Differenze tra linfoma di Hodgkin e non Hodgkin: qual è il più grave?

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Per linfoma si intende un gruppo di tumori sia benigni che maligni del tessuto linfoide (tessuto connettivo di timo, milza e linfonodi, caratterizzato dall’essere composto in gran parte da varie cellule sostenute da una fitta rete connettivale, cioè linfociti T e B, NK e loro precursori). Vi sono dozzine di sottotipi di linfoma, tra cui i più diffusi sono il linfoma di Hodgkin (HL), il linfoma non-Hodgkin (NHL), il mieloma multiplo ed i disordini immunoproliferativi. Relativamente all’argomento dell’articolo, un linfoma non Hodgkin si differenzia dal linfoma di Hodgkin per svariati motivi, epidemiologici, eziologici, relativi alla prognosi e istologici.

Epidemiologia
La prima distinzione è la frequenza: i linfomi non Hodgkin sono molto più frequenti, andando a costituire circa il 90% dei casi di linfoma, mentre i linfomi di Hodgkin solo circa il 10%.

Cause
Un’altra distinzione è rappresentata dai diversi fattori di rischio, anche se il rischio di patologia è aumentato in presenza di condizioni di immunodepressione (ad esempio in seguito a un trapianto d’organo o AIDS in caso di infezione da HIV) in entrambi i tipi di linfoma.
I fattori di rischio specifici per l’HL comprendono le infezioni da virus di Epstein-Barr.
I fattori di rischio specifici per la NHL invece includono: l’infezione da virus T-linfotropico dell’uomo, l’assumere ingenti quantità di carne e grasso, così come l’uso massiccio di farmaci immunosoppressori e l’esposizione ad alcuni pesticidi.

Per approfondire:

Istopatologia
Dal punto di vista istopatologico, il linfoma non Hodgkin si differenzia dal linfoma di Hodgkin anche perché è privo della cellula di Reed-Sternberg, una cellula gigante caratterizzata da due nuclei distinti, che è l’elemento distintivo dei linfomi del secondo tipo.

Prognosi
La prognosi è diversa, migliore per i linfomi di Hodgkin. Il tasso di sopravvivenza complessivo a cinque anni, negli Stati Uniti, per gli Hodgkin è dell’85% mentre per i non Hodgkin è del 69%. Ha comunque poco senso parlare di gravità maggiore nell’uno o nell’altro tipo, dal momento che essa è estremamente soggettiva, dipendendo dallo stadio del linfoma, dall’età del paziente e dal suo stato di salute generale.

L’importanza della diagnosi differenziale
La diagnosi differenziale tra i due tipi di linfoma si pone con l’esame istologico, ossia lo studio delle cellule e dei tessuti al microscopio, oppure con l’analisi molecolare, che consiste nello studio delle modificazioni genetiche nel DNA delle cellule malate. La differenza tra i due tipi di linfoma è sostanziale, e classificare correttamente la malattia è molto importante ai fini della definizione del piano terapeutico: la scelta della terapia dipende infatti dal tipo e dallo stadio del linfoma, dall’età del paziente e dal suo stato di salute generale.

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Linfoma non Hodgkin: sintomi, cure, prognosi e recidive

medicina-online-dott-emilio-alessio-loiacono-medico-chirurgo-roma-differenza-iperplasia-neoplasia-cancro-riabilitazione-nutrizionista-infrarossi-accompagno-commissioni-cavitazione-radiofrequenza-ecogrIl linfoma non Hodgkin è un tumore che nasce nel sistema linfatico e si sviluppa dai linfociti, cellule presenti nel sangue e nel tessuto linfatico di linfonodi, milza, timo, midollo osseo, tonsille e altre piccole aree dell’organismo. Invece di combattere le malattie, i linfociti (linfociti B o linfociti T) si accumulano nei linfonodi e in altri organi. Il linfoma non Hodgkin ha un’incidenza di 5 volte maggiore rispetto al linfoma di Hodgkin, e il 95% dei pazienti colpiti da questa malattia sono adulti. Sono state identificate almeno 30 forme diverse di questo tipo di tumore.

