Aneurisma cerebrale rotto e non rotto: cause, sintomi, diagnosi e cura

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma ANEURISMA CEREBRALE ROTTO NON CAUSE SINTOMI Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Pene.jpgPer definizione un “aneurisma” è una dilatazione anomala e permanente della parete di un segmento di un’arteria, almeno pari al 50% (altrimenti si parla di ectasia), causata da un trauma o da una patologia che interessa il vaso sanguigno (ad esempio aterosclerosi).

Un aneurisma cerebrale (intracranial aneurysm o cerebral aneurysm in inglese) è una malformazione vascolare a carico delle arterie cerebrali che appaiono dilatate, di aspetto sacculare o fusiforme.

Nel caso abbiate legittimi sospetti che voi o un vostro caro siate stati colpiti da TIA o ictus o emorragia cerebrale, leggete immediatamente questo articolo per sapere cosa fare: Ictus, emorragia cerebrale cerebrale e TIA: cosa fare e cosa assolutamente NON fare

Quanto sono diffusi gli aneurismi cerebrali?
Si calcola che circa 1% della popolazione sia portatrice inconsapevole di almeno un aneurisma cerebrale; approssimativamente 02-0.3 % dei portatori di aneurisma va incontro a sanguinamento nella sua vita. L’incidenza annuale della emorragia subaracnoidea è di 10-15 casi ogni 100.000 abitanti. Il 15-20% dei pazienti muore prima di raggiungere l’Ospedale, e più del 50% muore entro i primi 30 giorni. L’ictus può insorgere a qualsiasi età anche se le statistiche identificano il gruppo 40-60 anni come quello a maggior rischio. Il sesso femminile ha un rischio superiore rispetto al maschile (3:2).

Dimensione e sede degli aneurismi cerebrali
Le dimensioni possono variare da pochi millimetri a lesioni definite “giganti”, di diametri maggiori di 2.5 cm. L’aneurisma cerebrale può interessare qualunque arteria cerebrale anche se con frequenza, e a volte sintomatologia, diversa.
Circa l’85% degli aneurismi intracranici sono situati attorno all’arteria comunicante anteriore (30- 35%), l’arteria comunicante posteriore (30-35%), la biforcazione dell’arteria cerebrale media (20%), dell’arteria basilare (5%), la carotide interna (ICA) capolinea o parete posteriore, l’arteria cerebellare superiore (SCA), o l’arteria posteriore cerebellare inferiore (PICA).

Per approfondire:

Gli aneurismi cerebrali oltre che per le dimensioni e la sede possono essere divisi in due grosse famiglie:

  • Aneurismi cerebrali rotti: quelli che determinano il quadro dell’emorragia subaracnoidea
  • Aneurismi cerebrali non rotti: lesioni spesso riscontrate occasionalmente in corso di altri accertamenti

Come prima accennato circa l’1% della popolazione è portatrice di aneurismi cerebrali, ma solo una minima quantità di questi darà segno di sé. L’aneurisma cerebrale è di frequente localizzato nella biforcazione dei vasi cerebrali, segno che la causa è spesso embriologica. Una volta formatosi la sua storia naturale è variabile.

Fattori di rischio
Diversi fattori modificabili e non modificabili possono contribuire all’indebolimento delle pareti arteriose ed aumentare così il rischio di aneurisma cerebrale e sua rottura. Tra di essi ricordiamo:

  • sesso femminile;
  • età avanzata;
  • abuso di alcool;
  • fumo;
  • obesità;
  • pressione alta (ipertensione);
  • indurimento delle arterie (aterosclerosi);
  • precedenti famigliari di aneurisma, soprattutto nei parenti di primo grado;
  • abuso di droghe, in particolare di cocaina;
  • lesioni e traumi alla testa;
  • determinate infezioni del sangue;
  • diminuzione dei livelli di estrogeno dopo la menopausa.

Anche alcune malattie congenite sono in grado di aumentare il rischio di aneurisma. Tra di esse ricordiamo:

  • disturbi ereditari del tessuto connettivo ad esempio la sindrome di Ehlers-Danlos, che indebolisce i vasi sanguigni;
  • rene policistico: si tratta di un disturbo ereditario che provoca la formazione di cisti nei reni e di solito fa aumentare la pressione sanguigna;
  • coartazione aortica: l’aorta, l’arteria che trasporta il sangue ricco di ossigeno dal cuore al resto dell’organismo, si restringe in modo anomalo;
  • malformazione artero-venosa cerebrale (AVM cerebrale): un collegamento anomalo tra le arterie e le vene cerebrali interrompe la normale circolazione.

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Nella maggior parte dei casi l’aneurisma cerebrale rimane silente tutta la vita. Raramente aumenta progressivamente di dimensioni fino a dare sintomi da “effetto massa” (cefalea, compressione di nervi cranici con disturbi della motilità oculare, crisi epilettiche etc).
Una minima percentuale va incontro a rottura. Le dimensioni della sacca sono direttamente correlate al rischio di rottura. Un aneurisma cerebrale minore di 6-7 mm ha un rischio di sanguinamento/anno basso; se è invece superiore a 7 mm è generalmente da trattare.
Esiste quindi un territorio di “penombra” intorno ai 5-7 mm, nel quale risulta necessaria una attenta valutazione da parte del team neuro vascolare, che deve valutare il rischio in base a età del paziente, forma dell’aneurisma cerebrale, presenza di aneurismi cerebrali multipli e tolleranza del paziente all’idea di avere un aneurisma non rotto, aspetto da non sottovalutare.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
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Malformazioni artero-venose cerebrali: sintomi e cura

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma MALFORMAZIONI ARTERO VENOSE CEREBRALI SINTOMIRiabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Pene.jpgLe malformazioni artero-venose cerebrali sono patologie complesse che consistono in anomalie vascolari in cui le arterie, spesso ipertrofiche, confluiscono in una o più vene di scarico saltando il letto capillare (che fisiologicamente riduce la pressione). Il trattamento è spesso multidisciplinare: endovascolare, neurochirurgico e radiochirurgico.

