioni ancora in fase sperimentale.
Al momento, gli anticorpi monoclonali non sono ancora un’alternativa completa alla chemioterapia, ma un complemento da utilizzarsi preferibilmente in combinazione ad essa.
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Tumore del colon retto: diagnosi, metastasi, prognosi e stadiazione
Il tumore del colon retto è la quarta neoplasia più frequente fra gli uomini (11,3% del totale dei tumori) e la terza più frequente fra le donne (11,5% del totale). Per quanto riguarda l’andamento nel tempo, accanto a una tendenza all’aumento dell’incidenza si osserva un calo progressivo della mortalità. Il rischio di sviluppare questo tipo di tumore aumenta con l’età. Circa il 90% delle persone con tumore del colon retto ha un’età superiore ai 50 anni, e l’incidenza della malattia raggiunge il suo picco intorno agli 80 anni. Tuttavia le persone con una predisposizione ereditaria possono sviluppare la malattia in età ben più giovane. Per quanto riguarda la mortalità, nel 2002 in Italia si sono verificati 10.526 decessi per tumore del colon retto fra i maschi e 9.529 fra le donne.
Diagnosi del tumore del colon retto
I test diagnostici utilizzati specificatamente per il cancro del colon retto includono:
- Colonscopia, l’esame di scelta
- Rettosigmoidoscopia
- Clisma opaco a doppio contrasto.
Ricerca di metastasi da tumore del colon retto
Le principali aree anatomiche che devono essere valutate per la ricerca di eventuali metastasi sono:
- la rimanente parte di intestino crasso mediante le stesse indagini diagnostiche effettuate per scoprire il tumore primario;
- gli organi adiacenti, quali la vescica, le ovaie nelle donne e la prostata nell’uomo
- i linfonodi asportati chirurgicamente;
- il fegato, i polmoni e le ossa mediante diagnostica per immagini (ecografia, TAC, risonanza magnetica).
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Stadiazione e prognosi del tumore del colon retto
Un tumore originale localizzato nell’ambito del tessuto o dell’organo dal quale si è sviluppato è detto “tumore primitivo”. Il termine “tumore primitivo del colon retto” indica un tumore che, essendosi sviluppato da uno dei tessuti del colon o del retto (quasi sempre dalla mucosa), si trova localizzato dove ha avuto origine. Quando il cancro si diffonde ad organi o tessuti diversi da quello nell’ambito del quale si è formato, si dice che da luogo a metastasi (o metastatizza o forma lesioni “secondarie” o “ripetitive”). Se un tumore del colon retto viene rilevato in tessuti od organi diversi si definisce: “cancro del colon retto metastatico” ed è una forma più grave di tumore. Le metastasi vengono denominate in base alla loro localizzazione: se si trovano nel fegato vengono chiamate “metastasi epatiche da cancro del colon retto“. Analogamente, ci si riferisce a metastasi presenti nei polmoni come “metastasi polmonari da cancro del colon retto”, ecc.
Il 25% dei pazienti a cui è diagnosticato il tumore del colon retto si trova già in fase metastatica. Invece, tra i pazienti con tumore del colon retto diagnosticato in fase di malattia localizzata, il 50% sviluppa metastasi nel periodo post-operatorio. La previsione dell’esito (prognosi) del cancro del colon retto dipende strettamente dal grado di invasione dei tessuti e degli organi posti nelle vicinanze del tumore, dalla presenza di eventuali metastasi ai linfonodi o ad altri organi e tessuti. La presenza di cellule tumorali nell’ambito dei linfonodi vuol dire che alcune cellule si sono diffuse al di fuori del tumore di origine. In alcuni casi l’invasione si ferma al linfonodo, in altri casi lo supera e raggiunge altre parti dell’organismo.
La conoscenza dello stadio della malattia è importante per fornire al paziente delle cure il più possibile appropriate, e per formulare una probabile prognosi.
Nel tumore (carcinoma) del colon sono identificabili quattro stadi:
- Stadio 0: carcinoma in stadio molto precoce, localizzato alla mucosa, il tessuto che tappezza il lume del colon, senza invaderla in tutto il suo spessore;
- Stadio I: il carcinoma invade tutto lo spessore della mucosa e raggiunge la membrana che la separa dagli strati più esterni;
- Stadio II: il carcinoma si è diffuso agli strati di tessuto muscolare del colon;
- Stadio III: il carcinoma si è diffuso ai linfonodi;
- Stadio IV: il carcinoma si è diffuso ad altri organi (metastasi).
Leggi anche: Stadiazione e classificazione TNM: cancro curabile o terminale?
Nel caso del tumore del colon, le metastasi si producono con maggiore frequenza nel fegato. Ciò avviene perché le cellule tumorali viaggiano nel sangue e dall’intestino al fegato c’è un’importante rete di vasi sanguigni, definito circolo portale, che normalmente serve a trasportare le sostanze che vengono assorbite dall’intestino, ma in presenza di un cancro può trasferire anche cellule tumorali. Queste si possono fermare nel fegato o dirigersi verso altre parti del corpo, sempre lungo il circolo sanguigno. In particolare, superato il fegato, il sangue va al cuore e poi è pompato ai polmoni, che rappresentano la localizzazione di metastasi da tumore del colon retto più comune dopo il fegato. Il sangue dai polmoni torna al cuore e poi è pompato al resto del corpo. Nella diffusione delle cellule tumorali intervengono vari fattori, fra i quali il tempo. Per questo motivo la diagnosi precoce ha un ruolo decisivo nel prevenire, o limitare, la diffusione e controlli ben programmati, dopo un trattamento iniziale, servono a curare tempestivamente le recidive.
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Lo Staff di Medicina OnLine
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