I linfomi possono nascere da tutti i tipi di linfociti (B, T e NK): i più comuni nel nostro Paese sono i linfomi di derivazione dai linfociti B. Le cause di questo tipo di tumore non sono ancora del tutto chiare. Si sa che alla base vi è un’anormale produzione di linfociti. In condizioni non patologiche, questi seguono un normale ciclo di vita: i più vecchi muoiono mentre l’organismo ne produce di nuovi per sostituirli. Nel linfoma non Hodgkin, invece, i vecchi linfociti non muoiono, ma continuano ad aumentare e ad accumularsi all’interno dei linfonodi o di altri tessuti, che si ingrossano o si alterano nella loro struttura.

Quali sono i fattori di rischio per il linfoma non Hodgkin?

La causa precisa di questo tipo di linfoma non è ancora conosciuta, ma alcuni fattori che possono aumentare il rischio di ammalarsi sono:

  • condizioni di immunodepressione (ad esempio in seguito a un trapianto d’organo o a infezione da HIV).
  • alcune infezioni virali, tra cui HIV, epatite C e virus di Epstein-Barr (responsabile della mononucleosi infettiva).
  • agenti chimici presenti ad esempio negli insetticidi.
  • età (soprattutto dopo i 60 anni).

Come si può prevenire il linfoma non hodgkin?

Trattandosi di una malattia rara, non è purtroppo noto alcun modo per prevenire l’insorgenza del linfoma non Hodgkin, se non evitando l’esposizione ai fattori di rischio comuni a tutti i tipi di cancro.

Per approfondire:

Diagnosi

Adulti e bambini con sospetta diagnosi di linfoma non Hodgkin vengono innanzitutto sottoposti ad un accurato esame obiettivo: l’ingrossamento non dolente dei linfonodi di collo, ascelle o inguine è spesso l’unico segno di linfoma non Hodgkin agli stadi iniziali. Altri sintomi possono includere febbre, sudorazione notturna, spossatezza, perdita di peso, dolore o gonfiore addominale, prurito persistente e dolore toracico, tosse o difficoltà respiratoria, a seconda della sede di insorgenza della malattia.
Durante la visita il medico analizza dimensioni e consistenza di tutti i linfonodi, alterati e normali. Vengono quindi eseguite le analisi del sangue e delle urine per escludere un’infezione o un’altra malattia che possano essere la causa dell’ingrossamento dei linfonodi.
Il primo passo per la diagnosi di linfoma non Hodgkin è la biopsia, di parte o di tutto il linfonodo. Il tessuto prelevato viene analizzato dall’anatomopatologo, che oltre a porre la diagnosi di linfoma ne stabilisce il sottogruppo di appartenenza: in generale un linfoma può crescere lentamente (linfoma indolente o “a basso grado di malignità”) o rapidamente (linfoma aggressivo o “ad alto grado di malignità”).

Esiste poi il piccolo sottogruppo dei linfomi “acuti” o molto aggressivi, assimilabili per la loro velocità di crescita alle leucemie acute. Il linfoma non Hodgkin è classificato in circa 30 tipi diversi, sulla base di numerosi fattori, tra cui la derivazione del tumore dai linfociti B o dai linfociti T, le dimensioni e le modificazioni genetiche dei linfociti, le modalità di aggregazione delle cellule tumorali e il loro tasso di crescita.
Successivamente vengono prescritti radiografie, TAC, spesso PET e a volte RMN, allo scopo di valutare l’estensione della malattia ai vari organi e tessuti. A questi esami si aggiunge la biopsia osteomidollare, utile per determinare la presenza di cellule malate a livello del midollo osseo. Al termine di queste indagini al linfoma viene attribuito lo stadio: da I a IV in base al numero di sedi infiltrate, alla presenza di localizzazioni in organi non linfonodali, e il suffisso B o A alla presenza o meno di segni sistemici (febbre, sudorazione, calo ponderale).

Trattamenti

La scelta della terapia dipende dal tipo e dallo stadio del linfoma non-Hodgkin, dall’età del paziente e dal suo stato di salute generale.