Che cosa sono le malformazioni artero-venose (MAV)?

Le MAV sono patologie complesse che consistono in anomalie vascolari in cui le arterie, spesso ipertrofiche confluiscono in una o più vene di scarico saltando il letto capillare (che fisiologicamente riduce la pressione). Per tale motivo gli scarichi venosi sono sottoposti a un regime pressorio anomalo con tutte le conseguenze del caso. Possono essere cerebrali o spinali.

Quali sono le cause delle malformazioni artero-venose (MAV)?

Le MAV sono dovute al confluire delle arterie, spesso ipertrofiche (quindi più grosse rispetto al corrispettivo fisiologico), in una o più vene di scarico. Il letto capillare che fisiologicamente riduce la pressione, viene saltato e ciò comporta un regime pressorio anomalo a carico degli scarichi venosi che possono andare incontro a rottura o trombosi.

Quali sono i sintomi delle malformazioni artero-venose (MAV)?

In alcuni casi le MAV sono asintomatiche, cioè non danno alcun sintomo. Nel 50% dei casi, le MAV determinano una cefalea. Spesso le MAV possono provocare crisi epilettiche. Talvolta le malformazioni sanguinano dando segno di sé con sintomi correlati alla sede dell’ematoma.

Quali sono i rischi legati alle malformazioni artero-venose (MAV)?

Le MAV sono un fattore di rischio per emorragie cerebrali, crisi epilettiche, cefalee, trombosi, ictus cerebrali. Alcune di queste patologie, se non trattate, possono essere mortali.

Diagnosi

Spesso riscontro occasionale in risonanza magnetica encefalo eseguite per altri motivi. La RM rappresenta il primo livello diagnostico, permettendo una corretta valutazione della sede e dell’architettura della malformazione.
L’esame angiografico è fondamentale perché essendo “dinamico” permette di conoscere il flusso, valutare gli scarichi venosi e preventivare un trattamento endovascolare di embolizzazione.

Trattamenti

Il trattamento delle MAV è spesso multidisciplinare: endovascolare, neurochirurgico e radiochirurgico. Il tipo di trattamento dipende dalla sede, dalle dimensioni della MAV, dalla sintomatologia e dall’età del paziente.

Il trattamento microchirurgico consiste nell’isolare il nidus (il gomitolo di vasi anomali) chiudendo le afferenze a partenza dai vasi normali. La progressiva riduzione di sangue determina un lento “spegnimento” della MAV. Una volta circoscritto il nidus si chiudono le vene di scarico e si asporta la lesione. Bisogna sottolineare che all’interno della MAV non si trova tessuto cerebrale “funzionante”. Il trattamento microchirurgico si avvale delle più moderne tecniche di monitoraggio elettrofisiologico e di neuro navigazione che permettono una significativa riduzione della morbidità soprattutto in zone eloquenti (regioni motorie, della parola etc).

Il trattamento endovascolare di embolizzazione consiste nel passare con un catetere a livello inguinale, attraverso l’arteria femorale, fino a raggiungere gli apporti arteriosi della MAV. Si iniettano materiali in grado di ottenere una riduzione progressiva del flusso in rapporto al “planning multidisciplinare”. Il trattamento può essere mirato a una embolizzazione pre-chirurgia o pre-radiochirurgia. Solo in MAV piccole è possibile ottenere una completa chiusura della MAV con il solo trattamento endovascolare.

Il trattamento radiochirurgico: si tratta di raggi x o gamma che, tramite collimatori, raggiungono una “precisione chirurgica”. Previa angiografia cerebrale si esegue un piano di trattamento (in una singola seduta o in più sedute) che mira a chiudere nel tempo le afferenze arteriose e il nidus creando una “iperplasia” (un ispessimento progressivo della parete del vaso fino alla sua completa chiusura).
Per la radiochirurgia esiste un limite di volume della MAV. Se superiori a 3 cm hanno un alto rischio di recidiva. Per una completa obliterazione della MAV sono necessari fino a due anni, quindi nel frattempo il rischio di sanguinamento rimane invariato. Esiste anche un rischio di radio necrosi (effetti secondari dei raggi a livello del tessuto sano cerebrale) che risulta dose dipendente.

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Emorragia subaracnoidea: cause, sintomi, diagnosi e cura

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma EMORRAGIA SUBARACNOIDEA CAUSE SINTOMI Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgL’emorragia subaracnoidea (anche abbreviata ESA e chiamata subarachnoid hemorrhage in inglese) è un’emorragia – ovvero una fuoriuscita più o meno copiosa di sangue da un vaso leso – che si produce all’interno dello spazio subaracnoideo (lo spazio tra le meningi in cui scorrono le arterie cerebrali). Tra le cause più frequenti all’origine di questo tipo di emorragia ci sono aneurismi intracranici, malformazioni artero-venose (MAV), angiomi cavernosi, neoplasie, traumatismi.

Nel caso abbiate legittimi sospetti che voi o un vostro caro siate stati colpiti da TIA o ictus cerebrale, leggete immediatamente questo articolo per sapere cosa fare: Ictus, emorragia cerebrale e TIA: cosa fare e cosa assolutamente NON fare

Quali sono le cause dell’emorragia subaracnoidea?