Malattia in stadio iniziale (I-II)

Il paziente affetto da linfoma indolente in stadio iniziale (ossia con malattia localizzata da un lato del diaframma) viene generalmente sottoposto a radioterapia con l’applicazione di radiazioni in dosi adatte per distruggere le cellule neoplastiche. Il paziente affetto da linfoma aggressivo in stadio iniziale, invece, a meno di gravi comorbidità, viene sottoposto ad una breve chemioterapia (3 cicli) associata ad anticorpo monoclonale (rituximab) se la malattia è derivata dai linfociti B, e viene successivamente sottoposto a radioterapia di consolidamento sulla/e sede/i di malattia.

Malattia in stadio avanzato (III-IV)

Il paziente affetto da linfoma indolente in stadio avanzato non sempre necessita di un trattamento immediato: se la malattia non mostra segni clinici di rapida evoluzione, si può rimandarne l’inizio monitorando regolarmente il paziente. In caso contrario vengono effettuati da 6 a 8 cicli chemioterapia, sempre associata a rituximab se il linfoma è di derivazione B-linfocitaria. Il paziente affetto da linfoma aggressivo a uno stadio avanzato viene sottoposto a 6-8 cicli di chemioterapia (sempre associata a rituximab per i linfomi B) da iniziarsi in tempi piuttosto rapidi. Nella scelta della chemioterapia vengono utilizzate combinazioni di farmaci, somministrati tramite iniezione endovenosa, per distruggere le cellule tumorali che crescono rapidamente. Esistono anche farmaci da assumere per via orale, che tuttavia vengono oggi riservati a pazienti anziani o con altre patologie concomitanti che rendono troppo rischiosa la somministrazione della terapia endovenosa. I linfomi aggressivi possono insorgere anche primitivamente in sedi extranodali uniche, ad esempio il cervello, e in questo caso richiedere trattamenti chemioterapici dedicati e radioterapia aggiuntiva.

Radioimmunoterapia

Si tratta di farmaci che combinano un anticorpo monoclonale specifico per il linfoma (di derivazione B linfocitaria) con isotopi radioattivi. Questi composti si legano alle cellule tumorali, tramite l’anticorpo che le riconosce, e successivamente le distruggono attraverso la componente radioattiva. La radioimmunoterapia è generalmente ben tollerata, e gli effetti collaterali sono molto rari, tanto che in alcuni casi viene proposta a pazienti che non possono ricevere terapie aggressive, purché siano monitorati regolarmente per i valori dell’emocromo. In Italia è disponibile un solo tipo di radioimmunoconiugati (ibritumomab tiuxetano: combinazione di anticorpo anti-CD20 rituximab con ittrio90), la cui somministrazione è approvata per i linfomi indolenti follicolari in recidiva oppure in prima linea come consolidamento dopo chemioterapia.

Recidiva

Il trattamento standard della recidiva prevede, in pazienti fino a 65-70 anni di età e in buone condizioni, la chemioterapia ad alte dosi con il trapianto (o meglio il supporto) di cellule staminali autologhe, generalmente periferiche come descritto nella scheda “Linfoma di Hodgkin”. In caso di fallimento anche di questa procedura, viene preso in considerazione il trapianto allogenico di cellule staminali, da fratello/sorella compatibile oppure da donatore volontario.

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Linfoma di Hodgkin: sintomi, cure, prognosi e recidive

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma COSE UN TUMORE CANCRO Ano Riabilitazione Nutrizionista Medicina Estetica Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata Macchie Capillari Linfodrenaggio Pene Vagina Glutei TestaIl linfoma di Hodgkin può colpire tutte queste parti del corpo e poi diffondersi ad altri organi. Nel linfoma di Hodgkin, le cellule del sistema linfatico (chiamate linfociti B) crescono in modo anormale e possono accumularsi sia nel sistema linfatico stesso che in altri organi. Con il progredire della malattia, viene compromessa la capacità dell’organismo di combattere le infezioni.

Quali sono i fattori di rischio per il linfoma di Hodgkin?

La causa precisa di questo tipo di linfoma non è ancora conosciuta, ma i principali fattori di rischio sono:

  • età: le fasce più a rischio sono principalmente tra i 20 e i 30 anni e tra i 50 e i 60 anni
  • storia familiare: fattori ambientali piuttosto che genetici sembrano essere chiamati in causa
  • sesso: sembra che gli uomini presentino un rischio di ammalarsi leggermente maggiore
  • virus di Epstein-Barr, responsabile della mononucleosi infettiva
  • condizioni di immunodepressione (ad esempio in seguito a un trapianto d’organo o in caso di infezione da HIV)
  • fattori geografici: il linfoma Hodgkin è maggiormente diffuso nel Nord Europa, negli Stati Uniti e in Canada e meno presente nei Paesi asiatici
  • livello socio-economico: questo linfoma è più comune fra le persone che hanno un tenore di vita elevato.