Tra le cause più frequenti all’origine di questo tipo di emorragia ci sono gli aneurismi intracranici (responsabili dell’80% di questo tipo di emorragia); il 5% dei casi è invece dovuto a malformazioni artero-venose (MAV), nel restante 15% dei casi trovano spazio altre cause, come i traumi cerebrali e le neoplasie cerebrali.

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Quali sono i sintomi dell’emorragia subaracnoidea?

In caso di emorragia subaracnoidea il quadro clinico può essere di gravità variabile, a seconda dell’entità del sanguinamento. Nei casi meno gravi può essere caratterizzato dal solo mal di testa che insorge improvvisamente e in modo violento (descritto come un mal di testa “diverso” mai avuto prima, spesso ad insorgenza nucale), mentre nei casi più severi può comportare intolleranza alla luce (fotofobia), nausea e/o vomito, comparsa di importanti deficit neurologici, fino a portare al coma. Infine in alcuni casi l’emorragia subaracnoidea può determinare morte improvvisa. Il 50% di tutte le emorragie sub aracnoidee andrà incontro a morte o gravi/medi deficit neurologici permanenti.

Prevenzione

Ad oggi, purtroppo, non sono noti procedure o comportamenti in grado di prevenire lo sviluppo dell’emorragia subaracnoidea se non il controllo della pressione in noti aneurismi non rotti.

leggi anche: Differenza tra ictus cerebrale ed attacco ischemico transitorio (TIA)

Diagnosi

È di fondamentale importanza avere il sospetto dell’emorragia subaracnoidea. La diagnosi di emorragia subaracnoidea viene effettuata mediante TAC encefalo (tomografia assiale computerizzata) che mostra il sangue a livello degli spazi subaracnoidei. Nei centri specializzati, una volta evidenziata l’emorragia subaracnoidea, si effetua una AngioTAC encefalo che prevede il mezzo di contrasto e permette una visualizzazione della causa del sanguinamento nella maggior parte dei casi.
Se anche l’AngioTAC è negativa viene eseguita l’angiografia cerebrale. Attraverso l’arteria femorale si raggiungono le carotidi dove viene iniettato il mezzo di contrasto che permette il riscontro di eventuali malformazioni.
In caso di TAC negativa, ma con una sintomatologia clinica fortemente sospetta e convincente, si può effettuare una puntura lombare per evidenziare la presenza di sangue nel liquido cerebro-spinale.

Leggi anche:  Differenza tra emorragia cerebrale e subaracnoidea

Trattamenti

Il trattamento endovascolare non è un’alternativa a quello microchirurgico, ma una scelta di intervento vera e propria. Alcuni aneurismi infatti hanno un’indicazione alla chirurgia, altri al trattamento endovascolare. Sarà il team a valutare in base a ciascun caso il trattamento d’elezione. Il trattamento microchirurgico consiste nell’escludere la sacca aneurismatica mediante il posizionamento di una o più “clip” (piccole mollette) a livello del colletto della malformazione. Viene eseguito con l’ausilio delle più moderne tecnologie:

  • Microscopio operatorio
  • Fluoroangiografia intraoperatoria
  • Monitoraggio Neurofisiologico intraoperatorio
  • Endoscopia 3D
  • Microdoppler intraoperatorio

I rischi sono contenuti ricordando che i vasi cerebrali sono appoggiati sulla superficiedell’encefalo e non dentro, quindi l’intervento microchirurgico agisce sulla superficie senza superare il tessuto cerebrale. Fondamentale è l’uso dei monitoraggi intraoperatori per la valutazione motoria e sensitiva del paziente durante il corso del trattamento.
Il trattamento endovascolare è una normale procedura, angiografia cerebrale, che consiste nel raggiungere i vasi cerebrali attraverso l’arteria femorale e nel riempire la sacca aneurismatica con piccoli filamenti in titanio, o posizionando stent (piccoli cilindri di materiali malleabili) che escludono l’aneurisma dall’area cerebrale.
I rischi sono correlati alla possibilità di avere eventi ischemici transitori o permanenti(più alti nello stent che nelle spirali) e nella possibile rottura dell’aneruisma intraprocedurale.
I risultati del trattamento endovascolare possono non essere definitivi e necessitano di follow up seriati negli anni.

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Emorragia cerebrale: cause, sintomi premonitori, diagnosi e cura

MEDICINA ONLINE CERVELLO CRANIO EMORRAGIA CEREBRALE ISCHEMIA EMORRAGICA ICTUS SANGUE EMATOMA EMIPARESI EMIPLEGIA TETRAPARESI TETRAPLEGIA MORTE COMA PROFONDO STATO VEGETATIVODECUBITO RECUPERO SUBARACNOIDEA PARALISI.jpgL’emorragia cerebrale (in inglese conosciuta come intracranial hemorrhage, intracranial bleed o ICH), corrisponde ad una fuoriuscita più o meno abbondante di sangue da un vaso arterioso o venoso, spesso sclerotico, dell’encefalo. Solitamente risulta associata a ipertensione ed aneurisma. L’emorragia cerebrale è caratterizzata dalla comparsa acuta di deficit neurologici dovuti alla rottura di un vaso arterioso cerebrale e al conseguente stravaso di sangue all’interno del cervello stesso.