Esiste un modo di prevenire il linfoma di Hodgkin?

Trattandosi di una malattia rara, non è purtroppo noto alcun modo di prevenire l’insorgenza del linfoma di Hodgkin, se non evitando l’esposizione ai fattori di rischio comuni a tutti i tipi di cancro.

Per approfondire:

Diagnosi

Il linfoma di Hodgkin può essere difficile da diagnosticare poiché è caratterizzato da sintomi simili a quelli di altre malattie molto frequenti, ad esempio l’influenza. Le persone affette da linfoma di Hodgkin sono spesso asintomatiche. Talvolta è una radiografia del torace eseguita per altri motivi a rivelare un’anomalia che porta alla diagnosi di linfoma di Hodgkin.

Il linfoma di Hodgkin ha tuttavia alcune caratteristiche cliniche peculiari, tra cui la diffusione “ordinata” a stazioni linfonodali limitrofe, cioè, come si dice comunemente, è un linfoma che “non salta le stazioni linfonodali”. Ad esempio è tipico il coinvolgimento dei linfonodi sovra diaframmatici del collo, delle ascelle e del torace, ma molto raramente si verifica coinvolgimento linfonodale al collo e all’addome “saltando” il torace.

Un paziente con linfoma di Hodgkin può riferire febbre, sudorazione notturna, spossatezza, perdita di peso, dolore o gonfiore addominale, prurito persistente e dolore toracico, tosse o difficoltà respiratoria, a seconda della sede di insorgenza della malattia.

In caso di sospetto linfoma di Hodgkin, tramite biopsia vengono prelevati un linfonodo intero oppure un campione di tessuto da un linfonodo patologico. L’anatomopatologo esamina il tessuto per verificare la presenza di modifiche nella struttura del linfonodo normale e per identificare l’eventuale presenza delle cellule caratteristiche del linfoma di Hodgkin, chiamate cellule di Reed-Sternberg.

In caso di linfoma di Hodgkin il linfonodo malato contiene solo una piccola quantità di cellule neoplastiche, e una maggior quantità di infiltrato infiammatorio e di fibrosi circostante. Il paziente viene inoltre sottoposto a esami del sangue e a biopsia osteomidollare, oltre che a radiografie e a PET, TAC o RMN allo scopo di sondare la diffusione del tumore.

Al termine di queste indagini al linfoma viene attribuito lo stadio: da I a IV in base al numero di sedi infiltrate e alla presenza di localizzazioni in organi non linfonodali, associato al suffisso A o B in base alla presenza o meno di segni sistemici (febbre, sudorazione, calo ponderale). In base allo stadio viene stabilito l’approccio terapeutico.

Trattamenti

Le opzioni terapeutiche per il linfoma di Hodgkin dipendono principalmente dallo stadio della malattia al momento della diagnosi. Altrettanto importanti sono il numero e le stazioni di linfonodi intaccati e il coinvolgimento di uno o di entrambi i lati del diaframma. Altri fattori comprendono l’età del paziente, i sintomi e lo stato di salute generale. La maggior parte delle persone trattate per linfoma di Hodgkin vanno incontro ad una remissione completa della malattia. I protocolli di ricerca clinica possono rappresentare un’opzione nei casi in cui le terapie standard si dimostrano inefficaci.

Malattia in stadio iniziale (I-II)

Il paziente con linfoma di Hodgkin circoscritto a una o più aree dallo stesso lato del diaframma, viene sottoposto a una chemioterapia di breve durata (da 2 a 4 cicli) e successivamente a radioterapia con irradiazione dei linfonodi colpiti dalla malattia all’esordio. La radioterapia può in casi molto selezionati essere utilizzata da sola nei casi in cui il paziente presenti delle controindicazioni assolute alla chemioterapia. La radioterapia può aumentare il rischio di altre forme di tumori, ad esempio del seno o del polmone. Per le adolescenti e le donne sotto i 30 anni di età, questo rischio è considerato troppo elevato: anche per questo motivo oggi la radioterapia viene somministrata a basse dosi.