Nel caso abbiate legittimi sospetti che voi o un vostro caro siate stati colpiti da TIA o ictus o emorragia cerebrale, leggete immediatamente questo articolo per sapere cosa fare: Ictus, emorragia cerebrale cerebrale e TIA: cosa fare e cosa assolutamente NON fare

Fattori di rischio e cause di emorragia cerebrale

La causa principale di emorragia cerebrale è l’ipertensione arteriosa, responsabile in modo diretto o indiretto di quasi il 70% dei casi. Elevati valori pressori cronici sono responsabili di importanti modificazioni strutturali a carico delle pareti delle arteriole cerebrali che possono predisporle alla rottura. Un’altra causa all’origine delle emorragie cerebrali è attribuita alla deposizione di sostanza amiloide all’interno delle pareti vasali (angiopatia amiloide). Altre cause e fattori di rischio di sanguinamento cerebrale sono:

  • traumi cerebrali (ad esempio da incidenti stradali o sportivi);
  • malformazioni vascolari (come gli aneurismi e le malformazioni artero-venose);
  • coagulopatie;
  • neoplasie;
  • alcuni farmaci (come gli anticoagulanti);
  • patologie delle pareti dei vasi sanguigni;
  • dieta sbilanciata ricca di grassi e sale;
  • ipercolesterolemia;
  • sovrappeso e obesità;
  • fumo di sigaretta;
  • precedenti eventi ischemici;
  • uso cronico di sostanze stupefacenti;
  • stress psicofisici prolungati;
  • famigliarità.

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Sintomi di emorragia cerebrale

I sintomi di norma compaiono all’improvviso e possono evolvere anche molto rapidamente. I “sintomi premonitori” possono non essere presenti o, in caso contrario, essere aspecifici, come mal di testa, stato di malessere generale e stanchezza: il paziente tende quindi a sottostimarli. Durante l’emorragia il paziente può presentare uno dei seguenti segni e sintomi:

  • cefalea intensa ed improvvisa (descritta spesso come un colpo di pugnale alla testa);
  • vomito;
  • nausea;
  • astenia (stanchezza);
  • facile affaticabilita;
  • letargia;
  • sudorazione elevata;
  • compromissione del controllo degli sfinteri;
  • emiparesi o emiplegia;
  • disturbi del linguaggio (disartria o afasia);
  • disturbi della sensibilità (ad esempio visione offuscata);
  • disturbi della coordinazione;
  • compromissione parziale dello stato di coscienza;
  • sincope (perdita della coscienza associata all’incapacità di mantenere la posizione eretta: il paziente tende a cadere).

Il decorso poi può essere complicato da:

  • tachipnea (aumento della frequenza respiratoria);
  • tachicardia (aumento della frequenza cardiaca);
  • irregolarità respiratorie;
  • crisi comiziali (epilessia);
  • instabilità o aumento della pressione arteriosa;
  • anomalie della temperatura corporea che peggiorano la prognosi del paziente.

Ai danni diretti provocati dalla mancata perfusione ematica, si associano i danni provocati da dalla comparsa di ematoma ed edema cerebrale che, per compressione in una regione inestensibile com’è il cranio, determinano un peggioramento del quadro neurologico fino al coma. Per approfondire leggi: Pressione intracranica e pressione di perfusione cerebrale

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Prevenzione dell’emorragia cerebrale

Ad oggi purtroppo non sono note procedure dirette in grado di evitare lo sviluppo dell’emorragia cerebrale, tuttavia, essendo tale patologia favorita da un numero elevato di fattori di rischio, si può prevenire efficacemente intervenendo su tutti quei fattori di rischio modificabili che ne aumentano il rischio, ad esempio:

  • mantenere la pressione arteriosa entro limiti accettabili;
  • curare l’eventuale ipertensione arteriosa con farmaci antipertensivi;
  • evitare una dieta sbilanciata ricca di grassi, seguire invece una dieta normocalorica ricca di frutta e verdura;
  • idratarsi bevendo adeguate quantità di acqua;
  • se si è sovrappeso o obesi, mettere in pratica comportamenti per perdere peso, ad esempio seguire una dieta ipocalorica e fare attività fisica;
  • prevenire l’ipercolesterolemia con una alimentazione adeguata e curarla con farmaci adeguati;
  • evitare stress psicofisici prolungati;
  • evitare fumo di sigaretta, alcolici e sostanze stupefacenti;
  • prevenire traumi cerebrali stradali e sportivi grazie a specifiche precauzioni;
  • diagnosticare precocemente malformazioni vascolari a rischio (aneurismi e malformazioni artero-venose);
  • curare in modo adeguato eventuali coagulopatie o patologie delle pareti dei vasi sanguigni;
  • fare attenzione al dosaggio dei farmaci anticoagulanti.

Tutti questi comportamenti sono ancor più raccomandati in quegli individui che hanno famigliarità con la patologia, ad esempio genitori e fratelli che hanno avuto ictus cerebrale o altri eventi ischemici come l’infarto del miocardio, oppure nei pazienti che hanno avuto precedenti episodi ischemico-emorragici.

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Diagnosi di emorragia cerebrale

Per la diagnosi di emorragia cerebrale, oltre ad anamnesi ed esame obiettivo, il medico usa generalmente i seguenti esami diagnostici per immagini:

  • tomografia computerizzata (TCTAC) cerebrale con o senza mezzo di contrasto, che permette di visualizzare il sanguinamento e permette la diagnosi differenziale nei confronti di un ictus ischemico;
  • risonanza magnetica dell’encefalo, con gadolinio come mezzo di contrasto: viene utilizzata per escludere la presenza di malformazioni sottostanti, pregresse emorragie e microsanguinamenti (che possono suggerire la presenza di angiopatia amiloide);
  • lo studio angiografico con angio-TC, angio-RM permette infine di evidenziare eventuali malformazioni vascolari;
  • esami ematici eseguiti su sangue venoso ed arterioso.

Trattamenti dell’emorragia cerebrale

Il primo obiettivo del personale medico, di fronte ad un paziente con emorragia cerebrale, è salvaguardare le sue funzioni vitali: ad esempio ventilazione meccanica e nutrizione enterale o parenterale. In alcuni casi è necessario un tempestivo intervento chirurgico che ha l’obiettivo di impedire ulteriore sanguinamento e ridurre l’ematoma. Nei pazienti per i quali non è necessario l’intervento chirurgico è fondamentale un attento e continuo monitoraggio dello stato neurologico e dei parametri vitali: particolare attenzione deve essere rivolta al controllo dell’ipertensione arteriosa, dal momento che un picco pressorio potrebbe peggiorare nettamente la situazione. In caso di importante edema cerebrale può essere richiesta la somministrazione di diuretici osmotici. In caso di emorragia cerebrale in concomitanza con una terapia anticoagulante si fa solitamente uso di preparati in grado di ripristinare rapidamente la normale coagulazione del sangue (vitamina K, protamina, concentrati piastrinici).

Dopo una emorragia cerebrale

Gli esiti di una emorragia cerebrale sono estremamente vari in base a molti fattori, tra i quali:

  • gravità dell’emorragia;
  • tempi di intervento del personale sanitario;
  • età del paziente (gli anziani recuperano con più difficoltà);
  • stato di salute generale del paziente (la presenza di ipertensione, obesità, infezioni estese, diabete peggiorano la prognosi).

In base a questi ed altri fattori, il paziente colpito da emorragia cerebrale può tornare ad una vita del tutto normale o, più spesso, avere lesioni cerebrali che determinano danni permanenti relativamente al comparto motorio e/o sensitivo (ad esempio difficoltà a parlare e/o a muoversi) che solo in parte possono migliorare grazie ad adeguato intervento fisioterapico. Nei casi più gravi il paziente può entrare in uno stato di coma che generalmente dura circa uno/due mesi e successivamente evolve nel suo decesso, oppure in uno stato vegetativo o di minima coscienza che hanno durata estremamente variabile. A tal proposito, leggi:

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Angina pectoris stabile, instabile, secondaria: sintomi, interpretazione e terapia

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma ANGINA PECTORIS STABILE INSTABILE SINTO  Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgCon “angina pectoris” si intende un dolore al torace retrosternale (posteriore allo sterno, l’osso piatto e centrale del torace). L’angina pectoris non è quindi una vera e propria patologia, bensì un sintomo.

Da cosa è causato il dolore anginoso al petto?
È causato da un temporaneo scarso afflusso di sangue al cuore attraverso le arterie coronariche che determina mancanza di ossigeno al tessuto cardiaco. Il fenomeno prende anche il nome di ischemia; nell’angina pectoris l’ischemia è reversibile e non arriva al punto di provocare danno cardiaco permanente come invece avviene nell’infarto del miocardio. La malattia si manifesta abitualmente con dolore toracico improvviso, acuto e transitorio; sono stati descritti anche: pesantezza a torace e arti superiori, formicolìo o indolenzimento nella stessa sede, affaticamento, sudorazione, nausea. I sintomi possono essere molto diversi da individuo a individuo per intensità e durata.

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Classificazione dell’angina pectoris
L’angina pectoris si distingue in diverse forme:

  • Angina stabile o da sforzo: è innescata da uno sforzo fisico, dal freddo o dall’emozione. In questo caso il sintomo della malattia si manifesta quando si sta svolgendo l’attività fisica, soprattutto se esposti alle basse temperature, o all’apice di uno stress emotivo. È la forma più diffusa e anche quella maggiormente controllabile.
  • Angina instabile: in questo caso il dolore si presenta in maniera imprevista, anche a riposo, o per sforzi fisici modesti. La causa può essere l’ostruzione temporanea di una coronaria da parte di un coagulo, detto anche trombo, che si forma su una malattia aterosclerotica delle pareti vasali. Per questo rappresenta la forma più pericolosa, da trattare tempestivamente, in quanto fortemente associata al rischio di progressione verso un infarto acuto del miocardio. Si può considerare una forma di angina instabile anche l’angina variante o di Prinzmetal. L’angina variante è causata da uno spasmo in una delle coronarie, con restringimento importante, anche se temporaneo, del vaso fino a compromettere in modo significativo il flusso di sangue e causare ischemia associata a dolore toracico. L’angina di Prinzmetal è una malattia abbastanza rara che non è generalmente associata ad aterosclerosi del vaso coronarico interessato dallo spasmo.
  • Angina secondaria: vi rientrano tutte quelle forme di “ischemia” cardiaca che non sono provocate da restringimenti o ostruzioni coronariche, ma da altre patologie quali l’insufficienza aortica, la stenosi mitralica, l’anemia grave, l’ipertiroidismo e le aritmie.