Malattia in stadio avanzato (III-IV)

Il paziente con malattia estesa ad altri distretti linfonodali o ad altri organi è trattato con la chemioterapia, utilizzata anche in caso di recidiva dopo la radioterapia. Dopo la chemioterapia, generalmente 6 cicli, il paziente che all’esordio aveva localizzazioni di malattia di grosse dimensioni (>10 cm) riceve su quelle sedi un ciclo di radioterapia. Negli ultimi anni si è visto che il risultato della PET dopo i primi due cicli di trattamento è particolarmente importante nel predire la prognosi del paziente e l’eventuale rischio di recidiva.

Protocolli di ricerca clinica

La terapia standard di prima linea o di salvataggio è inefficace nel 15% circa dei pazienti affetti da linfoma di Hodgkin. Per questi pazienti in alcuni centri medici esiste l’opzione di partecipare a un protocollo di ricerca clinica che prevede l’utilizzo controllato di nuove terapie non ancora approvate ufficialmente. I protocolli di ricerca clinica hanno lo scopo di determinare la sicurezza e l’efficacia di una terapia: possono non rappresentare una cura, ma prolungare la vita o migliorarne la qualità. Tali protocolli possono prevedere l’utilizzo di nuove molecole di diversa origine, come chemioterapici o terapie biologiche, la cui azione è mirata al meccanismo di proliferazione cellulare tipico di un preciso tipo di neoplasia (farmaci “intelligenti”). Per avere maggiori informazioni e capire quali protocolli possono essere adatti al proprio caso, è opportuno che il paziente si rivolga al proprio emato-oncologo di fiducia.

Recidiva

In caso di linfoma di Hodgkin recidivante dopo la chemioterapia iniziale, viene proposta al paziente l’opzione della chemioterapia in dosi elevate con trapianto di cellule staminali. Poiché dosi elevate di chemioterapia distruggono il midollo osseo, prima si procede al prelievo e al congelamento di cellule staminali emopoietiche dal sangue periferico del paziente stesso. Una volta completata la chemioterapia, le cellule vengono reinfuse al paziente. In caso di fallimento anche di questa procedura, viene preso in considerazione il trapianto allogenico di cellule staminali, da fratello/sorella compatibile oppure da donatore volontario.

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Cos’è un linfoma e quali tipi di linfomi esistono?

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma 10 COSE LINFOMA QUALI TIPI LINFOMI Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgIl linfoma è una malattia del sistema linfatico, cioè dell’insieme di tessuti che hanno la funzione di difendere l’organismo dagli agenti esterni e dalle malattie. Questo sistema comprende i linfonodi, la milza, il timo, il midollo osseo e altre piccole aree dell’organismo. I linfomi fanno parte del più ampio gruppo di neoplasie dei tessuti linfoidi (linfociti T e B e loro precursori). A livello mondiale si stima che attualmente vi siano circa 600.000 linfomi all’anno con circa 300.000 decessi. I linfomi costituiscono il 4% di tutti i tumori e ciò li rende la settima forma più comune tra gli adulti, nei bambini sono il terzo tumore più comune.

Per approfondire:

Sintomi e segni
I sintomi possono includere, tra gli altri:

  • ingrossamento dei linfonodi generalmente non dolorosi;
  • febbre al di sopra di 38°;
  • sudorazione, specie di notte;
  • prurito;
  • perdita di peso inspiegabile di più del 10% del peso corporeo negli ultimi 6 mesi;
  • astenia (sensazione di stanchezza).

Classificazione dei linfomi
Vi sono due tipi principali di linfomi: linfoma di Hodgkin (HL) e linfoma non Hodgkin (NHL). I linfomi non Hodgkin costituiscono circa il 90% dei casi e comprendono un gran numero di sotto-tipi. Un’altra semplice distinzione, in base alla clinica, si fa tra:

  • Linfomi indolenti: che esordiscono senza un deperimento delle condizioni generali ed hanno una storia naturale di lunga sopravvivenza (anni) senza trattamento. Di questi fanno parte, in maggioranza, i linfomi a derivazione B, e solo un linfoma T. Grossolanamente, questi linfomi sono guaribili con fatica.
  • Linfomi aggressivi: esordiscono con un rapido deperimento delle condizioni di salute e portano all’exitus in poche settimane se non trattati. Tuttavia, al contrario degli indolenti, hanno generalmente più possibilità terapeutiche. Quasi tutti i linfomi T sono aggressivi, mentre di meno sono i B aggressivi.