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Quali sono le cause dell’angina pectoris?
L’angina è causata dalla riduzione, temporanea, dell’afflusso di sangue al cuore. Il sangue trasporta l’ossigeno necessario ai tessuti del muscolo cardiaco per vivere. Se il flusso di sangue è inadeguato si creano le condizioni per un’ischemia. La riduzione del flusso può essere prodotta da un restringimento critico delle coronarie (stenosi), tale per cui, in presenza di aumentate richieste di ossigeno da parte del tessuto cardiaco (durante attività fisica, freddo o stress emotivo), non vi è di fatto un apporto sufficiente. Questo avviene più spesso in presenza di aterosclerosi coronarica, malattia che coinvolge le pareti dei vasi sanguigni attraverso la formazione di placche a contenuto lipidico o fibroso, che evolvono verso la progressiva riduzione del lume o verso l’ulcerazione e la formazione brusca di un coagulo sovrastante il punto di lesione. L’ostruzione/restringimento della coronaria può avvenire più raramente anche per spasmo della stessa, solitamente senza alterazioni aterosclerotiche delle pareti vasali. Condizioni che favoriscono lo sviluppo di aterosclerosi sono il fumo, il diabete, l’ipertensione e l’obesità.

Quali sono i sintomi dell’angina pectoris?
I sintomi dell’angina includono:

  • Dolore acuto, pesantezza, formicolio o indolenzimento al torace, che talvolta si può irradiare verso spalle, braccia, gomiti, polsi, schiena, collo, gola e mandibola
  • Dolore prolungato nella parte superiore dell’addome
  • Mancanza di respiro (dispnea)
  • Sudorazione
  • Svenimento
  • Nausea e vomito

Come prevenire l’angina pectoris?
La prevenzione dell’angina pectoris si attua in primo luogo attraverso la prevenzione dell’aterosclerosi coronarica, mettendo in atto tutte le misure volte a controllare i principali fattori di rischio cardiovascolare. È necessario evitare la sedentarietà, effettuare un’attività fisica moderata e regolare; evitare, se si sono avuti episodi di dolore anginoso, sforzi eccessivi e fonti di stress psicofisico; evitare sovrappeso e obesità, seguire una dieta sana, povera di grassi e ricca di frutta e verdura; evitare pasti abbondanti e l’assunzione di alcolici; non fumare o smettere di fumare.
Chi soffre di diabete deve attuare tutte le misure per un controllo adeguato della glicemia. È necessario, inoltre, controllare periodicamente la pressione sanguigna.

Diagnosi ed interpretazione diagnostica
Chi ha un episodio di angina, anche sospetto, dovrebbe riferirlo tempestivamente al medico per gli esami del caso, che includono:

  • Elettrocardiogramma (ECG): registra l’attività elettrica del cuore e consente di individuare la presenza di anomalie suggestive per ischemia miocardica. L’Holter è il monitoraggio prolungato nelle 24 ore dell’ECG: nel caso di sospetta angina consente di registrare l’elettrocardiogramma nella vita di tutti i giorni e soprattutto in quei contesti in cui il paziente riferisce di avere la sintomatologia.
  • Il test da sforzo: l’esame consiste nella registrazione di un elettrocardiogramma mentre il paziente compie un esercizio fisico, generalmente camminando su un tapis roulant o pedalando su una cyclette. Il test viene condotto secondo protocolli predefiniti, volti a valutare al meglio la riserva funzionale del circolo coronarico. Viene interrotto alla comparsa di sintomi, alterazioni ECG o pressione elevata o una volta raggiunta l’attività massimale per quel paziente in assenza di segni e sintomi indicativi di ischemia.
  • Scintigrafia miocardica: è una metodica utilizzata per valutare l’ischemia da sforzo in pazienti il cui solo elettrocardiogramma non sarebbe adeguatamente interpretabile. Anche in questo caso Il paziente può eseguire l’esame con cyclette o tapis roulant. Al monitoraggio elettrocardiografico viene affiancata la somministrazione endovenosa di un tracciante radioattivo che si localizza nel tessuto cardiaco se l’afflusso di sangue al cuore è regolare. Il tracciante radioattivo emana un segnale che può essere rilevato da un’apposita apparecchiatura, la Gamma-camera. Somministrando il radiotracciante in condizioni di riposo e all’apice dell’attività si valuta l’eventuale comparsa di mancanza di segnale in quest’ultima condizione, segno che il paziente manifesta un’ischemia da sforzo. L’esame consente non solo di diagnosticare la presenza di ischemia ma anche di fornire un’informazione più accurata sulla sua sede e sull’estensione. Lo stesso esame può essere effettuato producendo l’ipotetica ischemia con un farmaco ad hoc e non con l’esercizio fisico vero e proprio.
  • Ecocardiogramma: è un test di immagine che visualizza le strutture del cuore e il funzionamento delle sue parti mobili. L’apparecchio dispensa un fascio di ultrasuoni al torace, attraverso una sonda appoggiata sulla sua superficie, e rielabora gli ultrasuoni riflessi che tornano alla stessa sonda dopo aver interagito in modo diverso con le varie componenti della struttura cardiaca (miocardio, valvole, cavità). Le immagini in tempo reale possono essere raccolte anche durante l’esecuzione di un test da sforzo, fornendo in quel caso informazioni preziose sulla capacità del cuore di contrarsi correttamente in corso di attività fisica. Analogamente alla scintigrafia anche l’ecocardiogramma può essere registrato dopo aver somministrato al paziente un farmaco che può scatenare un’eventuale ischemia (ECO-stress), permettendone la diagnosi e la valutazione di estensione e sede.
  • Coronografia o angiografia coronarica: è l’esame che consente di visualizzare le coronarie attraverso l’iniezione di mezzo di contrasto radiopaco al loro interno. L’esame viene effettuato in un’apposita sala radiologica, nella quale sono rispettate tutte le misure di sterilità necessarie. L’iniezione del contrasto nelle coronarie presuppone il cateterismo selettivo di un’arteria e l’avanzamento di un catetere fino all’origine dei vasi esplorati.
  • TC cuore o tomografia computerizzata (TC): è un esame diagnostico per immagini per valutare la presenza di calcificazioni dovute a placche aterosclerotiche nei vasi coronarici, indicatore indiretto di un rischio elevato di patologia coronarica maggiore. Con gli apparecchi attuali, somministrando anche mezzo di contrasto per via endovenosa, è possibile ricostruire il lume coronarico e ottenere informazioni su eventuali restringimenti critici.
  • Risonanza magnetica nucleare (RMN): produce immagini dettagliate della struttura del cuore e dei vasi sanguigni attraverso la registrazione di un segnale emesso dalle cellule sottoposte a un intenso campo magnetico. Permette di valutare la morfologia delle strutture del cuore, la funzione cardiaca ed eventuali alterazioni del movimento di parete secondarie a ischemia indotta farmacologicamente (RMN cardiaca da stress).