Cause e fattori di rischio
La causa precisa di questi tumori non è ancora conosciuta con certezza, tuttavia sono noti alcuni fattori di rischio. I fattori di rischio per l’HL comprendono le infezioni da virus di Epstein-Barr e le condizioni di immunodepressione (ad esempio in seguito a un trapianto d’organo o in caso di infezione da HIV).
I fattori di rischio per la NHL invece includono: malattie autoimmuni, l’AIDS, l’infezione da virus T-linfotropico dell’uomo, assumere ingenti quantità di carne e grasso, così come l’uso massiccio di farmaci immunosoppressori e l’esposizione ad alcuni pesticidi.

Diagnosi
La diagnosi viene fatta attraverso l’analisi del sangue, delle urine o del midollo osseo. Una biopsia di un linfonodo può rivelarsi utile. Indagini di imaging biomedico possono essere fatte per determinare se e dove il tumore si è diffuso, questa diffusione può verificarsi in molti altri organi, tra cui: polmoni, fegato e cervello.

Terapie e prognosi
Il trattamento può comportare una combinazione di chemioterapia, radioterapia, terapia mirata e chirurgia. Nel caso di non Hodgkin il sangue può diventare così denso di proteine che una plasmaferesi può rendersi necessaria. La scelta della terapia dipende molto dal tipo e dallo stadio del linfoma, dall’età del paziente e dal suo stato di salute generale. Il tasso di sopravvivenza complessivo a cinque anni, negli Stati Uniti, per gli Hodgkin è dell’85% mentre i non Hodgkin è del 69%.

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Differenza tra distorsione e frattura

MEDICINA ONLINE DIFFERENZA TRAUMA MUSCOLO OSSO FRATTURA LUSSAZIONE DISTORSIONE STRAPPO DISTRAZIONE MOVIMENTO ROTTURA MUSCOLARE ATTIVITA FISICA SPORT MOVIMENTO GAMBA PIEDE GINNASTICA SCALa distorsione è una lesione della capsula e dei legamenti, a volte  con lacerazione, ma senza rottura; provoca una fuoriuscita di sangue nella sede articolare per cui si verifica gonfiore e tumefazione. Ci può essere anche dolore intenso e il movimento è bloccato. Interessa di solito la caviglia, il ginocchio e il polso, è favorita da un tono muscolare insufficiente ed è provocata da un movimento brusco che sposta l’articolazione portando temporaneamente i capi articolari al di là dei limiti fisiologici. E’ più frequente negli adulti che nei bambini e la sua gravità è estremamente variabile  in quanto può comportare danni di varia entità alle componenti dell’articolazione: capsula, legamenti, tendini e menisco. La distorsione a carico della caviglia può portare a distorsioni recidivanti anche per tutta la vita, a causa di disfunzioni permanenti e mancanza di risposta muscolo-tendinea. In caso di distorsione è necessario mettere l’arto in posizione sollevata, applicare una borsa del ghiaccio e rivolgersi al medico, anche per escludere la presenza di fratture.

La frattura indica, in medicina, l’interruzione parziale o totale della continuità di un osso del corpo, causate da traumi (incidenti stradali, cadute), da patologie (tumore) o da stress (da microtraumi reiterati in un osso con normale resistenza meccanica).
Quando si frattura un osso, esso può rimanere confinato nella cute integra (fratture chiuse) oppure può lesionare la cute: i monconi ossei sporgono e comunicano con l’esterno. Questo tipo di frattura viene chiamato “frattura esposta“. Le fratture di questo tipo comportano un rischio di infezione ed emorragia elevato e richiedono un trattamento antibiotico e chirurgico.