Trattamenti
Il trattamento dell’angina è diretto a migliorare la perfusione delle coronarie e a evitare il rischio di infarto e trombosi. La terapia include diverse opzioni, farmacologiche o interventistiche, che vengono valutate dal cardiologo in relazione al quadro clinico:

  • Nitrati (nitroglicerina): è una categoria di farmaci adoperata per favorire la vasodilatazione delle coronarie, permettendo così un aumento del flusso di sangue verso il cuore.
  • Aspirina: studi scientifici hanno appurato che l’aspirina riduce la probabilità di infarto. L’azione antiaggregante di questo farmaco previene infatti la formazione di trombi. La stessa azione viene svolta anche da altri farmaci antipiastrinici (ticlopidina, clopidogrel, prasugrel e ticagrelor), che possono essere somministrati in alternativa o in associazione all’aspirina stessa, secondo le diverse condizioni cliniche.
  • Beta-bloccanti: rallentano il battito cardiaco e abbassano la pressione sanguigna contribuendo in questo modo a ridurre il lavoro del cuore e quindi anche del suo fabbisogno di ossigeno.
  • Statine: farmaci per il controllo del colesterolo che ne limitano la produzione e l’accumulo sulle pareti delle arterie, rallentando lo sviluppo o la progressione dell’aterosclerosi.
  • Calcio-antagonisti: hanno un’azione di vasodilazione sulle coronarie che consente di aumentare il flusso di sangue verso il cuore.

L’opzione interventistica include:

  • L’angioplastica coronarica percutanea, un intervento che prevede l’inserimento nel lume della coronaria, in corso di angiografia, di un piccolo pallone solitamente associato a una struttura metallica a maglie (stent), che viene gonfiato ed espanso in corrispondenza del restringimento dell’arteria. Questa procedura migliora il flusso di sangue a valle, riducendo o eliminando l’angina.
  • Bypass coronarico, un intervento chirurgico che prevede il confezionamento di condotti vascolari (di origine venosa o arteriosa) in grado di “bypassare” il punto di restringimento delle coronarie, facendo pertanto comunicare direttamente la porzione a monte con quella a valle della stenosi. L’intervento viene effettuato a torace aperto, con il paziente in anestesia generale e quasi sempre con il supporto della circolazione extra-corporea.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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Cos’è un infarto e quanti tipi di infarto conosci?

MEDICINA ONLINE INFARTO DEL MIOCARDIO POLMONARE RENALE CEREBRALE CORONARIE ARTERIE TROMBO EMBOLO OSTRUZIONE DIFFERENZA ICTUS EMORRAGICO EMORRAGIA ISCHEMICO ISCHEMIA NECROSI MORTE PERICOLO SANGUE CIRCOLAZIONE.jpgMi capita spesso che i pazienti mi chiedano lumi riguardo la parola “infarto”. Tutti sanno cosa sia, ma quando gli chiedi cosa significa esattamente, non tutti… sanno cosa sia! Cerchiamo oggi di fare un po’ di chiarezza. Inizio col dire che quando comunemente si usa la parola “infarto”, nella maggior parte dei contesti è praticamente ovvio che ci stiamo riferendo all’infarto del miocardio. Ma in realtà tale parola può riferirsi a diverse patologie.

Ma quindi esistono diversi tipi di infarto, non solo quello “del cuore”?

Cominciamo con lo spiegare che la parola “infarto” significa necrosi tissutale (cioè morte delle cellule che compongono un dato tessuto) causata da ischemia (cioè diminuzione o assenza del flusso di sangue in quel tessuto). La diminuzione o assenza del flusso sanguigno è a sua volta causata da vari fattori, molto spesso da aterosclerosi  (cioè ostruzione del vaso sanguigno da parte di placche lipidiche) o da trombosi o da un embolo. Ricapitolando: l’ostruzione di un vaso sanguigno provoca il mancato afflusso di sangue ad un tessuto (ischemia) ed esso, se non viene ripristinato al più presto il flusso, andrà incontro a necrosi – cioè morirà – dal momento che le cellule che lo compongono sono rimaste senza sangue (e quindi senza ossigeno e nutrimento) troppo a lungo. Questo evento prende il nome di infarto. Dire “infarto” e dire “infarto del miocardio”, pur se usati spesso come sinonimi, non sono però la stessa cosa: è necessario chiarire che l’infarto del miocardio è una data tipologia di infarto, in cui l’ischemia, quasi sempre determinata da ostruzione delle arterie coronarie, colpisce il cuore.

Ischemia ed infarto sono sinonimi?

No, non lo sono. “Ischemia” indica diminuzione della perfusione ematica, mentre “infarto” indica la morte del tessuto provocata da una prolungata ischemia. E’ importante ricordare che non tutte le ischemie determinano necessariamente un infarto: se il flusso di sangue viene ripristinato molto rapidamente, il tessuto potrebbe non subire alcun danno permanente; se invece il flusso ematico NON viene ripristinato rapidamente o non viene ripristinato affatto, il danno tissutale sarà probabilmente permanente e, spesso, determinerà il decesso del paziente. Il tempo in cui il danno necrotico si instaura, dipende non solo dalla causa della mancata perfusione (ostruttiva o non ostruttiva, acuta o cronica) ma anche dal metabolismo soggettivo di ogni tessuto: più un organo ha bisogno di sangue per sopravvivere, più velocemente andrà in necrosi in caso di ischemia.

Vari tipi di infarto

A seconda del tessuto che rimane privo del necessario afflusso sanguigno, l’infarto prende un nome diverso. Se ad esempio è il tessuto intestinale ad andare incontro a necrosi, allora si parla di infarto intestinale; se invece vi è necrosi di tessuto cerebrale, si parlerà di infarto cerebrale (o ictus cerebrale). Quando ad essere ostruiti sono uno o più rami dell’arteria polmonare, si parlerà di infarto polmonare. Se l’interruzione del flusso arterioso avviene a livello dell’arteria renale, a rimanere senza nutrimento è il rene con conseguente ischemia renale ed infarto renale. Questi tipi di infarto sono tra i più diffusi (tranne quello renale, più raro), ma abbiamo dimenticato il più diffuso, cioè…

L’infarto del miocardio

Si parla di infarto del miocardio quando il tessuto interessato da necrosi è il miocardio. Cos’è il miocardio? E’ il muscolo cardiaco che in questo momento permette al vostro sangue di circolare nel vostro corpo. Il cuore è un muscolo, ricordiamocelo!
All’inizio dell’articolo dicevo che quando comunemente si usa la parola “infarto”, è praticamente ovvio che ci stiamo riferendo all’infarto del miocardio. Perché ciò avviene? Semplice: l’infarto del miocardio è l’infarto più diffuso, quindi ormai, nell’uso comune, “infarto” ed “infarto del miocardio” sono praticamente dei sinonimi.

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Sapresti riconoscere un infarto del miocardio? Impara ad identificarlo e salverai una vita (anche la tua)

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO CHIRURGO CUORE DOLORE TORACE ADDOMEQuello che sto per dirvi oggi, dovrebbe essere insegnato almeno dalle scuole medie in poi, perché l’infarto del miocardio è una di quelle patologie in cui la velocità di diagnosi e di trattamento, può realmente fare la differenza tra la vita e la morte. Se voi od una persona di fronte a voi, ha un infarto cardiaco (più precisamente “infarto del miocardio”, cioè del muscolo del cuore), saperlo riconoscere in tempo, salva una vita.

Cos’è un infarto?

L’infarto miocardico acuto (IMA) è una necrosi dei miociti provocata da ischemia prolungata, susseguente a inadeguata perfusione del miocardio per squilibrio fra richiesta e offerta di ossigeno, spesso secondaria all’occlusione di una coronaria causata da un trombo. In parole semplici: non arriva abbastanza sangue al muscolo cardiaco (spesso a causa di un trombo che occlude le coronarie) e quest’ultimo muore e smette di funzionare.

Leggi anche: Com’è fatto il cuore, a che serve e come funziona?

I sintomi e segni tipici dell’infarto del miocardio

Vediamo ora una sintetica lista di sintomi tipicamente associati ad un infarto del miocardio:

  • pressione o dolore oppressivo al centro del petto, che si può irradiare su tutto il torace, sul braccio sinistro e sulla mandibola;
  • dispnea (difficoltà a respirare);
  • stanchezza;
  • nausea;
  • vomito;
  • sudorazione fredda;
  • cute umida;
  • agitazione e ansia;
  • pallore;
  • vana ricerca di una posizione capace di calmare il dolore;
  • vertigini;
  • svenimento;
  • senso di morte imminente.

Non necessariamente tali sintomi e segni indicano infarto, tuttavia in presenza di essi vi consigliamo di chiamare subito il 112.

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L’ictus cerebrale che ti condanna ad essere felice per sempre

Dott. Loiacono Emilio Alessio Medico Chirurgo Medicina Chirurgia Estetica Benessere Dietologia Sessuologia Ecografie Tabagismo Smettere di fumare Lo strano caso dell’ictus cerebrale che ti condanna ad essere felice perIl signore che vedete qui sopra raffigurato si chiama  Malcolm Myatt, è nato in Inghilterra 68 anni fa ed è camionista in pensione. Perchè sia diventato un caso medico famoso è presto detto: è sempre contento. E non è un modo di dire. Da quando lo ha colpito un ictus nel 2004, che ha compromesso la sensibilità della parte sinistra del suo corpo, il signor Malcolm non è più grado di provare il sentimento della tristezza. E non perché sia ottimista o stupido: semplicemente nel suo cervello, e in particolare nel lobo frontale che controlla le emozioni, lo choc della malattia ha “cancellato” la possibilità fisiologica di provare tristezza. Nella sfortuna, il signor Myatt – ribattezzato dai giornali Mr. Happy – è stato fortunato: pensate se avesse perso per sempre la possibilità di essere felice…

Continua la lettura su https://www.corriere.it/salute/neuroscienze/13_agosto_13/gb-dopo-ictus-mai-triste_b3474f1e-03fa-11e3-b7de-a2b03b792de4.shtml

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