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Differenza tra melanina, melatonina e melammina

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Melatonina

La melatonina è un ormone (la formula chimica bruta è C13H16N2O2) che nel nostro corpo regola i ritmi biologici, soprattutto il ritmo sonno-veglia. Viene prodotta dall’epifisi, detta anche ghiandola pineale (ha le dimensioni di un cece e si trova al centro dell’encefalo), in base alle condizioni di luminosità i cui recettori sono presenti nell’occhio, insieme alle cellule deputate alla visione. In pratica:

  • quando l’occhio è colpito da luce, solitamente di giorno, la produzione di melatonina diminuisce favorendo la veglia;
  • quando l’occhio è immerso nel buio, solitamente di notte, la produzione di melatonina aumenta favorendo il sonno, per questo motivo la melatonina è anche definita “ormone del buio”.

La produzione di melatonina è massima durante il periodo invernale, quando le ore di luce sono ridotte, e durante la notte. I meccanismi con i quali controlla i ritmi biologici non sono ancora ben conosciuti. Si trova sotto forma di integratore alimentare o di farmaco per favorire il sonno.

Melanina

La melanina o le melanine (la principale per il corpo umano è l’eumelanina, la cui formula di struttura non è ancora ben chiara) sono pigmenti prodotti da cellule specializzate dell’epidermide: i melanociti che, stimolati dai raggi solari, formano granuli di melanina detti melanosomi. Quando questi granuli, prodotti in quantità, si raggruppano intorno ai cheratinociti (altre cellule specializzate dell’epidermide) provocano l’abbronzatura. Melanine sono presenti anche nell’iride degli occhi e nei peli. Un ruolo fondamentale viene svolto dai raggi solari (o da quelli artificiali delle lampade) che penetrano nella nostra pelle: gli Uvb si fermano soprattutto all’epidermide mentre gli Uva raggiungono anche lo strato più profondo, il derma. Secondo alcuni studi condotti alla Boston University da Barbara Gilchrest, l’esposizione alla luce provoca sempre danni al DNA delle cellule dell’epidermide. Normalmente questi danni attivano la produzione di enzimi riparatori che recidono e sostituiscono le parti di DNA danneggiato. Questi stessi enzimi stimolano i melanociti alla produzione di un ormone, l’Msh o Melanocyte stimulating hormonche, a sua volta, induce la produzione di melanina che “protegge” la pelle da possibili danni ben più gravi. Quali sono? Soprattutto il rischio di melanoma, il più grave tumore che può colpire la pelle. Paradossalmente, per proteggerci un po’ di più dal melanoma dobbiamo prima far subire dei danni alla stessa pelle. Il melanoma è un tumore in aumento nel mondo. In Italia provoca circa 7-8000 decessi all’anno. La sua aggressività sembra dovuta non tanto alle dimensioni visibili, ma alla sua profondità: se non supera 0,7 cm è considerato poco aggressivo e una volta asportato si possono fare visite di controllo ogni sei mesi. Se invece è più profondo di 0,7 cm, purtroppo si collega ai vasi linfatici del derma che possono trasportare in altri distretti le cellule “impazzite”. I melanociti possono trasformarsi in cellule tumorali sia per cause genetiche, sia per eccessive esposizioni alle radiazioni solari o artificiali. Quindi attenzione: esposizioni moderate e graduali, con le necessarie creme protettive. Per la prevenzione, bisogna far controllare regolarmente i nei dopo i trent’anni. I principali segnali d’allarme sono: i bordi frastagliati, la variazione di colore o di dimensione, la forma asimmetrica, il sanguinamento, la “scomparsa”.

Melammina

La melammina, o melamina, è un composto chimico cristallino (tecnicamente, un monomero) e, unita alla formaldeide, è la più importante materia prima per la produzione delle stoviglie di plastica (resine melamminiche). È molto ricca di azoto, per cui è usata talvolta come fertilizzante; alcuni anni fa è diventata una sostanza “famosa” perché è stata aggiunta in modo criminale in un latte per bimbi nel mercato cinese affinché i rilevatori di proteine (che rilevano in realtà il livello di azoto) dessero dei risultati falsati, facendo credere che il latte fosse più proteico mentre purtroppo aveva solo più azoto, in una forma inutile e velenosa.

Semplificando

In sintesi:

  • la melatonina è un ormone prodotto dall’epifisi e si può acquistare sotto forma di integratore o di farmaco per favorire il sonno;
  • la melanina è un pigmento responsabile dell’abbronzatura;
  • la melammina è un composto chimico usato per realizzare prodotti plastici.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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Differenze tra Efferalgan e Co-Efferalgan

MEDICINA ONLINE FARMACO FARMACI EFFETTI COLLATERALI INDICAZIONI CONTROINDICAZIONI EFFETTO DOSE DOSAGGIO PILLOLE CREMA PASTIGLIE SUPPOSTE SIRINGA INIEZIONE EMIVITA FARMACOCINETICAL’Efferalgan è un farmaco che contiene solo paracetamolo, invece il Co-Efferalgan associa al paracetamolo la codeina che appartiene ad un gruppo di farmaci chiamati analgesici oppioidi. Entrambi servono principalmente per calmare il dolore, tuttavia il Co-Efferalgan ha una azione analgesica più potente.
Le controindicazioni sono diverse, ad esempio l’Efferalgan può essere somministrato ad un bambino sotto i 12 anni, mentre il Co-Efferalgan no, avendo quest’ultimo molti più effetti collaterali del “semplice” Efferalgan. Ricordate: chiedete SEMPRE consiglio ad un medico prima di assumere un farmaco, evitate il “fai da te”!

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Differenza tra proteine caseine e whey

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Le caseine, a causa della loro struttura e della loro natura micellare, sono più difficili da digerire, per questo motivo sono considerate proteine a lento assorbimento, infatti sono chiamate anche “slow protein”.
Studi scientifici hanno dimostrato che le caseine garantivano un rilascio di proteine nel sangue più dilazionato nel tempo rispetto alle whey: in seguito alla loro assunzione si nota un picco di indice amminoacidico nel sangue solo dopo 3-4 ore. La sintesi proteica può durare anche fino a 7 ore dall’ingestione di caseine.

Le proteine whey (proteine del siero del latte) invece garantivano un innalzamento del livello amminoacidico sanguigno più veloce e più intenso, anche se di minor durata, favorendo però una sintesi proteica del 68%, rispetto al 31% delle caseine.
La caseine però, dal canto loro, riducono il catabolismo proteico (ovvero la degradazione delle proteine per formare amminoacidi o composti più semplici) del 34%.

Per questi motivi, il nostro consiglio, è di assumere le caseine lontano dagli allenamenti, specialmente prima di andare a dormire, in modo da avere :

  • lenta disponibilità di aminoacidi – perfetta per le ore notturne;
  • riduzione del catabolismo delle proteine, provocato dal digiuno notturno.

Al contrario le whey, essendo ad assorbimento più veloce, devono essere assunte subito dopo l’allenamento. Questo perché i loro amminoacidi riescono ad essere assorbiti dall’intestino in tempi molto brevi, per essere velocemente disponibili per l’anabolismo proteico (ovvero per la sintesi di proteine complesse a partire da amminoacidi semplici). Le proteine whey inoltre provocano l’innalzamento dei livelli di insulina: tale ormone, legandosi alla superficie delle cellule muscolari, permette di facilitare l’ingresso del glucosio nei muscoli, tramite l’attivazione di specifiche proteine trasportatrici, le GLUT 4. In questo modo si vanno ad integrare più velocemente le scorte di glicogeno consumate durante un allenamento intenso, il che si traduce in un recupero più veloce post-workout. Da non sottovalutare infine un altro ruolo importante dell’insulina, che  è quello di ridurre i fenomeni di proteolisi (ovvero di catabolismo proteico), per questo si ritiene che l’insulina non agisca direttamente ma indirettamente sulla sintesi proteica, ma solo quando si è in presenza di un’elevata disponibilità di amminoacidi liberi nel sangue (che invece hanno un ruolo prettamente anabolico).

Per questi motivi, il nostro consiglio, è di assumere le whey subito dopo l’allenamento, in modo da avere :

  • rapida disponibilità di aminoacidi – perfetta per il post-workout;
  • rapida ricostruzione delle scorte di glicogeno consumate durante un allenamento intenso (recupero più veloce);
  • maggiore sintesi proteica;
  • riduzione di proteolisi (ovvero catabolismo proteico).

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